I videogiochi vanno “capiti”: entrando in quest'ottica si può apprezzare Galleon. In caso contrario la porta è quella, grazie per la visita. Ciò per scoraggiare il giocatore occasionale che non riuscirebbe ad afferrare l'essenza di Galleon – non per limitazioni mentali - e per questo ritenersi soddisfatto dell'acquisto. Galleon è un flebile messaggio che giunge da ere lontane (in ambito videoludico), esattamente quei sei/sette anni di progettazione. Flebile per via dell'hype minimo che drasticamente è andato scemando (ma anche Ico non era forse una sleeper hit?), flebile perché dinnanzi ai mostri sacri attuali, farebbe, a livello puramente tecnico, una magra figura. Eppure ha un sapore insolito, quel gusto che oramai da diversi anni non riuscivamo, malinconicamente, a degustare. O forse ce l'eravamo proprio dimenticati, intossicati dalle funamboliche acrobazie del principe di Persia o dai vari titoli fotocopia della serie Tomb Raider; escluso l'ultimo, più che una fotocopia una ciofeca. Scusate, schifezza.
Galleon è un VG vecchia scuola, dove per vecchia scuola viene inteso un gameplay che convoglia i suoi sforzi sulle meccaniche di gioco, disdegnando filmati in FMV o tutta quella serie di trovate che solitamente siamo soliti definire “gazzosa”. E' un gioco dove tutto è già visto, ma ha quel sapore da actionadventure che oramai non si respirava più dai tempi del primo Tomb Raider. I paragoni non sono casuali: Toby Gard è il creatore del primo episodio della saga dell'eroina più pettoruta dei videogiochi, i cui riflessi si stampano inevitabilmente anche su questa sua ultima fatica, che tra l'altro graficamente “fa pena”. Che frase spietata, ma detta con la cattiveria atta a scoraggiarne l'acquisto ai cultori del bump-mapping, animazioni in motion capture, multi-pass alpha blended bump mapping, pixer shading, giochi di luce maestosi e sofisticate tecniche grafiche che purtroppo Galleon non può annoverare a livello puramente visivo. Non stiamo dicendo che solo pochi eletti potrebbero capire questo gioco, tutt'altro, stiamo dicendo che ci vuole una certa predisposizione mentale per accettare a cuore sereno un titolo tecnicamente obsoleto. Il nostro discorso contorto, atto a scoraggiare l'acquisto a un ipotetico acquirente che ne rimarrebbe insoddisfatto, viene fatto per la salvaguardia di quei 60 dindarelli che il gioco costa, e la cui mancanza di peso, alleggerirebbe oltremodo un portafogli già di per sé titubante dinnanzi a miriadi di titoli interessanti.