Tiscali

Recensione I Am Alive

Ebbene si, il titolo Darkworks è ancora vivo.
Massimiliano PacchianoDi Massimiliano Pacchiano (6 marzo 2012)
La caducità dell'esistenza e delle opere create dall'uomo sono sempre più evidenti in questi tempi tormentati. Terremoti, uragani, clima impazzito, palazzi che crollano e hard disk che improvvisamente implodono facendo perdere tutti i dati all'incauto redattore. L'uomo è forse artefice della sua stessa disfatta? A questa ed altre domande (non) tenta di rispondere I Am Alive, gioco dallo sviluppo lungo e tormentato. Erede dei vari Raw Danger e SOS Final Escape (altresì noto come Disaster Report) l'ultima fatica Ubisoft sarebbe infatti dovuta uscire in formato retail, con tanto di disco ottico e confezione ostentata sugli scaffali dei negozi, ma a causa di discussioni interne con lo sviluppatore Darkworks fu prima cancellato, poi ripreso da Ubisoft Shangai ed infine eccolo qui pubblicato in formato digital delivery su PSN e Xbox Live Arcade.
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Il motivo di tali screzi non è chiaro, ma a giudicare dal prodotto finito possiamo facilmente ipotizzare che Ubisoft non volesse pubblicare a prezzo pieno un titolo che, sebbene curato, ha tutti i connotati del classico “budget game”, ossia gioco di fascia economica. I Am Alive infatti si va a collocare esattamente in quel limbo intermedio che si trova tra i classici Live Arcade ed i giochi scatolati, offrendo una qualità tecnica e di gameplay a metà strada tra questi due mondi.
Le premesse sono semplici: vestiremo i panni di un uomo in cerca di sua moglie e sua figlia all'interno di Haventon, una città immaginaria devastata da numerosi terremoti. Lo scopo sarà innanzitutto quello di sopravvivere e di avanzare nella ricerca, aiutando nel frattempo i superstiti che troveremo lungo il cammino.

Chi ha già provato i titoli Irem (Disaster Report in primis) proverà un forte senso di deja vu nell'ambientazione e negli scorci, ma anche nella struttura di gioco. Stavolta però i controlli sono decisamente più moderni, ed il nostro eroe si muoverà e si arrampicherà come un novello Prince of Persia dal fiato corto. Infatti lo schema di controllo e l'agilità del protagonista ricalcano esattamente quelli degli ultimi PoP, ma a differenza dell'atletico nobile mediorientale dovremo anche fare in conti con il fattore fatica, rappresentato da una barra bianca che si consuma quando corriamo, quando ci arrampichiamo o più in generale quando siamo in debito di ossigeno. Tale barra si consumerà più in fretta se saltiamo o facciamo particolari sforzi, e man mano che si avvicinerà alla sua fine sentiremo la musica del gioco farsi più serrata ed ansiogena. Consumato tutto l'indicatore, la barra stessa inizierà ad accorciarsi e rimarrà “mutilata” anche quando avremo finito la fase di sforzo. Potremo ripristinarla in seguito con cibo o medicine, ma se l'indicatore scompare del tutto mentre siamo sospesi, cadremo tra le braccia della morte.
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Il gioco prosegue tra esplorazione spiccia e recupero di oggetti utili; ma c'è da dire che, proprio come nei vecchi titoli su PS2, l'avanzamento è molto lineare, dissimulato scarsamente da qualche bivio con vicolo cieco annesso, o ancora da ampie aree che però hanno sempre una sola uscita ed un solo itinerario possibile. Nei vecchi titoli Irem potevano anche esserci alcuni rari bivi che portavano a capitoli ed itinerari inediti, cosa totalmente assente qui, ma soprattutto avevamo scosse di terremoto a cadenza (ir)regolare che potevano farci cadere nel vuoto o addirittura in alcuni casi modificare lo scenario sotto i nostri occhi, facendo crollare strade o ponti. In I Am Live queste cose non accadono praticamente mai, se non in una particolare scena in cui l'impatto sull'ambiente è però minimo.

L'unica concessione al fattore esplorativo sarebbe in teoria lo scovare vicoli ciechi che talvolta offrono qualche oggetto da raccogliere (o più raramente un superstite da aiutare) ma alle volte tale esplorazione si fa rischiosa e portarla a termine non vale sempre la candela. Un esempio lampante è quello di un particolare personaggio in difficoltà, per salvare il quale dovremo nell'ordine: studiare il paesaggio per capire dov'è e come arrivarci, rischiare il soffocamento nel tragitto, affrontare un nutrito gruppetto di nemici ed infine avere almeno una pallottola di scorta (merce rarissima) per poter liberare il personaggio dalle sue manette. Ci manca solo che gli facciamo il caffé. E tutto questo ci costerà diversi tentativi lungo un tragitto tedioso dal checkpoint fino al punto prestabilito; ma in genere tutta la gestione delle fasi trial & error è irritante, senza contare che non potremo abbandonare il gioco una volta raggiunto un checkpoint perché non verrà salvato un bel niente: dovremo per forza raggiungere la fine del capitolo, proprio come accadeva nell'irritante Amy di Paul Cuisset.
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