Un racconto lontano dalla realtà di oggi
Selma ci racconta la storia di Martin Luther King Jr. in uno dei suoi passaggi più importanti. Il film si concentra infatti sull'importantissimo confronto tra Lyndon Johnson e King, raccontando quello che sta dietro la famosa marcia da Selma a Montgomery. Una tappa fondamentale, servita ai neri d'america per raggiungere il diritto di voto legittimo.Per raccontare uno dei momenti salienti della storia degli Stati Uniti d'America, Ava DuVernay sceglie forse la strada più semplice. Intendiamoci, il film scorre, racconta con passione e sincerità la violenza, la voglia di cambiamento e la paura che si viveva in quel periodo.
Per farlo però sceglie la strada più semplice, quella asciutta, diretta, in cui alla fine non si riesce quasi a puntare il dito contro nessuno. Sebbene il male, inteso come razzismo, nel film venga trasmetto al pubblico da personaggi come il governatore George Wallace (un brillante Tim Roth) o dalle cariche della polizia e dei razzisti, che si spingono a picchiare altri bianchi a loro volta; il film alla fine riesce quasi ad assolvere tutti, donando alla pellicola quella sensazione di perbenismo dove tutte le parti tirate in causa, in un modo o nell'altro, vengono alla fine perdonate per quello che hanno fatto.
Se quindi da una parte troviamo dei concetti marcati e ben visibili come la non violenza e la voglia d'uguaglianza - grazie anche a delle prove degli attori più che buone e scelte di regia azzeccate - dall'altra manca totalmente quella voglia di osare e di raccontare le scomodità che invece sono tutt'oggi presenti nel mondo che vivono gli Stati Uniti ma non solo.Citando alcuni passaggi del film, i discorsi e le arringhe fatte da David Oyelowo/King sono ricche di enfasi, dettate da tempi giusti e raccontate con la stessa passione del vero Martin Luther King, ma danno l'idea, troppo spesso, di parlare di un qualcosa che ha già il sapore della vittoria.
Ecco. La patina di vittoria che si assapora per tutto il film, richiama proprio quella voglia di non osare da parte della regista e dello sceneggiatore Paul Webb. Oltre al somigliante (in maniera assurda!) Oyelowo, gli altri attori coinvolti come Oprah Winfrey - che ha avuto anche un ruolo importante nella produzione del film - o Cuba Gooding Jr., non riesco a spingere le loro performance oltre lo stretto necessario, trasformando il tutto in 128 minuti di asciutto racconto storico dei fatti.
Detto questo, il film preso per quello che effettivamente è: funziona, si lascia guardare per tutta la sua durata e ha il pregio - al di là della voglie di spingersi oltre - di mettere sotto i riflettori dei momenti che meritano di essere scolpiti nella memoria di ognuno di noi. Rimane comunque un certo rammarico, perché osando di più, Selma poteva essere lo strumento ideale per sensibilizzare i più verso un problema che ad oggi, nel mondo, è ancora fortemente marcato. Qui forse viene fuori proprio quell'ipocrisia che Hollywood - specchio tante volte della società americana - spesso ha utilizzato a suo favore, lasciando a dei freddi numeri sotto forma di didascalie, la realtà odierna dei fatti. Ma qui si aprirebbero discorsi decisamente più complessi, e forse neanche lotanamente immaginati nel “sogno” di Martin Luther King.
Selma è un film che racconta in maniera diretta e storicamente ineccepibile quanto successo nei primi anni di lotta per i diritti di voto da parte dei neri d'america. Il film della DuVernay si limita quindi a portare su schermo qualcosa che semplicemente racconta dei fatti, tralasciando quella voglia di osare e denunciare che molti, probabilmente, avrebbero gradito maggiormente.