Vi chiedo scusa per il ritardo, per fortuna ce l'ho fatta.
La mia one shot ha una particolarità: per un motivo non del tutto precisato (riassumibile in: sono pazza XD) nel racconto non compaiono mai i nomi dei personaggi, né tantomeno qualunque termine inventato in quell'animanga. Apparentemente il mio potrebbe sembrare quindi un originale, ma nella realtà non lo è per niente. Il mio obiettivo è infatti far sì che chi conosce l'opera (ovvero tutti, state tranquilli XD) non abbia bisogno di alcuna delucidazione per capire che quel dato personaggio è proprio lui o lei. Nel caso qualcuno dovesse avere difficoltà, si tratterebbe di un mio errore, per cui diciamo che il mio è un esperimento rischioso di cui mi assumo tutte le responsabilità.
Buona lettura a tutti! ^_^
CAMERA BLINDATA
Anche quel giorno, come ogni mattina, le avevano detto che era una bambina bellissima.
Anche quel giorno, come ogni mattina, si era fatta spazzolare i capelli ammirando allo specchio il proprio viso e i grandi occhi azzurri.
Stava ancora pensando a quanto sarebbe diventata graziosa con il vestito rosso che la nonna le aveva promesso in regalo, quando una larga porta grigia attirò la sua attenzione. Sebbene conoscesse gran parte delle stanze più vicine alla sua camera, cinque anni di vita non le erano stati sufficienti a esplorare tutta la casa.
La bambina si avvicinò all’uscio e tirò la maniglia; a giudicare dallo spessore della porta, al suo interno doveva trovarsi qualcosa di grande valore.
Sarà un’invenzione del nonno, si ritrovò a pensare.
L’odore di chiuso le raggiunse le narici facendole arricciare il naso. Accese l’interruttore e osservò lo spazio a bocca aperta: la stanza, priva di finestre, conteneva solo due scatoloni, mentre a una parete era appeso un vecchio progetto che portava la firma di sua madre.
La bambina si avvicinò al disegno: rappresentava un robot a due ruote le cui braccia sostenevano una sega circolare. Dalle nozioni di meccanica che aveva appreso senza difficoltà, intuì che il macchinario non potesse fare nient’altro che tagliare materiale e girare la testa cubica su cui era impiantato un laser.
Qualunque cosa fosse, di certo è stata spostata da qui, pensò, e si avviò verso uno degli scatoloni. Ne aprì uno, e un’ondata di polvere la fece tossire più di quanto faceva quando il nonno le fumava addosso. Vinta dalla curiosità, guardò all’interno: c’era solo un album di fotografie. Sbuffando, si decise che ormai tanto valeva sfogliarlo, anche se di certo una vecchia bambola o qualche abito sarebbero stati più interessanti.
Le prime foto rappresentavano la mamma più giovane di quasi vent’anni, prima con una grossa pancia, poi con un neonato dai capelli lilla. La bambina sorrise.
È vero quello che dicono, io e lei siamo due gocce d’acqua, pensò. Mio fratello, invece, ha lo stesso sguardo corrucciato di papà.
Girò pagina, e ciò che vide la lasciò a occhi sbarrati.
Non poteva essere.
«La coda!» gridò, e fece cadere l’album scattando all’indietro. «Mio fratello è nato con la coda!»
Di colpo, la sua mente rievocò un ricordo passato.
Era nella vasca da bagno, e la mamma le stava insaponando i capelli.
«Mamma,» aveva chiesto, «perché ho una cicatrice qui?» Il suo indice aveva toccato l’osso sacro.
La mamma le aveva sorriso. «È una cosa che hai preso da papà, ma non farci troppo caso: resti comunque bellissima!»
Lei aveva incrociato le braccia. «Non è per questo che l’ho chiesto, voglio sapere cosa vuol dire!»
La mamma aveva continuato a insaponarla. «Vuol dire che sei una principessa, tesoro. Una piccola principessa di un regno lontano.»
A quel punto lei aveva smesso di farsi domande. «Che bello, allora domani voglio un vestito da principessa!»
«Ma certo, piccola mia.»
La bambina fissò il pavimento.
Perché non gliel’avevano spiegato chiaramente?
Altro che cicatrice della nobiltà, lei era nata con la coda! Era una parte del corpo che di certo avrebbe minato la sua bellezza, ma si trattava pur sempre di un frammento di sé. Pensavano davvero che una bambina prodigio come lei, figlia e nipote di scienziati di fama mondiale, non se ne sarebbe mai accorta?
La bambina strinse i pugni, cercando di cacciare indietro le lacrime, e si costrinse a voltare pagina. Se c’era qualcos’altro che doveva sapere, quell’album avrebbe potuto darle le risposte.
C’era di nuovo suo fratello, ma questa volta la foto doveva essere di qualche mese fa: era un ragazzo adulto, alto e dal bel portamento. Tuttavia, c’era qualcosa che non andava nel suo sguardo. La bambina lo scrutò con più attenzione. Assomigliava terribilmente a quello del padre, una persona che, stando a ciò che le avevano raccontato, era cresciuta in un mondo dove per sopravvivere era necessario combattere. Non aveva nulla dell’espressione serena che era abituata a vedere nel fratello maggiore.
Inarcando un sopracciglio, osservò la foto successiva. Stavolta insieme a lui c’era anche la mamma. Questa volta doveva trattarsi chiaramente di un fotomontaggio: per quanto la donna si fosse sempre tenuta in forma, lì aveva lo stesso aspetto di quando il suo primogenito era neonato. Ma la foto seguente la fece di nuovo assalire dai dubbi.
C’erano due fratelli maggiori.
Uno, neonato, tenuto in braccio da un secondo adulto. Un secondo fratellone che era come quello che lei conosceva, ma che allo stesso tempo non lo era. Un fratellone il cui aspetto era identico al suo, ma la cui anima celava indicibili sofferenze.
«Fratellone», gli aveva chiesto qualche mese prima, «è vero che parteciperai anche tu al torneo di arti marziali con tutti gli altri?»
Lui aveva sbuffato. «Sì, è vero.»
«E perché non ti stai allenando con papà?»
Il ragazzo l’aveva fissata. «Senti, dopo lo faccio, ma ora non farmi la predica pure tu. Ora viviamo in pace, non c’è bisogno di combattere. L’ho fatto dieci anni fa, quando è stato necessario, e ringrazio di essere stato troppo piccolo per rendermi conto di molte cose.»
La bambina aveva sbattuto le palpebre. «Si combatte solo quando ci sono i mostri? Ma papà lo fa perché si diverte!»
Suo fratello allora l’aveva squadrata con disprezzo e aveva sbattuto un pugno sul tavolo. «Non c’è niente di divertente, chiaro? Tu sei nata in pace, non puoi capire! Forse qualche volta di notte avrai sognato un mostro, ma cosa ne vuoi sapere di quelli che sogno io? Come credi che saresti diventata, tu, se fossi nata in un mondo in guerra? Tornatene pure a giocare con le bambole, e ringrazia nostro padre e gli altri che hanno fatto sì che tutti possano crescere in un mondo dove è possibile farlo.»