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Nel tardo pomeriggio, chiusero la palestra. Poi, i cinque – vale a dire i due maestri e le tre allieve – si divisero: Yamcha, Kaya e Ganja si diressero da una parte, lasciando che Crilin e Soya andassero nella direzione opposta.
Dopo aver girato qualche angolo, Ganja si fermò di colpo, inducendo gli altri due a seguirne l'esempio.
«Beh? Perché ti sei fermata?» domandò Yamcha, dubbioso.
«Mi è venuta un'ideona!»
«Sentiamo la tua grande ideona...» rispose Yamcha, alzando gli occhi al cielo.
«L'aperitivo... ormai è l'ora adatta!»
«Gyeah!» fu l'urlo di approvazione di Kaya. «It's time for a drink!»
«Immagino che non siate prive di esperienza in materia di alcolici... ad ogni modo, la mia risposta è no!» sentenziò il giovane con le cicatrici, cercando di mantenere un'espressione severa. «Vostra sorella vi ha affidato a me, e io intendo mantenere la mia promessa di portarvi a casa e di fare in modo che ci restiate!»
Kaya, simulando due occhioni scherzosamente ed affettatamente dolci, ribatté: «Maaaaa... Soya non ha mica detto che non possiamo fare una sosta intermedia al bar! Vuole solo che ce ne andiamo a casa, e ci arriveremo... ma dopo il bar!»
«Voi due siete tutte sceme... muoviamoci, dai!» tagliò corto il ragazzo. Purtroppo le sue due interlocutrici non erano tipe da portare eccessivo rispetto ad un maestro non troppo più anziano di loro, e Yamcha non era il tipo da ispirare a due ragazze quel tipo di deferenza.
«Eddai, socio! Che ti costa portarci una volta tanto al bar e offrirci da bere?»
«Cosa?!?» esclamò Yamcha, che cominciava a non poter trattenersi dalle risate. «Quindi dovrei pure pagare io per voi??»
«Beh logico...!» replicò prontamente Ganja, con l'indice da maestrina sentenziosa puntato in avanti. «Innanzitutto devi essere un cavaliere e un signore... e poi con tutti i soldi che ti paghiamo noi e gli altri iscritti, puoi anche permetterti di pagare un drinketto a due dame!»
«Certo! In effetti una che rinfaccia al suo cavaliere tutti i soldi che lui guadagna grazie al suo onesto lavoro, è una gran dama... raffinata, soprattutto...» rimbeccò lui con i pugni sui fianchi.
A questo punto Kaya intervenne e disse: «Ok, dai, ormai diamo per scontato che l'invito è accettato! Muoviamoci ad andare a 'sto bar, altrimenti facciamo tardi! Ricordati che devi anche accompagnarci a casa...», a cui fece eco Ganja: «Esatto, quindi prima finiremo il drink e meglio sarà per te, maestro e cavaliere Yamcha!» e detto ciò, le due sorelle lo afferrarono una per un braccio e una per l'altro, stringendolo calorosamente e quasi strattonandolo, sicché lo costrinsero ad andare avanti. Lui era in leggero imbarazzo, con gli occhi puntati al cielo.
Trovarono uno dei tanti bar del centro città; da alcuni minuti, i lampioni pubblici erano stati accesi. Il trio si sedette ad uno dei tavolinetti esterni: era una serata mite. Passò un cameriere a raccogliere le ordinazioni.
«Ora ti mostro se so essere raffinata o meno» disse Ganja rivolgendosi a Yamcha. «Brav'uomo!» iniziò lei con voce artefatta, mimando con la mano destra il gesto di un aristocratico che si aggiusta il monocolo. «Io e i signori qui presenti desidereremmo dei calici di prosecco che abbia alcune primavere alle spalle, cortesemente.»
«Ma il monocolo è da uomo, stupida! Le nobildonne hanno il ventaglio! Lascia fare a me.» ribatté Kaya. «Buon uomo, voglia perdonare l'atteggiamento maldestro di mia sorella e annoti fra le nostre consumazioni anche qualche tipologia di leccornia d'accompagnamento, se v'aggrada.» a quel “se v'aggrada”, la sorella e il maestro esplosero in una fragorosa risata.
Al cameriere sbigottito, Yamcha, sopprimendo le risate, disse: «Porti tre bicchieri di prosecco e un po' di salatini e patatine, via... lasci perdere queste due buffone.» Nell'arco di qualche minuto, l'ordinazione fu soddisfatta e bicchieri e ciotole arrivarono sul tavolo; nell'arco di qualche altro minuto, i bicchieri erano già vuoti, segno del fatto che le nostre due dame non sanno proprio cosa sia il bere con contegno; a ulteriore conferma di ciò, ordinarono un secondo giro di drink. Del resto si sa: ordinare e mandare giù sono due operazioni molto agili e semplici, che si sbrigano con una sveltezza disarmante… quando è qualcun altro a pagare. Yamcha era ormai pronto ad alzarsi e a portare via di peso le sue due compari, ma loro tanto insistettero che lui – come il povero imbecille che si rendeva conto di essere - si ritrovò a vedersi messo in conto un terzo giro, stavolta di whisky, senza nemmeno capire come si era arrivati a quel punto. «Alla salute dei due zietti e del nonnetto della Tartaruga!!» brindarono rumorosamente le due adolescenti, ciascuna con due occhietti lucidi lucidi e un sorriso svanito e sinistro dipinto sul volto. Evidentemente reggevano ben poco l'alcol, visto che era bastato così poco per farle diventare più che brille. Yamcha, ormai spazientito, ancora seduto a tavolino, chiese: «Perfetto, siete contente, ora che avete bevuto a sazietà? O volete svuotarmi ancora il portafogli?» Senza alcun preavviso, le due ragazze si alzarono dai loro posti e poggiarono i loro sederini ognuna su una coscia di Yamcha, che non capì dove volessero andare a parare.
«Abbiamo bevuto... ma ora abbiamo fame...» disse Ganja, stampandogli un bacio sulla guancia.
«E-eh?» balbettò il giovane. «M-ma che...»
«Non ti agitare... sono solo due coccole...» aggiunse con tono seducente Kaya, nonostante le uscisse una vocina un po' rauca, lasciandogli le due coccole rispettivamente sulla guancia e sul collo; Yamcha, che non era brillo ma sicuramente aveva i riflessi un po' allentati - visto che, da bravo atleta responsabile, non era un gran bevitore – mugolò: «Le coccole mi piacciono, ragazze... però qui davanti a tutti... non mi sembra il posto adatto...» Stava perdendo il controllo della situazione, la cui temperatura saliva vergognosamente.
«Kaya... mangiare va bene, ma se continui così per me non ne resterà niente... lasciamene un po'...» disse Ganja, mentre gli accarezzava i capelli e il bicipite. Il bello era che tutta la clientela che stava intorno a loro non si interessava completamente di quella mischia vivente di effusioni! Ma disgraziatamente, come nel più banale, prevedibile e stereotipato dei film a sfondo sentimentale, in quell'esatto momento, puntuale come un cavaliere dell'Apocalisse, ecco arrivare – attratta da quello spettacolino pseudo-scandaloso – la persona meno indicata, la peggiore che poteva passare in quel momento: Bulma. La donna, riconoscendo immediatamente il giovane che stava al centro di quel groviglio di coccole, si diresse a passo di carica verso il bar. In meno di due secondi i suoi occhi si arrossarono e si riempirono di lacrime calde ed amare: quella scena fu la proverbiale goccia che faceva traboccare un vaso ormai da tempo ricolmo di amarezze e dall'esasperazione di una storia ormai lacera dal dispiacere. È vero che molta di quella sofferenza interiore, Bulma se la era coltivata da sola nella propria mente; ma è vero anche che Yamcha obiettivamente non era stato senza colpe, alimentando il senso di abbandono della sua fidanzata, mese dopo mese ed anno dopo anno; per finire, la sua condotta degli ultimi mesi non aveva fatto che rendere precaria una situazione a cui mancava solo il colpo di grazia.
«Allora è così! Dal guardare culi e tette sei passato a...» e qui non sapeva trovare parole per continuare; ma proseguì indignata, digrignando i denti, col palmo della mano puntato in modo accusatorio verso quei tre, che gli occhi della gelosia le mostravano così strettamente avvinghiati, anche se ad uno sguardo meno coinvolto sentimentalmente sarebbero sembrate delle ingenue effusioni da sbronza. «...A questo!!» strillò alla fine la ragazza. «Bravissimo, davvero bravissimo! Trovati un'altra cretina da prendere in giro, signor Yamcha... tanto vedo che ne hai già due, di cretine!» Infine, la sua voce si spezzò per il pianto: «Con me hai chiuso per sempre! Io e te non siamo più niente... addio!» e scappò via, seminando per strada le proprie lacrime, prima ancora che il suo ormai ex fidanzato potesse anche solo iniziare a controbattere o alzarsi in piedi.
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Crilin e Soya, intenti nella loro passeggiata, camminarono e chiacchierarono per un bel po'; parlarono di quanto è bello svegliarsi la mattina e poter ammirare per 365 giorni all'anno l'immensa distesa dell'oceano sotto il sole appena sorto; di quanto i soldi spesi per iscriversi alla palestra si siano rivelati un investimento, dal punto di vista della formazione delle due gemelle; ma, nel momento in cui avessero concluso gli studi scolastici, e ormai mancava poco, le due avrebbero dovuto guadagnarsi da sole lo stipendio per pagare la tariffa di iscrizione. Insomma, discorsi tutt'altro che profondi, discorsi semplici... sciocchezze, se si vuole. “Ma” rifletteva Crilin “queste sciocchezze rappresentano la maggior parte della nostra vita... quindi va benissimo, sono contentissimo di parlare con lei di queste cose!”
Dopo aver girovagato senza una meta precisa, andarono a finire senza quasi rendersene conto sul molo del fiume. Infatti, la Città dell'Ovest, grande metropoli, si era sviluppata anche grazie alla presenza di un grande fiume che, in passato ma ancora nel presente, consentiva i viaggi e gli spostamenti delle imbarcazioni mercantili.
Si sedettero; fu nel corso di quella chiacchierata che Soya accennò ai suoi genitori, mentre Crilin riportò momentaneamente in vita Goku; i due non avevano mai pensato al fatto che le loro vite erano accomunate dall'esser segnate dalla morte di persone molto care.
«Son Goku?? Ma sì che me lo ricordo!» esclamò stupita la ragazza, memore delle edizioni del Tenkaichi a cui aveva assistito da piccola. «Era quel ragazzino in gambissima! Ecco perché era fortissimo: era un tuo compagno...»
Crilin si sentì lusingato, ma fortunatamente il buio del crepuscolo non permetteva di mettere a fuoco il rossore imbarazzato del suo viso: per la prima volta in vita sua, sentiva dire che Goku era forte in quanto compagno di avventure di Crilin, e non il contrario. Assurdo... non pensava che sarebbe mai accaduta una cosa simile. «In effetti indossavate la stessa uniforme... i tre allievi della scuola della Tartaruga, come dimenticarvi!»
Crilin pensò fra sé: “Certo che, se si ricorda tutti questi particolari, doveva essere davvero un'appassionata...” «Eheh... le arti marziali e le nostre vicissitudini hanno contribuito a renderci un gruppetto molto affiatato... con gli anni il gruppo si è ampliato di altri amici, seppure non allievi di Muten...» ricordò con un filo di nostalgia, mentre la sua mente attraversava i ricordi come la corrente lungo un filo elettrico, dalla comparsa del demone Piccolo ai Saiyan e Freezer. «Ma Goku era il più straordinario di tutti, te lo assicuro... negli ultimi tempi aveva raggiunto una potenza eccezionale, unica nell'universo... scommetto che avrebbe potuto distruggere il mondo con un colpo solo, se malauguratamente lo avesse voluto!»
«Che esagerato che sei...!» rise ragazza, convinta che quelle parole fossero la malinconia iperbolica di un giovane per il compagno scomparso prematuramente.
Crilin sorrise benevolmente: «Forse hai ragione...»; scosse la testa: era inutile insistere sulla potenza di Goku, del resto chi non aveva avuto le mani in pasta in quel genere di avventure difficilmente avrebbe potuto capire. «Sai qual è il bello? Anche se era il mio migliore amico, abbiamo trascorso lunghi periodi delle nostre vite senza vederci né sentirci completamente... per anni, capisci?»
«Sì... però anche se non vi vedevate, non soffrivi più di tanto della sua assenza... perché davi per scontato che lui stesse bene... e perché lui stava sempre bene, giusto?»
«Brava...!» esclamò, stupito della perspicacia di Soya nell'interpretare il suo pensiero. «Quello che mi dà maggior dispiacere ora è la consapevolezza che non ci vedremo più...» e qui fece una breve pausa meditativa. «Però sai, Soya... da quando Goku non c'è più, mi sono reso conto di due cose: innanzitutto, nella vita ci si può abituare a tutto, a qualsiasi disgrazia... di tutto ciò che può capitarci nella vita umana, non c'è nulla che possa distruggerci... nessun dispiacere, nessuna amarezza, nessun dolore... tutto si supera, a tutto ci si può adattare...»
«Sono d'accordo... anche io ci sono passata, coi miei genitori...» assentì la ragazza, per poi sollecitarlo a continuare: «E la seconda cosa di cui ti sei reso conto quale sarebbe?» Lo sollecitò la ragazza, desiderosa di vedere se concordassero anche sul secondo punto.
«… che sta a noi trarre un qualsiasi insegnamento dalle vicende che ci capitano... perché a volte i fatti capitano e non ci si può fare nulla... però noi dobbiamo trovare lo spunto per andare avanti. Non credi? Io ho costruito una palestra sulle basi di quest'idea...»
Era un ragionamento molto astratto: solo due persone che avevano affinità mentale avrebbero potuto comprendersi vicendevolmente. Soya sorrise graziosamente e lo guardò, ma non espresse ciò che pensava tra sé: “È un ragazzo più forte di quello che vuole dare a vedere, e non solo dal punto di vista combattivo...” Crilin la guardò di rimando, ma non espresse ciò che pensava su quel sorriso incantevole, accompagnato da quei due occhi socchiusi dal taglio così speciale. Dopo qualche minuto di silenzio davanti allo spettacolo del fiume, Soya si tocco il ventre dal quale sentiva venire un fastidioso brontolio, che la costrinse a dire a malincuore: «Mi sa che si è fatta ora di cena...»
Quella sera Crilin tornò alla Kame House con la testa fra le nuvole; quando si mise a letto, la testa gli era ormai completamente partita per l'esaltazione. La chiacchierata di quel pomeriggio gli sembrava la conversazione più esaltante che gli fosse mai capitata, ed era stata sufficiente a dargli la carica necessaria a coltivare quel sentimento e quell'avventura. Alla fine, si convinse che il Destino gli avesse messo davanti la più eccezionale ragazza del pianeta: non che avesse grande esperienza delle altre, in effetti... ma ormai si era messo in testa che Soya era il top e difficilmente si sarebbe dissuaso da quest'idea.
Nel buio della notte stellata che intravedeva dalla sua finestra, si sentiva raggiante, e questo stato d'animo gli ispirava versi poetici e visioni idilliche, anche se per chiunque sarebbero stati i deliri di un mezzo pazzo.
“Soya, Soya... mia allieva, tesoro mio...”
Sognò di essere vestito di tutto punto col completo bianco giacca e cravatta più elegante del mondo; Yamcha in smoking nero gli faceva da testimone. Poi il suo sguardo si posò sulla carrellata dei suoi più cari sodali: Muten con il guscio da tartaruga nero lucido delle grandi occasioni, Tenshinhan e Jiaozi con un'elegante camicia bianca di foggia orientale; Bulma, Pual e Olong, senza dimenticare Chichi, Gohan e persino Piccolo! Persino le due gemelle scalmanate avrebbero dovuto presentarsi vestite dignitosamente, volenti o nolenti, per non spezzare l'idillio!
“Soya, sogno della mia vita. S.O.Y.A.... il tuo nome mi elettrizza persino scandito lettera per lettera...”
Pazienza: Crilin era completamente andato, ormai. Non sapeva ancora del cataclisma che si era abbattuto su Yamcha e Bulma: ne sarebbe venuto a conoscenza solo l'indomani, in palestra.
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L'ANGOLO DELL'AUTORE.
Al di là dei sentimentalismi facili, mi sono voluto divertire un po' alle spalle del nostro Testa Pelata... lo vedo come uno abbastanza sdolcinato (nella sua mente), anche se poi non riesce ad esternare il tutto. :D
Piccola anticipazione: il prossimo capitolo sarà dedicato a Bulma + Vegeta. Intanto ho dato una spiegazione del perché Bulma ha lasciato Yamcha sostenendo che "era un dongiovanni", come spiegato da Trunks del futuro durante il suo primo incontro con Goku. Per il futuro mi sforzerò di non essere sdolcinato, anche perché uno dei due diretti interessati non mi sembra molto portato per questo genere di cose... ;) Poi però si torna a Dragon Ball serio, quello con le botte!
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Devo dire che questo è stato uno dei capitoli che ho apprezzato di più finora.
Soprattutto l'ultima parte, con Crilin e Soya, come il giovane pelato ripensi a Goku, le motivazioni per cui nonostante una perdita così grave sia riuscito ad andare avanti, tutto molto ben scritto.
Poi mi ha fatto ridere la conclusione, con Crilin ormai perso :asd:, era proprio ciò che mi sarei aspettato.
Yamcha pollo dell'anno; ma si trovano nella stessa città di Bulma?
Interessante anche il fatto che Goku abbia sempre un occhio di riguardo per i suoi amici, ma non può parlarci?
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Grazie per i commenti :D
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Originariamente Scritto da
Ssj 3
Devo dire che questo è stato uno dei capitoli che ho apprezzato di più finora.
Soprattutto l'ultima parte, con Crilin e Soya, come il giovane pelato ripensi a Goku, le motivazioni per cui nonostante una perdita così grave sia riuscito ad andare avanti, tutto molto ben scritto.
Poi mi ha fatto ridere la conclusione, con Crilin ormai perso :asd:, era proprio ciò che mi sarei aspettato.
Crilin è talmente serio e convinto nella sua "cucciolaggine amorosa" che non può che risultare comico a chi lo guarda dall'esterno (cosa che succede anche nell'universo "principale", con 18). Ti fa venire sempre da commentare "che doooolce" e farci una bella risata sopra. :D
Citazione:
Originariamente Scritto da
Ssj 3
Yamcha pollo dell'anno; ma si trovano nella stessa città di Bulma?
Sì, purtroppo per Yamcha, ma anche per Bulma! Vivono tutti (anche Soya e sorelle, ma non Crilin che, come si è detto, la sera torna a dormire alla Kame House) nella Città dell'Ovest, dove è stata fondata la Nuova Scuola della Tartaruga.
Citazione:
Originariamente Scritto da
Ssj 3
Interessante anche il fatto che Goku abbia sempre un occhio di riguardo per i suoi amici, ma non può parlarci?
Basandomi sul manga direi di no. In generale ho dato per assodato che tra il regno dei morti e quello dei vivi non ci possono essere contatti nè comunicazioni, se non autorizzati dalle autorità divine per motivi eccezionali. Da come viene raccontata la storia nel manga, mi pare che nei 7 anni fra Cell e Majin Bu Goku non abbia mai contattato i vivi se non quando doveva avvertirli che si sarebbe presentato al Tenkaichi... però da come reagisce vedendo Goten la prima volta, mi pare che fosse al corrente della sua esistenza. Nella mia storia comunque ho immaginato che Goku fosse più curioso, o meglio più "ansioso" di seguire i suoi amici, perchè ha lasciato prematuramente e involontariamente la vita terrena. Nell'universo "principale", invece, si è quasi suicidato, quindi l'abbandono nella vita mortale è stato meno traumatico, psicologicamente parlando. :)
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Mi sono aggiornato anch'io. :)
È un capitolo di "svolta" per la storia (da questo litigio tra Bulma e Yamcha nascerà la coppia Vegeta-Bulma e di conseguenza Trunks e tutta la storia). :D
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Sono contento che troviate la storia interessante. Avete capito uno dei motivi per cui ho voluto inventare due allieve gemelle! Ne ha fatto le spese il povero Yamcha... ma andiamo avanti con la storia. :)
Cap. 22: Odi et Amo.
Nei giorni che seguirono, Bulma decise che non voleva sapere più nulla di Yamcha, delle gemelle e di qualsiasi altra cosa collegata a quegli orribili soggetti. Crilin aveva deciso di assumere le classiche vesti dell'amico che si trovava a fare da mediatore di pace tra i due, e Soya gli si era affiancata nel tentativo di scusarsi per comportamento vergognoso delle sue sorelle minori. Bulma, però, non volle sentire ragioni: era stanca, stufa, delusa da Yamcha; dopo tutte le ansie e i dispiaceri che lei aveva dovuto patire per mesi e mesi, senza parlare degli anni ed anni di litigi che li avevano preceduti, era bastato così poco per farlo cedere alla tentazione, era bastato qualche bicchiere e un leggero barlume di allegria. Se doveva riporre la sua fiducia in un dongiovanni simile... a questo punto chi può dirlo se c'erano stati dei precedenti che lui in malafede le aveva sempre taciuto, in passato?! «Anzi... se c'è una cosa che mi dispiace, è di aver perso tutto questo tempo... avrei dovuto decidermi prima a mollarlo!»
D'altro canto, Yamcha sosteneva testardamente che un momento di debolezza è una cosa perfettamente umana e, dal momento che lei dopo anni avrebbe dovuto sapere con che tipo di uomo aveva a che fare, doveva sapere anche che lui poteva guardare tutti i culi del mondo senza mai realmente tradirla (cosa che intanto aveva fatto!); che il litigio tra i due era colpa della sua ex fidanzata e del suo “carattere di merda”. «Quella stupida avrebbe dovuto solo ringraziare di avere un fidanzato con le mie capacità! Le ho dimostrato che sono un buon lavoratore, che non sono solo un ammasso di muscoli senza cervello... e questa è la stima che ha di me! Sono solo un dongiovanni, per lei!» Siamo alle solite: in circostanze del genere, entrambe le parti interessate sono convinte di avere ragione, ed in parte è così; d'altronde, hanno anche una parte di torto, ma nessuno dei due è disposto ad accettarlo nei confronti dell'altro. Morale della favola: i due ex fidanzati accompagnarono la rottura col grido “Che liberazione!”. Da speranzoso ambasciatore Crilin si rassegnò ad essere lo sconfitto di turno: sconfitto dall'idea che la coppia storica composta dai suoi due amici era scoppiata, che quei due non si sarebbero mai più rimessi assieme e che quella benedetta telenovela era ormai giunta al termine. Anzi, sulla testa pelata del nostro amico piombò una conseguenza negativa: visto come erano andate le cose in una coppia più che consolidata, la sua baldanza nei confronti di Soya subì una leggera battuta d'arresto: “Devo andarci piano... devo andarci piano, cavolo!” si ripeteva. Poveretto, gli altri si lasciavano e lui era quello che se ne creava maggiori problemi! Lo atterriva l'idea che tra lui e Soya prima o poi potesse esplodere una pesante litigata e che si verificasse una rottura tale da lasciare in entrambi un pessimo ricordo reciproco: questo perché lo terrorizzava in modo letale l'idea che Soya potesse soffrire per colpa sua. Conoscersi bene, frequentandosi con calma e a poco a poco: questa doveva essere la strategia vincente da seguire.
Dopo alcuni giorni, la situazione si fece pesante anche per Bulma. Quest'ultima, nonostante la sua testardaggine iniziale, nonostante si fosse imposta di essere forte e di non dare più importanza a “quello stronzo”, in breve tempo accusò il colpo ed ebbe un crollo psicologico: e infatti risale proprio a quei giorni il commento che Goku aveva fatto con re Kaioh vedendo l'amica scontenta ed infelice. Quando ancora stava con Yamcha e lui passava sempre meno tempo con lei, era agitata dal timore di rimanere sola; questo timore alla fine era diventato l'inconsolabile certezza di essere rimasta sola. Pual ormai da un bel pezzo aveva abbandonato quella casa, andandosene con Yamcha, naturalmente; Olong, dacché la casa si era svuotata di colpo, visto l'umore perennemente nervoso e intrattabile di Bulma, aveva deciso di trasferirsi alla Kame House, con il caro vecchio Muten. Di conseguenza, Bulma visse alcune settimane in solitudine, a riflettere, a ragionare, a lasciar sbollire la rabbia.
Una sera, Bulma stava trascorrendo sul divano il suo ormai consueto dopocena casalingo, guardando un film in TV. Si trattava di una scialba e banale commedia romantica, di quelle in cui il protagonista maschile cerca di conquistare la ragazza conosciuta nei primi cinque minuti del film: ci sarebbe riuscito solo alla fine, dopo un'ora e quaranta minuti di alterne vicende, dopo una corsa pazzesca contro il tempo e un gesto eclatante e clamoroso. Dopo qualche minuto le fu chiaro dove voleva andare a parare la trama, e l'idea di passare così quella serata non la elettrizzava, ma non avendo di meglio da fare si rassegnò... Il film era da poco iniziato, quando sentì nella cucina, adiacente al salotto, un rumore di passi e di qualcuno che armeggiava tra gli sportelli. Sollevò la testa e lanciò uno sguardo: era Vegeta che, dopo gli allenamenti e la solita doccia serale, si era vestito in comodi pantaloni di tuta e maglietta, e si era avventurato in cucina a caccia della cena.
«Ah, sei tu... avevo sentito dei rumori...» A queste parole lui la guardò, senza reale interesse, giusto per farle capire che non l'aveva ignorata, ma non aveva risposto perché era di poche parole... come al solito.
Avrebbe voluto incalzare dicendo “Guarda che puoi anche rispondermi a parole, eh?!”, ma evitò: un'istintiva ispirazione momentanea le suggerì di tentare un approccio amichevole con lui, dunque doveva evitare che lui scappasse via scocciato. Quindi gli chiese: «Che fai?»
«Mi procuro qualcosa per cena.» rispose lui, con la freddezza di chi non tiene presente che quella cena, anzi che ogni singola cena da due anni a questa parte, gli veniva generosamente offerta da quella sua interlocutrice.
«Che programmi hai per stasera?»
«Quelli di tutte le sere... mangiare e addormentarmi.»
«Perché non resti qui e guardi questo film con me? Vorrei sapere che ne pensi... puoi anche mangiare qua, seduto davanti alla TV...» propose la ragazza, dando qualche pacca al divano in segno di invito. La sua intenzione era quella di scovare un pretesto per conoscere meglio quello che passava per la testa del suo misterioso inquilino.
Il Principe la fissò con uno sguardo diffidente, che a Bulma ricordò con improvvisa nostalgia i suoi primi giorni con il piccolo Goku, quando il ragazzino guardava ogni innovazione tecnologica, o meglio ogni manifestazione della “civiltà umana”, come se fosse una stregoneria. «Guarda che non succede nulla di male, se mi fai compagnia per una volta...»
«Basta che mi lasci mangiare in pace, però...» borbottò il Saiyan, che non aveva voglia di discutere o di sentirla alterarsi per una sciocchezza del genere; quindi si accomodò sul divano, poggiò il cibo sul tavolinetto davanti a lui e cominciò a lavorare di mascelle, mentre seguiva il susseguirsi delle vicende sullo schermo. Sorprendentemente, rimase a seguire la trasmissione fino alla fine, pur avendo terminato da un pezzo la cena. Alla fine Vegeta si alzò e fece per andarsene, mentre Bulma era ancora adagiata sul divano: «Buonanotte» disse lui, con un passo avanti diretto fuori dalla stanza.
«Beh, aspetta...» lo fermò lei, per poi chiedergli: «…che te ne sembrava?». Così lo costrinse a fermarsi e a prestarle orecchio. «Era carino, no? Personalmente temevo peggio...»
«Bah... noioso, più che altro...» rispose lui, con la noia che gli si leggeva in volto. «Si faceva fatica a seguirlo...»
«Forse non ti era chiaro qualche passaggio della trama?»
«Guarda che non sono scemo...» ribatté lui con annoiata irritazione. «Sono solo extraterrestre! Forse ti aspetti che adesso io faccia l'alienato che vive fuori dal mondo e non capisce la mentalità terrestre, e ti chieda “che senso avevano questo e quello”, però capisco bene tutto del vostro modo di ragionare, anche se non condivido un bel niente!» E con questo concluse il suo giudizio sul film romantico, abbandonando la stanza e strappando inevitabilmente a Bulma un sorriso smorzato e soffocato.
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Strano a raccontarsi, ma quel singolo, isolato, quasi casuale episodio segnò l'inizio di una consuetudine per quella strana coppia, la scienziata terrestre e il Principe dei Saiyan. Più volte alla settimana, sempre e solo per la sera, vedeva Vegeta far capolino in cucina, possibilmente in prima serata, spinto dalla pressante necessità della cena; Bulma lo informava di ciò che le interessava seguire quella sera, e lo invitava a restare; lui restava, con fare distaccato (tale atteggiamento, vero o artefatto che fosse, nessuno avrebbe saputo capirlo). Col passare di qualche settimana, talvolta era lui a prendere l'iniziativa e a chiederle “cosa davano in TV”. Una situazione buffissima, non c'è che dire, che nessuno avrebbe mai creduto possibile! Una volta davano un film di guerra, con mitragliatrici, dinamite e carri armati; commento sarcastico di Vegeta: «Vediamo un po' la guerra nella preistoria della tecnologia!» Un'altra volta, un film di alieni e fantascienza; commento pungente di Vegeta: «Sono curioso di vedere come un popolo di primitivi dipinge noi extraterrestri.» Il suo ghigno stava cominciando a diventare una componente immancabile, e la ragazza trovava a modo loro interessanti i suoi commenti ironici sull'inferiorità della razza terrestre. Il sarcasmo era una sua propensione naturale. Una volta la ragazza gli aveva chiesto come passava il suo tempo libero, aspettandosi come risposta un “Fatti gli affari tuoi” o “Un Saiyan non ha mai tempo libero”. Invece, lui rispose in modo conciso: «Ammazzo...», per poi, all'espressione scioccata della sua interlocutrice, proseguire: «... il tempo.» Incredibile, Vegeta l'aveva fatta ridere! E ancora, da quelle ore serali trascorse insieme, Bulma aveva supposto che - per quanto Vegeta fosse un guerriero, un vero guerriero, sicuramente il re dei guerrieri - essendo di lignaggio reale, doveva essere anche una persona acuta... e chiaramente era anche quello. A volte lui abbandonava annoiato il divano, ben prima che lo spettacolo fosse finito; altre volte, Bulma lo beccava con la coda dell'occhio mentre teneva lo sguardo sullo schermo e nel frattempo allungava la mano dentro il sacchetto delle patatine che lei stava mangiando, il tutto dopo essersi già abbuffato di un'abbondante cena. La ragazza era contenta, comunque: le sembrava di aver iniziato a sciogliere almeno in parte il ghiaccio di cui quell'uomo era costituito.
Quella consuetudine a lei risultava molto piacevole, per quanto fosse un po' ritrosa ad ammetterlo, mentre per lui era un'abitudine che... “non gli riusciva troppo molesta”, avrebbe forse detto lui, con altrettanta ritrosia. Trascorsero così un paio di mesi.
Bagliori, bagliori dorati. Quando cercava di trasformarsi in Super Saiyan, Vegeta non vedeva altro che bagliori dorati, uno dopo l'altro, che abortivano attorno a lui in modo tristemente inconcludente. “Così non ci siamo... sto solo aumentando la mia aura! Cosa mi manca per diventare Super Saiyan? Cosa ha permesso a Kakaroth di riuscirci? Ormai sono ancora più forte di quanto non fosse lui all'epoca, e per di più ho fatto una fatica immane per arrivare a questo livello... non è passato giorno senza che io sottoponessi tutti i miei muscoli ad uno strenuo allenamento...”
I mesi, gli anni erano volati, letteralmente volati, come i fogli di carta dei calendari sospinti dal vento del tempo. Il tempo possiede questa tragica caratteristica: passa, e non te ne accorgi; quando pensi ad un lungo periodo di tempo ancora da venire, prima ancora che passi sembra lunghissimo; quando è già trascorso, sembra letteralmente volato. Una tragica caratteristica, secondo chi vi narra questa storia, ma anche secondo Vegeta: il quale aveva trascorso mesi e mesi senza riuscire a raggiungere l'agognato livello di Super Saiyan. Non è per niente gradevole vivere trascinando sulle proprie spalle questo carico da una tonnellata di frustrazione allo stato puro.
“Guardami, Kakaroth... guardami dall'Aldilà! Sono molto più forte di quanto fossi tu, senza trasformazione...” e tirò un pugno, con la consapevolezza che Kakaroth dall'Altro Mondo avrebbe davvero potuto guardarlo, assistere ai suoi progressi ma soprattutto ai suoi fallimenti. “Sono molto, molto più veloce... questa gravità 200 non la sento nemmeno, è come se il mio corpo fosse una piuma!” Effettuò rapidi spostamenti a super velocità per provarlo al suo ipotetico spettatore dal regno dei morti, ma soprattutto per provarlo a sé stesso.
Di punto in bianco si bloccò. Si era reso conto di aver trovato una falla nel suo allenamento perfetto, ed era quella falla che gli impediva di migliorare... Dannazione! “Ormai sono giunto al punto in cui nemmeno la super gravità forza 200 mi aiuta a migliorare! Anche se mi allenassi per anni in queste condizioni, non farei più il salto di qualità che ho fatto nel periodo iniziale di allenamenti. Certo... i miglioramenti sono stati evidenti soprattutto nel primo periodo, quando mi allenavo aumentando gradualmente la gravità e il mio corpo si abituava a pesi via via crescenti. Ma ormai anche la gravità 200 volte superiore a quella naturale terrestre non mi aiuta più... allenandomi ancora, potrei incrementare sicuramente il mio livello col tempo, ma sempre di poco... altro che salto di qualità! No, non ci siamo... con questo metodo non diventerò un Super Saiyan! In fin dei conti, anche Kakaroth per raggiungere quel livello non ha mai superato una gravità superiore a 100 volte quella terrestre!”
La sera in cui Vegeta era reduce da quelle deprimenti riflessioni, con un certo rammarico andò a procurarsi la cena in cucina. Proprio quella sera, però, Bulma aveva stabilito di osare un approccio più approfondito, con la puntualità con cui tipicamente vengono posti i quesiti più scomodi ed inopportuni: «Come vanno i tuoi allenamenti?»
«Una meraviglia.» rispose con un tono in lapidario contrasto con il contenuto della sua affermazione.
«Mi chiedevo...» improvvisò lei, imbarazzata a muoversi su un terreno di cui capiva poco. «Ma di preciso a che livello di potenza vuoi arrivare? Ti sei prefisso un traguardo?»
«Secondo te?» chiese lui di rimando, inarcando un sopracciglio.
«Forse vuoi eguagliare o superare il livello di Goku?» tirò ad indovinare Bulma con candore, senza notare che l'argomento avrebbe potuto sollevare un polverone, un litigio o qualcosa di analogamente non molto bello.
«Non è che voglio... ci riuscirò sicuramente!» esclamò Vegeta, rivolgendo l'aspro cipiglio verso la ragazza.
«Forse non sono un'intenditrice e non dovrei parlare...» azzardò la donna, un po' timorosa «…ma non dovresti prima raggiungere lo stadio di Super Saiyan? Che io sappia, a quel livello la forza di un Saiyan è notevolmente diversa da...»
«Zitta, donna!» la interruppe seccamente il Principe; era da tanto che l'epiteto “donna” non sbucava dalle sue labbra, e questo non era un buon segno. «Non voglio la tua compassione! Lasciami in pace!» aggiunse poi, cominciando a muovere qualche lento e nervoso passo nella direzione di Bulma, che invece indietreggiava, involontariamente.
«Ma no... Non fraintendermi! E comunque sei tenace... credo che chiunque altro avrebbe rinunciato, a questo punto... tu invece...» aggiunse, non rendendosi conto che questa insistenza, lungi dall’elogiare Vegeta, non faceva che scocciarlo ancora di più.
«Taci! Non tollero assolutamente consolazioni per i miei fallimenti!» disse alzando la voce, continuando ad avanzare lentamente di qualche passo, con uno sguardo da tempesta, costringendola ad indietreggiare ulteriormente fino ad appiattirsi intimorita contro la parete della stanza. «Non avere il coraggio di dubitare delle mie capacità, Bulma!»
Un momento di silenzio. Lui era vicinissimo lì, davanti a lei, e col pugno puntato sulla parete sembrava vietarle tacitamente ogni iniziativa di movimento.... e come la fissava! Nessuno dei due seppe spiegarsi allora, né sarebbe mai riuscito a spiegarsi in seguito, il perché di quel che avvenne nel giro di un istante. Non importava il perché: sta di fatto che negli anni a venire Bulma avrebbe ringraziato il cielo che tutto ciò fosse accaduto, sebbene all'inizio non l'avrebbe mai creduto. Nel giro di quel breve istante si erano ritrovati così, lei spalle a muro, lui davanti a lei, con un pugno poggiato al muro accanto al volto di lei, l'altro palmo sulla pancia di lei, la spingeva con delicata forza contro la parete; erano faccia a faccia, davvero pochi i centimetri che li distaccavano. Lei non riusciva ad urlare quanto si sentiva prigioniera in quel momento, riusciva a parlare solo di gola; non veniva fuori la sua caratteristica voce squillante, usciva solo una voce bassa e sommessa: «Vegeta, io ti odio... io ti... io ti...» iniziò a balbettare, non sapendo nemmeno lei cosa avrebbe voluto dirgli, fargli, minacciargli.
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E adesso perché gli aveva detto che lo odiava? Cosa c'entrava? Voleva solo dirgli “Togliti dalla mia vista - lasciami andare”, voleva gridarglielo, ma in fondo non era ciò che lei voleva. Lo voleva, ma non lo voleva: cose da pazzi! Gli occhi neri del Saiyan avevano su Bulma un magnetismo a cui gli occhi azzurri rispondevano con un fascino indescrivibile... quegli occhi azzurri dai quali, basta negarlo!, Vegeta era attratto con una forza istintiva e naturale...
...No. No, non era possibile. Non era vero e non stava accadendo. Non riusciva a crederci, che in quel momento si era venuta a combinare quella situazione. Non poteva essere vero che lui e lei si stessero scambiando quei gesti e quei movimenti, non doveva essere vero che avessero entrambi gli occhi chiusi e stessero continuando nella maniera più naturale possibile, che i loro visi fossero più che vicini, in quel modo, senza separarsi; lei non aveva realmente la mano sul petto di lui, lui non palpava davvero il seno di lei da sotto la maglia. Non era possibile che fosse così sottile la linea che divideva la repulsione e l'attrazione, eros e thanatos, odi et amo, Bulma e Vegeta; il crepuscolo doveva esistere, ma dov'è che finiva il giorno e iniziava la notte? Come distinguere l'odio dal... Fermarsi, prima che tutto andasse avanti, o andare avanti prima che tutto si decidesse a fermarsi? A lei furono sufficienti alcuni lunghissimi nanosecondi per far sì che smettesse di parlare, e anche solo di pensare, di porsi innocenti domande, e cedesse al ritmo istintivo dell'amplesso.
Luogo comune numero uno: di solito, quando nei film capita un fatto di questo tipo, il giorno dopo i protagonisti della vicenda sentono il bisogno di parlare di quello che ciò ha significato per loro. Anche Bulma – da brava terrestre - avvertì questo bisogno, ma Vegeta – da altrettanto bravo Saiyan - non la cercò e continuò a comportarsi come da copione, come se nulla fosse. Era segno che tutto questo per lui non rappresentava un evento epocale o sensazionale; era stato un fatto che dal suo punto di vista non avrebbe avuto ricadute concrete; non significava nemmeno un millesimo di ciò che voleva dire per Bulma. Bulma, dal canto suo, era attratta dal Saiyan, anche se faticava a credere che avessero fatto quel che avevano fatto; ma, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, era sicura che ci sarebbe ricascata volentieri altre cento volte.
Luogo comune numero due, qualche settimana dopo: accadde l'imprevisto prevedibile, la classica ed implacabile sequenza. Il mese salta un turno, la visita specialistica dal ginecologo di fiducia e una cicogna in arrivo; una volta qualcuno scrisse che uno dei modi più sicuri per avere una gravidanza è non desiderarla e non aspettarla affatto. E allora si può stare sicuri che la gravidanza arriverà.
C'è da dire che Bulma, la principale diretta interessata, non ne fece una tragedia. Tutt'altro: accolse la notizia per quello che era, ossia una splendida, stupenda notizia. Aveva centomila buoni motivi per essere felici, e chiunque potrebbe intuirne ben più di uno. Coinvolgere Vegeta? Sicuramente, ci avrebbe provato, perché no? La missione avrebbe richiesto una dose industriale di pazienza, ma la ragazza, nonostante la sua indole irascibile, era disposta a sforzarsi per far capire a quel cocciuto che la creatura che stava crescendo nel suo grembo era sempre suo figlio, era sempre un nuovo appartenente alla razza Saiyan in arrivo, come lo era Gohan, del quale non si poteva dire che fosse un guerriero mediocre, per la sua età. E comunque, da un punto di vista più pratico, i suoi genitori l'avrebbero aiutata in qualsiasi cosa: sua madre diveniva una vera esagitata all'idea di poter avere un piccolo Vegeta in miniatura da portare in giro per la casa, da coccolare, a cui dare il biberon e poi farlo giocare con i cani, i gatti e i dinosauri domestici! Così anche il Dr. Brief bofonchiava felice che non vedeva l'ora che il piccolo nascesse.
Le aspettative di Bulma su Vegeta come padre vennero ben presto deluse. Vegeta fin dall'inizio non aveva mostrato particolare interesse per il nascituro, per il figlio del Principe dei Saiyan, e lo scorrere dei mesi non aveva mutato quell'atteggiamento. L'idea non lo attirava, non lo spaventava né tantomeno lo esaltava. Niente: proseguiva la sua vita quotidiana visto che la gravidanza non era un problema che lo toccava; sembrava che il figlio non fosse suo, ma di una persona che lui conosceva molto alla lontana. Continuava ad avvicinarsi a Bulma solo la sera, ed ogni tanto poneva qualche domanda sul bambino; il semplice “Come stai?” oppure “Quanto tempo manca ancora?” erano per lei delle perle rarissime e, per questo, preziosissime.
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
Mi ero ripromesso di racchiudere il travagliato racconto di Bulma e Vegeta in un unico capitolo, ma la vicenda è diventata un po' più lunghetta di quello che prevedevo. O facevo un unico capitolo lunghissimo, o lo spezzavo in due più brevi... quindi ho optato per la seconda alternativa. Il titolo del capitolo è una citazione tratta da un famoso verso di un poeta latino, Catullo, che con l'espressione "Odi et amo" ("Odio ed amo"... allo stesso tempo, s'intende) si intende quel sentimento misto e ambiguo di amore talmente passionale da non essere distinguibile dalla sofferenza che arreca all'amante, e che quindi sfocia nell'odio.
Dimenticavo: la battuta di Vegeta "Ammazzo. Il tempo." è una citazione del primo leggendario Scary Movie. :-D
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Una buonissima spiegazione sulla nascita di Trunks... La storia è scorrevole e non mi annoia mai, bravo veramente. :)
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Proseguo subito con il prossimo capitolo, che in fondo non è altro che il completamento de i fatti visti nel precedente!
Cap. 23: T for Trunks.
Bulma era solita descriversi come una donna geniale ed intraprendente (oltre che bellissima): quello che le serviva per cominciare a costruire un ponte di dialogo con il padre del suo futuro figlio era un'occasione, e la sua intelligenza l'avrebbe aiutata a completare l'opera; non appena le fosse capitato il momento propizio, avrebbe colto la palla al balzo. L'occasione non tardò ad arrivare.
Una sera, quando erano già trascorsi i primi mesi di gravidanza, invitò Vegeta a guardare la tv. «Vieni a vedere, Vegeta!» lo chiamò con tono allegro. «Stasera in TV c'è una cosa che ti potrebbe interessare... danno un programma di lotta libera!»
Vegeta si avvicinò, senza fretta, con uno scettico ghigno di sarcasmo dipinto in viso: «Vediamo un po' i pagliacci terrestri, su...»
«Capiti giusto in tempo... c'è il nuovo super campione! Stavano dicendo che da poco ha conquistato il titolo nel mondo del wrestling!» spiegò Bulma, indicando verso lo schermo, sul quale compariva un bizzarro energumeno con dei folti baffoni neri da pirata, i lineamenti marcati e gli occhi azzurri, e una pittoresca e voluminosa massa afro di folti capelli neri. Il contesto era molto scenografico, e aveva ben poco di ciò che un guerriero si aspettava da una competizione di lotta: riflettori abbaglianti puntati addosso al campione; lui, ripreso dalla telecamera da un'angolatura che ne metteva in risalto il fisico imponente, indossava un uniforme da combattimento marrone e bianca e, sopra di essa, una vistosa cintura con un enorme medaglione dorato sulla fibbia e un mantello appariscente per dimensioni, nero con l'interno foderato di rosso. Il suo viso era atteggiato ad un'ostentata espressione di spavaldo orgoglio guerriero. Il campione si sfilò la cintura, la sollevò verso l'alto in un gesto teatrale, ruggendo vittorioso. Poi, le telecamere passarono ad inquadrare la folla in visibilio che urlava, sollevando ovunque in platea cartelloni e striscioni che riportavano il nome del wrestler: Mr. Satan.
«Tutta scena.» sentenziò Vegeta, indovinando che quel presunto campione fondava gran parte del suo successo sull'apparenza. «Sarebbe quell'idiota il campione mondiale? Mi sembra più scarso di Testa Pelata e dell'amico con le cicatrici... Ma chi diavolo è?»
«Leggi, no? È scritto ovunque! Striscioni, cartelloni... La gente, per motivi a me incomprensibili, impazzisce per lui!» commentò la ragazza. Vegeta rimase muto.
«Vegeta... mi sai dire come si chiama quel tipo?» fece lei sospettosa. Il Saiyan continuava a rimanere muto, mentre abbassava lo sguardo. Bulma fu colta da un lampo improvviso, e con un sorriso malizioso domandò: «Ora ho capito... Tu non sai leggere!»
«So leggere, sì... ma non l'alfabeto terrestre, ovviamente.»
«Vuoi dire che in tutto questo tempo non hai mai imparato a leggere...?»
«Perché dovrei? Non è una cosa che si impara semplicemente stando in un posto.... non mi è mai servito e non ne ho avuto l'occasione né il bisogno.» ribatté lui irritato.
«Perfetto! Te lo insegnerò io!» dichiarò, con la mano a pugno in segno di vittoria. E così Bulma trovò un modo per passare alcune serate assieme al Saiyan, per cercare di stringere un qualche tipo di legame con lui nella speranza che poi lui le stesse accanto quando sarebbe nato il bambino.
Nel giro di un mesetto, Vegeta aveva appreso bene l'alfabeto e leggeva scorrevolmente, senza difficoltà. Era stato un ottimo allievo: aveva la mente e la buona memoria di chi è abituato ad imparare nozioni di ogni tipo, una capacità che gli era risultata sicuramente utile durante le sue esplorazioni spaziali, quando entrava necessariamente a contatto coi popoli più disparati... prima di distruggerli o di schiavizzarli, naturalmente. Del resto, pensandoci bene, erano stati proprio lui e Nappa a rivelare che i namecciani erano un popolo dotato di strani poteri, e ad associare le sembianze di Piccolo a quell'etnia; ne avranno apprese, di informazioni, negli anni. Dal punto di vista affettivo, Bulma si sentiva più legata a lui, anche se non era in grado di dire se valesse l'inverso o meno. Addirittura un giorno, quando ancora studiavano l'alfabeto, gli aveva rivelato una sua intenzione: «T come Trunks... è il nome che pensavo di dare al bambino... ti piace?»
Poco tempo dopo, Bulma si presentò a Vegeta con un libro di poesie. «Tieni: leggi questa, e dimmi cosa ne pensi.» lo invitò, sorridente, porgendogli il libro. Era l'ennesima prova a cui lo sottoponeva nel tentativo di scandagliare il suo pensiero e la sua anima. Vegeta lesse tutto il testo, o meglio si sforzò di arrivare fino in fondo nonostante avesse avuto un iniziale senso di fastidio quando arrivò ai versi che recitavano:
“l'amore non è razionalità:/
non lo si può capire./
Ore a parlare,/
poi abbiam fatto l'amore./
È stato come morire...”
Ad onor del merito, dobbiamo confermare che la lesse tutta, un po' per lealtà, un po' perché quell'invito aveva il vago sapore di una sfida. Infine sbottò, brusco ed accigliato come suo solito: «Pff... mi fa schifo. Perché mi hai fatto leggere questa roba?»
Bulma si sentì ferita, e gli chiese con fare provocatorio: «Non ci arrivi da solo, signor Saiyan? Pensavo che...»
«Mettiti bene in testa una cosa... CARA MIA.» disse Vegeta, accentuando quest'ultimo epiteto con tono stizzito. «Io sono vaccinato contro queste stronzate. Non so e non voglio sapere che intenzioni tu abbia... qualunque cosa pensavi, è sbagliata! E con questo il discorso è chiuso.» e abbandonò la stanza.
“Perfetto” pensò la povera ragazza, adirata. “Perfetto: almeno abbiamo appurato che tutto ciò che avevo deciso di puntare su questa scommessa erano solo stronzate”.
Da allora – notò Bulma - Vegeta divenne più freddo e scontroso, preferendo chiudersi nei suoi allenamenti. La necessità di tenersi alla larga da Bulma, dalla vita da terrestre che lei voleva fargli indossare con la forza, lo aveva riportato a riflettere sul fatto che lui era un Saiyan. Anzi no: che lui era il Principe dei Saiyan. Anzi no: che lui, pur essendo il Principe dei Saiyan, non era ancora un Super Saiyan; mentre, cosa peggiore, colui che lo era diventato era un semplice e misero guerriero di infimo livello. Capitavano notti in cui il Principe dei Saiyan non riusciva a dormire come si deve, perché gli martellavano nella testa i versi della stramaledetta poesia di Bulma. Ma non i versi sull'amore, no: erano altre le parole che gli si erano marchiate a fuoco nella mente e che poi tornavano di quando in quando, a perseguitarlo anche durante il giorno:
“L'infinito, sai cos'è?/
L'irraggiungibile/
fine o meta che/
rincorrerai per tutta la tua vita...”
Era la storia della sua vita. Stava dedicando la sua vita al raggiungimento dell'irraggiungibile. Per quanto ancora sarebbe durata la ricerca di quel fine, di quella meta? Per tutta la sua vita? Se lo chiedeva mentre a super gravità calciava l'aria e tirava pugni, e si esercitava a compiere complesse acrobazie.
“Ma adesso che farai?/
Adesso io non so...”
Una voce gli batteva dentro la scatola cranica mentre faceva i suoi piegamenti, sforzandosi non cedere al peso della gravità e a quello della sua ossessione. Rabbia, orgoglio, invidia crescenti col passare del tempo avevano ripreso a torturarlo ancor più di prima.
“So solo che non potrà mai finire... MAI!/
Ovunque tu sarai.../
ovunque io sarò...”
I versi risuonavano nella sua testa, quella dannata poesia gli si era dannatamente impressa nella mente e lo dannava a pensare al suo eterno rivale, che tale sarebbe rimasto anche da defunto. Si immaginava a correre da solo, in un tunnel oscuro, cercando di arrivare ad una fine che non si intravedeva, e che - quando a malapena cominciava a vedersi - si allontanava sempre più; tendendo la mano per raggiungere, l'uscita, non ci riusciva. La sua ira cresceva ogni momento di più, finché...
«BASTAAAAAAAAA!» urlò al massimo della sua furia Vegeta. Con gli occhi sgranati, si vide avvolgere da una fiammata di energia d'oro che dai piedi come una spirale percorreva rapidissimamente il suo corpo. Mentre incredulo si guardava con stupore le mani e le braccia, avvertiva in sé uno stato di euforia estrema, un'eccitazione che non aveva mai provato in vita sua, una potenza incommensurabile ed incontenibile a sua disposizione. Uno ogni mille anni, diceva la leggenda: finalmente lui aveva dimostrato che a volte ne nascono anche due.
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Vegeta perse ogni desiderio di dialogo nei confronti di Bulma, dato che era troppo soddisfatto della sua nuova potenza. Vedendo che il Saiyan aveva riacquistato un sorriso più raggiante che mai, Bulma decise che, non appena lo avesse rincontrato, avrebbe tentato la fortuna per un'ultima volta: sì, perché ormai cercare un approccio con Vegeta era diventato come una roulette russa... se la buona sorte ti accompagna, riesci a non spararti in testa. Altrimenti, è la fine.
«Ciao! Come stai?» Lo salutò educatamente. «Ti vedo di buon umore.»
«Sono diventato un Super Saiyan!» affermò lui, incapace di coprire la sua euforia con la sua classica imperturbabilità.
«Grande... complimenti! Il bambino nascerà fiero di suo papà.»
«Ma piantala con questa storia!» proruppe insensibile il Saiyan, per poi aggiungere spietatamente, tutto d'un fiato: «Cosa vuoi che me ne importi di lui?? Sono un Super Saiyan, mentre lui crescerà come un terrestre, e sarà sempre e solo un misero mezzosangue senza prospettive di miglioramento!»
In un istante gli occhi di Bulma si riempirono di grosse lacrime, e la donna scoppiò in singhiozzi disperati. In un ultimo tentativo di contenere le lacrime per dignità, si avvicinò a passo lento verso Vegeta guardandolo con odio. Si fissarono in silenzio. In maniera totalmente incontrollata, la sua mano prese lo slancio e gli stampò sulla guancia uno schiaffo talmente sonoro da rimbombare nella drammatica atmosfera della stanza. Il Saiyan non provò dolore, provò solo la furia che nasceva dall'affronto subito da parte di quella miserabile donna. Ringhiò irato, ma decise di lasciarla perdere, poi ruggì: «Va' al diavolo, femmina! Non ho bisogno né di te, né del tuo moccioso!»
«Ti senti ferito nell'orgoglio? Eh? Avanti, rispondi! Pensi di averlo solo tu un orgoglio da non ferire? O pensi che il tuo orgoglio valga più del mio?» Alla fine Bulma si rendeva conto che il Vegeta che lei aveva immaginato, l'aspettativa di un Saiyan buono e – a modo suo - premuroso nei confronti del bambino era tutta un'illusione, l'illusione di una donna che sperava di costruire qualcosa di positivo; ma aveva tralasciato che sul letame non si costruiscono edifici stabili e duraturi. Aveva creduto di vedere del buono in lui, ma – risvegliatasi dal sogno – si rendeva conto che lo schiaffo più doloroso quel giorno era stata lei a riceverlo. «Ma che schifo di uomo sei?» domandò lei alla fine, con volto deluso e disgustato.
Dopo essersi lasciato grandinare addosso quella raffica di offese a cui restava insensibile, ringhiò ancora con disprezzo: «Non sono un uomo, infatti... sono il Principe dei Saiyan.» mostrando di non aver capito il senso profondo della domanda postagli; su certi temi un Saiyan poteva dimostrare una straordinaria durezza di comprendonio. Si guardarono in cagnesco, poi ciascuno dei due alzò i tacchi; lasciarono la stanza in direzioni opposte.
Crilin e Soya si trovavano su un'ampia distesa erbosa: era l'area rurale in cui ci si imbatteva abbandonando la periferia della Città dell'Ovest. Il tempo era buono, con il cielo azzurro e alcuni enormi nuvoloni bianchi, di quelli che passeggiano nel cielo e non portano temporali; spirava un leggero vento fresco, tutt'altro che sgradevole. I due non erano dediti ad un'amichevole chiacchierata, stavolta: erano in posizione di guardia, faccia a faccia, lui con la sua divisa da maestro, lei con la sua tuta da allieva e i capelli raccolti da una bandana affinché non le intralciassero la visuale. Non era la prima volta che Soya chiedeva all'”amico-maestro-e chissà cos'altro” di duellare, di metterla alla prova. Lei aveva un'espressione seria, determinata, quasi fredda, e quell'espressione combinata con quegli occhi di ghiaccio esercitava su Crilin un fascino irresistibile, che lo costringeva a faticare per contenere la sua vera forza.
«Dai, forza, Maestro... attaccami!» lo provocò lei, per stimolarlo ad uscire da quella difesa di ferro che egli manteneva ogni volta, e che le riusciva difficile infrangere. «Se stai in difesa non dai il meglio di te... voglio sentire il tuo attacco, stavolta!»
“Mannaggia...” pensò lui, inghiottendo a vuoto. Doveva cercare di calibrare la forza in modo da non farle male. “Già non è facile controllarsi, se poi lei me lo chiede così, mi fa perdere la testa...” «OK! Preparati... » le rispose, con l'aria non molto convinta delle sue stesse parole. “Guarda che sto arrivando!”
«Ti sto aspettando, Maestro...» Inutile: qualsiasi cosa dicesse, Soya non poteva che risultargli eccitante. Crilin si buttò a capofitto cercando di colpirla sotto il mento con un calcio alto. Lei lo evitò, colpendolo allo zigomo con un pugno caricato alla sua massima forza. Crilin per il colpo subì un indietreggiamento, per cui la sua sfidante continuò ad incalzare bombardandolo di pugni allo stomaco e al petto, con una determinazione invidiabile, degna del combattimento più serio del mondo. Crilin indietreggiava davanti al rapido incalzare della sua avversaria, che aveva preso a colpirlo alla testa e al volto. Quando lei iniziò a rallentare il ritmo, lui colse l'occasione per atterrarla con un calcio ben dosato, concludendo il suo attacco con il KO della ragazza; per dare maggior senso alla sua sceneggiata, iniziò ad ansimare un po' pesantemente.
Soya si rialzò un po' ammaccata, ma non più di tanto, mentre con il dorso della mano si sfregò la guancia. Si scrollò dal vestito con le mani la lordura di terriccio e d'erba di cui si era imbrattata all'impatto.
«Ooh, ma smettila, Crilin! Ci mancava solo il finto respiro affannoso, porca pupazza!» esclamò arrabbiata la ragazza.
«Eh? Finto respiro affannoso? Ma che dici?» cercò lui invano di dissimulare.
«Non fraintendermi su ciò che sto per dirti... sai benissimo quale alta opinione ho di te... Ma guardati: dopo tutti i pugni e calci che hai preso sulla testa e sul viso, non hai un graffio o un livido! Ti sembra normale? E scommetto che sotto la maglia la situazione è identica, non un livido o un muscolo ammaccato... credi che sia stupida a non accorgermene?» chiese con tono di rimprovero.
“No...” pensò Crilin, muto dall'imbarazzo, con un evidente rossore sul volto, guardando verso il basso. “Non sei stupida... sono io il deficiente che pensava di ingannarti così facilmente, con una messinscena assurda...”
La ragazza continuò con la sua accusa: «Si vede benissimo che, quando lottiamo, fingi... per te è come un gioco, ma per me è una cosa seria... e ti dico che questo tuo rifiuto di mostrarmi la tua vera forza un po' mi infastidisce. Direi che lo scontro finisce qui, per oggi.” Emergeva qui un'altra nota caratteriale propria di Soya, che ad un approccio iniziale lei tendeva a nascondere, ma che Crilin aveva cominciato a conoscere solo frequentandola per un certo tempo: era trasparente, tanto trasparente che non sopportava che una persona con la quale lei era riuscita ad aprirsi non fosse trasparente quanto lei. Questo non faceva di lei una tipa ostica; era sempre la solita dolce e gentile Soya, ai suoi occhi. Ciò che la irritava era che avrebbe voluto conoscere Crilin fino in fondo, ma sentiva che lui aveva dei lati che ancora non voleva scoprire. Ciò le dava un po' fastidio, senza nulla togliere all'affetto che ormai lei nutriva – peraltro ricambiata, altro che ricambiata, ricambiatissima!
Nonostante si fosse abituato a questo suo aspetto, Crilin restò male, mentre i due si avviavano a piedi fuori dal campo. «Ma dai, smettila, Soya.» cercò bonariamente di distendere quell'imbarazzante tensione. «Lo sai che sei fantastica, la migliore della palestra!»
Soya assunse una sorridente smorfia dispettosa, socchiudendo gli occhi di ghiaccio in maniera attraente. «Grazie... so che dovrei essere la migliore, ma vorrei una vera sfida per mettermi alla prova... e se il mio maestro preferito me la nega, come posso fare?»
«Uff...» sbuffò Crilin sorridente. «Però devo darti ragione sulla mancanza di vere sfide...» aggiunse, portandosi una mano al mento, pensieroso. «Di gare regionali se ne fanno, ma sarebbero troppo poco, per te. Una volta c'era il torneo Tenkaichi... ma da quando Goku e il suo rivale dell'epoca, Majunior, distrussero tutta l'area del Torneo e la zona circostante nella finale del ventitreesimo torneo, si disse che il livello dei partecipanti era diventato troppo pericoloso per l'incolumità del pubblico e della gente comune che viveva da quelle parti, e si decise di non indirlo più per le edizioni successive...» Prima ancora di abbandonarsi a ricordi nostalgici, Crilin suggerì di tornare in città volando.
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Dopo più di un anno e mezzo dalla sua partenza, l'astronave madre del supremo re Cooler si stava approssimando all'orbita del pianeta Terra. Anzi no: era ormai entrata, e l'equipaggio addetto ai pannelli di comando stava eseguendo le manovre necessarie per un perfetto atterraggio. Il viaggio era durato ben più di un anno, nonostante l'enorme l'astronave imperiale fosse dotata dei più potenti motori dell'impero: il pianeta Frost era ancora più remoto di qualsiasi pianeta collocato nella regione dello spazio che era appartenuta a Freezer.
Il veicolo era un maestoso mostro di metalli e materiali sconosciuti. Aveva un aspetto analogo all'astronave usata dal fratello minore del re per andare su Namecc, ma di dimensioni maggiori, essendo in grado di ospitare un numero più elevato di soldati. Era evidente che il sommo regnante aveva tutta l'intenzione di affermare la propria supremazia fin dal momento in cui il suo mezzo di trasporto si fosse palesato alla vista dei terrestri.
«Bene: avvistato luogo perfetto per atterraggio.» affermò un alieno con gli occhi neri e lucidi come due puntini, dalla testa tutta coperta di peluria marrone, con un casco bianco lucido e un visore incorporato che rivestiva entrambi gli occhi. «Trattasi di esteso ed arido deserto di roccia al centro di enorme continente. Nessuna presenza di vita intelligente rilevata.»
A poche migliaia di metri dalla destinazione, l'astronave ridusse via via la velocità, e la sua enorme massa proiettò una grande ombra grigia sulle rocce desertiche; al contempo, da una serie di portelloni che adornavano in sequenza regolare la superficie laterale della nave, fuoriuscivano delle lunghe e complesse zampe meccaniche ad artiglio che avrebbero poggiato sulla pietra assicurando al Re e alla truppa al suo seguito un approdo morbido.
«Atterraggio perfettamente eseguito.» annunciò l'alieno responsabile della sala di pilotaggio a tutta l'astronave tramite altoparlante.
In quel momento, sul pianetino di re Kaioh, Goku si voltò con espressione allarmata verso il padrone di casa, esclamando: «Ho un cattivo presentimento!»
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
E così è arrivato Cooler... Precisazioni!
il titolo non è solo una parodia di V for Vendetta: è il modo che si usa in inglese per indicare la lettera dell'alfabeto con cui inizia un vocabolo (in italiano, ad esempio, diciamo: "D di Domodossola").
Qualcuno avrà riconosciuto la "poesia" che Bulma fa leggere a Vegeta, con intenti sottintesi: in realtà il testo della canzone "Infinito" di Raf.
Quanto alla comparsa di Mr. Satan, occorre precisare che i fatti riguardanti Bulma e Vegeta si svolgono durante la gravidanza di lei e, siccome Trunks avrà pochi mesi all'epoca dell'arrivo dei cyborg, ho immaginato che il super campione avesse cominciato a riscuotere successo sui mass media almeno un annetto prima rispetto alla comparsa degli androidi... mese più, mese meno. Per il momento godetevi Satan come una comparsa, chissà se più avanti lo ritroveremo!
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Una sola cosa non capisco: Vegeta che accetta di farsi dare lezioni di lingua da Bulma... :D
Come al solito per il resto non ho nulla da ridire. :)
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Beh dai, è lo stesso Vegeta che accetta di farsi ospitare in mezzo a namecciani e terrestri nella storia originale, senza uccidere nessuno! (Lo stesso che nel capitolo precedente guarda i film in TV) Alla fine sono nozioncine pratiche che possono tornare utili, se pensi di doverti stabilire in un posto a tempo indeterminato; per di più la sera lui si riposa, mica può allenarsi senza sosta - anche se si impegna sempre molto. (viene più o meno detto che continuano a vedersi sempre di sera) :D
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In effetti non hai tutti i torti... Di sicuro sarebbe strano a vedersi, ma ci può stare... :)
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Mi scuso per il ritardo nella lettura, tra studio e vacanze non ho avuto molto tempo:
- ho apprezzato il riferimento al "dongiovanni" nominato da future Trunks come motivazione dello split tra Bulma e Yamcha
- mi è piaciuto molto come hai gestito l'avvicinamento tra lei e Vegeta: dall'abitudine di guardare un film insieme ( a proposito, mi è sembrato che tu abbia omesso di trascrivere un pezzo della storia) coi commenti scocciati e il sarcasmo del principe dei saiyan (che però continuava a guardare :asd:), fino all'ossessione dello stesso che per caso (o no?) li porta poi a concludere :ghgh:
Invece mi è risultato odioso e fin troppo ostinato il Vegeta post-concepimento: va bene tutto, ma così m'è stato proprio sui coglioni.
Non che tu non abbia scritto bene quella parte, anzi in realtà si sarebbe comportato sicuramente così, però ho notato che dopo qualc he passo avanti ha fatto tipo 10 salti indietro e non l'ho digerita
- mi interessa molto anche il rapporto Crilin-Soya, con lui perennemente e inevitabilmente arrapato :rotfl:, e allo stesso tempo palesemente cotto (e viceversa a breve suppongo)
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Ssj 3
- mi è piaciuto molto come hai gestito l'avvicinamento tra lei e Vegeta: dall'abitudine di guardare un film insieme ( a proposito, mi è sembrato che tu abbia omesso di trascrivere un pezzo della storia) coi commenti scocciati e il sarcasmo del principe dei saiyan (che però continuava a guardare :asd:), fino all'ossessione dello stesso che per caso (o no?) li porta poi a concludere :ghgh:
Hai notato bene: ho scordato a trascrivere un pezzo della storia. Se siete interessati, rileggete dall'inizio il secondo post del capitolo 23, che ho appena modificato di conseguenza.
Per il resto grazie per i complimenti. Nello scrivere cerco di calarmi nella psiche dei personaggi e chiedermi: come reagirebbe Tizio davanti ad una situazione simile?
Vegeta, messo davanti ad una Bulma che gentilmente lo invita e sollecita ad avvicinarsi, dopo un'iniziale ritrosia avrebbe preso lentamente confidenza. Ma davanti ad una Bulma incinta, il cui bambino rappresenta per Vegeta la minaccia concreta (= sposare lo stile di vita terrestre)... beh... ragionando come lui, avrai fatto 10 passi indietro come davanti ad un mostro orribile. :D
A breve revisiono il prossimo capitolo e lo posto. :)
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Prossimo capitolo! Vi preannuncio che dal punto di vista comico è uno dei miei preferiti. :D
Cap. 24: Alla ricerca di 'sto mitico Super Saiyan.
«Per favore, dia un'occhiata a quel che accade sul mio pianeta, re Kaioh...» disse Goku con rammarico, con un brivido lungo la colonna vertebrale. La divinità dalla pelle azzurra, accorgendosi dell'agitazione che animava il suo pupillo, immediatamente cercò di sintonizzarsi telepaticamente con la Terra: con la schiena leggermente incurvata in avanti e le sue lunghe antenne da insetto che oscillavano, visualizzava il pianeta, scrutandolo angolo per angolo con i suoi poteri speciali. Dopo alcuni minuti di ricerca, ebbe un primo sussulto... dopo uno sguardo, esclamò: «Oh, santo cielo!»
«Che succede...?? Me lo dica, per favore!» implorò Goku con rammarico.
«Cooler è sulla Terra...» annunciò il dio.
«Chi? Cooler??»
«Il fratello maggiore di Freezer...» spiegò Re Kaioh, con tono remissivo. «Ora ti spiego. Come sai, Freezer era colui che governava sulla nostra galassia del Nord, oltre che su altri territori... ma in realtà lui non era il vero vertice massimo dell'impero, perché la sua famiglia è composta fra l'altro da altri elementi degni di nota. Uno di essi è suo padre, che è il vero titolare della corona, il sommo regnante... Re Cold.»
«Sì, Re Cold l'ho conosciuto... lui e Freezer erano venuti sulla Terra per vendicarsi...»
«Ah sì?» Re Kaioh cadde dalle nuvole, segno che stava apprendendo una notizia completamente nuova ed inattesa.
«Ma certo che sì! Uff... ma allora lei non segue per niente le disgrazie della nostra Terra!» E prese a narrargli in sintesi di come Freezer fosse sopravvissuto all'esplosione di Namecc e del fallimento della missione punitiva pianificata da Cold e Freezer sulla Terra.
«Beh, devo riconoscere che la cosa non mi stupisce: non c'è nessuno nella galassia che possa competere con un Super Saiyan. Ad ogni modo... Anche se Cold manteneva il titolo di legittimo sovrano, da anni aveva spartito il potere effettivo tra i suoi due figli, Freezer e Cooler, che di fatto governavano territori completamente diversi. I rapporti tra i due fratelli erano burrascosi: litigavano e talvolta si facevano la guerra, anche se non si è mai arrivati ad un confronto diretto delle rispettive forze combattive individuali, solo qualche scaramuccia... In realtà i due amavano mettere in gioco le rispettive potenze belliche e militari; erano in competizione perché ognuno dei due voleva dimostrare al padre che sarebbe stato il più idoneo alla successione, in futuro. Così, ogni tanto scoppiava qualche battaglia tra i rispettivi eserciti, e si contendevano aree di influenza o pianeti. Non accadeva spessissimo perché nessuno dei due aveva interesse a logorare le proprie truppe e a perdere elementi; ma quando accadeva, ovviamente, ogni battaglia era sangue versato da parte dei soldati... il tutto per il puro capriccio di due principi ambiziosi.»
«Questo è degno di quella famiglia di farabutti!» commentò Goku contrariato, spinto dalla rabbia nata dal suo innato senso di giustizia: «É mai possibile che io venga a scoprire queste cose per puro caso? Me le dovrebbe spiegare lei prima che si verifichino le emergenze, re Kaioh!»
«Guarda che io ti avevo avvertito, quando eri in viaggio verso Namecc! Ti avevo avvertito di non sfidare assolutamente Freezer... tu hai voluto fare di testa tua e le conseguenze sono ancora oggi sotto i nostri occhi: prima quei due sono tornati a cercarti per vendicarsi e avrebbero potuto arrecare facilmente dei seri danni al pianeta; e scommetto che, se anche Cooler adesso è sulla Terra, ancora una volta la colpa è tua! Se avessi lasciato Freezer in pace, tutto questo non sarebbe accaduto... Non dovresti compiere gesti affrettati senza riflettere sulle conseguenze, figliolo!»
Goku si sentì in colpa, tanto da abbassare lo sguardo borbottando: «Che ne sapevo io che aveva tutta una famiglia del genere alle spalle, uffa...» Eppure siamo tutti sicuri che, anche se lo avesse saputo, probabilmente si sarebbe buttato ugualmente a capofitto nell'impresa, senza calcolare le conseguenze dei suoi comportamenti! Poi con tono più calmo soggiunse: «D'accordo... forse ha ragione lei. Ma perché non mi ha almeno avvertito che un pericolo così serio era in avvicinamento?»
Re Kaioh balbettò dall'imbarazzo, con un leggero rossore fucsia sul viso: «Ehm... ecco...»
«Sì...?» incalzò Goku, abbassando la testa all'altezza della bassa divinità, inarcando un sopracciglio.
«Perché ero impegnato ad inventare delle battute stupende!» rispose il dio tutto d'un fiato. «Vuoi sentirle?» chiese, estraendo dalla tasca un foglietto di carta su cui aveva appuntato le sue brillanti trovate comiche.
«…» Goku, muto, sollevò al cielo uno sguardo scontento.
«Ti risolleveranno lo spirito, vedrai! “Sai come si chiamano coloro che lavorano la creta?? Cretini!!” Ahah, divertente, vero??» Il bello era che lui era veramente convinto della comicità di quella che, in fin dei conti, era solo una freddura.
«Re Kaioh, ma questa non è offensiva verso coloro che si guadagnano da vivere lavorando la creta?»
«Uhm... forse hai ragione... In fondo anche io ho sempre voluto imparare a fare dei lavoretti in creta e terracotta! Allora ascolta quest'altra. “Sai qual è il colmo per un dentista? Essere un tipo incisivo!”»
«Io non l'ho capita...»
«Mpf... incisivo... dentista... no?? Dovrò farti un corso accelerato di comicità.» sbuffò la divinità. «La prossima però è irresistibile! “Sai cosa fanno due struzzi con una bomba atomica? La di-struzzi-one!”»
«Non fa ridere.» affermò Goku serio.
«Evidentemente sei troppo sconvolto dalla storia di Cooler per poterti concedere una sana risata...» Infatti, al di là del fatto che le battute di Re Kaioh non lo facevano ridere affatto, l'espressione rammaricata del Saiyan tradiva le sue vere emozioni del momento. L'amico e maestro cerco di rincuorarlo con un sorriso: «Senti, Goku... io suggerirei di attendere che il nemico mostri le sue intenzioni. Se - come ho supposto - è andato sulla Terra in cerca di una vendetta familiare nei tuoi confronti, è probabile che, appena scoprirà che sei morto, tornerà da dove è venuto.»
«Ma come...? Il fratello di Freezer...?» ribatté accigliato il giovane. «Quelli sono pazzi criminali!»
«Eheheh... Non ne sarei così sicuro...» ridacchiò il dio. «Tu non lo conosci, ma Cooler è diverso da suo fratello, per metodi e mentalità... Non è detto che sia venuto per distruggere tutto. Stiamo a vedere che intenzioni ha... e comunque ti ricordo che non possiamo interferire con il mondo dei vivi. È la legge, purtroppo, ragazzo mio!»
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Cooler era austeramente seduto sulla poltrona della stanza adibita a suite reale, quando uno dei soldati facenti le funzioni di usciere accorse ad annunciargli l'avvenuto atterraggio. «Perfetto.» commentò il Re. «Convoca immediatamente la soldatessa Kodinya e l'ingegnere capo. Ho delle direttive per entrambi, ma li riceverò separatamente.»
La prima ad entrare fu dunque l'ex collega di Vegeta. «Kodinya, tempo fa mi hai chiesto di essere valorizzata e di ricevere incarichi adeguati al tuo livello di esperienza e di preparazione, ed è questa la ragione per la quale ti ho portato sulla Terra fra le mie truppe scelte. Quest'oggi, ho una missione di rilevanza fondamentale per il destino dell'universo, e ho deciso che sarai tu a svolgerla. Devi stanare il Super Saiyan Son Goku e condurlo al mio cospetto. Non sarà facile: nonostante il pianeta non sia dei più grandi, è molto popoloso... dalle prime stime, risulta che la popolazione totale delle forme di vita terrestri intelligenti ammonti ad alcuni miliardi di componenti.»
“Minchia, alcuni miliardi... e come cazzo faccio?” imprecò fra sé la donna, sgomenta: davanti al sovrano, però, si limitò a rispondere impassibile e senza turpiloquio: «Obbedisco, mio sommo signore. Quale procedura dovrò seguire?»
«Sei tu a doverti guadagnare la mia stima. Ne consegue che dovrai essere tu a pianificare come procedere, in maniera del tutto autonoma...» disse con un sorriso dipinto sulle sue labbra nere, compiaciuto tanto per la difficoltà dell'impresa che per la costruzione elaborata della propria sintassi. Cooler amava la propria magniloquenza. «Forza. Fammi vedere di che pasta sei fatta, soldatessa.» concluse, marcando con leggero sarcasmo quest'ultimo appellativo, e con quest'ultima battuta Kodinya poté considerarsi congedata. La donna si inchinò e fece per andarsene, ma fu fermata per un attimo dal sovrano che concluse: «Ah, che sbadato. Quasi dimenticavo... scegliti un compagno o una compagna che ti assisterà.»
Quando uscì dalla sala, il Re permise all'ingegnere capo di entrare; gli diede le prime istruzioni in ordine ai rilievi che potevano essere effettuati nella zona del mondo in cui erano atterrati: voleva conoscere le risorse naturali che era possibile reperire sul pianeta.
Mentre si dirigeva a chiamare la compagna che aveva scelto come spalla, Kodinya ragionava su come avrebbe potuto affrontare la missione che si accingeva a compiere. “Potrei chiedere informazioni a Vegeta, che vive qui... ma il problema rimarrebbe, o meglio si sposterebbe su Vegeta: come faccio a trovarlo su miliardi di persone? Quello sa trattenere l'aura, così come questo dannato Super Saiyan... Rifletti, Kodinya... un sistema ci deve essere...”
Nel frattempo aveva raggiunto l'alloggio dell'amica: si trattava di Kapirinha, l'ex appartenente al Peyote Team con la quale aveva avuto un primo incontro/scontro diverso tempo prima, avendo la meglio. Si conoscevano ormai da circa tre anni, un lasso di tempo durante il quale avevano legato parecchio. Peraltro, si trovavano nella singolare condizione di due donne molto forti in un esercito prevalentemente maschile, anche se molto difficilmente qualcuno dei colleghi avrebbe potuto resistere alla loro grande potenza fisica. Chiaramente ben pochi avevano il coraggio di rivolgere loro ad alta voce quei classici apprezzamenti che i maschi rozzi delle forze armate rivolgono solitamente alle belle donne. Di certo loro due non erano due ideali di bellezza e grazia muliebre: l'una con un fisico forse troppo statuario benché non sgraziato, per non parlare del suo naso aquilino e dei suoi atteggiamenti da maschiaccio; l'altra bassa, con un fisico da poco più che bambinetta e un caratterino acido; ma in quell'ambiente erano senza dubbio una coppia interessante, nonché due rari esemplari di femmine... e da che mondo è mondo, in tutto l'universo, la femmina è femmina!
Le due guerriere decisero di affrontare la missione con degli indumenti “in borghese” che si portavano dietro come bagaglio per ogni evenienza. L'esigenza era quella di non suscitare clamore mostrandosi ai terrestri in armatura da combattimento; non era il momento di fare casino... non ancora, almeno. Avevano optato per dei vestiti che, a loro giudizio, non avrebbero dovuto dare nell'occhio; tuttavia la scelta stilistica riuscì involontariamente comica: pericolose non sembravano di sicuro, malate di mente forse sì. Abbigliamento di Kodinya: lungo cappotto nero abbinato a berretto nero con visiera degni della polizia segreta di qualche regime dittatoriale; occhiali da sole dal design vagamente futuribile; camicia bianca attillata che metteva in risalto le sue curve formose, pantaloni grigi chiari a vita alta da operaio, e stivali scuri. Dato che indossava lo scouter, portava gli occhiali sulla visiera del cappello, con le stanghette inserite dietro le due orecchie a punta, a mo' di cerchietto per capelli. Abbigliamento di Kapirinha: magliettina gialla aderente con prominenze rialzate in corrispondenza delle spalle e con uno strano simbolo alieno più o meno triangolare impresso sul petto, corta abbastanza da lasciare scoperto l'ombelico; pantaloni attillati blu elettrico ad altezza polpaccio; scarpe alte alla caviglia, di foggia pseudo-sportiva.
«Complimenti per il vestiario... sei una bella fighettina!» si complimentò Kodinya leccandosi le labbra.
«Io ho stile... tu sembri vestita come una lesbica! Non avevi niente di meglio??» commentò Kapirinha con sghignazzante disprezzo.
Le due lasciarono l'astronave e iniziarono a sfrecciare nel cielo.
«Allora, testona! Ti decidi a spiegarmi qual è il tuo piano?» domandò la guerriera più bassa.
«Tanto per cominciare... testona sarà tua madre, bambolina! Questa è la mia idea... Prima di tutto, sono convinta che questo Son Goku, il Super Saiyan, sarà una persona assolutamente venerata su questo pianeta popolato da microbi del cazzo, per via della sua forza suprema... quindi, basterà chiedere a chiunque per farci dare informazioni...»
«Ma ragiona! E se invece incontrassimo gente alla quale della lotta non frega niente e quindi non lo conosce nemmeno? E se non fosse così conosciuto come pensi tu?»
«Non dire scemenze! È impossibile che nessuno sappia niente di lui! Stiamo parlando dell'essere più forte non solo di questo pianeta, ma di tutta la galassia! Su quale razza di pianeta di stupidi potrebbe mai vivere ignorato come un perfetto mister nessuno?» esclamò la guerriera più alta; non riusciva a concepire che Goku avesse vissuto in pace e serenità, ignorato come un perfetto mister nessuno, proprio su quel pianeta di stupidi. Poi premette un tasto dello scouter per mettere a fuoco l'idea che aveva in mente. «Allora... lo scouter segnala qualche milione di deboli presenze umane concentrate in quella direzione: deve essere un grossissimo centro urbano. Muoviamoci, lì sicuramente sapranno darci informazioni!».
In occasioni come questa, gli scouter si rivelavano degli utili strumenti di precisione. Seguendo le loro indicazioni, iniziarono la picchiata, preparandosi ad atterrare sul tetto di un edificio. Da lì, saltarono su edifici sempre più bassi per poi scendere di soppiatto verso i marciapiedi; evidentemente, per loro questo era il modo meno appariscente per fare il loro ingresso in città. La guerriera più alta, spalleggiata dalla collega, avvicinò un tizio sulla ventina d'anni d'età, invocandolo con un broncio minaccioso da scagnozza della malavita: «Ehi tu!»
«Dice a me?» chiese di rimando lui, tra il meravigliato e il preoccupato.
«Sì, tu...» rispose Kodinya, avvicinandosi. «Che mi sai dire di Son Goku, il Super Saiyan?»
«Non so di cosa lei parli, signorina...»
«Come? Non conosci l'eroe dello spazio, colui che ha ucciso il potentissimo Freezer?»
Il ragazzo la osservava sbigottito, come si osserva una pazza o un'ubriacona. «Ehm... no, non mi sembra di avere il piacere di conoscerlo...»
Kapirinha iniziò ad irritarsi, e sbraitò, irritata come sempre: «La signorina non intendeva dire che devi conoscerlo di persona, cretino! Ci basta sapere se sai dove si trova!»
«Ehi, piano coi vocaboli gentili, baby!» sbraitò il giovane a sua volta. «Non ho mai sentito parlare del tizio che ha nominato la tua amica svitata!» E alzò i tacchi, lasciandole di sale.
«Insegniamogli le buone maniere! Lo ammazzo io o lo ammazzi tu?» propose iraconda Kapirinha.
«Lasciamolo perdere... per il momento, nessuno schiamazzo.»
Decisero di fare un secondo tentativo. Girarono un po' per le vie della città; Kodinya, adocchiato il prossimo obiettivo, lo indicò all'amica. «Guarda, là c'è un umano di età più matura. Speriamo che sia più informato di quello sbarbatello...» indicando un panciuto signore di mezza età, mezzo calvo e coi baffoni castani, assorto nella lettura del quotidiano su una panchina pubblica.
«Buongiorno, signore. Stavamo cercando un tizio, il potente Son Goku. Saprebbe indicarci la strada?»
«Ma cos'è, una candid camera?» chiese l'uomo.
Le due guerriere si guardarono a vicenda, poi guardarono lui, e Kapirinha rispose: «Non so cosa sia una candid camera...»
«Forza, ragazzina, fai la brava e vedi di non marinare più la scuola. Lo studio è tutto, per il tuo futuro.» ribatté lui, con paternalistica cautela, reimmergendosi nella lettura del giornale.
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Le due se ne andarono, nervose. «Kodinya, ma ti pare possibile che questo pianeta sia abitato solo da imbecilli? Io non so...»
Sentirono una voce bassa che li chiamava: «Pss...! Psss..! Ehi, pollastre!» Si girarono e videro un umano dalla pelle insolitamente nera come la pece, seminascosto dietro un muretto. «Vi serve fumo, vero? Ve lo chiedo perché non avete l'aria delle sbirre e mi sembrate parecchio nervose... siete in super sbatta, vero?»
Le due si guardarono perplesse, poi Kapirinha si avvicinò al nero spingendolo verso il muro con la mano poggiata sul petto. «Sentimi bene, imbecille! Che cavolo vuoi da noi?»
«Ho fumo, erba, crack... tutto l'occorrente per un viaggio psichedelico in paradiso, per distendervi i nervi!» spiegò lui agitando le dita delle mani come i tentacoli di una piovra. «Vi interessa?»
Kodinya si spazientì, lo afferrò per il bavero della giacca e lo minacciò sollevandolo senza sforzo a mezz'aria, stringendolo con le spalle al muro, mentre lui la fissava con volto atterrito: «Bambolo, cerca di darci le informazioni che ci servono! O te lo faccio vedere io, il paradiso!»
«E quando dice che ti farà vedere il paradiso, intende letteralmente e non figurativamente! Hai capito, faccia abbrustolita?» si sentì in dovere di puntualizzare la compagna, con allegria.
«Tu stai zitta, cretina!» la rimproverò l'amica. Poi, rivolgendosi all'altro: «Rispondi a questa semplice domanda: dov'è Son Goku?»
«M-ma io non ho mai sentito parlare di questo Son Goku!!» si lamentò lo spacciatore.
Colta da un'ispirazione improvvisa, l'alta guerriera gli proseguì l'interrogatorio: «Cambiamo domanda. Sai dove possiamo trovare appassionati ed esperti di lotta in questa città? Loro lo sapranno!»
«B-beh, q-questa è la grande Città dell'Ovest, qui c'è la palestra della tartaruga... a-a-alcuni fra i lottatori più in gamba del mondo si allenano lì! S-se volete, posso indicarvi la strada...»
Le due soldatesse di Cooler si fecero dare istruzioni su come raggiungere la palestra. Si avviarono, camminando per le strade cittadine con corrucciata nonchalance: nonostante l'intento fosse quello di non dare nell'occhio, era chiaro che una coppia così stravagante non poteva passare inosservata agli occhi dei terrestri. Chiacchierando, Kapirinha si divertì, come spesso faceva, a scimmiottare l'atteggiamento di Kodinya, usando un timbro di voce più profondo del normale: « “Ti faccio vedere il paradiso!”, “Stai zitta, cretina!” Tu sì che sai fare paura, cazzo!»
«Tesorina, non usare questo linguaggio... lo sai che mi ecciti!» ghignò la guerriera più alta.
«Ssst, non farti sentire...» la ammonì Kapirinha. «Non sappiamo cosa ne pensino delle leccapatate come te, questi cazzo di primitivi autoctoni... non mi sembrano proprio così tolleranti!»
«Bah... come dannazione li chiamava Vegeta? Terroni...?»
«Si dice terrestri, stangona... A proposito di Vegeta, non vorresti andare a cercarlo? Magari è da queste parti.»
«Sì, come no? Cooler mi affida una missione e io me ne vado a cercare Saiyan in giro per il mondo! A Vegeta penserò dopo... prima il dovere e poi il … mmm... piacere...» affermò, leccandosi le labbra.
Chiacchierando in quel modo assurdo, si avvicinarono alla palestra. «Ehi, Kodinya! Non percepisci anche tu queste deboli aure??»
«Sì... sembrano agitate...»
«Saranno terrestri combattenti...!»
«Ahaha, quanto sei cazzona! “Terrestri combattenti”... questa faceva ridere!» rise Kodinya divertita. Per capire il perché di tanta ilarità da parte di Kodinya, basti considerare che, dal suo punto di vista, parlare di terrestri combattenti era come per noi umani parlare di “amebe combattenti”... per lei, umani ed invertebrati avevano le stesse capacità combattive (ossia zero), e il fatto di definirli combattenti la faceva scompisciare dalle risate. Con questo scambio di battute, varcarono la soglia della porta scorrevole della Nuova Scuola della Tartaruga con estrema disinvoltura, come se fossero a casa loro.
«Sembra che si stiano allenando... mah...» commentò Kapirinha.
Kodinya avvicinò un ragazzo, e gli chiese: «Chi è che comanda qua? Facci parlare con il vostro capo.»
Il ragazzo indicò Yamcha e Crilin, additandoli come i suoi maestri. Dopo due secondi, le due ragazze si trovavano difatti davanti ai due giovani maestri.
«Salve, signorine, cosa desiderate?» chiese Yamcha con voce affabile, prima di accorgersi che le due portavano ciascuna scouter sull'occhio uno. Resosene conto, la sua espressione si oscurò leggermente.
«Stiamo cercando Son Goku. Dove si trova?» chiese Kodinya subito, senza preamboli né formalità.
Crilin, reso sospettoso più dallo scouter che dalla domanda, chiese a sua volta: «Chi siete?»
«Senti, non so chi tu sia, e la cosa nemmeno ci interessa. Il nostro sovrano cerca Son Goku e noi glielo dobbiamo portare. Non si discute.» spiegò Kapirinha perentoria, mentre lei e l'amica stavano ritte in piedi davanti ai due umani. Notando che i maestri avevano reagito in modo nervoso, le due gemelle dai capelli verdi, che quel giorno erano in palestra ad allenarsi, si distolsero dai loro esercizi e si intromisero nella conversazione.
«Yamcha, che succede? Vogliono iscriversi alla Scuola contro la vostra volontà?» chiese Ganja.
«Queste due mezze seghe... possiamo sistemarle noi due, se volete!» dichiarò convinta Kaya, mentre faceva scrocchiare le nocche della mano destra nella sinistra.
Per far capire che facevano sul serio, Ganja corse a dare i rinforzi a sua sorella, rivolgendosi direttamente a Kodinya: «Ohè, testina! Hai capito?? Aria... non è posto per te, questo!»
«Che tamarre...» commentò Kapirinha scuotendo la testa, seccata da tutta quella sbruffonaggine.
«Che volete voi due, bei culetti?» chiese Kodinya con uno sguardo agghiacciante rivolto alle due sorelle, raggelando i quattro in un mutismo stupefatto. «Attaccatemi pure, se volete... e sarò lieta di rispedirvi al vostro Creatore...»
«Lascia stare, collega... tu non sai controllare bene la tua forza, lascia che ci pensi io...» la invitò Kapirinha. «E poi lo sai che per questi due moscerini basto e avanzo io.»
«Moscerino a me? Io moscerino?» ripeté Kaya furiosamente incredula, coi due occhi verdi talmente sbarrati che mettevano paura. «Preparati a prenderle, babbazza!» gridò la ragazza, e l'alto volume della sua voce attirò l'attenzione di tutti i presenti che si voltarono a guardare la scena. Poi Kaya, fuori di sé per l'affronto subito, senza pensarci due volte partì all'attacco, cercando di colpire la sua avversaria con un calcio rotante alla testa. La piccola aliena si difese dal colpo opponendo il suo avambraccio celermente e con decisione alla gamba della ragazzina. Kaya avvertì un dolore atroce allo stinco, come se avesse provato a colpire un pilastro di acciaio... con la differenza che, forse, le sarebbe stato più facile scalfire l'acciaio che la gamba di quella creatura. Dolorante, Kaya cadde a terra tenendosi la gamba con le lacrime agli occhi, mentre la sorella accorreva ad assisterla; guardavano Kapirinha, dal volto imperturbabilmente sorridente. «Mortaaaaacci tua! Ma mi spieghi di che cazzo sei fatta??» ringhiò lamentosa la povera adolescente.
Prima che la rissa con le due sconosciute visitatrici degenerasse (eventualità non improbabile, benché dai potenziali esiti penosi!), Crilin – consapevole del fatto che quelle due non erano due combattenti comuni, e la presenza degli scouter confermava questa sua opinione - decise di prendere in mano le redini della situazione. «Adesso basta! Basta con questo linguaggio, basta con le aggressioni e i colpi di testa! Va bene?? Questa è una palestra seria, qua deve regnare la disciplina!» urlò a gran voce, recitando in maniera volutamente esagerata il ruolo del maestro rigido e severo, con l'intento di convincere tutti i presenti a mantenere l'ordine e a non intromettersi.
«Ragazzi...» disse Yamcha, cercando di compensare la sparata teatrale di Crilin interpretando il ruolo del maestro buono e comprensivo, ma serio «...io e Crilin andiamo fuori a discutere con le due signorine, voi continuate i vostri esercizi, altrimenti al nostro ritorno le punizioni fioccheranno.» Quindi, con un cenno della mano, invitò le due visitatrici a seguirlo fuori dalla palestra. Uscirono, e Crilin lanciò un'ultima occhiata all'interno della palestra prima di uscire, per assicurarsi che gli allenamenti procedessero come lui desiderava: vide che alcuni erano tornati agli attrezzi, altri alle flessioni e ai piegamenti addominali, mentre le due gemelle controllavano lo stinco di Kaya.
«Conoscete Son Goku, il Super Saiyan?» chiese subito Kodinya.
«Sì... era un nostro carissimo amico...» disse Crilin.
«Ottimo. Quindi saprete dirci sicuramente dov'è.» incalzò, senza perdere tempo. Era soddisfatta all'idea che le sue deduzioni l'avessero condotta sulla strada giusta.