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"Papà...."
Tutto avvenne in un lampo. Di punto in bianco l'essere iniziò a correre in direzione di Haruko. Hideo lasciò il braccio della bambina e le ordinò di tapparsi le orecchie. Dopodichè il dito dell'uomo premette senza la minima esitazione il duro grilletto del fucile. Il lungo proiettile perforò il ventre del mostro con una forza tale da spostarlo di qualche metro.
Ansimando per lo sforzo e lo spavento Hideo si appoggiò ad una delle pareti della stanza. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla rivoltante carcassa presente sul pavimento. Le viscere di quella creatura erano ben visibili e in circostanze diverse l'uomo non avrebbe esitato a vomitare di fronte ad un tale spettacolo. Ma le esperienze degli ultimi giorni lo avevano decisamente temprato.
Con gli occhi pieni di lacrime Haruko si avvicinò lentamente al cadavere del padre.
Hideo non la fermò. Ormai il pericolo era passato ed era giusto che la piccola piangesse la scomparsa del suo genitore.
La giovane si inginocchiò vicino alla testa del padre e con una delle sue piccole mani iniziò ad accarezzare dolcemente i suoi capelli. Le lacrime colavano copiose dal suo volto, macchiando l'una dopo l'altra la maglietta del genitore.
Fu Hideo il primo ad accorgersi che qualcosa non andava. La testa del mostro reagiva al tocco di Haruko muovendosi lentamente.
-No....Quel coso dovrebbe essere morto...!"
"Haruko! Allontanati da lì!"
Troppo tardi. Con uno scatto fulmineo l'essere si avventò sulla bambina e, prima che Hideo potesse fare qualcosa, le morse due volte il braccio sinistro
In preda ad una furia cieca Hideo si avvicinò a passi svelti all'infetto e colpendolo ripetutamente col fucile lo indusse a spostarsi da Haruko.
"Come hai osato farle del male, bastardo?!"
Dopo aver pronunciato quelle parole l'uomo puntò la canna del fucile verso la testa di quello che fino a pochi giorni prima era un amorevole padre di famiglia. La distanza tra di loro era di pochi centimetri. Non poteva mancarlo.
BANG
Il cranio della creatura esplose in tanti piccoli frammenti.
-....E' finita...- pensò Hideo. La spalla destra gli faceva male per colpa del violento rinculo, ma in quel momento non gli interessava. Doveva sincerarsi delle condizioni di Haruko, anche se sapeva perfettamente che non potevano essere positive.
La bambina era accasciata a terra, non molto distante dal padre. Il suo braccio sinistro era in condizioni a dir poco terribili. I due morsi avevano scavato in profondita nella tenera carne, arrivando a causare la rottura di numerosi vasi sanguigni. Intorno a lei era infatti presente una larga pozza vermiglia.
Hideo sapeva che dopo il morso di un infetto, un individuo adulto iniziava lentamente a perdere le proprie facoltà intellettive. Quel giorno si rese conto che nei bambini il processo si verifica con una rapidità di gran lunga maggiore.
"....Il cane scava nel corpo...Nel corpo..."
-Frasi sconnesse...E' un brutto segno-
Vedere Haruko in quelle condizioni faceva venire ad Hideo una voglia irrefrenabile di scoppiare a piangere. Nonostante la conoscesse solamente da poche ore, l'uomo si era in qualche modo affezionato alla bambina.
-Con tutto il sangue che ha perso dubito che vivrà ancora a lungo...E forse prima della morte farà pure in tempo a trasformarsi in una di loro...-
Fu in quel momento che Hideo si rese conto di poter fare solo un'ultima cosa per aiutarla. Col fucile ben stretto tra le mani l'uomo si posizionò a breve distanza dalla testa della giovane.
Haruko nel frattempo continuava a delirare. Di tanto in tanto sembrava urlare per il dolore e quando lo faceva batteva con forza il braccio sano per terra.
-Sta soffrendo terribilmente...-
"Papà....Compito andato bene...Contento?"
Per quella che sperava essere l'ultima volta in quella giornata, Hideo puntò il fucile in direzione della testa di un altro essere umano. In direzione della testa di Haruko.
"Cartoni animati....Eroe...Cartoni...."
BANG
"Hai proprio ragione, Haruko. Io sono un eroe...proprio come quelli dei cartoni animati."
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Ok, arrivato il momento di inserire il lavoro. Come già detto in precedenza, la storia l'ho basata dal manga breve Blue Heaven. Il personaggio che ho scelto è Yukinobu Sano
http://i45.tinypic.com/14bnqkh.jpg
quello che probabilemente è il primo personaggio positivo mostrato al lettore. L'impressione iniziale è che sia lui il protagonista, anche perché quasi tutti gli eventi iniziali sono visti attraverso di lui. Però quando inizia la carneficina viene messo praticamente subito KO, nonostante abbia la possibilità di interrompere tutto sul nascere. Il resto di quella storia lo scoprirete nella shot comunque. Ho scelto lui proprio perché il tema l'ho trovato perfetto, nel suo caso. Da lettore, ma anche da parte del personaggio stesso, traspare una certa delusione su come si comporti durante la vicenda e, per certi versi, rivelandosi il colpevole di tutto. Per il resto, la storia l'ho ambientata 1 anno dopo e ho cambiato moltissimo il personaggio, cercando di riflettere il più possibile i suoi pensieri sul mondo circostante. Non inizio a postare da questo post perché questa volta il lavoro è lungo e ho paura di non starci in 5 pagine, quindi scusate. Per tutto il resto, spero che la storia riesca a farsi capire, finale soprattutto.
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Gray Purgatory
467 morti. 567 dispersi.
Ti guardi intorno. L’aria ti attraversa la faccia, poi vedi una stanza, forse è tua. Controlli tasche e cassetti, mai che qualcuno ci lasci qualcosa. Anche se questo è poco probabile ed infatti non trovi niente. Vai allo specchio e provi a guardarti, ma è rotto, qualcosa di forte e deciso, forse un gesto di frustrazione o magari un semplice incidente. Deve essere in ogni caso cambiato. Ti guardi le mani e le vedi insanguinate, nessuna ferita ma non vuoi rischiare e così vai in bagno. Cerchi dei farmaci, ma non ne trovi. C’è poca sicurezza nel vivere senza medicine perché se anche impari ad evitare i danni loro non imparano ad evitare te. Poi ti volti. Il riflesso è scostante, la luce va ad intermittenza, forse è guasta, ma riesci a vederti. C’è un uomo che ti fissa. Ti chiedi chi sia. Sai di non essere tu, troppo alto, a petto nudo e, ridi, ha un’espressione estranea nel volto. Ma sai anche che sei tu, devi essere tu perché questa non è altro che la tua condanna e sai che dovrai patirla ogni volta. Un flash ti attraversa la mente e ti getti a capofitto nel mucchio di vestiti per terra. Cerchi qualcosa ma non sai cosa, forse un pezzo di carta o qualcos’altro di importante o forse no, non ne sei sicuro. Poi lo trovi. Un portafoglio, pelle, marca apparentemente pregiata ma procurata da un sobborgo in zona. Molto bravi a copiare, ma era un regalo così non si doveva dire niente anche se lo si sapeva perché è buona educazione mentire ai bugiardi. Lo apri delicatamente. L’azione è automatica e questo ti fa pensare sia il tuo portafoglio perché il cervello si abitua ad azioni e movimenti che dopo andranno di pari passo con il tuo istinto e così nascerà quella che chiami abitudine. Tiri fuori quello che ti serve e getti via il resto. La foto è diversa e mostra altro rispetto a quanto visto prima, ma tu sai che quella stessa foto ti rappresenta come sai che quello specchio non sta mentendo e anche che qui c’è qualcosa di strano e vuoi scoprirlo. Non sai chi sei veramente e cerchi di capire come ti chiami perché in questo modo qualcosa dentro di te scatterà, così sposti i tuoi occhi sulla scritta di fianco e leggi Yukinobu Sano. Tu sei Yukinobu Sano e ora sei chiuso in una stanza con le mani insanguinate e lo specchio rotto. Sai chi sei ma sai anche che non è questa la chiave di volta della tua storia, ed improvvisamente un brivido ti attraversa la schiena. Ti guardi intorno di nuovo perché ora hai paura o forse ti stai svegliando. Ti volti perché senti un rumore molto forte da farti sussultare. Riesci ad individuare l’armadio e quello conferma perché si muove. Sei teso ma devi scoprire cosa c’è dietro e capire se anche questa volta qualcuno è morto per colpa tua. Ti avvicini lentamente ed allunghi la mano verso la porta. Cerchi di far durare questo momento il più a lungo possibile ma devi aprirlo e lo sa anche l’armadio perché si avvicina sempre di più e così accidentalmente lo apri. Vedi una borsa, di grosse dimensioni, aperta a metà e appoggiata sul fondo vuoto. Sposti la testa lentamente al di sopra di essa e tenti di vederne il contenuto. Un occhio ti fissa. Azzurro, cristallino, pallido e lucido. Ti fissa senza mai chiudersi. Dietro quell’occhio c’è una faccia, sopra quella faccia ci sono dei capelli, lunghi e biondi. Dietro quell’occhio c’è morte. Poi si muove.
Ti gira la testa, il mondo intorno a te ruota. Per un attimo ti attraversa il pensiero che tutto questo sia colpa tua, atto a dare una svolta alla tua vita. Precipiti.
<<Cindy…>>
Un debole cinguettio strappa Sano dal sogno. La luce filtra dalla finestra e gli crea fastidio, ma la cosa lo rassicura, visto che ora sa di essere realmente sveglio. Un’altra notte con quell’incubo. Quella storia che lo affligge da 1 anno, esattamente lo stesso tempo passato dall’incidente.
<<Che cosa ci sto facendo qui, in realtà?>> si domanda, affranto, Sano, che si alza e si appoggia alla finestra. La brezza mattiniera è dolce e candida, spinge costantemente la tenda e permette a Sano di vedere l’orizzonte. Un’isola, un arcipelago. Sono ormai due settimane che si trova lì. La vita dopo la Blue Heaven non era stata più la stessa. Tutti quei morti, indiscriminatamente tra amici e passeggeri. Tutti quei folli, che per un briciolo di sopravvivenza avevano iniziato una guerra razziale, scatenando il caos più totale. Ma di chi era stata la colpa? Sano caccia via quei pensieri. Sua moglie, per quanto lo potesse amare, non riusciva a vederlo in quello stato afflitto e sofferente, così gli aveva proposto un viaggio da solo ed in pace, lontano da tutto e tutti. Santa donna. Oltre che ottima moglie, si rivelava anche una brava madre per la loro bambina. Ma questa storia a Sano creava disagio, e sapeva il perché. Il vero motivo per cui era stato mandato in vacanza era legato alla lieve schizofrenia che lo affliggeva da diversi mesi. I medici non avevano trovato nessun vero sintomo, eppure c’erano delle volte in cui Sano si sentiva diverso, assumendo degli atteggiamenti contorti e soprattutto quegli incubi… così realistici e folli da farlo sentire un vero malato. Oppure è questo il suo incubo?
<<Questo è reale? Sono io che sto guardando me stesso o qualcuno sta scrivendo le mie gesta? Chi sta tracciando la mia strada ed i miei atteggiamenti? Chi mi sta guardando ora nel mio piccolo mondo mentre mi muovo e faccio quello che ogni personaggio è destinato a fare? Sono sveglio? Sono io che detto questa storia? O qualcun altro?>>
Blackout.
Ti fa male la testa. Non quello che attribuiresti ad un semplice mal di testa o ad un gioco alcolico con gli amici. E’ qualcosa di più malvagio. Vorresti chiederti dove sei, ma sai che conterebbe poco. La tua vita, ora, è vuota. Meglio fare uno sforzo, in ogni caso. Quella che a qualcuno di molto garbato sembrerebbe una stanza è immersa nell’oscurità, con le finestre oscurate ed il pavimento pieno di ogni genere di cosa. Pare che ogni lampada sia stata distrutta, qualcosa di aggressivo. Per un attimo ti guardi le mani e scopri chi è stato. Le medicine, come nel sogno. Ti giri verso il bagno e noti che la porta è sbarrata <<Questo è assolutamente ingiusto>> ed inizi a staccare i pezzi di legno piantati in modo disordinato con chiodi e coltelli. Coltelli? Ti chiedi da che razza di pessimo venditore te li sei procurati. Trovi il martello per terra e sfili i coltelli, poi inizi a staccare i chiodi.
<<Facciamo mente locale. Sono partito per mia moglie, giusto? E la mia bambina, si. Cosa ci faccio in questo posto? Devo uscire e chiedere aiuto. Questa dannata schizofrenia>> due chiodi si staccano maledicendoti << e questo dannato luogo.
E questi dannati tagli.
E questa dannata porta>> e le tiri un calcio sfondandola.
Che immagine curiosa, quella dell’uomo imbavagliato. Se ne sta lì immerso nella vasca, con gli occhi fissi su di te. Che sia vivo? Gli lanci il martello per accertartene, così quello inizia a sbraitarti contro. Sorridi.
<<Chiedo scusa, lo staff si prenderà tutte le responsabilità>> e ti dirigi a toglierli il bavaglio, facendo nascere un bellissimo arcobaleno di insulti e urla.
<<Sei pazzo! Che diavolo ti salta in mente Sano? Liberami subito razza di malato che non sei altro, hai capito?>>
<<Non ne sono sicuro. Fa parte delle mie priorità?>>
<<Cosa? Che cosa stai farneticando maniaco?>>
Il tizio è poco socievole, meglio tirarlo fuori dal suo bagno. Lo liberi e questo ti fissa.
<<Ma hai idea di chi sono? Hai dimenticato di nuovo tutto?>> chiede.
<<Niente, mi dispiace>>
<<Sono il Dr. Samuel Loomis. Dio… sta succedendo di nuovo. Senti, questa storia deve finire. Hai bisogno di urgente aiuto da parte di una clinica specializzata. Come tuo psichiatra ed amico è l’unica diagnosi che posso trarre dopo tutta questa vicenda.>>
Non capisci <<Aspetti un momento. Cosa intende dicendo che è successo di nuovo? Io non la conosco, ma forse c’entra con il mio problema. E’ successo dopo l’incidente della Blue Heaven, sono diventato schizofrenico, o alienato, i medici non sapevano descrivere la cosa in modo chiaro.>>
<<No, Sano. Ascoltami, questo me l’hai già detto, ma non è vero. E’ tutto falso, è la tua mente che ti prende in giro.>>
Una strana scossa attraversa il tuo corpo. Abbassi la testa e vedi la mano trasformarsi in un pugno, poi lo scaraventi contro il viso del povero Sam che volteggia sul water.
<<Agh che cosa stai facendo!>> ma non c’è più tempo per le buone maniere <<Che cosa diavolo sta succedendo qui? Chi sei tu, e che cosa sai di me e del mio disturbo? Non voglio sentire altre bugie.>> d’effetto, ma attira tutta l’attenzione del vecchio americano.
<<Nessuna bugia! Sei tu che stai mentendo a te stesso. Non mi credi? Cerca nell’armadio, troverai il tuo diario. Me lo dicesti tu, che stavi annotando tutto. Dentro quel quaderno c’è tutta la verità, se proprio non riesci a fidarti, razza di idiota presuntuoso.>>
Oh. Forse vale la pena controllare. Ma un momento. Cos’è questo brivido che ti scioglie la schiena? Non sarà per caso per colpa di quegli incubi? No, non questa volta. Devi farlo se vuoi capire cosa ti sta succedendo.
Vai da quello stupido armadio e comunque hai un attimo di esitazione. Poi lo apri. Un mucchio di stracci, niente di che a dire il vero. Ma eccolo, è lì, lanciato come se fosse spazzatura. Lo raccogli e torni dal vecchio, ora seduto, così lo imiti.
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<<Che cosa intendeva prima, dicendo che sto mentendo a me stesso?>>
<<Ma guarda, che tono garbato. Passata la minaccia diventi gracile come un agnellino. Non ti smentisci. Tu menti a te stesso, ma solo perché non riesci a ricordare. Ci siamo incontrati per la prima volta una settimana fa, qui alle isole Fuji. Tu eri l’addetto alla sicurezza sulla Blue Heaven, io uno psicologo interessato a certi casi, nel mio paese. Così ti ho cercato. Mi dicesti che tua moglie ti aveva mandato qui per reintegrarti nell’ordine sociale, ma come vedi la cosa si è trasformata in qualcos’altro. Ammetto di avere anche io le mie colpe, ma posso almeno dire di essere giunto ad una conclusione, ovvero che tu sei letteralmente pazzo>> ride tossendo <<no, perdonami. Scusa. Hai un grave problema, ma non è quello che pensi. Solo che ci ho provato, veramente, a fartelo capire, ma tu continui a perdere il controllo e a trattarmi in questo modo. Spetta a te quindi. Considerala una seduta. So il contenuto del tuo diario e so che tu stesso hai tentato di risolvere il tuo problema ponendo forse qualcosa di nascosto tra quelle righe. Io non l’ho scovata, tu forse si, non ne ho la certezza, quindi so solo che dobbiamo provarci, Sano. Ora leggi, dalla prima pagina, ad alta voce.>>
C’è qualcosa di incompleto in tutto questo, ma meglio vedere come si evolve la vicenda. Mancano tutte le pagine dall'inizio alla quasi fine, visto che da lì ne mancano due. Senti una lieve fitta al labbro inferiore, mentre il gusto del sangue ti attraversa la bocca. Come un bambino alle prese con la scuola materna, senza opporre resistenza o domandare qualsivoglia cosa, schiarisci la gola ed inizi
<<5 Giugno>>
***
5 Giugno. Escluse le due persone sui lettini, la spiaggia è immacolata, frutto di duro lavoro all’apparenza. Sano si chiede se questo posto così pulito sia tale per l’assenza di spazzatura o di persone.
<<Si metta pure comodo, l’essere a suo agio è fondamentale in questa esperienza.>> recita sorridendo il dottore con camicia ed occhiali da sole. Che brava persona, questo Samuel Loomis. Spunta dal nulla dicendo di essere uno psicologo. Sano nemmeno l’aveva mai visto, uno psicologo. Pare essersi occupato di tanti casi, alcuni piuttosto violenti. Sta nascondendo qualcosa. Sano lo sa perché un tempo era il suo lavoro.
Che caos, l’America, con tutte quelle persone, pronta a scoppiare da un momento all’altro. A Sano viene l’agorafobia al solo pensarci.
Un attimo.
Lui soffre di agorafobia? Cerca di non pensarci. Un’altra malattia nel suo curriculum potrebbe mandare in crisi sua moglie.
<<E’ proprio sicuro che sia necessario? Un luogo appartato sarebbe andato bene lo stesso, sul serio.>>
<<Oh no, questa spiaggia è perfetta. Lei tenta di dimenticare, purtroppo. Il sole, l’acqua e l’aria salina la riporteranno direttamente alla Blue Heaven. Non si preoccupi, è solo per permetterle di stare più a suo agio.>>
<<Starei più a mio agio a casa, a dire il vero. Non importa. Devo raccontarle quello che è successo, quindi?>> Il dottore annuisce <<Bene. Lavoravo alla Blue Heaven da diverso tempo. Quel luogo era la mia seconda casa anche se, lo ammetto, l’ho spesso scambiato come per il mio vero habitat. Quante persone, là dentro, e quanto lavoro. Io ero l’addetto alla sicurezza, ma se qualcuno spariva, anche un moccioso, ero incaricato di trovarlo. Nessuno poteva nascondersi nella nostra fortezza galleggiante, ci piaceva pensare. Quel luogo era come una Las Vegas acquatica, con tutta quella gente e quel divertimento. Avevamo tutto, dal gioco d’azzardo alla vita sfrenata. Ho visto persone di ogni genere ed avvenimenti piuttosto dissacranti, ma faceva parte del mio lavoro. Una notte trovammo un’imbarcazione alla deriva. Il nostro direttore escludeva categoricamente l’aiuto, ma il capitano mise in ballo l’umanità.>>
<<Strano effetto sentire questo da parte sua. Secondo certe mie fonti lei è considerato come una persona sociale e piuttosto incline all’aiutare il prossimo. Da persona a persona, la trovo grezza, Sano.>>
<<Questo perché la mia umanità ha condannato più di mille persone. E lei deve essere più professionale. Non mi interrompa, la prego.
Così scendemmo nell’imbarcazione per perlustrarla. Trovammo un uomo a terra, ancora vivo, disidratato ed in stato confusionale, ma a posto per il resto. Mentre gli altri ne trovavano uno ancora vivo ma con un buco nello stomaco nascosto in un frigo, io diedi un’occhiata dentro. Che razza di idiota che sono stato. Trovai la stanza piena di sangue, dappertutto. Non ne feci parola, un errore che mi porterò fino alla tomba. Tornai su. Nessun altro membro dell’equipaggio fu trovato. Portammo i feriti alla nave, ma la situazione degenerò presto. Quello che trovammo per primo sparì, insieme ad uno dei miei compagni. Non fu altro che l’inizio dell’inferno. Ci diedero delle armi. Quanto odiavo quegli aggeggi. Io speravo di risolvere la cosa il prima possibile, ma feci un errore di calcolo: Cindy, la dottoressa di bordo, aveva visto e parlato con l’altro superstite che intanto le aveva raccontato la storia del primo sopravvissuto, facendo capire che razza di mostro avevamo salvato. Una storia terribile che non starò qui a ripeterle. Così andai subito da lei, ma era troppo tardi. Quella donna non meritava di morire. Nessun medico o in generale chi dedica la vita ad aiutare il prossimo se lo meriterebbe. Quel mostro l’aveva messa dentro un’enorme borsa. Non ho mai saputo come l’avesse uccisa. Ma non importa. Cindy era morta e lui era lì, di fronte a me, disarmato. Cosa ho fatto, si chiede? Assolutamente niente. Gli ho ordinato di mettere le mani sul muro, e l’ha fatto. Ma alla mia prima esitazione mi ha spezzato un braccio e legato come un perfetto idiota. Poi mi sparò ad una gamba, decretando la mia totale uscita di scena da quella storia. Mi prese e mi agganciò ad una delle finestre di babordo. Ed io piansi. Piansi veramente tanto, prima che mi riprendesse. Nel mentre un folle, un altro, aveva iniziato una guerra ideologica e razzista sulla nave. Il nostro amico killer aveva bisogno di me per fuggire e mi portò nella sala comandi. Incontrai un’altra mia amica lì, e so che è sopravvissuta anche lei. Le devo la vita. Se non fosse stato per lei, quel mostro mi avrebbe sparato in testa. Ero pronto per il mio destino. Ero goffo e ferito, dovevano fuggire tutti, ma mi sentivo meglio, almeno, sapendo che potevano fuggire proprio grazie a me. Lei mi salvò convincendo il bastardo ad andarsene insieme. Poco altro da dire, non so il resto della storia. So solo che sono rimasto lì come un’idiota ad aspettare la mia fine, ma a quanto pare la fortuna è stata dalla mia parte, ed eccomi qui.>>
Il dottore tace per un breve istante.
<<Mi parli dell’altro pazzo.>>
<<Ne so pochissimo, in realtà. So che era il figlio del nostro finanziatore, un vecchio tedesco sfigurato da giovane. Non ho mai capito quella gente, con quell’aria di superiorità e l’idea che ogni persona al di fuori della propria famiglia fosse inutile. Quel vecchio sarà pure stato un mostro, fisicamente, tra l’essere incapace di camminare e vedere, ma il figlio non era poi tanto diverso. Era cieco nel credere a quella stupida guerra razziale che aveva cominciato, ed incapace di reggersi sulle proprie gambe partendo dal semplice presupposto che era stato il padre a renderlo così. Non so chi abbia vinto quella folle battaglia, né mi interessa, ma spero per davvero che non sia stato lui. Alla fine sono morti entrambi, ma è per questo che dobbiamo dire di aver vinto noi superstiti? Affatto. Tutta quella gente… erano dei surrogati di quei due. Il tocco di genio del nazista era stato il dire che l’assassino era asiatico. Istintivamente, tutti quanti hanno capito che per sopravvivere bisognava sbarazzarsi di ogni sospetto possibile, senza nessun compromesso. I Killer quella notte non sono stati solo due. No, proprio per niente. Quando guardavo in faccia gli altri sopravvissuti riuscivo a vederlo, quel lampo di felicità negli occhi. In ben pochi hanno davvero evitato la guerra tenendo fede all’umanità. Sto parlando di quelli fuggiti con l’imbarcazione del vecchio nazista. Ma loro si sono semplicemente persi la parte più bella. Un po’ come per me, alla fine. Dubito avrei davvero ucciso qualcuno, se avessi potuto, dopo lo scoppio della guerra. Ma ammetto che i miei principi avevano iniziato ad alterarsi già da quando mi stavano appendendo a quella finestra. Fissavo l’acqua e pensavo alla gravità della mia azione. Mentre le lacrime mi scendevano provavo ad immaginare il mare aprirsi onde evitarle. Ma alla fine sparivano e basta nell’abisso oscuro della mia stupidità.>>
<<Quindi lei prova rimorso per quella storia?>>
<<Sì.>>
“No” pensavo dentro di me. Il dottore credeva davvero che tutta quella sceneggiata fosse seria. Un tempo lo era, ma ora non più. Non provo niente, non sento nessuna emozione. Sento indifferenza. Cosa mi sia successo non riesco a spiegarmelo. Forse mi sono abbandonato a quel senso di inutilità che ho provato quando ho creduto fosse giunta la mia ora, perdendo quel poco di umanità che avevo. Oppure non me ne importa più niente e basta.
***
Ti senti stupido <<Questo significa che le ho mentito?>>
<<Esattamente. Avevi perso il controllo delle tue emozioni. Mi piacerebbe pensare che questo ne riguardasse il solo uso, ma non è così. Io sapevo del tuo stato, ti stavo mettendo alla prova. Ora non lo sai, e di certo nemmeno allora, ma non venni da te solo di mia spontanea volontà. Dal momento che la Heaven girava su acque internazionali, il mio paese si era interessato alla vicenda.>>
Ti viene un’incredibile voglia di ridere, ora che hai capito <<E questo che cosa significa? Cosa c’entro io con quella storia? Non avrebbe senso riportare in auge questa vicenda se... aspetti, non starà per caso dicendo che ero un sospettato?>>
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<<Che sei un sospettato. Bada, uno degli assassini fu ritrovato, il “nazista”, ma dell’altro, quello che ti ferì, non se ne trovò traccia. Il fatto che egli fosse asiatico come te e che tu fossi, be’, una delle persone meglio addestrate ed in forma lì dentro, ha portato una lista di sospetti nei tuoi confronti. Special modo per come tu sia sparito per la maggior parte del tempo.>>
<<Ma è assurdo. Natsukawa, l’amica di cui le ho parlato nel diario, lei è stata a fianco dell’assassino e della mia persona nella stessa stanza. Ha stilato anche un identikit, sono sicuro l’abbia letto.>>
<<Sì, l’ho esaminato. Sano, la tua amica era in stato di shock. Per quanto possa essere stata uno dei pochi superstiti ad essere rimasti dentro la nave, sappiamo con certezza che certi dettagli non ci sono stati riferiti, colpa di alcune falle nel suo racconto alle forze dell’ordine. Senti. Io ho, per certi versi, la completa certezza che non sia stato tu. Mi capisci? Però il tuo disturbo… devo capire se lo soffrivi da prima dell’incidente. So che suona strano, ma neanche la tua di storia aveva molto senso, e come già detto il dubbio principale è dovuto alla tua improvvisa sparizione. Tu hai dei vuoti di memoria, degli eccessi di rabbia in cui perdi il controllo e ti trasformi dimenticandoti cosa hai fatto, una volta risvegliato. Parli di stanza insanguinata, eppure l’hai vista solo tu. Parli di dialogo con il killer, ma mancano prove concrete e fatti. Nella peggiore delle ipotesi, potresti esserti immaginato tutto ed aver tragicamente risposto alla cosa trucidando chiunque ti capitasse a tiro.>>
Ovviamente <<Se fosse così, non teme per la sua vita? Potrei ucciderla qui ed ora.>>
<<Temo per la mia vita, si, ma in modo relativo. Tu sei pericoloso per i tuoi eccessi incontrollati, ma quando ripensi alla vicenda della Heaven per qualche dannato motivo diventi apatico. Se mai ti sei interessato alle vite di quelle persone, prendila come una rivalsa. Aiutami a capire che cosa c’è veramente nella tua testa. Continua a leggere.>> ti chiedi perché questo vecchio ci tenga così tanto.
Quali scioccanti rivelazioni, in ogni caso. Non sai se sia peggio perdere la memoria o ascoltare un vecchio in cerca di dialogo. Però è una cosa seria, quindi ti devi adattare. Anche perché questo luogo ti fa impressione.
***
6 Luglio. Sano sta passeggiando per il centro della cittadina. Luogo tranquillo, il mare riesce a rubare tutto lo stress e la frustrazione. Sano si chiede come reagirebbero tutti di fronte ad un’inondazione. Sicuramente sarebbe qualcosa di eccitante. Tutta quella gente impegnata a praticare la propria routine ed all’improvviso doverla interrompere per una fastidiosa onda gigante che crea disordine e panico. Lui cercherebbe del latte. Passa di fronte ad un bar e crede che sia una buona idea. Al bancone un giovane ragazzo dalla carnagione scura gli chiede cosa desidera. Molto acuto, il suo atteggiamento. Sano si chiede da quanto tempo bada alle origini delle persone. C’entra qualcosa quel discorso fatto dal giovane crucco che si era divertito a fare guerra aperta con quell’altro pazzo, alla Blue Heaven. Fece un bel discorso, qualcosa riguardante il fatto che la nave fosse come la terra e che se ci fosse stato il nucleare, la gente non si sarebbe potuta nascondere. Era morto. Quel lurido razzista.
<<Un bicchiere di latte, grazie.>>
A volte Sano guarda la gente provando a capirne i pensieri. Di suo alla Heaven aveva fallito miseramente con il killer, gettando alle ortiche ogni speranza di salvezza per quelle 1000 persone. Ma cosa può farci, ormai. Il tempo passa e bisogna andare avanti, anche s’esso è una macchinazione dell’uomo. Di fianco si siede una giovane ragazza. Così carina e truccata, non avrà più di 16 anni, nonostante questo agli uomini basti ed avanzi. Più cambiano le generazioni e più queste ragazzine si dispongono a gente più grande di loro. Sarà un virus, o un punto di vista, c’è poca differenza, ma non si accontentano dei loro coetanei. C’è aria di insoddisfazione. O forse è semplicemente Sano che pensa troppo. Dannata schizofrenia. O Apatia. O sindrome di Truman.
<<Sei nuovo di qui?>> chiede guance rosa. Ma che simpatica, a tentare un contatto con un a malapena trentenne che ha sulla coscienza migliaia di morti.
<<Ero nei paraggi.>> taglia corto Sano. Chissà se la ragazzina ha mai avuto rapporti. A Sano lampeggia lo scenario della ragazzina piangente e tenuta legata ed imbavagliata nell’angolo di un bagno. Le lacrime le staccano il trucco mostrando il suo bellissimo ed immacolato volto, mentre tenta di liberare le mani legate dietro alla schiena. Appoggiata di lato, ha le mutandine staccate e pendenti dalla gamba destra, ora inutili, incapaci di coprire quel mondo da cui traspare una chiazza di sper-
<<Il prossimo drink te lo offro io.>> questi dannati ragazzini, così frettolosi.
<<Smamma. E’ tardi per te e circola brutta gente a quest’ora. Non farmelo ripetere.>> forse offendendola, ma questo non importa. Se ne va, in uno scatto al limite del rabbioso. Che eroe, Sano, ad evitare l’amata passiona carnale di un tale e pregiato miele ancora da raccogliere. Tutta questa roba gli fa venire il mal di pancia. Beve il suo latte al sorso e si leva dai piedi. Mancia per il ragazzino, ovviamente.
La città è molto illuminata, ricorda per certi versi le nottate alla Heaven. Sano ha il dubbio di esserci ancora, dentro la Heaven. Il mondo non gli pare così diverso, è solo un po’ più grande. “Non se ne vedeva la fine”, diceva un pianista osservando il mondo dalla cima della sua nave. Forse aveva ragione. Sano si siede su una panchina, perché l’aria è fresca e vale la pena godersela. Un vecchio signore occupa il posto di fianco, intento a leggersi un giornale, o qualcosa del genere. La vecchiaia a Sano crea una strana sensazione di ostilità, a tratti ribrezzo. Devono essere loro le figure sagge che insegnano i dettami sulla vita. Invece si cresce. Si cresce e si scopre che non cambia niente. A parte la presenza degli ormoni, ed anche quello entro certi limiti. Qualcuno oserebbe dire che la saggezza più grande è votata alla ricerca personale, ma sarebbe spietato. Intere generazioni di bambini che affidano i loro comportamenti e la loro crescita ad eroi ed icone che narrano le proprie gesta con noncuranza. Sano non aveva mai creduto in Babbo Natale, eppure tutti lo prendevano in giro per questo. Poi, crescendo, la cosa da parte degli altri era ovviamente cambiata. Almeno si spera. Sano si chiede come si sentirebbe sua moglie se lui le dicesse di credere in Babbo Natale. Prima prenderebbe la cosa come uno scherzo, poi sentirebbe una lieve irritazione mischiata alla vergogna. Se l’irritazione è naturale nelle persone comuni, quella invece nata per motivi “non comuni”, termine tutto da definire, ti crea una piccola figura da schizofrenico. Questo Sano lo sa perché glielo ha detto qualcuno. Sano lancia un’occhiata al vecchio. Ben vestito, con cappello, bastone ed occhiali da diverse centinaia di migliaia di Yen.
<<Che cosa è solito fare, lei, oltre a venire qui la sera e leggere?>> socializza Sano.
Si gira <<Oh, poco altro. Mi godo la vecchiaia. Lei non pare affatto vecchio, anzi, è ancora piuttosto giovane. E’ per caso in cerca di qualche avventura? Ce ne sono tante di persone, qui in giro.>>
Sano sbuffa. Capisce con che razza di persona si è imbattuto. <<Sono totalmente privo di sorpresa.>>
<<Come scusi?>>
<<Cosa faceva da giovane?>>
<<Ah, tante cose. Un lavoro onesto dopo tanti anni di studio. Un giorno mi misi a girare il mondo, senza badare a ciò che poteva succedere. Mi sentivo libero. Tante città, tante persone e tanti avvenimenti. Ora me la passo con calma tra i piaceri dell’età avanzata. Non sembra, ma ci sono diversi vantaggi nell’essere vecchi. Almeno se si sta bene economicamente.>> scoppia a ridere.
<<Ne sono certo. Lei ha mai ucciso qualcuno?>>
Smette di ridere <<Che razza di domande fai, ragazzino? Certi peccati rimarranno sempre vietati. E ora chiedo scusa, ma ho un appuntamento.>> e si alza.
Ironico pensare che quella ragazzina stesse solo cercando di evadere qualcosa di ben peggiore. Si presenta al fianco del vecchio e lui le mette una mano sulla spalla, poi si incamminano. C’è un attimo in cui gli occhi di Sano e della ragazzina si incrociano. Lei è triste.
A Sano gira la testa. Sente il cuore battergli ed il cervello pulsargli, mentre se ne sta seduto su quella panchina. Stringe forte le mani ed i denti. Gli occhi iniziano a guardare intorno in modo incontrollato. Cosa vuole tutta quella gente che passeggia? Un cenno nervoso gli attraversa la faccia, mentre alza le mani e le apre. Sono piene di tagli e sangue.
Non ricordo altro di quella serata. Capii solo che l’indifferenza ha diversi volti. Io non amavo più la compagnia delle persone, eppure avevo creduto che quell’atto di pietà verso la ragazzina fosse tale. L’avevo solo condannata. Il vecchio, poi. Non so perché gli ho parlato. Mi svegliai il mattino successivo sdraiato in un vicolo. Le mani non erano più insanguinate, anche se il vestito era da buttare. Mi alzai e tornai a casa, felicemente sorpreso della qualità del mio nuovo paio di occhiali.
***
-
<<Quindi ho provato qualcosa.>> e ti metti a fissare il dottore.
<<Così pare, ma non è un dato certo. In qualche modo, quella cittadina aveva rievocato in te la Heaven.>> ti chiedi per un attimo come faccia a saperlo con tale certezza, diario a parte <<Ovviamente non un processo definito, ma un insieme di tante situazioni che hai vissuto durante la tua carriera a bordo. Tu provi indifferenza per le persone, eppure non riesci a non pensarci. La ragazzina è l’esempio più pratico, ma anche il cameriere o il vecchio erano per te spunto di pensiero e riflessione. Io credo che tu provi qualcosa per gli altri, ma che non riesca ad esprimerlo pienamente. Il mio grosso dilemma è se tu creda di essere malato per alienarti o, viceversa, ti alieni perché sei malato. A livello medico non presenti nessun difetto, però il cervello umano è sempre pieno di sorprese. Pensa a Charles Whitman, militare in carriera che ebbe l’idea di fare il tiro a segno dalla cima dell’università del Texas. Nessun vero sintomo se non il congedo con disonore, ma quello fa più parte del lato burocratico, che quello psicologico. Lui appariva sano, ed invece esaminando il suo cadavere gli trovarono un tumore avanzato al cervello. Certe cose risulteranno sempre inevitabili, od incalcolabili. Devi ricordartele come certezze nella vita.>>
Lo fissi stranito. Bell’esempio il suo. Avevi letto un articolo sul quel tizio durante il viaggio per le Fuji, sai che non se lo sta inventando.
<<Ma perché ho scritto queste cose? Voglio dire, io so… io sapevo di avere un problema, eppure ero venuto con l’idea di riprendermi da quella storia. Le spiego meglio: ero affranto prima di partire, più gli incubi e tutto il resto. La cosa peggiorò quando mia moglie mi disse di aver programmato il viaggio, ed era senso di colpa. Mai, assolutamente mai avrei potuto gettare tutto all’aria, visto che lo stavo facendo per lei. Dubito che lo sappia, ma io->>
<<Lo so invece. Tu provi ancora dei sentimenti per tua moglie e per tua figlia, me lo dicesti tu stesso. E questo per me è stato il punto fondamentale, ad oggi. La prova che ti incrimina.>>
Ti senti confuso <<… che cosa? Il fatto che io sia empatico nei confronti della mia famiglia sarebbe un pretesto per incriminarmi?!>> le vene ti si gonfiano, le tempie iniziano a battere.
<<So che la cosa risulta difficile, ma nell’ottica generale risulterebbe tutt’altro che indifferente. Facciamo finta: durante il tuo raptus omicida alla nave, tentasti a tutti i costi di trovare un modo di andartene per rivedere tua moglie e tua figlia. So che era appena nata.>>
<<No, non ha assolutamente senso. Mi avete trovato ferito, questo non potete negarlo.>>
<<Certo, ma non si può negare che le ferite potessero essere state applicate da te stesso…>>
<<Cosa diavolo dice? Avevo un braccio spezzato!>>
<<… come è vero che potrebbe avertele applicate il “nazista” con cui ipoteticamente avresti lottato.>>
La testa ti gira <<No… no no no. Non starò qui a sentire le tue stupidaggini vecchio. Voglio uscire. Come diavolo si apre questa porta>> e ti dirigi verso essa. E’ chiusa. Con il bagno ha funzionato, vale ritentare. Ma niente, il calcio non ha effetto. Qualcuno l’ha bloccata come si deve. La chiave. Ti giri verso il vecchio <<Dammela. Non costringermi a farti del male. Dammi subito la chiave.>>
<<Non è così facile. Sei ancora un sospettato. E’ il mio lavoro, mi dispiace.>> dice. Si vede che le botte di prima non gli sono bastate, così ti dirigi verso di lui.
<<Ehi EHI fermo, datti una calmata. Ma non ti vedi? Dai di matto appena si parla della tua famiglia o ti si dice di aver mentito. Io sono dalla tua parte, ma tu stesso sai che non posso lasciarti andare così. Siediti e continua a leggere. Non ti manca molto, anzi, siamo ormai alla fine del tuo manoscritto, visto che il resto delle pagine è assente.>>
Basta con queste bugie <<No, voglio darci un taglio con questa sceneggiata. Pensi davvero che questa storiella dell’essere sospettato funzioni con me? So che mi stai mentendo dalla prima volta che ci siamo visti. Ho letto i fascicoli della Heaven. Io stesso ho contribuito alle indagini su richiesta degli agenti che, a quanto pare lei non lo sa, erano americani. Proprio così, furono degli americani a salvarci, visto che passavamo proprio in acque sotto la loro giurisdizione. Ed il mio diario. Perché mancano delle pagine? Posso anche essere malato a livello psicologico, ma mai distruggerei qualcosa di così importante per me. E' stato lei, vero? Cosa avevo scritto in quelle ultime due pagine? La smetta con questa storia e con le sue accuse da quattro soldi. Che cosa vuole veramente? Perché siamo rinchiusi in questa stanza?>>
Pare aver funzionato, vista l’espressione sulla sua faccia <<Io… hai ragione, perdonami. All’inizio volevo usarti per creare un identikit psicologico, un’idea per un mio progetto, qualcosa che in futuro sarebbe servito nel campo delle indagini. Lo ammetto e ne vado fiero. Non c’è niente di male in quello che voglio fare. Ma più ti vedevo e più la cosa mi affascinava. Voglio solo aiutarti, per davvero. Ma non nascondo che voglio anche studiarti. Le ultime due pagine del tuo diario non erano altro che l'inizio di ciò che sta avvenendo qui e ora. La verità già la conosci, solo che non l'accetteresti senza il dovuto riepilogo, ne sono certo, nonostante non sappia il tuo vero dilemma. Tutte le pagine passate non erano altro che menzogne, come quelle che hai letto poco fa. In ogni caso non ti costa niente, rimanere a parlare con me e tentare di risolvere il tuo problema. Ti ho portato io qua dentro. E’ la tua stanza. Sei svenuto l’altra sera, dopo che te ne sei andato all’improvviso, nel mezzo della cena in onore della Blue Heaven e delle sue vittime. C’ero anche io. Non ti costringerò a rimanere qui, e in ogni caso ti ridarò le pagine del tuo diario. Ti chiedo di farlo per te.>>
<<Ci siamo parlati altre volte? Oltre a ieri sera e alla seduta.>>
<<Diverse, ma niente di veramente significativo. Mi dimenticavi ogni volta, che cosa curiosa. Ho provato comunque a fartelo ricordare, ma non funzionava, e tu eri così dannatamente riservato. Così ho deciso di approfondire la tua psiche man mano, visto che almeno ricordavi la nostra seduta, provando un impulso di fiducia, o quasi, nei miei confronti. Non so perché questa volta te lo sia dimenticato. Forse il discorso di ieri ha cambiato qualcosa.>>
<<Chi mi dice che ieri sera ci siamo davvero incontrati?>>
Usa un filo di voce, come se ti stesse dicendo un segreto <<L’hai scritto sul tuo diario>> e lo indica.
Cosa ti costa, veramente. Forse sei solo curioso, forse è qualcosa di più importante. Quando ha nominato il diario e la sua ultima parte hai sentito voglia di nasconderti sotto il letto. Che cosa buffa. Fallo per la tua famiglia, glielo devi. Ti siedi.
<<Bene. Facciamola finita allora. Spero che il suo progetto abbia successo>> non credi alle tue parole << visto che qui cade tutto a pezzi. Dove eravamo arrivati… ecco, apra le orecchie.>>
***
7 Agosto. Che serata squallida. A Sano hanno detto che è stata organizzata in memoria delle vittime della Blue Heaven. Certo. Scoprire di avere nel proprio hotel uno dei sopravvissuti di quella vicenda aveva mandato in modalità viagra il direttore che ora si trovava tra le mani una miniera d’oro. Sano già se lo immagina. Chiedergli una foto ed una dedica da incorniciare all’entrata. “Colui che è fuggito dal paradiso”. Molto simpatico. La gente poteva farcisi le foto. Chissà se avrebbero realizzato gadgets o altro.
<<Come si sente, signore?>> avanza il cameriere.
<<Come se stessi per affondare. La mia presenza presumo sia indispensabile questa sera.>>
<<Se questo la disturba, allora, ahimè si. Lei stasera è necessario. Si faccia forza, per questa gente lei è un eroe.>> facendo dietro front tra le richieste degli altri tavoli.
Il direttore ci aveva azzeccato, almeno. Tantissime, troppe persone sono presenti alla cena. Per fortuna non aveva chiesto a Sano di fare un discorso, sarebbe stato abominevole. Aveva anche avuto il tatto di lasciarlo sedere solo, in disparte, senza che fosse al centro dell’attenzione con tutti quei pezzi grossi. Forse Sano si sente a suo agio, lì. Ma ovviamente si sbaglia.
<<Eccola, cercavo proprio lei!>> questo dannato dottore. Si siede.
Sospira <<Molto bene. L’ho trovata, finalmente. Lei è proprio un tipo fuggiasco, sa? E’ dalla nostra seduta che non la rivedo.>>
<<Avevo da fare. Credevo che la seduta fosse l’unica situazione in cui dovevamo incontrarci, anche se non ricordo di cosa abbiamo parlato precisamente.>>
<<Vuole dire che si è dimenticato tutto?>>
<<Non proprio. Non so il motivo, ma a volte ho dei vuoti di memoria, che siano avvenimenti o persone.>>
<<Capisco... una cosa pericolosa. Stia attento se non vuole essere sfruttato. Comunque no, non basterebbe una seduta. Per niente. Se si fosse trattato di ordinaria amministrazione, lei avrebbe dovuto vedere la mia faccia almeno 3 volte alla settimana, per un paio di anni. Non mi tratti così, avanti, io sono suo amico.>>
Quella parola per Sano ha perso significato da tempo. Quando era stata l’ultima volta in cui aveva pensato ad una persona come sua amica? <<Ah, capisco. Prima fa il suo lavoro per conto del governo e ora vuole approfittarsi di me. Vuole scrivere un libro? Posso consigliarle qualche titolo, se per questo.>>
Ride <<Non faccia così, io voglio davvero aiutarla. Anche se avevo per davvero l'idea di un manoscritto, ha indovinato. So che se non si supera la barriera umana non potrò fare al meglio il mio lavoro. Sono venuto a parlare con lei da persona a persona, non da psicologo a paziente. Mi venga in contro.>>
Del resto c’è poco altro da fare per Sano. <<Va bene. Avanti, cosa vuole sapere, Sam.>>
<<Sono incuriosito da questa faccenda della memoria, non ha paura di dimenticare le cose?>>
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<<Paura? No, ma non sarei un buon marito ed un buon padre se lasciassi un fatto simile senza soluzione. Non essendo niente di grave, tento di scrivere le mie giornate in un diario, anche se ad oggi sono arrivato a decine di diari diversi.>>
<<Capisco. Ingegnoso. Mi sento un po' malvagio, ma lei in realtà me ne aveva già parlato. Mera curiosità, chiedo scusa. Mi parli della sua famiglia.>>
Malvagio, certo, molto conveniente <<Non ho niente da dirle sulla mia famiglia. Li amo con tutto me stesso e tutto quello che ho fatto fino alla Blue Heaven era per loro. Anche il fatto per cui oggi sia qui, a parlare con lei, lo faccio solo ed unicamente per loro due. Non voglio essere un peso per le mie ragazze. Abbiamo finito?>>
<<No, però capisco il suo disappunto, quindi passiamo oltre. Mi ha parlato solo del passato, eppure non mi ha ancora descritto com’è il mondo ai suoi occhi, ora, dopo l’incidente e dopo questa strana sindrome che l’ha colpita.>>
<<Non credo le piacerebbe.>>
<<Potrei stupirla.>>
<<Come desidera. Da piccolo mi raccontarono una storia, intitolata “La forma della vita”.
“Un giorno il Bruco chiese alla Lumaca <<Saggia Lumaca, tu che sai molte cose, sai dirmi qual è la forma della vita?>>
La Lumaca ci pensò, poi rispose <<Be’, giovane Bruco, la vita è rossa, come un pomodoro.>>
Il Bruco si agitò <<No signora Lumaca! Non le ho chiesto il colore della vita. Voglio saperne la forma.>>
La Lumaca tornò quindi a ripensarci, e disse <<Be’, giovane Bruco, la vita è dolce, come un barattolo di miele.>>
Il Bruco si agitò ancora di più <<No signora Lumaca! Non le ho chiesto il sapore della vita, ma la forma!>>
Così la Lumaca ci pensò molto di più di prima <<Be’, giovane Bruco, la vita è profumata, come una rosa.>>
Il Bruco perse il controllo <<No! Non ho chiesto il profumo della vita.>> e scoppiò a piangere <<Lei non è saggia, continua a non rispondere alla mia domanda, me ne vado!>> e si allontanò.
La Lumaca lo guardò andare via, poi disse <<Oh, giovane Bruco. Sai già la risposta. Felicità, tristezza, paura, rabbia. Puoi vederli, sentirli ed assaporarli. La vita è fatta di tante forme da scoprire ed esplorare.>>”
<<Escludendo che il racconto è incompleto, sa cosa ne penso io, Sam? Che quella lumaca è la bugiarda più grande mai esistita. Il discorso sulle sensazioni ed i sensi… è solo l’autoconvincersi di avere qualcosa da assaporare e condividere. E’ falso. Questo non accade in un mondo grigio. Alla Heaven forse non sarò di certo stato in quello che voi chiamate un mondo normale, ma lì potevo sentire ed assaporare ogni cosa. No, non le dirò com’è il mondo ai miei occhi, semplicemente perché è senza colori e l’unico modo che ho di vederlo è piangere.>> Sano si alza <<Piangere lacrime blu, come il paradiso che mi è stato tolto. Molto conveniente, vero?>> per poi andarsene. Sam guarda il vuoto, senza fare niente.
***
<<Non c’è un’annotazione finale, si conclude qui. Dubito fosse nelle ultime due pagine, c'è ancora spazio. Ironico, se la storia dell’essere sospettato fosse stata vera, quest’ultima frase mi avrebbe incriminato.>> ti senti dire, anche se avresti voluto saperne di più. Ma in fondo sai di sapere tutto, ora.
<<Lo so. Come puoi capire, questa nota finale è piuttosto malinconica. Ma sincera, te ne sarai accorto. Questo come ti fa sentire?>>
<<Colpevole, se la colpa non sa di niente. Tutto questo... tu, io, la stanza. Sta succedendo per colpa mia, vero? E' una specie di punizione.>>
<<E' la verità. Cosa puoi dirmi sul tuo disturbo?>>
<<E’ falso, molto probabilmente. Non ne ho la certezza. Io… sono giunto alla conclusione di non poter fare niente per quelle persone. Ho provato diverse volte a farla finita>> alzi le mani << ma non andavo mai fino in fondo. Io voglio bene alla mia famiglia, ma il senso di apatia nei confronti di quella storia… è la cosa che mi fa impazzire. Non posso fare niente per quelle vittime, ma posso soffrire per loro.>> e per un attimo ti senti veramente realizzato.
<<Finalmente l’hai capito, proprio come pensavo. Non devi più soffrire. E’ finita, torna a casa>> tirando fuori un mazzo di chiavi.
<<No, dottore. L’ho sempre saputo. Tutto quanto. Ed è per questo che non posso tornare indietro.>>
<<Cosa?>>
<<Potrò anche stare in pace con me stesso, ma non posso dimenticare quelle vittime. Ho fatto la mia scelta.>>
<<No, non puoi farlo per davvero. Guardati! Sei quasi morto su quella nave ed oggi sei qui con le fasce ai polsi. Questo non è abbastanza?>>
<<Lo sarebbe se riportasse in vita quella gente, ma non lo è. Devo assumermi le mie responsabilità.>>
<<Lo stai facendo. L'hai sempre fatto. Le tue sofferenze derivano tutte da questo e tu l'hai saputo in ogni circostanza. Pensi che quel vecchio sia sparito nel nulla? La risposta la sai, eppure quella ragazzina oggi potrà vivere una nuova vita. Questo per te non è abbastanza?
<<... no. Non è la stessa cosa. Tentare di aiutare qualcuno oggi non è lo stesso di quello che avrei dovuto fare sulla Heaven.>>
<<E mai lo sarà, ma non puoi nemmeno continuare a soffrire per qualcosa di irreparabile. Oltretutto salvasti tutto il resto dell'equipaggio, attivando le scialuppe di salvataggio. Prendine atto.>>
<<Ma lo faccio! Sto prendendo atto delle mie azioni da quando mi hanno appeso a quella finestra. Il problema è che è tutto bianco o nero. Salvo o condanno. Non voglio. Non voglio avere questa responsabilità. E' meglio per tutti che io stia in disparte, da solo, lontano.>>
<<E' così quindi? Pensi che isolarti ed evitare il prossimo sia la soluzione? Questa tua stupida fuga è un insulto a quelle morti. Non è così che devi fare Sano, e non devo essere io a fartelo notare. Il mondo continua a girare, la realtà a sussistere>> bussa per terra <<e tu non puoi farci niente. L'inevitabilità c'è e basta. Dai un peso alle tue azioni. Non riesci a dimenticarti di loro? Salva il mondo allora! Vai in giro ed aiuta la gente. Scala qualche palazzo per gli orfanotrofi. Brucia qualche parlamento per la società. Dona il tuo sangue, salva i panda, pulisci le spiagge francesi. Fai qualcosa per gli altri, per il mondo ma soprattutto, fai qualcosa per te. Tu non ti meriti questo, non puoi gettare via la tua vita dopo essere sopravvissuto a mille persone. Sarebbe disumano.>>
Qualcosa si muove dentro di te. Per un attimo ti senti commoso come ti succedeva da piccolo vedendo Amuro Ray sul suo Gundam. E te ne stai zitto. Vorresti controbattere, ma l'eco di quelle parole ti riempie il cervello. Forse ha ragione.
<<Aiutare per dimenticare. Mi chiedo se sia la cosa giusta. La prospettiva della vita è più contorta del riflesso di uno specchietto retrovisore, eh?>>
Sta in silenzio col volto serio fisso su di te.
<<Sarebbe pur sempre un atto di tua volontà, come quello che avresti dovuto assumere con quell'assassino. Con gli occhi aperti. Alle volte penso piuttosto che sia pretenziosa come una sgualdrina, la vita.>>
Lo guardi serio anche tu.
Ridete entrambi. Una risata lunga, c'è qualcosa di pacifico lì in mezzo.
<<Penso di avere capito. Rifletterò su questo, ma non fermerò la mia pena.>>
<<L'importante è che sia tu a sceglierlo. Tu e tu soltanto. Ho capito di non poterti salvare, questo mi rattrista. Ma mi basta sapere che avrai coscienza delle tue azioni. Hai gli occhi aperti.>> ti guarda e chiude gli occhi. Sorride.
Sei felice. Ti alzi e vai verso la porta. Esci da quel luogo e per un breve istante ti giri e non vedi niente lì per terra. Poi la porta si chiude. Giorno, ma la luce è tenera. Ti dirigi al parcheggio ed attivi il comando. Un furgone risponde. Ci sali e ti prepari al tuo viaggio.
Una volta dissi che non credevo a ciò che la Lumaca insegnava. Le diedi della bugiarda e rifiutai ogni sua parola. Mentii. 467 persone sono morte, altre 567 disperse, mai ritrovate. Amo la mia famiglia e so che loro provano lo stesso per me, ma non posso fermarmi qui. A bordo di questa macchina, tento di addentrarmi in un mondo grigio, senza colori. Non posso riportare in vita nessuno e questo mi tormenterà per sempre. Ma devo guardare avanti e tentare di fare ciò che posso per chi ha la mia stessa visione del mondo. Perché è ingiusto pensare che il mondo sia solo bianco, nero e grigio. Il mio mondo un tempo ne aveva uno bellissimo, di colore. Non era per tutti, ma io lo comprendevo. Da quell’esperienza ho imparato che le persone sono un insieme infinito di colori diversi. A volte puoi abbinarli, così nascerà qualcosa di unico. E’ il principio della vita. Non crederò nel raid razzista che mi hanno urlato all’orecchio per ore. Non crederò di trovarmi in mezzo a persone senza umanità. Non crederò che quei morti siano dimenticati per sempre. La mia storia non è finita. E’ appena iniziata. E la tua?
Sano si allontana verso il lungomare, guardando l’infinito blu distendersi nel mondo. Prova fastidio nel vedere quella scena, ed un tic gli fa chiudere l’occhio destro, per un breve istante.
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Avviso di aver ultimato le votazioni del precedente turno, quindi, le votazioni che avevo lasciato incomplete, ora ci sono tutte, sempre allo stesso post (pag. 20).
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Io la sto terminando e spero di riuscirci. Eventualmente chiedo una proroga. Adesso sono più o meno ad un quarto.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Light 96
Io la sto terminando e spero di riuscirci. Eventualmente chiedo una proroga. Adesso sono più o meno ad un quarto.
Io ho fatto ancor meno, ma se la consegna è per l'1 sono a postissimo. Questi giorni non devo far nulla in particolare, quindi posso completare la One-Shot in tutta tranquillità.