EPISODIO 227: UN MONDO SENZA EROI

Bibidi aveva assunto da un pò un'espressione pensierosa. Seguendo gli sviluppi delle battaglie avvenute nel sistema solare, da quando la sua attenzione era stata attirata dal manifestarsi delle aure di Mecha Bu prima e di Broly poi, qualcos'altro sembrava aver suscitato il suo interesse.
Notando ciò, Zakuro gli si rivolse, incuriosito “A cosa stai pensando? A giudicare dal fatto che è un buon quarto d'ora che non proferisci parola deve essere importante!”. Il tono di colui che si era dichiarato fratello di Broly era come al solito irriverente e ironico, e le sue parole erano volte a risvegliare Bibidi dal proprio serioso rimuginare stuzzicandolo, facendo leva sul fatto che normalmente il mago fosse un gran chiaccherone. Le riflessioni del mago, tuttavia, dovevano essere volte a qualcosa che aveva catalizzato i suoi pensieri al punto tale da renderlo distratto, dal momento che sembrò nemmeno aver fatto caso alla provocazione di Zakuro, tanto che quando gli rispose egli sembrò essersi appena ridestato da uno stato di trance. “D'ehm... Mmm... Non ne sono sicuro... è un qualcosa di talmente assurdo che sono restio a parlarne...” biascicò Bibidi. “Potresti almeno accennarmene...” rispose l'altro. “Riguarda uno dei guerrieri che ha combattuto nella battaglia che è avvenuta in quel sistema solare della galassia del nord dove è apparso tuo fratello! Se le mie teorie non sono sbagliate potremmo trovarci al cospetto di qualcosa di estremamente interessante, e che potrebbe tornarci utile! Nondimeno esito a dirtelo, perché sono io il primo a ritenere sia più facile che abbia avuto un abbaglio piuttosto che averci visto giusto!” fece Bibidi. Zakuro sospirò “Eddai Bibidi! Non puoi prima incuriosirmi e poi non dirmi nulla! Non ti darò dello stupido nel caso ti fossi sbagliato!”. “Lo so, ma sai, anche io ho il mio orgoglio, dunque prima vorrei poterlo verificare. Ci sono! Potremmo usare i ragazzi! L'inattività li sta rendendo un po' insofferenti, e inviandoli nella galassia del nord potremmo cogliere due piccioni con una fava: avere l'occasione di analizzare nuovamente quel soggetto interessante in battaglia e dare loro la possibilità di divertirsi un po'!” propose il mago. “Mi piace l'idea! Auber mi sta facendo una testa come un pallone esortandomi a fargli fare qualcosa! Del resto posso comprenderlo! Sono decenni che non entra seriamente in azione, e di questo ammetto di avere molte colpe... dunque tu vorresti che lui e i suoi uomini affrontassero quei guerrieri in una battaglia? Ciò ti basterebbe per verificare ciò che sospetti?” disse il figlio di Paragas. Bibidi annuì “Si, mi basta questo.”. “Allora sarà il caso di dar loro la buona notizia!” asserì il figlio di Paragas. “Te ne occupi tu?” chiese il mago. “Certo! Non mi perderei mai la vista dei loro faccini felici!” rispose ironico Zakuro.
Nel frattempo, nel salone d'ingresso dello stesso palazzo, il portone si aprì, e una processione di alieni dal medesimo aspetto, in quanto natii del pianeta, cominciò a fare il proprio ingresso, spingendo dei carretti pieni di ogni sorta di cibaria. Carne, ortaggi, formaggi, pane e vino in quantità tali da poter sfamare un esercito per mesi. Malgrado quel cibo lasciasse presagire un fastoso banchetto, non vi era sorriso sul volto di quegli esseri umanoidi di piccole dimensioni dalla pelle color cachi e dai capelli verdi. A dispetto dell'abbondanza di cibo che essi dimostravano di avere a disposizione, i loro fisici erano scheletrici, deperiti, e il solo atto di spingere i carretti comportava loro uno sforzo indescrivibile. Del resto per riuscire a rimediare abbastanza carne erano stati costretti a uccidere anche le loro bestie da soma. Una cosa a questo punto era chiara: il cibo non era per loro. Su quegli sventurati esseri dal volto sfigurato per la sofferenza, la pelle madida di sudore e le gambe tremanti per via di una salute cagionevole a causa della denutrizione e degli stenti, vi erano puntati degli sguardi opprimenti, divertiti e famelici. Coloro a cui era destinato quel cibo. Erano in cinque, accomunati da capelli e iridi di colore nero e da una coda che identificava inequivocabilmente la razza a cui appartenevano: saiyan. Una serie di circostanze aveva fatto si che quei barbari guerrieri priva di ogni sorta di pietà rimanessero bloccati su quel pianeta. Impossibilitati a viaggiare nello spazio aperto e non in grado di costruirsi una navicella spaziale, complice anche la tecnologia arretrata della civiltà di quel piccolissimo corpo celeste, essi avevano dovuto fare buon viso a cattivo gioco, anche se coloro che più ci avevano rimesso era gli abitanti del pianeta, il cui nome era Ban. Totalmente isolato dal resto dell'universo, Ban era un pianeta la cui sorte era da ritenersi segnata, e dove il male, l'ingiustizia e la sofferenza potevano prosperare. La sua tecnologia, equiparabile a quella medioevale del pianeta Terra, non permetteva agli abitanti di avere mezzi per chiedere aiuto ad altri pianeti, e le sue piccole dimensioni facevano si che praticamente nessuno sapesse della sua esistenza al di fuori di Ban stesso. Quei cinque criminali, incommensurabilmente forti se paragonati ai baniani, erano dunque di fatto onnipotenti, degli autentici dei che gli abitanti dovevano cercare di assecondare come meglio potevano per evitare di essere uccisi. Qualche coraggioso aveva provato a ribellarsi, ma il più forte guerriero mai apparso su Ban sarebbe stato a malapena in grado di creare problemi al maestro Muten. Il più debole di quei saiyan aveva invece una forza paragonabile a quella di Nappa. L'esito del tentativo di ribellione è dunque facile da intuire.
Al centro della stanza, seduto su un trono in legno, vi era un saiyan dall'aspetto imponente, di statura prossima ai due metri, e dal fisico massiccio. Indossava un abito in tessuto nero, simile a una tunica, molto elegante, che probabilmente gli era stato confezionato dagli abitanti del pianeta. Aveva i capelli lunghi e scapigliati a ciuffi, simili a quelli di Radish. Il suo volto, privo di barba, era duro e intimidatorio, lo specchio della sua crudeltà. Teneva le braccia incrociate battendo ritmicamente l'indice sul gomito in segno di impazienza. Un altro, in piedi di fianco al trono, era quasi altrettanto alto, ma con il fisico molto più asciutto. La sua postura era lievemente ricurva, e indossava un vestito simile a quello di colui che gli stava di fianco, solo che sembrava stargli leggermente largo. Aveva una folta chioma di capelli che gli arrivava fino alle spalle, e una folta barba non molto curata. Il terzo era seduto appoggiato a una colonna, e sembrava l'unico a non essere particolarmente interessato al sopraggiungere di coloro che stavano portando il cibo. Teneva le braccia conserte e gli occhi chiusi, con il capo lievemente inclinato in avanti, tanto che era legittimo sospettare che stesse dormendo. I suoi capelli erano lunghi e lisci e scendevano fino a metà della schiena. Alto circa un metro ottanta, aveva un fisico muscoloso ma bilanciato, solo in parte celato dalla tunica rossa che indossava. Decisamente più dinamici erano gli ultimi due, che se ne stavano letteralmente l'uno sopra l'altro su un divano ubicato sul lato della stanza a destra rispetto a dove si trovava il trono. Sopra stava l'unica femmina del gruppo, di statura abbastanza minuta, inferiore al metro e settanta, con i capelli legati in due trecce laterali alte. Indossava un vestito di colore arancione intenso, anche se in quel momento questo era mezzo rimosso dal saiyan che stava sotto di lei e che non si era di certo fatto pregare all'idea di far lavorare le mani. Quest'ultimo infine era di qualche centimetro più basso rispetto a quello che stava appoggiato alla colonna, e portava una tunica viola abbassata all'altezza della vita, lasciando scoperto il torace muscoloso e coperto di cicatrici, lascito delle numerose battaglie a cui aveva preso parte. Aveva i capelli corti e sparati verso l'alto, il viso lievemente allungato e il mento aguzzo. La sua espressione era un po' alticcia, segno di come probabilmente questi apprezzasse particolarmente le bevande alcoliche e che anche quel giorno ne avesse consumato un buon quantitativo.