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Recensione Need for speed underground

Giuseppe SchirruDi Giuseppe Schirru (5 dicembre 2003)

The Fast and The Furious

Uscito in Italia col titolo Fast and Furious, ottenne un enorme successo di pubblico, un po' meno di critica. La storia la conosciamo un po' tutti: l'agente Brian (Paul Walker) ha il compito di infiltrarsi in una banda di street-racers dove entra nelle grazie di Dominic (un Vin Diesel ai massimi livelli), re delle drag racing e di sua sorella Mia. Il legame tra i vari personaggi si rafforza e chiudere il caso andrà contro a motivazioni prettamente personali. Il regista Rob Cohen punta molto sulla spettacolarità, e da questo punto di vista non delude: inseguimenti, azione, macchine truccate, NOS in quantità industriale e quant'altro regalano emozioni forti. Per i patiti dei motori la Mitsubishi Eclipse supermodificata vale da sola il prezzo del biglietto: curioso constatare che quando Brian usa la seconda carica di NOS si volatilizza il fondo del lato passeggero, che poi, quasi magicamente, ricompare quando sale a bordo Vin Diesel. Ma per lui questo ed altro.


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Super-pubblicizzato, aspettato con calore dai fan, il secondo capitolo ripropone le gesta del primo in dosi extra: sempre meno spazio allo sviluppo narrativo, il film fa della spettacolarità e delle scene d'azione sulle potentissime macchine il suo biglietto da visita. Il pubblico da ragione al regista, ora John Singleton, con più di 50 milioni di dollari incassati nella prima settimana di programmazione negli USA. Gli Universal Studios, in caso di forfait da parte di Vin Diesel, avevano preparato due sceneggiature. La mancanza del Dominic del primo capitolo è stata comunque colmata dalla new entry Roman (Tyrese, modello e cantante di rythm'n blues di cui troviamo una canzone anche in PGR2, “She lets me be a man”), e la storia d'amore si ripete anche stavolta con l'attuale Eva Mendes, che troviamo con una particina in C'era una volta in Messico, attualmente in programmazione
Need for speed underground - Immagine 1
Il primo Fast and Furious fu girato da Rob Cohen nel 2001. Nel secondo, uscito quest'anno nelle sale cinematografiche, il testimone della regia passava nelle mani del talentuoso John Singleton, la pellicola perdeva Vin Diesel ma trovava un'affiatata coppia black & white formata da Paul Walker/Tyrese. Stavolta la regia tocca alla EA: lasciati da parte attori strapagati e le storielle scontate, cerca di portare su schermo il mondo delle corse clandestine, ovviamente in versione cool e spettacolare. Che Need for Speed Underground si rifaccia al film sopra menzionato è palese, e il tributo che deve alla pellicola cinematografica è più che un semplice biglietto di ringraziamento con su scritto “grazie per la dritta, sapremo farne buon uso”. L'idea comunque, per quanto non troppo originale e chiaramente scimmiottata, non è male: il mondo delle corse clandestine “alla Fast and Furious” è davvero una genialata che dona nuova linfa vitale a questa serie, altrimenti incapace già da varie puntate di rinnovarsi in maniera significativa.

Need for speed underground - Immagine 2
Need for speed underground - Immagine 3

Ma quella adoprata dai programmatori EA è solo una variazione sul tema, perché il “classico” Need for Speed si nasconde dietro al cellofan fatto dalla possibilità di customizzare le auto, dietro a tutti i cambiamenti che conseguono dall'inserirsi in questa tipologia di gare illegali. Il resto, ovvero le basi, sono quelle del vecchio caro NFS ma riviste, corrette, ampliate, modificate. Non uno stravolgimento completo, bensì l'evoluzione della specie, come per dire che dietro la carrozzeria scintillante e tirata a lucido, romba ancora il motore che siamo abituati a sentire. Una volta scesi in pista bastano pochi metri per capire quale sia la tipologia di guida implementata, e uno schianto per fugare tutti i nostri dubbi circa i possibili cambiamenti adottati. Il filone è sempre quello arcade, nel modo più classico dell'accezione, branca dove EA eccelle e da dove pare non volersi schiodare in nessuno dei suoi titoli. Un inno alla spettacolarità, un calcio nel posteriore al realismo che fa compagnia al concetto di simulazione, entrambi finiti nel ripostiglio delle cose non tenute in considerazione dai programmatori. Ed effettivamente Need for Speed non punta a questo, giammai, non l'ha mai fatto, forse mai lo farà, ma è giusto così. A Cesare quel che è di Cesare, anzi, che Cesare si comporti da Cesare.

La EA persevera: ancora una volta tenta la carta della spettacolarità, forgia un prodotto estremamente arcade e per rinnovare un prodotto altrimenti stantio prende in prestito l'universo delle corse clandestine, lo porta su schermo e imbastisce gare notturne al limite dell'impossibile. A conti fatti l'idea è davvero buona; la realizzazione, non solo a livello tecnico, un po' meno. Underground infatti affianca al coinvolgimento totale che regala, numerose superficialità a livello di gameplay che lo rendono poco profondo, semplicistico ma al tempo stesso immediato e divertente. Il rovescio della medaglia di questa tipologia di giochi. La modalità Underground, fulcro del gioco e classica carriera dove partire col classico cardampone, vincere i classici bigliettoni e potenziare, abbellire (per guadagnare punti stile) e comprare nuove auto, è varia, si articola in tre tipologie differenti di gare e permette anche la modellazione quasi totale a livello estetico della macchina, un po' meno a livello tecnico. Davvero ottimo, se non fosse per la semplicità nel portare a termine i 111 eventi che compongono la carriera e se non fosse che oltre a quest'ultima, rimangono poche attrattive, alcune delle quali (specie quella in multi) affossate da una realizzazione tecnica altalenante.

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