Pochi minuti dopo, Piccolo atterrò davanti alla casa dove Goku abitava con la sua famiglia, reggendo il suo ex rivale tra le braccia. Si avvicinò alla porta e iniziò a chiamare Chichi a gran voce. Chichi, sentendosi chiamata, accorse subito: fu grande lo stupore quando vide l'alieno verde che le portava il marito così sofferente e privo di coscienza.
«Mostro! Che cosa fai qui??» cominciò a gridare, isterica più che mai; mossa dai suoi pregiudizi contro il demone namecciano, lo assalì con una valanga di accuse: «Che hai fatto a Goku? Dov'è Gohan?? Che gli hai fatto?? Dimmi la verità, non ti azzardare a raccontarmi menzogne! Avete combattuto e hai usato qualche tecnica infame delle tue, giusto??»
Piccolo le rispose a tono, sbraitando seccato anche lui: «Stai zitta, stupida! Se avessi un po' di cervello, capiresti che tuo marito sta molto male! Basta guardarlo! E Gohan è andato a chiamare un medico!»
Chichi, ammutolita, lo guardò con cipiglio accigliato di disapprovazione, poi gli disse: «Muoviamoci... stendiamolo a letto.» Goku, anche da disteso, non smetteva di agitarsi e fremere disperatamente; Piccolo gli strappò la canottiera, per permettergli di respirare meglio.
Dopo la sfuriata a scapito di Piccolo, Chichi cominciò a deprimersi e ad immalinconirsi mentre asciugava e detergeva il sudore corporeo del suo marito; senza che se ne rendesse conto, le lacrime le rigarono il volto. No, così non andava bene: doveva darsi una mossa. Appoggiò l'orecchio sul petto muscoloso del marito, in un gesto di premura e di attenzione insieme: il cuore batteva in maniera dannatamente irregolare. Doveva essere un problema cardiaco, non ci voleva un genio a capirlo. Si risolse a telefonare Bulma: anche se non si erano frequentate molto negli anni, Bulma e le vicende in cui era stata coinvolta avevano sempre trasmesso l'impressione di una donna affidabile, che sapeva giostrarsi in tutte le situazioni; una tipa con una marcia in più, insomma. «Oddio mio! Povero Goku! Lascia fare a me, Chichi... mi metto subito in movimento! Ti terrò informata!»
Poco dopo, Gohan era già lì. Fece scendere il medico dal dorso: infatti lo aveva portato lì in volo.
«Mamma, ho portato il dottore del paese! Quello dei vaccini!» Il dottore era un caprone antropomorfo che, in altre circostanze, avrebbe avuto un'espressione bonaria; indossava un paio di occhialetti, il lungo camice bianco e lo stetoscopio al collo. Entrato in casa, iniziò subito a visitare il Saiyan.
In quel momento, alla Capsule Corporation, Bulma si mise immediatamente in contatto videotelefonico con il Dr. Hatataku, cardiologo di chiara fama internazionale, fondatore di una nota clinica nella Città dell'Ovest: un alto luminare celebre e stimatissimo nel mondo scientifico, probabilmente l'equivalente medico del Dr. Brief, di cui era caro amico. Date le difficoltà (il paziente ed il medico abitavano in due regioni del mondo diverse, quindi Goku non poteva essere subito ricoverato), Bulma si offerse di accompagnare il medico sul posto: una visita a domicilio era la soluzione più celere e meno scomoda per l’ammalato; dopo aver invitato il medico a farsi trovare pronto a partire insieme ad un'infermiera, chiuse la comunicazione e fece un rapido resoconto della situazione a Yamcha, Pual e Olong e diede loro le istruzioni, da brava organizzatrice.
«Yamcha, sai dove abitano Tenshinhan e Jiaozi?»
«Sì, più o meno sì.»
«Bene! Non abbiamo il loro numero, quindi dovrai andare a cercarli! Prendi dalle mie capsule il jet medio! Parti subito! Io vado a prendere il Dr. Hatataku. Poi, mentre siete in viaggio, ricordatevi di chiamare Crilin e Muten... dobbiamo dare a Goku tutto l'aiuto possibile, e anche di più!!» si raccomandò.
«Va bene, cara, non preoccuparti! Ci vediamo direttamente a casa di Goku.»
Bulma si fiondò fuori di casa, aprì l'astuccio porta-capsule e scelse il velivolo che più le faceva comodo. Casualmente, notò nel grande spiazzale nel giardino esterno la navicella di Vegeta, quella dove in quel momento si stava allenando, come di consueto. Strinse nella mano la capsula e, in tutta fretta, decise di avvisarlo. Anche lui aveva il diritto di essere informato di ciò che stava accadendo a quello che lui chiamava Kakaroth, no? La ragazza bussò al portellone della navicella, attese alcuni secondi e Vegeta aprì; Bulma gli spiegò la situazione.
«Balle! Non può essere una cosa grave... un vero Saiyan non può morire di malattia!»
«Pensala come vuoi» rispose la ragazza con tono frettoloso. «Io sto andando lì e, se cambierai idea, penso tu sappia come trovarci. Tanti saluti!» concluse, girando i tacchi e andandosene bruscamente. Sembrava che quel Saiyan volesse di proposito farla irritare ogni volta. In realtà, quella non era una provocazione: Vegeta era davvero convinto che quelle preoccupazioni fossero tutte scemenze, e non voleva lasciarsi sopraffare dall'ombra di inquietudine che tali rivelazioni gli avevano lasciato. Per queste ragioni, decise di mantenersi indifferente e tornare agli allenamenti.
La faccia perplessa e rammaricata del medico caprone mostrava come la situazione fosse per lui incomprensibile: quei sintomi non gli permettevano di capire che malattia fosse; l'unica misura che riuscì ad adottare fu un'iniezione di antidolorifico per sedare l’ammalato come era necessario; mentre era restio a somministrare altri medicinali, in assenza di esami ed analisi, per paura di controindicazioni a lui ignote. Se non altro, l'ammalato aveva smesso di agitarsi e i suoi muscoli erano più distesi. Fortunatamente, nel giro di pochi minuti, Bulma si fece di nuovo viva con Chichi, avvertendola dell'arrivo imminente del cardiologo.
Il medico caprone rimase in casa fino all'arrivo del collega cardiologo, per sorvegliare il paziente: adesso Goku era pallido, il suo respiro pesante e la sua espressione sofferente ma, se non altro, non si agitava più.
Al suo arrivo, Hatataku iniziò una visita completa ed accurata, sotto gli occhi di Gohan, Chichi e lo stregone del Toro, Bulma e Piccolo, nonché il medico caprone. «Questi sintomi non mi convincono per niente. Da un lato potrebbero essere ricondotti a varie patologie che sicuramente hanno colpito il cuore, dall'altro non c'è una patologia specifica che rientri in questi parametri. Sarebbe opportuno un esame del sangue, per cominciare.» Effettuò dunque il prelievo di alcuni campioni di sangue. «C'è un solo modo per accelerare le diagnosi. Andrò da un collega di mia conoscenza che ha un laboratorio di analisi in una città qui vicino e gli chiederò di analizzare questi campioni di sangue; nel frattempo controllerò le banche dati informatiche in cerca di dati e informazioni... non è possibile che proprio io non ne sappia niente! Vi giuro che, nonostante la mia esperienza in materia, non ci sto capendo nulla.» dichiarò il medico con accento visibilmente preoccupato. A quel punto, il medico estrasse da una capsula un jet biposto e partì con la sua infermiera. Anche il caprone, rendendosi conto che la sua presenza era inutile al momento, disse che sarebbe tornato all'ambulatorio in paese per espletare il suo lavoro ordinario; lasciò il numero telefonico d'emergenza, promettendo che, se fosse stato necessario, sarebbe tornato subito per sedare di nuovo il paziente: ormai ritrovare l’indirizzo gli sarebbe riuscito agevole.
Poco dopo, iniziarono ad arrivare gli amici di Goku. I primi a farsi vivi furono Muten, Crilin e la tartaruga, che aveva insistito tanto per essere presenti; il volto di Crilin si deformò in una grottesca espressione di commozione infinita. Sicuramente, tra gli amici stretti di Goku, era lui il più emotivo. Dopo un po', arrivò anche il gruppetto di Yamcha. Tutti vollero dare un'occhiata per capacitarsi delle condizioni di salute dell'amico ammalato, ma si resero ben presto conto che tutto quell'affollamento era controproducente; la stanza era piccola e la folla dava un senso di soffocamento. Di propria iniziativa uscirono tutti dalla casa e si riunirono nel cortiletto antistante, lasciando che al capezzale del malato rimanessero solo la moglie, il figlio e Bulma, che si era impegnata a fare da filo diretto con il medico e perciò aveva annullato tutti i suoi impegni aziendali della giornata.
Piccolo si distaccò dal gruppo dei terrestri, mettendosi in disparte.
Mentre Tenshinhan e Jiaozi si erano seduti a terra, pensierosi, con lo sguardo verso il basso, fissando il terreno, Crilin, Yamcha e gli altri, dritti in piedi, attendevano l'evolversi della situazione. Si scambiavano poche parole... la tensione era più che palpabile. Per di più, erano perfettamente consapevoli della propria impotenza ed inutilità in quelle circostanze. Ogni tanto qualcuno attirava l'attenzione degli altri con qualche amarcord del passato del tipo “Vi ricordate quando...?” Era il genere di discorsi che si fanno quando la malinconia fa presentire il verificarsi di un evento luttuoso; e, anche se nessuno osava parlarne, il peso che si sentivano fin dentro l'anima era tale che tutti inconsciamente temevano proprio il peggio.
L'unico che si lasciò scappare un «e se lo stessimo perdendo?» fu il piccolo Jiaozi, che fece demoralizzare tutti i presenti. Fu immediatamente rimbeccato da Tenshinhan: «Stupido! Non devi neanche pensarlo!»
Un'improvvisa percezione turbò i presenti: all'improvviso arrivò Vegeta; indossava una canottiera nera e dei pantaloni di tuta grigio scuro, con il logo della Capsule Corporation, il che lasciava intuire che aveva interrotto apposta i suoi allenamenti. Era andata proprio così: durante i suoi esercizi, era andata crescendo in lui la preoccupazione destata dalla notizia che gli aveva dato Bulma. Sì, Vegeta – sempre a modo suo - era divenuto sempre più inquieto, più di quanto la sua coscienza fosse in grado di accettare, più di quanto gli amici di Goku potessero comprendere.