La perizia dei programmatori non emerge nemmeno nel disegnare scontri tatticamente credibili o divertenti e sfocia nell'abilità di proporre un fps ignorante, convenzionale, qualitativamente trascurabile. Nemici che scompaiono dopo essere caduti in battaglia sono un segnale d'allarme preoccupante, specie se dotati d'intelligenza artificiale risibile e curiosa indifferenza nell'impatto coi nostri proiettili, a cui non consegue alcuna variazione pur infrangendosi in specifiche parti dei loro scarni modelli poligonali. In questi anni Soldier of Fortune 2 ha regalato un unico insegnamento: la localizzazione dei danni. I programmatori EA LA sono stati disattenti durante la lezione impartita. Non meno distratti sono stati durante la conferenza di IA applicata ai bot, per quanto il panorama videoludico mostrasse ben più d'un prodotto che in tal campo avesse da dire la sua. Increduli dinnanzi ad avversari che si nascondono dietro a bidoni esplosivi, siamo portati a pensare che su questi gravino manie suicide. O che la vita gli faccia proprio schifo.La presenza del Dual-Wielding si immola sull'altare della prevedibilità, insieme all'accoppiata arma-granata o al livello di energia auto-ricaricante. Poco male, la scopiazzatura va più di moda dei jeans a vita bassa, ma un sistema di controllo ostico e impreciso ci impedisce di goderci appieno la “sagra del già visto”. Un vero peccato perché lo stesso sistema di controllo rovina la festa ad alcune trovate quantomeno interessanti, associate al GoldenEye, gingillo che nel corso dell'avventura verrà aggiornato con una pluralità di funzioni. Meritano menzione la possibilità di guardare attraverso i muri (e sparare con un'apposita arma), usare lo scudo di polarità per respingere i proiettili, assumere il controllo di armi e dispositivi elettronici telecomandati o altro ancora. Inoltre, l'essere un agente rinnegato apre il portone alle soluzioni meno “politically correct” come prendere ostaggi, crivellare di piombo donne e bambini, spegnere la console dopo il ciclico ripetersi di situazioni analoghe. Pardon, questa era una meschinità. Portavoce di una filosofia fps primitiva, GRA propone una campagna in singolo da otto missioni (nemmeno tante) che, per gli evidenti problemi sopra menzioni, non riesce a catturare il giocatore. Affini problemi che affollano le sezioni multiplayer offline ed online. Il dato è tratto.
Halo è un mirabile esempio di estetica applicata al format videogioco, GRA la malinconica esposizione di modelli poligonali che riuscirebbero perfino a sfigurare con i primi prodotti di questa generazione videoludica, in un comparto grafico che propone più ombre che luci. Le troppe superficialità concessesi dai programmatori in fase realizzativa sono un ostacolo troppo grande per consentirci di esprimerci in termini positivi. Il reparto audio invece, per quanto proponga una colonna sonora in Bond-style, si fa apprezzare per un buon doppiaggio e degli effetti sonori discretamente riprodotti. Ma ciò è ben poca cosa. I problemi evidenziati in sede di recensione, che i fan accaniti potrebbero considerare come un insetto spiaccicato nel parabrezza dell'intera esperienza videoludica, sono in realtà un aquila che si infrange con forza distruggendo anche le più flebili possibilità di avere tra le mani un prodotto qualitativamente positivo. Niente di tutto ciò: Rouge Agent è una pozzanghera di fango e il giocatore si ritrova senza le scarpe adatte, metaforicamente parlando. Il modo più sicuro per uscirne indenni è la celere pressione del tasto power. Oggi la EA ha perso, ma non vuole dire che debba farci l'abitudine.
5,5
FPS costruito con sufficienza che, miracolosamente, evita di infangare il nome di 007 levandolo dalla scena. La faccia invece la perdono i programmatori, il team EA LA che dopo averci traditi con Medal of Honor Rising Sun (su console) e piacevolmente colpiti con Medal of Honor Pacific Assault (su Pc), torna a deluderci in quest'ultima apparizione legata all'universo creato da Ian Fleming. I problemi evidenziati in sede di recensione, che i fan accaniti potrebbero considerare come un insetto spiaccicato nel parabrezza dell'intera esperienza videoludica, sono in realtà un aquila che si infrange con forza distruggendo anche le più flebili possibilità di avere tra le mani un prodotto qualitativamente positivo. Niente di tutto ciò: Rouge Agent è una pozzanghera di fango e il giocatore si ritrova senza le scarpe adatte, metaforicamente parlando. Il modo più sicuro per uscirne indenni è la celere pressione del tasto power. Oggi la EA ha perso, ma non vuole dire che debba farci l'abitudine.
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