Una montagna senz'anima
Everest ci racconta una storia vera accaduta nel maggio del 1996, quando otto alpinisti morirono sulla montagna più pericolosa al mondo per colpa di una violentissima bufera di neve. Oltre alla cronaca, la sceneggiatura di Simon Beaufoy e Mark Medoff si basa anche su un libro scritto da un arpista-scrittore di nome Jon Krakauer che ha preso parte alla spedizione in quel tragico anno.L'Everest è una montagna pericolosissima, durissima da scalare e tomba per circa 220 alpinisti che dalla metà degli anni novanta ad oggi hanno cercato di raggiungere la sua vetta. Non esiste un vero e proprio motivo che spinge l'uomo a compiere questa impresa (se non, a volte, di natura economica). Il gesto è alimentato dalla lucida follia da parte di molte persone di sfidare la natura e se stessi. Un concetto che traspare a fasi alterne nel corso della lunghissima pellicola di Baltasar, che in centocinquanta minuti ci regala un film che lascia allo spettatore sentimenti contrastanti.
Everest, infatti, è un film che vive di contrasti che, esattamente come le motivazioni dei gesti degli alpinisti sopracitati, sono estremamente difficili da spiegare. Si, perché davanti agli occhi abbiamo una montagna viva, incredibilmente realistica nonostante i moltissimi shoot fatti in studi di posa e infarciti di tantissima CGI. Senza troppi indugi possiamo dire che rispetto ad altre pellicole del passato, il film di Kormàkur è in assoluto il prodotto cinematografico, riguardo a questo argomento, più emozionante che abbiamo mai visto. Le riprese ad ampissimo raggio e dannatamente verticali, la riproduzione del clima e i passaggi della bufera con quell'aria rarefatta e quella sensazione costante di estremo, sono tutti elementi che messi assieme trasmettono allo spettatore la sensazione di avere davanti agli occhi una montagna viva, pulsante, spaventosa e dannatamente credibile.
Peccato che tutto questo sia stato in larga parte vanificato da una sceneggiatura che sacrifica sull'altare della bellezza estetica, una trama sciatta e in grado di non dare mai reali spiegazioni, e soprattutto, colpevole di non riuscire a donare quello spessore drammatico e caratteriale ai personaggi che prendono parte alla spedizione.
Nonostante il foltissimo cast, i veri protagonisti del racconto sono Rob hall e Beck Wheaters interpretati rispettivamente da Jason Clarke e Josh Brolin. Due personaggi profondamente diversi l'uno dall'altro e con carriere personali profondamente diverse. La loro immagine oscura poi quella di altri attori come Sam Worthington e Jake Gyllenhaal, che portano così su schermo personaggi che non riescono ad incastrarsi perfettamente all'interno del contesto e creare una sorta di connessione con il pubblico.
Proprio la connessione, l'empatia, il sentirsi preoccupati di o per qualcuno, è quello che manca a questo film. Regista e sceneggiatori demandano il tutto a delle sporadiche telefonate tra Hall, Weathers e le rispettive mogli (interpretate da Keira Knightley e Robin Wright). Non creano Pathos, e il più delle volte risultano fastidiose nello staccare in maniera così repentina dalla montagna, al comfort delle case in cui si trovano le mogli.
Everest










Everest è un film bellissimo dal punto di vista estetico e del comparto fotografico. Grazie a riprese mozzafiato la montagna risulta viva, pulsante e incredibilmente affascinante. Peccato quindi che per colpa di una sceneggiatura troppo confusionaria, e forse non in grado di gestire così tanti personaggi sullo schermo, non si riesce a costruire quel fattore emozionale fondamentale tra il gruppo di alpinisti e lo spettatore.