PUNTO DI VISTA
Lo odiava.
Dalla prima volta in cui lei gli aveva posato i suoi dolci occhi azzurri addosso, non aveva fatto altro che odiarlo.
Era arrivato in classe con quell’aria da cretino, i capelli scompigliati, l’emblema del nerd inutile, eppure lei l’aveva subito invitato a sedersi al suo fianco.
Come se lui non esistesse.
Da quanto tempo la conosceva? Da quanto cercava un qualunque pretesto per stare con lei, per dimostrarle di essere l’uomo giusto? Non si era forse allenato fino allo sfinimento, pur di essere perfetto per lei? A cosa serviva quel suo corpo così allenato, se non per convincerla che nessuno sulla terra era degno della sua incredibile bellezza?
Eppure lei, in quegli anni, sembrava non averlo mai notato.
Poi era arrivato lui. Un singolo giorno di scuola, e già lei gli si era appiccicata, al punto di chiedergli di portarla a casa. Quante volte lui le aveva offerto un passaggio, solo per sentirsi dire che non doveva disturbarsi per lei? Quello aveva rifiutato, meraviglioso imbecille, ma era stato solo l’inizio. Appena qualche settimana di calma, ed eccoli lì a confabulare tra i banchi, lei a sorridere, lui rosso in viso. Pensavano forse che lui fosse idiota, che non li vedesse?
Iniziava a pensare che in qualche modo lei godesse nel farlo soffrire, nel vederlo morirle dietro mentre avverava il suo sogno alla persona sbagliata, all’ultimo arrivato.
<< Allora ti aspetto sotto casa mia! Non essere timido, forza, dovrai pur imparare come si tratta una ragazza! >>
Li aveva seguiti, quel pomeriggio. Lei lo trascinava per negozi, lui imbambolato come un idiota. Non aveva la minima idea di come trattarla, di come lei meritasse di essere guardata, o toccata.
Li osservò mangiare un gelato, ridere di cose che non poteva udire. Stavano forse ridendo di lui?
Alla fine la riaccompagnò a casa, lei lo baciò su di una guancia, entrò in casa, e lui se ne andò ancora rosso come un peperone.
Quanto era possibile soffrire oltre il punto cui era arrivato?
Solo immaginarla fra le sue braccia gli straziava l’anima. Con che faccia l’avrebbe salutata in classe il giorno dopo? Come avrebbe potuto sopportare di vederli passeggiare assieme per i corridoi della scuola? Era distrutto, ma ormai poteva solo tornare a casa e sperare che il domani fosse anche solo un po’ meno doloroso del presente.
Probabilmente, se c’era un dio, lo odiava. Che lei ormai si facesse beffe di lui e di ciò che provava non lo meravigliava, ma non riusciva davvero a sopportare che persino la sua migliore amica fosse coinvolta in tutto questo.
<< Allora, cosa hai intenzione di fare? >>
<< Non lo so, è da parecchio che ci penso, ma non so neppure se gli interesso davvero. >>
<< Da te questo non me lo sarei aspettato, da quando fai la scolaretta timida? >>
<< Con lui è diverso, sento che potrebbe essere la persona giusta, ma al punto in cui siamo rischierei di rovinare tutto. >>
<< Bah, secondo me … >>
Non poteva ascoltare oltre. Le aveva viste confabulare oltre l’angolo del corridoio, e si era fermato ad ascoltare, ma ne aveva abbastanza. Non solo lei era completamente andata per lui, ma quello osava persino fare il difficile. Non riusciva neppure a capire se voleva abbracciarlo o spaccargli la faccia.
<< Ah! Ciao, non sapevo fossi qui! >>
Dannato idiota. Si era perso nei propri pensieri e non l’aveva sentita arrivare. Sollevò lo sguardo, ancora carico di rabbia, e la guardò in faccia. Perché doveva essere così assurdamente bella, con il volto incorniciato da soffici capelli color oro e gli occhi simili ad un cielo estivo? Forse sarebbe stato tutto più facile, se lei non fosse stata tutto ciò che aveva sempre sognato nella vita. Vederla così non faceva altro che alimentare la sua furia.
<< Ho fretta, non ho tempo per te. >>
La superò, e si morse il labbro inferiore non appena fu alle sue spalle. Non era giusto né umano soffrire così.
Li vide confabulare e ridere ancora nei giorni seguenti. Ormai andare a scuola non era altro che una tortura. Lei non gli si staccava mai di dosso, sempre lì a parlottare, mentre l’altro assumeva sfumature dal rosso al viola.
Alla fine, una mattina si finse malato, per ricaricare un po’ le batterie. Dopo quel giorno nel corridoio, lei non gli aveva più rivolto la parola, e lui non era stato più capace di dirle nulla. Non averla accanto e saperla con lui era due fatti che, sommati insieme, aveva superato la sua soglia di sopportazione. Che si fossero messi pure a pomiciare in classe quella mattina. Lui non li avrebbe visti, e non avrebbe sofferto.
Erano circa le sei di sera quando sua madre lo cacciò a forza fuori di casa per “far uscire un po’ di aria tetra dalle mura domestiche”. Non aveva chiamato nessuno, e si era semplicemente diretto in centro senza alcuna idea in mente. Era quasi riuscito a rilassarsi, quando venne bruscamente riportato alla realtà. Poteva davvero essere così sfortunato?
Non erano a più di venti metri da lui. Lui la cingeva fra le braccia, visibilmente imbarazzato in mezzo alla gente, lei era di spalle, e aveva il volto affondato nel suo petto.
Serrò istintivamente i pugni, fino a non sentire più la punta delle dita, mentre il suo volto si tramutava in una maschera di rabbia. Voleva colpirlo, fargli del male, staccarlo da lei, qualunque cosa pur di far cessare l’orribile sensazione da cui era pervaso. Mosse un passo nella loro direzione, quando quello alzò lo sguardo e lo vide.
I loro occhi si incrociarono per un breve istante. Sembrava sorpreso di vederlo lì, ma la sua espressione mutò nel giro di un secondo, quasi avesse percepito le sue intenzioni.
Il suo sguardo divenne truce, gli occhi si assottigliarono. Abbasso per un momento lo sguardo sulla ragazza stretta al suo petto, poi tornò a fissarlo negli occhi.
Era terrorizzato.
Invece di continuare ad avanzare, iniziò senza alcun controllo a camminare all’indietro, con gli occhi fissi sull’altro, quasi si stesse allontanando da una belva feroce. Pochi passi, poi si voltò ed iniziò a correre. Non si rese neppure conto di essere arrivato alla porta di casa quando riuscì a fermarsi.
Perché? Perché aveva avuto così tanta paura di quella nullità? Mai aveva provato un terrore simile in tutta la sua vita. Il suo corpo era ancora sconvolto dalla rabbia provata poco prima, ora sommata alla stanchezza e alla paura. Si chinò e vomitò sul prato a fianco.
Non era mai stato più furioso. Era in collera con lei per la sua stupidità, con lui per avergli tolto l’amore della sua vita ed infine con se stesso per quella reazione assurda.
Qualcuno doveva pagare.
Uno stupido compito in classe. Fissò per più di un’ora il foglio senza avere la minima idea o voglia di scrivere. Da quasi un mese ormai la scuola per lui non era altro che un luogo dove versare bile. Neppure si sarebbe accorto del segnale di consegna e dell’uscita del professore, se lei non si fosse alzata di scatto ad inseguirlo, rovesciando il contenuto dello zaino un po’ ovunque.
<< Prof, aspetti, la prego! Ho qui il compito, ho finito! >>
Uscì di corsa dall’aula all’inseguimento. Nella bolgia che si era lasciata alle spalle, lui non poté fare a meno di notare la piccola busta bianca con sopra disegnato un ridicolo cuore rosa. La raccolse mentre tutti erano ancora intenti a discutere delle risposte date e degli errori fatti. Uscì dall’aula con aria indifferente e si diresse verso i bagni.
Aprì piano la busta ed estrasse il contenuto, un foglio bianco con poche righe scritte a mano.
“Stasera avrò lezioni aggiuntive fino alle venti. Se mi attenderai, ci sono tante cose di cui vorrei parlarti. Quando siamo insieme non riesco a comunicarti ciò che provo davvero, ma oggi mi farò forza, sperando che anche tu voglia ciò che voglio io. Un bacio.”
La lesse due volte, poi la fece in mille pezzi a la gettò nel water. Dunque aveva deciso, aveva scelto quell’insulso ragazzino come compagno, e voleva aprirgli del tutto il suo cuore quella stessa sera.
Come poteva aver ignorato così i suoi sentimenti?
Stava per gettare anche la busta, quando prese la decisione. Uscì dal bagno e afferrò la prima matricola con uno zaino che gli passò davanti. Fu sufficiente scuoterlo un po’ per farsi dare un foglio e una penna. Subito si mise a scrivere, poi ricacciò il foglio nella busta e tornò in classe. L’intervallo non era ancora concluso, dunque fu facile gettare la busta tra le cose che lei non aveva ancora raccolto. Non vide o sentì nulla nelle due ore che lo separavano dal termine della giornata scolastica. Solo un pensiero continuava a martellare la sua mente.
Non sarebbe mai stata sua.