
Originariamente Scritto da
cattivocervello
Io credo che il punto fondamentale stia nell'assumere un dato di fatto per me centrale: la legge non produce coscienza.
Quindi va benissimo il dibattito riguardo alle discriminazioni (tutte le discriminazioni), ma bisogna anche sapere che tutto ciò che viene prodotto dalla giurisprudenza serve a chi ne ha facoltà per sanzionare un comportamento considerato deviante o, nella migliore delle ipotesi, dissuadere dal commettere l'atto stesso. Il che va benissimo, ci mancherebbe, ma questo non serve a far progredire la coscienza morale e la statura etica di chi è sottoposto alla tutela della legge nè, dall'altro lato, di coloro che la infrangono. Con questo non voglio certo negare che la codifica e l'applicazione delle leggi non possa dare una spinta in più nella direzione giusta, ritengo solo che la relazione non sia di causa/effetto.
Il merito del caso di cui parliamo è piuttosto paradigmatico in tal senso: se una legge che sanziona i comportamenti discriminatori sulla base dell'orientamento sessuale (perchè se non ho capito male di questo si tratterebbe) esistesse già, e se fosse stato possibile applicarla per tempo (nunc et semper tasto dolente, va detto) il ragazzo si sarebbe suicidato in ogni caso oppure no?
E se si potesse pervenire con assoluta certezza ad una risposta negativa, in ogni caso il clima di ostilità e non-accettazione in cui m'è parso di capire fosse immerso il ragazzo non sarebbe di sicuro venuto meno, perchè quello dipende, in ultima analisi, dalla moralità e dalla coscienza di ciascuno, oltre che dal tipo di educazione ricevuta in famiglia, dalla pressione sociale esercitata dal gruppo dei pari e da un tot di altre variabili che per loro stessa natura non possono essere nè sancite nè tantomeno controllate dalla dotazione giuridica di un Paese.
Premesso tutto questo, e sperando di non averla fatta fuori dal vaso, bisogna assolutamente abituare i pischelli di oggidì a credere fermamente che la discriminazione fa schifo e fa malissimo a tutte le parti coinvolte, e se non altro abituarli a sperimentarsi in contesti il più possibile ricchi di stimoli sociali tra loro il più possbile variabili.