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Recensione Paradise

L'Africa nera secondo Sokal: inferno o paradiso?
Pietro Puddu Di Pietro Puddu(30 maggio 2006)
Dopo Amerzone e i due Syberia, Benoit Sokal torna a diffondere il verbo dell'avventura grafica, insistendo sulle atmosfere rarefatte degli scenari naturali; all'insegna della continuità, la giungla sudamericana e le lande innevate dell'nord-est europeo cedono stavolta il passo all'Africa nera, il territorio selvaggio che in tante occasioni ha ispirato letteratura e cinematografia.
Paradise narra l'odissea della figlia del re della Maurania, sopravvissuta al disastro aereo che ha posto fine anzitempo al suo viaggio di ricongiungimento con il monarca in fin di vita; ripresi i sensi presso un sontuoso palazzo dall'architettura orientaleggiante, la ragazza scopre di essere vittima di una completa amnesia, e assume l'identità di Ann Smith, l'autrice dello strano diario facente parte dei suoi pochi oggetti personali recuperati. Da qui ha inizio la sua storia, intrecciata agli sviluppi preoccupanti di una feroce guerra civile e segnata dall'incontro con un leopardo, incarnazione dello spirito ancestrale e travolgente della foresta vergine.
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Il gameplay della creazione di White Bird Production non si discosta dai canoni classici del genere; la recente tendenza alla tridimensionalità poligonale e al sistema di controllo in stile action è stata del tutto ignorata, in favore del tipico approccio punta e clicca associato agli scenari disegnati a mano. La chiave di volta del gioco consiste, come prevedibile, nella risoluzione di diverse tipologie di puzzle, che fungeranno da ostacolo al dipanarsi della trama e che si potranno ricondurre in sintesi a tre principali varianti, di solito combinate: l'utilizzo dell'oggetto appropriato nel punto corrispondente, l'interpretazione del funzionamento di dispositivi meccanici e l'estorsione di informazioni determinanti dagli interlocutori comprimari. Le prove enigmistiche non offrono un alto livello di sfida, restando vincolate a procedure logiche e a spazi d'indagine ristretti; tuttavia, permane una vaga sensazione di dispersività e si avverte il peso di un'eccessiva lentezza negli sviluppi della narrazione, che soprattutto inizialmente stenta a decollare a farsi realmente avvincente. Tale debolezza comunicativa può essere connessa anche al ruolo interpretato dai dialoghi, doppiati in italiano con alterne fortune; scelte multiple piuttosto schematiche non riescono a nascondere una certa superficialità negli scambi di battute, con il risultato di presentare personaggi, Ann Smith compresa, quasi monodimensionali.
Una piccola variazione sul tema è introdotta dal controllo del leopardo in apposite sezioni di gioco; peccato per la trascurabile – se non inesistente – integrazione con il resto dell'esperienza, palesata senza pudori dalla possibilità di saltare a pie' pari, con la semplice pressione di un tasto, le escursioni nei panni del felino.
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L'interfaccia, in apparente contrasto con la sua intrinseca semplicità, soffre di frequenti ed oltremodo indisponenti imprecisioni; il tradizionale cursore con cui esplorare il fondale, mutevole nell'aspetto a seconda dell'oggetto interagibile evidenziato, tende a seguire comportamenti bizzarri, facendo fatica ad assumere con prontezza le fattezze contestuali appropriate e rendendo arduo il puntamento a causa di uno spostamento spesso scattoso. L'attivazione dei congegni, il passaggio tra schermate successive e la raccolta di items possono passare da azioni di routine a noiosi grattacapi, essendo costantemente associate ad un ricerca davvero millimetrica di hot-spots quasi puntiformi, occultati con malizia in zone oscure; altre spiacevolezze sono riservate dall'inventario, che potrebbe fare le bizze impedendo la selezione dell'oggetto necessitato, al movimento della protagonista, non privo di inciampi, e alla sparizione nefasta di interazioni imprescindibili per il proseguimento nel gioco.
Una patch correttiva potrà in breve ovviare agli inconvenienti legati al superficiale beta-testing, ma davanti a bugs di entità macroscopica, i primi acquirenti del codice completo non potranno evitare di storcere il naso e di sentirsi presi in giro.

Per quanto concerne l'impatto estetico, Paradise è anacronistico.
A prescindere dalla cura artistica testimoniata da grandiose cut-scenes e da sfondi bidimensionali sempre dettagliati ed evocativi, è l'eccessiva staticità delle composizioni sceniche a suscitare perplessità; gli elementi animati, l'illuminazione in tempo reale ed in generale tutti quegli artifici grafici che sarebbero stati in grado di rendere viva e credibile l'ambientazione sono assenti o comunque ridotti ai minimi termini, rendendo l'esperienza visiva assimilabile alla contemplazione di una serie di diapositive.
La risoluzione dell'immagine, nel 2006 ancora misteriosamente limitata agli invalicabili 800x600 pixels, e le animazioni dei rigidissimi modelli poligonali, ridotte all'osso e malamente raccordate, completano un quadro d'insieme che dalla genuina sobrietà tende a sconfinare nell'obsolescenza.
E' un vero peccato constatare come l'ispirazione del disegno e la mole di lavoro profusa nella creazione dell'affascinante contesto africano risultino compromessi da fattori puramente formali e da parecchie, rimediabili trascuratezze.
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Paradise entra con rammarico nel novero delle cosiddette occasioni mancate; Benoit Sokal non è riuscito a bissare gli esiti positivi delle sue precedenti sperimentazioni nel campo delle avventure grafiche, confezionando un titolo che mantiene su alti livelli la sola capacità di evocare atmosfere sognanti e sospese nel tempo. Tutto il resto lascia interdetti: l'impianto tecnologico tanto clemente con i PC attempati quanto dimesso in termini generali, il gameplay ancorato al pixel-hunting e ad enigmi fin troppo semplicistici, la narrazione a tratti stentata, il cast di personaggi monodimensionali, l'interfaccia compromessa da una quantità preoccupante di bug ed imprecisioni. Peccato.
voto grafica6,5
voto sonoro7
voto gameplay5,5
voto durata6,5
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