Quegli occhi tristi dal taglio di un'oliva non meritano il colore glaciale che v'è riposto con cura all'interno. Forse è stato proprio quel ghiaccio a cogliermi, a intrappolarmi in quelle iridi senza lasciare via di scampo a nulla che riguardi la mia persona. D'altronde, il ghiaccio è così. Sembra che nemmeno lo tocchi, e invece s'è già attaccato al tuo corpo senza lasciarti via di scampo. Devi solo aspettare. O si scioglie, e sarai tu a divenire ghiaccio con lui. Ero giunto al contatto con l'iceberg, dovevo solo decidere se staccarmi, o morire con lui. Anzi, con lei.
In tutta la mia vita non ho mai avuto un piacere maggiore di quello di provare il passo nel vuoto, sentirsi mancare la terra sotto i piedi. Il bilico, l'ho sempre adorato. E quella ragazza non mi da il bilico. Mi fa provare il terrore di osservarla, la vera paura, cosa che mai potevo immaginare che esistesse. Ora il mio passato mi pare quasi troppo facile, al confronto di quegli occhi, al confronto di quel ghiaccio che a me pareva eterno, una sorta di tomba. Appostato su un tetto, era lì che dovevo compiere le mie missioni. Non avevo un rito, movimenti particolari. Decidevo sempre all'ultimo momento il mio appostamento, come a rendere più pericolosa la faccenda. Puntualmente, prendevo le scale del palazzo più lussuoso, che dava più nell'occhio. Ogni volta delle scale pulite, quasi sempre in marmo, che rimbombavano ad ogni mio passo. Come questa volta. Un palazzo borghese di sei piani, e i miei cadenzati passi riecheggiavano nell'ampio ingresso. Ricordo ancora la voce un po' burbera del portiere, magro, rasato, con dei baffetti ridicoli, che mi chiedeva cosa dovessi fare. Con tono quasi di sufficiente, sbuffando un po' gli risposi
Mah, salgo sul tetto, ammazzo un po' di gente...
Dapprima mi guardò come aspettasse una mia rettifica, oppure gli dicessi che stavo solo scherzando, ovviamente. Invece quegli occhi piccoli, quasi invisibili, saettavano per tutta la mia altezza, scrutando ogni minimo particolare, come cercasse la conferma di quello che affermavo. Forse, nel mio abbigliamento non trovò una risposta, in fondo non avevo che un paio di jeans, una camicia lercia, ma pur sempre bianca, occhiali da sole a mascherina. Forse nemmeno il mio aspetto cattivo lo insospettì. Piuttosto, la valigetta nera che stringevo dal manico con la mano destra. Da come tenevo steso il braccio, probabilmente si notava che pesava un po'. E dalle dimensioni, chiunque ne avrebbe indovinato il contenuto.
Notando i suoi occhi minuscoli sbarrati dalla paura, senza scomporre il mio aspetto spietato più di tanto, gli feci capire a modo mio cosa avrebbe dovuto fare. Con uno scatto che lui nemmeno immaginava un energumeno come me potesse compiere, mi ritrovai la sua molle trachea fra le dita della mano sinistra. Esercitavo la pressione necessaria a fargli credere di essere prossimo alla morte. Mi diede le chiavi del terrazzo senza problemi. Con un gesto secco lo costrinsi a tornare dietro il suo posto di lavoro, e ovviamente non avrebbe mai riferito a nessuno. Pensa, gli dissi, che quello che c'è in questa valigetta potrei usarlo contro di te.
Lo so, in una missione del genere non si dovrebbe attirare troppo l'attenzione, dovrebbe anzi cercare di starsene rifugiati nell'ombra, e anche di non far insospettire nessuno. Io odio mentire. Così, eccomi a salire le scale, senza incontrare anima viva che scambiasse una parola con me. Forse avevano seguito la scena di me con il loro portiere, e passavo davanti alle loro porte scure su intonaco chiaro, e qualcuno sbatteva la porta con fretta. Maleducati. Giunsi ad una porticina stretta, dove c'era la scritta “tetto”. Aprii con le chiavi quella porta, che scricchiolava in una maniera assurda. Odio le scale a chiocciola e strette, e destino volle che questo maledetto palazzo aveva delle scale strettissime, a chiocciola. Strano che in un palazzo così be tenuto ci fosse quella mal conservata scala in ferro. Ma oramai ero in ballo, quindi...
Il tetto era tutto verde, perfetto, come lo volevo io. Alla mia sinistra, un palazzo più alto del mio, qualcuno avrebbe potuto anche vedermi. Certo, e chi avrebbe avuto il coraggio di denunciarmi? Rilessi la scheda del mio obiettivo, questa volta. Non lo facevo mai (tanto se uccidevo la persona sbagliata, mi pagavano e mi facevano riprovare). Una donna. Questo mi dispiaceva. La foto però non rendeva giustizia ai suoi occhi Glaciali. Provai un brivido al momento di sistemare il fucile di precisione. Ero un artista, sono un artista, non avrei mai usato qualche volgare arma. Troppo pacchiana, come cosa. Il brivido era causato dal mio avvicinarmi nuovamente alla morte, respirare sul suo collo e poi attirarla verso un altra vittima.
Già, questo fucile è un vero mietitore di vite. Quanti ne avrò uccisi, quest'anno? Fra traditori, gente che parla troppo, gente che ha sgarrato contro i miei datori di lavoro, minimo sei, in sei città diverse. Anzi, cinque. Due erano nella stessa città ma al momento non ricordo quale, sinceramente per me non ha importanza. Caricai il colpo in canna. E mirai. Il palazzo era a quasi più di cento metri di distanza dalla mia postazione. La finestra della donna dava proprio alla camera da letto, e lei era lì, affacciata al balcone, a godersi il traffico, in camicia da notte. Poggiato il ginocchio destro per terra, a sostegno, e il sinistro a base del fucile. Un sospiro, e poggio l'occhio sinistro al mirino. E incontro quegli occhi.
Quanti pensieri in questo istante. Troppi, e per un sicario queste cose non sono producenti, bisognerebbe essere sempre freddi, gelidi, proprio come quegli occhi. Per la prima volta sento qualcosa di strano. Qualcosa come il pentimento, il rimorso. Che diritto ho avuto a uccidere quelle persone, a prendermi la loro vita per provare un piacere tanto macabro? Sono io il mostro, non sono loro a essere inutili.
Ma oramai, bando ai cattivi pensieri. Ora che ci penso, se io non uccido lei, e non do una buona scusa, quelli uccidono me. Scrollo la testa, per scacciare il senso di colpa e la paura che crescevano in me, e poggio il dito sul grilletto. No, non posso farlo. S'è voltata, sembra guardare proprio in mia direzione, ma da questa distanza non può vedermi. Forse ha avuto una sorta di sesto senso, una specie di sentore, un avvertimento di morte, proveniente dalla direzione che ora lei sta puntando. Il dubbio aumenta, Non so cosa fare, e ora anche l'angoscia ci si mette.
Nemmeno me ne accorgo, all'inizio. Un mio movimento incontrollato, quasi istintivo. Il fucile ha subito uno scatto rabbioso, ha digrignato i denti e sputato fuoco con un ruggito di morte. Perfora l'aria, e brucia già, e per me è come lasciasse una sia lungo tutto il suo percorso, quei cento maledetti metri che percorre ad una velocità pazzesca. Cosa darei per tirare una corda invisibile e tirarlo nuovamente verso di me. Pare quasi di poter sentire il rumore. Proprio al centro della fronte, un colpo perfetto, che forse nemmeno volendo avrei potuto compiere. Permane quella sua espressione un po' annoiata e triste, mentre precipita in avanti dalla sua finestra, e va schiantarsi sul tetto di una macchina, finita.
Che voglia di buttarmi assieme a lei, e chiederle perdono per quello che avevo fatto. Mai ho odiato tanto la morte.
Ritornando alla mia macchina, avviando il motore, avevo solo una certezza. Avrei lavato quello sgarro con altro sangue, abbondante, nessuno me lo levava dalla testa.