Se solo la difficoltà fosse stata un pelo più elevata, probabilmente il bisogno di cooperare ne avrebbe giovato
Ce ne fossero stati di più, magari la campagna sarebbe risultata più digeribile. Il problema principale è proprio la digeribilità: se il gioco può risultare monotono in più di una situazione, è proprio a causa della nuova natura del gioco, che ha costretto gli sviluppatori ad abbandonare l'elemento che più spezzava la ripetitività nei prequel: l'esplorazione. La telecamera fissa ha così cancellato del tutto strade secondarie e collezionabili degni di nota (qualche extra è rimasto, ma è veramente poca roba). Dimenticate quindi gli enormi mondi da esplorare e ri-esplorare (ad esempio quando si è entrati in possesso di un gadget che poteva tornare utile anche in precedenza), perché ora si finisce sempre tutto con qualche mazzata e qualche enigma mai troppo impegnativo.
L'ultima introduzione degna di nota è il Vac-U, un gadget simil-aspirapolvere capace di risucchiare gli alleati e di spararli in lontananza. Molto utile quando si è in prossimità di voragini impossibili da superare con un semplice salto, per dirne una. Anche qui, però, il suo utilizzo è piuttosto guidato. Appositi segnalini ci indicano quando e dove va utilizzato, togliendo al giocatore anche l'ultima possibilità di usare un po' di materia grigia. Il Vac-U, dipendentemente dalla situazione, può anche trasformarsi in un rianimatore (nel caso un compagno cada in battaglia) o in un aspiratore di casse e “segreti” vari.
Graficamente, non ci sono particolari passi in avanti rispetto alle precedenti apparizioni. Anzi, l'impressione generale è che, per poter creare un frame-rate stabile anche con 4 giocatori, sia stato alleggerito tutto il resto, soprattutto sul lato texture. La vecchiaia del motore inizia sicuramente a farsi sentire e se, nella sua apparizione di svariati anni fa, il primissimo Armi di Distruzione risultava forse quanto di più bello disponibile sulla console, oggi come oggi non possiamo più dire lo stesso. Fortunatamente, ci pensa il solito, ispiratissimo comparto artistico a risollevare il tutto, con colori vivaci ed ambientazioni sempre affascinanti. Il sonoro regge il passo senza mai farsi riconoscere troppo, eccezion fatta per il doppiaggio, anche stavolta impeccabile. Tra le tante cose, sottolineiamo il ritorno di Simone d'Andrea (il primissimo doppiatore, per chi non lo sapesse) nei panni di Ratchet.
12
7
“Tutti per Uno”è un continuo susseguirsi di “bello, ma...”. Una trama divertente, MA poco incisiva. Sparatorie cooperative, MA poco varie e profonde. Tante armi, MA poco personalizzabili. Enigmi da risolvere in compagnia, MA troppo facili. Ma, ma, ma. La sensazione finale è quella di trovarsi ad un gioco che ha buttato via quanto fatto di buono nel precedente decennio per intraprendere una strada di cui neanche gli sviluppatori erano pienamente convinti. Le idee alla base del prodotto ci sono, ma niente è stato sviluppato a dovere, lasciando il tutto in un baratro di continui nulla di fatto, in un vortice di simpatiche intuizioni mai portare avanti quanto dovuto. E, inutile dirlo, è un peccato. Il gioco è comunque divertente, soprattutto se goduto in compagnia, e una buona metà del gioco è abbastanza varia da mantenere sempre alto l'interesse. Non sappiamo se ci saranno altri Ratchet dopo questo, ma possiamo solo sperare che chi di dovere impari da questi banali errori di gioventù. O che torni sulla vecchia strada, se proprio dobbiamo essere schietti.



