Tiscali

Speciale Erica

L'ibridazione fra gioco ed esperienza cinematografica secondo FlavorWorks
Daniele MarianiDi Daniele Mariani (31 ottobre 2017)

Erica, occorre premetterlo, è uno di quei titoli difficili da inquadrare secondo i generi e le logiche classiche con cui chi scrive è cresciuto: un punta-e-clicca "narrativo" e live action di chiara ispirazione Quantic che mantiene come molti altri titoli della stessa scuola l'assenza di un concetto stesso di game over e la possibilità di tracciare un proprio percorso narrativo. Se David Cage ha tuttavia sempre preferito una narrazione “esteriore”, fatta di azione e scene cinematografiche, la flessibilità del progetto di Flavorworks e del suo creatore Jack Attridge si prospetta più come quella di una narrazione psicologica.

Erica
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Erica, la protagonista del gioco, è un'adulta esile e titubante che ancora tenta di superare il trauma di alcune esperienze d’infanzia. La storia inizia con l’improvvisa comparsa di una voce al telefono: una lontana amica di famiglia, convinta che nelle memorie perdute di Erica si trovi la chiave per scoprire l’identità di un criminale omicida. Il giocatore verrà quindi inserito in quello che sembra essere a tutti gli effetti un neo-noir interattivo, con il compito di aiutare la fragile Erica a districarsi in una rete di bugie e menzogne scegliendone i percorsi e il percorso di crescita che ne deriva.

Due sono i pilastri su cui sembra fondato Erica: da un lato, il rifiuto del game design tradizionale e delle logiche di gamification. A differenza di altri titoli Quantic (come ad esempio Heavy Rain), Erica non solo predilige l'approccio narrativo ma postula anche l'immersività come elemento fondante -anche grazie alla decisione di prediligere Playlink per l’immissione dei controlli: l’interfaccia grafica di Erica, infatti, è davvero ridotta al minimo, senza alcuna “icona” dei famosi pulsanti Playstation, o alcun prompt situazionale che identifichi gli oggetti attivabili solamente standone vicino.

Il sistema di controlli è infatti ridotto alla presenza del solo cursore, con cui il giocatore potrà esplorare le varie inquadrature live action come un quadro, tracciando i profili degli oggetti, spostando il fuoco dell’inquadratura e percependo il senso della profondità dei vari ambienti in un modo non del tutto dissimile alla navigazione in prima persona di Google Maps.

Il secondo pilastro di Erica è invece quello dell’accessibilità e della ibridazione con le più familiari esperienze cinematografiche: il titolo, progettato e costruito come una esperienza da vera e propria “movie night”, è stato cucito attorno alla soglia di attenzione dello spettatore cinematografico ed è concepito come un “invito” verso i non gamer anche nel già citato sistema di controlli –dove ogni azione è costituita da una serie di gesti semplici ed intuitivi da compiere attraverso lo smartphone (sia essa la drammatica apertura di uno zippo o il lento aprire di una porta), e il proseguire fra una scena e l'altra scorre senza alcuna interruzione visiva.

Erica - Immagine 1
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Persino il ritmo dell’azione appare studiato più attorno ai canoni del cinema che a quelli del videogioco –con inquadrature lente, primi piani intensi e gesti lenti e deliberati: pur mantenendo il sistema di interazione e gli enigmi ambientali, i designer sembrano aver voluto evitare a tutti i costi le numerose situazioni di stallo mentale o creativo tipici del genere punta e clicca -prediligendo un nuovo tipo di flow basato su suspance ed una immersione più narrativa che ludica.

Che dire? Come molti altri titoli prima di esso, Erica sembra inseguire la famosa chimera dell’ibridazione fra gioco ed esperienza cinematografica, partendo tuttavia dal lato cinematografico e live action e puntando a realizzare quello che è a tutti gli effetti più un vero e proprio “film interattivo” che un videogioco. L’utilizzo di Playlink e dei controlli via smartphone contribuisce sicuramente a mantenere il titolo ben radicato sulle nostre console e nell'esperienza Playstation in generale; forse è questa la ricetta che potrà dare finalmente dignità (ed un punto d’inizio) a uno dei tanti “santo graal” del settore?