


Uno, due, tre... Sam Fisher rischia di patire l'inflazione da supereroe con una fortuna sfacciata. E così ecco una salutare doccia di sfiga che costringe il mastrolindo dei giochi stealth a fare il salto della quaglia. Passare dalla parte opposta, nella dark side of the moon dove pullula il crimine e ci sono solo cattivi, non è soltanto stracciare il vecchio copione. Non si tratta di sostituire i fondali, e le facce non diventano solo più brutte. Entra un scena un nuovo, invisibile giocatore: la scelta. La sopravvivenza personale, che si fondeva nei primi tre capitoli con il successo della strategia di gioco, adesso si rovescia: seguire l'istinto di sopravvivenza costringe a tradire la missione. Naturalmente la via dei buoni resti la via maestra, ma le sue porte non sono più un passaggio obbligato.
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DOUBLE LIFE
Ecco perché la pappardella sul nuovo significato acquisito dal gioco in singolo si distende anche sul multiplayer. Rispetto a Chaos Theory il rapporto spie-mercenari è molto più equilibrato. Prima le certezze. Uno in più: da due contro due lo scontro diventa tre contro tre. Sempre spie contro mercenari, sempre visuale in terza per i primi e in soggettiva per i secondi. Adesso le novità. Aggiornamenti nell'arsenale, possibilità di accelerazione, di effettuare salti, compresa l'impiego di un drone-spia. Se l'asso nella manica della spia è il silenzio e l'incapacità del mercenario di rilevare suoni, questa volta il mercenario dispone di un visore per individuare i movimenti ravvicinati della spia. Sprovvista dello shocker-gun, la spia può disabilitare – “hackerare” – ogni dispositivo e sono dotate di un'agilità ancora più accentuata attivando mosse speciali premendo un solo pulsante sul controller. Infine anche alla spia è concessa la chance di uccidere in modo stealth il mercenario, ma a mani nude. Purtroppo Ubisoft ha preparato il necrologio per il multiplayer cooperativo che tanto “chaos” aveva creato tra i giocatori. Ma non ci sarà comunque tempo per versare lacrime di fronte ad un notevole arricchimento delle modalità competitive.
Mentre i mercenari di Ubisoft ci sbattono fuori, l'osservazione di cui gli occhi e la mente si sono impregnati è la simultanea compresenza in Double Agent di approcci al gioco così differenti.
La scelta tra mercenari e spie non è questione di squadra. E' un fatto di mentalità. Mettendo le mani sul multiplayer questa sensazione è immediata e parte dai polpastrelli per salire su fino al cervello trasmettendo la realtà di una spia in aspro contrasto con quella di un mercenario. La gestione degli spazi è decisiva per le spie, così come un'efficace conoscenza dell'ambiente, dei suoi vincoli e delle sue opportunità. Oltre allo spazio, è il tempo la variabile fondamentale per il multiplayer: ma c'è un abissale fuso orario tra il tempo “binario” dei mercenari, sorveglianza e inseguimento, e quello più sincopato delle spie, in cui si sovrappone il movimento stealth, l'utilizzo dei congegni elettronici, l'elaborazione di una strategia. Dubbio amletico prima della nanna: e se anche le spie e i mercenari non fossero fronti compatti, ma includessero al loro interno un doppiogiochista, un altro “double agent” online?



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