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Recensione Galleon

Giuseppe SchirruDi Giuseppe Schirru (21 giugno 2004)
Siamo sicuri che prima di leggere questa recensione, abbiate dato un occhiata alle immagini a corredo di questo articolo. E siamo ancora più certi del fatto che più di uno abbia arricciato il naso di fronte alle immagini. Peggio. Siamo sicuri che qualcuno abbia pensato “Che grafica penosa”, e sia passato oltre. Errore. Gamesurf non si sognerebbe mai di stroncare a priori Galleon per la sua cosmesi visiva insipida. Né tanto meno di farsi pesantemente influenzare da un comparto grafico di secondo, anzi, terzo livello. Riprenderemo più avanti il discorso. Gamesurf è una ferma sostenitrice di come la sostanza venga prima della forma, di come l'apparenza abbia un ruolo marginale e i videogiochi vadano conosciuti - o forse capiti - come le persone: dentro. Galleon è uno di quegli stupidi timidoni grassocci con gli occhiali, capaci di sbandierare un aspetto mostruoso ma di nascondere dentro, ben celato, un cuore e un'anima da leoni, caratteri forti che al giorno d'oggi si fanno sempre più infrequenti. E' ben nascosto, ma basta solo scovarlo, per quanto questa capacità sia caratteristica di pochi. Il senso di un videogioco è qualcosa che non si esaurisce nella scissione delle sue meccaniche di gioco o nella decifrazione del proprio gameplay.



I videogiochi vanno “capiti”: entrando in quest'ottica si può apprezzare Galleon. In caso contrario la porta è quella, grazie per la visita. Ciò per scoraggiare il giocatore occasionale che non riuscirebbe ad afferrare l'essenza di Galleon – non per limitazioni mentali - e per questo ritenersi soddisfatto dell'acquisto. Galleon è un flebile messaggio che giunge da ere lontane (in ambito videoludico), esattamente quei sei/sette anni di progettazione. Flebile per via dell'hype minimo che drasticamente è andato scemando (ma anche Ico non era forse una sleeper hit?), flebile perché dinnanzi ai mostri sacri attuali, farebbe, a livello puramente tecnico, una magra figura. Eppure ha un sapore insolito, quel gusto che oramai da diversi anni non riuscivamo, malinconicamente, a degustare. O forse ce l'eravamo proprio dimenticati, intossicati dalle funamboliche acrobazie del principe di Persia o dai vari titoli fotocopia della serie Tomb Raider; escluso l'ultimo, più che una fotocopia una ciofeca. Scusate, schifezza.

Galleon è un VG vecchia scuola, dove per vecchia scuola viene inteso un gameplay che convoglia i suoi sforzi sulle meccaniche di gioco, disdegnando filmati in FMV o tutta quella serie di trovate che solitamente siamo soliti definire “gazzosa”. E' un gioco dove tutto è già visto, ma ha quel sapore da actionadventure che oramai non si respirava più dai tempi del primo Tomb Raider. I paragoni non sono casuali: Toby Gard è il creatore del primo episodio della saga dell'eroina più pettoruta dei videogiochi, i cui riflessi si stampano inevitabilmente anche su questa sua ultima fatica, che tra l'altro graficamente “fa pena”. Che frase spietata, ma detta con la cattiveria atta a scoraggiarne l'acquisto ai cultori del bump-mapping, animazioni in motion capture, multi-pass alpha blended bump mapping, pixer shading, giochi di luce maestosi e sofisticate tecniche grafiche che purtroppo Galleon non può annoverare a livello puramente visivo. Non stiamo dicendo che solo pochi eletti potrebbero capire questo gioco, tutt'altro, stiamo dicendo che ci vuole una certa predisposizione mentale per accettare a cuore sereno un titolo tecnicamente obsoleto. Il nostro discorso contorto, atto a scoraggiare l'acquisto a un ipotetico acquirente che ne rimarrebbe insoddisfatto, viene fatto per la salvaguardia di quei 60 dindarelli che il gioco costa, e la cui mancanza di peso, alleggerirebbe oltremodo un portafogli già di per sé titubante dinnanzi a miriadi di titoli interessanti.
Galleon - Immagine 1
Galleon - Immagine 2
Galleon - Immagine 3
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