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Recensione Enter the Matrix

Andrea CaniDi Andrea Cani (9 giugno 2003)
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Cominciando una partita ci viene posta la scelta tra tre livelli di difficoltà e tra i due personaggi principali: Ghost è un guerriero abile nel corpo a corpo ma soprattutto nel maneggiare le armi da fuoco, mentre Niobe, comandante della Logos (la nave più piccola e maneggevole della flotta di Zion), è espertissima nel pilotare qualunque mezzo di locomozione nonché grandissima combattente a mani nude. La scelta di un personaggio piuttosto che l'altro non è puramente estetica: ognuno di essi ha a disposizione un certo numero di livelli di gioco che non sarà possibile affrontare con l'altro. Chi ha intenzione di vedere tutti i livelli e tutti i filmati dovrà necessariamente completare il gioco due volte. Questo non rappresenta di certo uno scoglio vista la velocità con la quale si completa l'avventura principale: un giocatore mediamente esperto non impiegherà più di cinque ore per finire il gioco con un singolo personaggio.
I livelli che dovremo affrontare durante il corso dell'avventura sono divisi in “zone”. L'ufficio postale, per esempio, è la prima zona, la quale, a sua volta, è suddivisa in livelli. Ogni livello avrà come scopo un obiettivo da raggiungere per poter essere completato: trovare un'area particolare, cercare un oggetto, piazzare una carica di esplosivo, scovare un telefono e fuggire dagli agenti sono solo alcuni dei compiti che dovremo svolgere nel corso del gioco. Non sarà, però, possibile salvare all'interno di un livello di gioco: morire significa dover ripetere tutto il livello dall'inizio. Questo non rappresenta un problema nella maggior parte dei casi, vista la brevità della maggior parte degli stessi, ma sarebbe stata comunque gradita la possibilità di salvare per quei livelli, concentrati soprattutto nella parte finale del gioco, che tanto brevi non sono. In sostanza, la struttura di gioco ha due grosse lacune.
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La prima è l'eccessiva frammentarietà dell'azione a causa dei troppi caricamenti tra un livello e l'altro o tra una scena (sia essa filmata o rappresentata con il motore del gioco) e l'altra. La seconda è appunto l'impossibilità di salvare. Il personaggio principale è visualizzato su schermo con una visuale in terza persona. Ma è possibile, premendo il tasto apposito, entrare nella visuale in prima persona con la quale non è possibile spostare il personaggio, ma è senz'altro utile per guardarsi attorno o, meglio ancora, per prendere la mira con più precisione.
L'azione, come del resto era lecito aspettarsi, è spostata pesantemente verso il combattimento corpo a corpo e con le armi da fuoco. Una delle caratteristiche più “cool” del film, parliamo delle scene di combattimento al rallentatore (il famoso bullet time), è qui riproposta grazie al pirotecnico ausilio del focus. In sostanza, oltre alla classica barra dell'energia, abbiamo a disposizione un indicatore, quello del focus appunto, che si esaurisce tenendo premuto il tasto corrispondente. La sua pressione comporta un rallentamento dell'azione , durante il quale il personaggio si potrà esibire in una serie di mosse spettacolari prese di peso dal film, comprensive di camminate sui muri e calci acrobatici degni dell'eletto ormai desto che sta in tutti noi. Non c'è che dire, usare il focus (anche se non è esattamente originale... chi ha detto Max Payne?), sia durante gli scontri a mani nude che durante quelli a fuoco ha il suo fascino, ma riempie di amarezza scoprire che la massima attrattiva del gioco sta tutta li. C'è poco altro, infatti, che meriti di destare il giocatore dallo stato di torpore che si insinua durante la maggior parte della partita.
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