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Recensione Project Zero 2 Director's Cut

Giuseppe Schirru Di Giuseppe Schirru(31 gennaio 2005)
Le due argomentazioni qui sotto riportate intendono fornire un quadro più completo sulla questione Project Zero 2, ponendo sullo stesso piano il parere di un detrattore, a sinistra, e un estimatore a destra.


“Poiché l'arte sorge dalla personalità, è solo alla personalità che si rivela e dall'incontro delle due nasce una corretta critica interpretativa”. Pensate possa nascere qualcosa dalla personalità di un tale individuo come quello qua a destra?






Sotto il vestito d'alta moda si nasconde un fisico gracilino. I programmatori Tecmo si improvvisano grandi registi e conducono il gioco con mano ferma e sicura, alternando sapientemente fasi di esplorazione, scontri con fantasmi ed enigmi risibili. Il tutto col solito denominatore, figlio della nuova tendenza videoludica che antepone la forma alla sostanza, il raccontare al giocare. Anche PZ2 si adegua al vento che tira e il giocatore ha la sensazione di essere partecipe di una storia, dove tutto è già scritto e dove aspettare che il racconto giunga alla sua completezza. Non è lui a viverla, è lui a guardarla. Imprigionato nella linearità di un gameplay che lascia poco spazio all'iniziativa, il giocatore si ritrova comodamente seduto nel castello della paura e aspetta che la navetta giunga all'ultimo fantasma.

Il gameplay, e qua proprio non ci siamo. La linearità è indispensabile ai fini di un maggior timbro registico, ma siamo giocatori, non spettatori. Il survival horror va maturando, ma PZ2 non fa nulla per svecchiare una formula stantia e pluri-abusata. Quel che in Silent Hill è trasgressione nella proposizione del modello di base, nel titolo Tecmo è un banale copia-incolla con l'inserimento della macchina fotografica al posto delle armi da fuoco e una ciclicità forzata che mira sempre a ricomporre il cerchio ludico: scatta la foto, risolvi l'enigma, uccidi il fantasma di turno. A fronte dei significanti passi avanti fatti dal genere (Forbidden Siren docet), PZ2 rimane diversi gradini sotto, con lo sguardo proteso al passato piuttosto che al futuro. L'essere un'alternativa a quanto attualmente proposto dal mercato non garantisce la validità delle proprie scelte. Sono del parere che il gameplay di Project zero 2 ai fini dell'esperienza ludica non reciti una parte importante come quella della trama, dell'atmosfera o della sfera audio-visiva genuinamente superba. Non tanto da essere accessorio, sia chiaro, ma abbastanza per passare in secondo piano. I programmatori sono riusciti a dimostrarci la loro bravura nel saper padroneggiare a fondo le regole dell'horror ma non in termini di gameplay, adottando una formula che ora meriterebbe di essere conservata in un museo. Anzi, in un negozio d'antiquariato, dato che i musei sono riservati alle opere d'arte.





Camera Obscura? La sua credibilità nel contesto è inattaccabile, la sua efficacia ludica opinabile. Gli scontri risultano insapori, il tutto si traduce nel passare ad una banalissima visuale in prima persona - peraltro in spazi ristretti e angusti - e fare un set fotografico a qualche ectoplasma. Per tacere dei fantasmi che spuntano alla coatta o le situazioni di difficile decifrazione nella quale attaccati alle spalle. Fortuna che il gioco sia di una semplicità disarmante. Il bollino che troneggia in bella vista preclude il gioco a un pubblico d'età superiore ai sedici anni, quando poi il grado di difficoltà sembra impostato per marmocchi di otto.

Il concetto di incoerenza nei survival horror è di origine capcomiana: perché trovare una chiavetta per aprire una borsetta in cuoio quando nell'armamentario ho un coltello a serramanico? Perché fare dure ore di back-tracking per aprire una porta in legno marcio quando con un calcione o peggio un colpo di doppietta potrei mandarla al tappeto? PZ2 evita un egualitarismo d'incoerenza solo perché le due protagoniste non avrebbero la forza di aprire una lattina di Pepsi.




Tecnicamente è un titolo valido. In fondo parliamo di Tecmo, software house che fa dell'opulenza visiva la sua bandiera e del ballonzolamento delle tette la fortuna dei propri beat'em up (serie Dead or Alive). Sublime l'applicazione dei vari filtri allo schermo, ispiratissimo il comparto sonoro, già ad altissimi livelli sulla versione PS2 e per l'occasione ri-masterizzato, avvalendosi egregiamente del 5.1. Eppure, nonostante una maggiore pulizia visiva e qualche poligono in più inserito col contagocce, l'impressione è quella che il prodotto, nel qual caso programmato direttamente su Xbox e non convertito, avrebbe potuto indossare un abito più avvenente. La modalità in prima persona non si addice a un impianto ludico in cui buona parte della paura è costruita grazie alla presenza di telecamere fisse, snaturando e non poco l'esperienza di gioco senza per questo aumentare coinvolgimento ed immedesimazione.

Il gameplay in un videogioco non deve essere accessorio, ma parte fondamentale e imprescindibile per la buona degustazione dell'esperienza ludica, mentre qua è il manifesto a muro della limitata profondità di un titolo, incapace di proporre alcunché oltre alla totale perlustrazione delle aree di gioco alla ricerca di qualcosa con cui interagire. Parafrasando un concetto di Gianni Mininni mi viene da esclamare: se è vero che il survival horror è un catino di emozioni, sarebbe ora di cambiare l'acqua. Non scadiamo in patetici panegirici per valutare una formula che oggi, anno domini 2005, dovrebbe stare in un museo di retrogaming.


Patetico riciclo di frasi famose, peraltro da uno scrittore come Oscar Wilde. Ottima ispirazione per redigere una critica all'insegna del decadentismo ed anti-estetismo, per un recensore venato d'irrazionalismo. Confido sul fatto che siate abbastanza ferrati di mente per non farvi abbindolare dalle parole del lustrascarpe qua di fianco.



Il videogioco è interattivo, e un survival horror è un antidoto alla fruizione passiva di un film. Il coinvolgimento sale alle stelle e la possibilità di assaporare in prima persona un senso di paura agghiacciante, quasi toccandolo con mano, è un emozione difficilmente rintracciabile in una pellicola cinematografica, che pone lo spettatore in un contesto più distaccato. Il videogioco è un mezzo espressivo duttile, elastico, dalle infinite possibilità: se sfruttato a dovere è in grado di imbastire uno spettacolo ben più coinvolgente di qualsiasi film. Il segreto sta nella capacità dei programmatori di valorizzare e sfruttare a 360° queste potenzialità. Project Zero 2 Crimson Butterfly Director's Cut ci riesce, compiendo il suo dovere con eleganza e disinvoltura.

Il gameplay. Tecmo dimostra di possedere una perfetta padronanza delle regole dei survival horror. Con un'impennata d'ingegno inserisce la macchina fotografica nella dinamica degli scontri, ed eleva questa a fulcro attorno al quale ruotare il game design. L'originalità di fondo è lampante, senza per questo sdoganare e andare a prendere in prestito elementi da altri generi: per rinverdire la formula Resident Evil 4 ha pescato fuori dal proprio laghetto buttando la lenza in quello action. PZ2 per dimostrarsi grande non ha bisogno di andare a prendere in prestito né dal vicino di casa né dall'emporio di luoghi comuni giù all'angolo. Classificabile come film horror interattivo? Si, ma non trasformiamo in difetto quello che può essere valutato come pregio. Se nei survival horror l'intento è quello di ricreare terrore, PZ2 svolge il suo compito diligentemente e senza sbavature.



Camera Obscura? Idea acutissima, in grado di contribuire a quel senso di terrore che il gioco non risparmia a nessuno, nemmeno allo spettatore agnostico. Non più la fiera sicurezza di avere tra le mani un M60 con 30 kg di piombo da elargire in dosi extra, ma una piccola macchina con cui debellare minacce che spuntano da ogni dove, come e quando. L'attesa nell'avere la giusta inquadratura, un attimo prima di venir colpiti, è una pratica che si ritualizza presenza dopo presenza: sublime. Ben accetti i vari potenziamenti, ma il piatto forte rimane l'utilizzo della camera connaturato alla risoluzione degli enigmi.

Nei Survival Horror la prospettiva di tolleranza del giocatore nei confronti delle carenze mentali dei protagonisti o delle innumerevoli incoerenze è ammorbidita dalla voglia di riscatto ludico. PZ2 non c'implora di chiudere un occhio su eventuali illogicità, modellando le dinamiche ludiche sulla trama e non viceversa. RE esercita un magistero che i programmatori Tecmo hanno elegantemente snobbato.





Tecnicamente si potrebbe stendere un saggio sull'estro dei programmatori nel sfruttare sapientemente i mezzi espressivi del videogioco. Graficamente Project Zero 2 abusa di filmati in fmv (di qualità sopraffina) e propone un carnevale d'immagini, che grazie ai vari filtri applicati allo schermo risultano di notevole impatto. Dominano i colori scuri, con la penombra a farla da padrone e le due protagonista avvolte nell'oscurità. Un contesto dove i tocchi di classe si sprecano e si rasenta la perfezione in ogni frangente, nel taglio cinematografico delle inquadrature, nei modelli poligonali delle protagoniste o nella cura riposta nella realizzazione dei fondali. La modalità in prima persona è un surplus sfizioso, che contribuisce ad aumentare il coinvolgimento del giocatore.




“The village where the Crimson Butterflies dance: the village held forever in the grip of a never-ending night...”
Un itinerario di paura, che ha per tappa un villaggio maledetto fino ad arrivare alla decifrazione di un arcano mistero, sono le fondamenta su cui PZ2 poggia le basi per generare terrore. Al giocatore non è risparmiato niente, suggestionato da decapitazioni, morti truculente e immagini spaventose, innestate grazie a una sfera audiovisiva ad altissima gradazione d'horror.

8
Senza scadere in facili recriminazioni verso la realizzazione di un gioco che punta più all'esplicazione che all'interazione, va asserito come nel titolo Tecmo, rispetto al primo capitolo, la crescita audio-visiva e la maggiore padronanza nelle regole dell'horror, facciano da contrappunto alla necessità di un maggior spessore nell'esperienza di gioco. Ne scaturisce tuttavia un titolo dall'immagine solida e concreta, garante di terrore e avvalorato, rispetto alla controparte PS2, da una nuova modalità in prima persona e un sonoro completamente rimasterizzato. Il resto è poca cosa. Agghiacciante.
voto grafica8
voto sonoro9
voto gameplay8
voto durata7,5
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