Passarono tre giorni prima che Allen decidesse di andare a far visita al signor Smith. L’uomo aprì la porta e lo invitò ad entrare col suo fare cordiale. Lo fece accomodare su di una sedia scricchiolante in cucina, per poi versargli una tazza di the.
“Sono felice che sia venuto. Sa, in questi giorni i miei acciacchi sono peggiorati, non me la sono affatto sentita di avviarmi verso casa sua. Ma ora mi dica, com’è il the?”
Allen portò la tazza alle labbra e sorseggiò brevemente. Mentre quella arrivava a coprirgli il naso, sputò nella bevanda la piccola capsula che aveva sotto la lingua, poi si ritrasse mostrando un viso vagamente disgustato.
“Qualcosa non va?”
“Non so che sapore dovrebbe avere, ma sembra salato. Assaggi pure, se non mi crede.”
“Salato? Non può essere, faccio sempre così attenzione.”
Bevve un po’ del the contenuto nella tazza, e si ritrasse anche lui.
“Mi dio, ha ragione. Devo aver confuso i contenitori. Se aspetta ne preparo dell’altro.”
“No, non si preoccupi, ero venuto qui apposta per invitarla da me. Mio figlio mi ha regalato dell’ottimo brandy, e volevo qualcuno che non avesse più un fegato di cui preoccuparsi eccessivamente con cui dividerlo. Avanti, l’aiuto io per la strada, sono pochi metri.”
Stando alle istruzioni della voce, la piccola capsula avrebbe fatto effetto dopo cinque minuti, dunque doveva sbrigarsi. L’idea del the era ipotetica, l’aveva suggerita la persona al telefono dopo il resoconto della prima chiacchierata. In caso avrebbe messo la capsula nel brandy una volta convinto il vecchio a venire a casa sua, ma ormai non era più necessario.
Una volta giunti nel salotto di Allen, si sedettero entrambi sul divano. Sorseggiarono lentamente il brandy preso prima in cucina, con lo sguardo del padrone di casa che saettava spesso verso l’ospite.
Poco dopo Smith iniziò a sbadigliare.
“Sa, temo proprio che quel brandy fosse troppo forte, forse dovrei…”
Non finì la frase. Crollò svenuto sul divano.
La parte difficile fu spostare il vecchio. Per fortuna il salotto era poco distante dal garage, e Smith non doveva pesare più di quaranta chili, ma anche così fu una vera impresa per Allen trascinarlo fin sopra il lettino montato nella rimessa delle auto. Due giorni prima si erano presentati due uomini a casa sua, in momenti differenti. Il primo disse che aveva portato la barella con le cinghie che era stata ordinata, mente il secondo aveva consegnato ad Allen una scatola commentando il fatto che non pensava che un vecchio di quell’età necessitasse di divertimenti del genere. La scatola conteneva delle droghe. Alcune erano destinate a Smith, ma buona parte erano per lui. La voce aveva spiegato l’importanza di compiere una cosa simile da soli, e lui, del resto, non bramava altro che poterlo fare con le sue mani. Ma trasportare un uomo svenuto, sollevarlo e quant’altro richiedevano un’energia ormai persa dallo stanco corpo di Allen. Quella mattina le aveva prese tutte, mandando il cuore a farsi fottere ogni volta che lo sentiva accelerare. Avrebbe avuto tempo di morire dopo essersi vendicato. Per quanto drogato però, restava comunque un uomo di ottantasei anni, e si ritrovò zuppo di sudore una volta finiti tutti i preparativi. Ora non restava altro che attendere il risveglio di Smith. O di Erich.
“Finalmente sveglio.”
Allen fissava l’uomo legato sulla barella con occhi eccitati e guizzanti. Le sostanze nel suo corpo non erano certo prive di effetti collaterali, e lo sapeva, ma d’altro canto pensava che un simile stato euforico gli sarebbe stato utile per fare ciò che andava fatto.
Schmied non parlava. Lo fissava quasi ipnotizzato.
“Ti stai chiedendo perché ti trovi qui? Davvero non ci arrivi, vecchio porco? Tu, lo sporco bastardo che l’ha uccisa? Quanti ne hai ammazzati eh? Pensavi che fossimo tutti morti, non è vero? Bhe, siamo vivi invece, vivi, mentre tu sei già cadavere!”
L’uomo continuava a non parlare, limitandosi a fissarlo. Poi sorrise, un’espressione che spaventò l’eccitato ottantenne in piedi a fianco al lettino.
“Jacob Allen. 1045687. Particolarmente adatto ai lavori manuali, da tenere in considerazione per la produzione delle scarpe per ufficiali. Bassa sacrificabilità.”
“Tu, porco bastardo, che hai da ridere!? Eri una lurida guardia di quell’inferno, l’hai ammazzata! Ma ti hanno trovato, lo sai? Le vostre vittime vi hanno cercato e vi hanno trovato! Poi hanno trovato me, e mi hanno chiesto di farti provare ciò che voi avete inflitto a noi. Lo senti, non è vero? La sostanza che mi hanno dato, e che ti ho iniettato, amplifica tutti i tuoi sensi. Sentirai tutto, mentre taglierò il tuo corpo, oh sì. Pagherai per ciò che ci hai fatto, per ciò che hai fatto a lei!”
Detto ciò, conficcò un grosso coltello nella mano dell’uomo. Quello emise un urlo disumano, straziante.
“Urla quanto ti pare! Tre giorni fa ho fatto insonorizzare la stanza! I miei nipoti vogliono da mesi un luogo in cui suonare, è stato facile convincere il padre ad aiutarmi a farlo. Nessuno ci sentirà!
Affondò la lama più in profondità, pronto ad udire ancora le grida del suo vecchio carnefice, ma quello, lasciandolo di stucco, si mise a ridere.
“Cosa…”
“È questo che ti sei ripetuto in tutti questi anni? L’avrei uccisa io?
Sul volto di Erich non c’era traccia di dolore. Il suo sguardo, anzi, lasciava trasparire un’immensa soddisfazione.
“Dimmi, Jacob, chi avvertì le guardie che sarebbe uscita di nascosto, quella sera? Chi fu così folle di gelosia da vendere la donna che diceva di amare a due sporche sentinelle? Chi la mise nella situazione di dover lottare, di ferire al volto uno dei suoi aguzzini? Chi la fece condannare alla fucilazione?”
La soddisfazione aveva fatto pian piano spazio alla rabbia. Jacob trovò incredibile come un novantenne legato e insanguinato potesse sembrare così terribile.
“Non mentire, tu l’hai venduta! L’hai sedotta e l’hai data ai tuoi compari quando ti ha stancato. Io non avrei mai potuto…”
I ricordi, la memoria. L’aveva fatto? No, non ci credeva. Era stato lui, il porco, il sadico. Lui e tutta la sua razza. Piantò il coltello nella sua gamba. Erich, in risposta, tornò a parlare come nulla fosse.
“Non lenirò mai la mia colpa. Quei due non mi videro, non si accorsero che l’aspettavo dall’altro lato della rete. Fui vigliacco, non la salvai. Lasciai che la portassero via, e non mi perdonerò mai per questo. Ma tu…”
“Perché non urli! Perché non soffri! Hanno detto che avresti sofferto come abbiamo sofferto noi, hanno detto che saresti morto tra atroci dolori, e che poi sarebbero venuti a prendere ciò che restava!”
“Sei un idiota, Jacob, lo sei sempre stato. Hai venduto il tuo amore per gelosia, per vendetta. Mi hai addossato ogni colpa per pulirti l’anima, ti sei convinto che fossi un mostro. Davvero hai creduto che nel mondo esistesse un’organizzazione di vecchi paralitici che cacciano altri vecchi paralitici? Ce n’è uno solo, Jacob, e ce l’hai di fronte. La sostanza che mi hai iniettato te l’ho mandata io, come tutto il resto. Non hai fatto altro che annientare le mie terminazioni nervose. In tutti questi anni non ho fatto altro che cercare il perdono per ciò che avevo fatto, ma, sul finire della mia vita, mi sono reso conto che l’unico che non potevo perdonare eri tu.”
“Sei un bugiardo, stai mentendo!”
Le droghe erano ormai padrone di Jacob. In pieno stato confusionale, si avventò con forza sulle gambe dell’altro, vibrando decine di colpi.
“Me l’hai portata via, in tutto quell’orrore non hai saputo far altro che dimostrare la feccia che eri. Colpisci, fai quel che vuoi. Mi hai ucciso nel momento in cui mi hai iniettato quella roba.”
“Perché!? Che senso ha tutto questo? Perché non mi hai ucciso, se non ti importava delle conseguenze? È vero! L’ho venduta! Non doveva essere tua, non potevi averla! Eri uno di loro, eri un porco schiavista!”
“Sai perché non ti amava? Aveva visto in te ciò che eravamo noi. L’odio, la rabbia. Se te ne fosse stata data l’occasione, ci avresti fatto la stessa identica cosa, come ho dimostrato ora, ma lei non era così, e mi ha fatto capire che non lo ero neppure io. Sai qual è il motivo di tutto questo? Non potevo ucciderti. Tu sei uno schifo di essere umano, ho fatto i miei studi, e so che eri uno schifo prima e sei stato uno schifo poi. Ma dopo quello che vi avevamo fatto, come potevo ucciderti? Lei, il suo ricordo, non me l’avrebbe mai permesso. Ma così…”
“Cosa, parla bastardo!”
“Così è giusto. Tu mi hai ucciso, e io ho avuto la mia vendetta per la sua morte. Bella l’idea del garage imbottito, ma sai perché te l’ho suggerita? Preferivo non sentissi le sirene.”
Un improvviso calcio alla porta fece sobbalzare Jacob. Di fronte a lui due agenti con le armi puntate, e dietro di loro suo nipote, il figlio di suo figlio.
“Getta il coltello! Getta il coltello!”
“La prego agente, si fermi! È mio nonno!”
Jacob si voltò verso Erich, ormai sulla soglia della morte. Le droghe l’avevano reso folle, e invece di gettare il coltello, lo sollevò di nuovo verso l’anziano sul letto.
“Fermo!”
“No!”
I due agenti aprirono il fuoco, colpendo l’uomo in pieno petto. Cadendo, poté osservare il volto soddisfatto del suo antico rivale in amore che si spegneva, esalando l’ultimo respiro. Non riuscì a formulare alcun pensiero prima di rovinare al suolo.
Suo nipote e la moglie scavalcarono gli agenti. La donna, in preda alle lacrime, iniziò a picchiare sul petto di uno degli uomini in divisa.
“Gli hanno sparato!”
Jacob si spense ascoltando le parole della nuora. Era già altrove quando arrivarono le ambulanze per rimuovere i cadaveri.