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Recensione Prince Of Persia: i due troni

Il Principe è diventato schizofrenico...
Antonio Norfo Di Antonio Norfo(14 dicembre 2005)
Il Principe scala le pareti con la consueta agilità che elude le leggi della fisica; del resto, tutte le acrobazie del suo repertorio lo stanno“adesso”conducendo verso i tetti più alti della corrotta capitale mesopotamica.
Un rapido sguardo all'ambiente circostante e la meta è presto individuata: con un balzo virtuale il giocatore afferra una fune che pende dall'alto. In basso, intanto, un guerriero demoniaco armato di tutto punto è a guardia di un vicolo polveroso; a testa in giù, allora, il rampollo di Persia si cala verso la sua preda oramai designata. Mentre lo schermo, annebbiandosi ai lati, ci avverte una volta giunti in prossimità del nemico, quest'ultimo è ancora ignaro della fine che lo attende (prova ne sia il battito del cuore inalterato). Poi, una rapida pressione di tasti ed ecco che una “speed kill” è stata eseguita con successo e spettacolarità. (Cronaca dal gioco).
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Le "Speed Kills" rappresentano e un'alternativa alle combo del "Free-From Fighting" e un modo con cui variegare l'esperienza di gioco. L'IA non sarà illuminante, ma il risultato è comunque apprezzabile.
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Tornato dall'Isola del Tempo, il rampollo di Persia è chiamato a fronteggiare uno stato di guerra in quel di Babilonia.
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Le sessioni a bordo di bighe stentano a convincere, pur essendo adrenaliniche e giovando dei benifici delle sabbie del tempo in caso di errore (sono così sminuite le malefatte del trial & error).
Le moderate novità di “Prince of Persia: I Due Troni”, fra le quali spiccano gli attacchi “stealth” di cui sopra, sono indice di come il terzo capitolo della trilogia principesca sia in fin dei conti la sintesi ideale dei due episodi precedenti. Un fatto, quest'ultimo, di cui già si era accennato nell'anteprima di alcuni giorni fa (scritta in seguito alla prova di una versione preliminare del gioco).
Quello di Ubisoft è stato per l'appunto un approccio di assoluta diplomazia, tale da accontentare potenzialmente gli appassionati formatisi sia con “The Sands of Time” prima, sia con “Warrior Within” dopo (i quali titoli rappresentano per così dire tesi ed antitesi del nuovo corso tridimensionale della serie).
Laddove si sono finalmente accettati tanto i diktat audiovisivi del primo quanto l'evoluzione del battle system del secondo, da ambedue i prequel, cosa invero più importante, si è ereditata quella che a ragione viene considerata forza motrice dell'opera ideata da Jordan Mechner.
Ci riferiamo a quell'anima platform senza la quale non staremo neppure a parlare della rinascita di una serie che, per quanto soggetta giocoforza al deja vu, sarà ricordata con nostalgia negli anni a venire.

Cosicché, al fine di assecondare quest'indole avventurosa, gli sviluppatori hanno pensato (se bene o male lo decida chi legge) di combattere il back tracking con un male ritenuto minore (ossia l'accentuata linearità) ed hanno inoltre ascoltato tutti quei giocatori annoiati in passato dal cozzare delle lame (giacché gli attacchi scagliati di soppiatto snelliscono e di molto la pratica bellica).
Quanti invece apprezzino e padroneggino secondo coscienza le varie combo messe a disposizione, potranno, qualora concesso, aggirare le uccisioni rapide ed affrontare gli oppositori con tutte le offerte del redivivo “Free-From Fighting”.
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I Boss ribadiscono l'anima avventurosa e platform di Prince of Persia. Nell'Arena, ad esempio, si dovrà raggiungere una posizione elevata e poi, in un secondo momento, attaccare il nemico.
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L'atmosfera è sontuosa e mediorientale. Prevalentemente punta sui giochi di luce, ma non si priva per questo di locazioni più oscure (sulla falsariga di quelle viste in "Spirito Guerriero").
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Maggiormente propenso alla mattanza di demoni, il "Dark Prince" non disdegna i puzzle ambientali tipici della serie. La catena, in questi casi, è davvero un'arma in più.
Prince of Persia, comunque, è prima d'ogni altra cosa un continuo studiare le ambientazioni per poter capire come avanzare tra una trappola e l'altra (pertanto la visuale panoramica svolge il duplice ruolo di meravigliare e di aiutare il fruitore). Più le aree di gioco si sviluppano in maestosità, più queste risulteranno pregevoli agli occhi ed ai pad dell'utenza, ammaliata peraltro da un'atmosfera mediorientale che può ora vantare, aldilà degli ottimi giochi di luce, anche un appropriato accompagnamento musicale (fortunatamente non più cacofonico come quello sopportato l'anno scorso).
A tal proposito, la lode la meritano le architetture come sempre ben studiate, sia per la bellezza visiva di cui si fregiano sia per il ruolo che assumono nell'economia di gioco. Sul versante grafico si segnalano magari delle note stonate (alcuni personaggi, infatti, non sembrano poi troppo generosi quanto a numero di poligoni e cura anatomica), ma complessivamente non si può non parlare di un lavoro artisticamente eccellente.

Dal canto suo, invece, la trama non riesce a stupire a livello di contenuti (impresa in fin dei conti ardua), eppure il metodo con cui il racconto si sviluppa, tra monologhi e doppie identità emergenti, merita sicuramente l'attenzione di tutti (peccato per un parlato italiano a tratti insoddisfacente).
Tutto ha inizio con il ritorno in Babilonia del Principe, accompagnato dall'Imperatrice del Tempo in persona e suo malgrado costretto a fronteggiare un inatteso stato di guerra (e non uno di agognata pace).
Qualcuno gli ha infatti usurpato trono e città e, per giunta, l'amata e formosa Kaileena gli viene sottratta da mani impure ed al servizio del male. L'abuso delle sabbie temporali ha inoltre generato nel Principe di Persia una seconda personalità, più crudele e sprezzante di quella “aladdinesca” vista ne “Le Sabbie del Tempo” e invero più affine -ma non certo identica- a quella poco apprezzata in “Spirito Guerriero”.
Eppure non è esteticamente e caratterialmente che queste due “maschere” assumono effettiva rilevanza: se nel capitolo antecedente erano le locazioni a distinguersi per ombra e luce, con effetti ludici che ricordavano i due mondi di “A Link to the Past”, ora si avrà a che fare con due distinti personaggi.
Uno, quello noto, capace di usare due lame e di raccogliere da terra i ferri nemici; il secondo, il “Dark Prince”, equipaggiato con un pugnale ed una catena.
La nuova arma a medio raggio concede una diversa interazione anche con gli ambienti (facendo raggiungere, in stile Indiana Jones, luoghi altrimenti preclusi), ma si può affermare tranquillamente che la versione oscura del Principe abbia maggiori propensioni all'Hack & Slash piuttosto che all'esplorazione dei livelli. La sua energia vitale, d'altronde, decresce col tempo e solo le nuvole di sabbia rilasciate dai caduti (o da casse ed oggetti simili) possono ripristinare l'apposita barra (una volta a contatto con l'acqua, la metamorfosi -effettuabile solo per volere della trama e non del giocatore- avrà termine).

L'esperienza globale, infine, è arricchita da boss di tutto rispetto e da corse a bordo di bighe.
Quest'ultime sessioni, pur essendo adrenaliniche (occorrerà, ad esempio, scacciare quanti abbordino il mezzo di trasporto e costringere all'impatto le bighe “antagoniste”) paiono come scollegate con il resto dell'avventura (è possibile, pure qui, ricorrere ai poteri cronologici delle sabbie per riavvolgere il tempo in caso di errore). O almeno, questa è stata l'impressione di chi scrive. Un'impressione per il resto più che positiva, figlia in fondo di un gioco che ha il pregio di intrattenere davvero dal prologo ai titoli di coda.
Così come ha fatto la trilogia tutta, costante per qualità (le diversioni estetiche contano fino ad un certo punto) e degna di un aggettivo, memorabile, oggigiorno sempre più raro.
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Gli effetti delle sabbie temporali faranno nascere nel Principe una seconda personalità, invero più crudele e sadica di quella aladdinesca de "Le Sabbie del Tempo".
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La bella è formosa Kaileena, Imperatrice del Tempo, viene rapita da mani impure in seguito alla distruzione del vascello in cui si trovava. Corri Principe, corri a salvarla.
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Prince of Persia è, prima di ogni altra cosa, un continuo osservare le locazioni al fine di capire come procedere tra una trappola e l'altra. "I Due Troni" di certo non delude.
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“Prince of Persia: I Due Troni” si presenta come la ponderata sintesi di entrambi i prequel. Di “Warrior Within” si sono conservati il “Free-From Fighting” ed il dualismo fra luce ed ombra (non più applicato alle locazioni ma al protagonista stesso); da “Le Sabbie del Tempo” si sono invece ereditati i diktat audiovisivi (l'atmosfera non è più prevalentemente tenebrosa e cacofonica come l'anno scorso, ma spesso soleggiante e spiccatamente mediorientale). Ottimo l'innesto delle “speed kills”, mentre le corse su bighe non convincono granché. O almeno, questa è stata l'impressione di chi scrive. Un'impressione per il resto più che positiva, figlia in fondo di un'esperienza ludica che ha il pregio di intrattenere davvero dal prologo ai titoli di coda. Così come ha fatto la trilogia tutta, costante per qualità (le diversioni estetiche contano fino ad un certo punto) e degna di un aggettivo, memorabile, oggigiorno sempre più raro.
voto grafica8,5
voto sonoro8
voto gameplay8,5
voto durata7,5
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