Le mani ancora tremavano imbracciando il fucile... Non è mai facile uccidere qualcuno, specialmente se per farlo c'è solo un attimo disponibile. Eppure qui si trattava di vita o di morte. Ormai aveva studiato alla perfezione quelle regole, e sapeva che bastava un solo frammento per uccidere, e quella puttana stava per usarne uno! Ancora pochi secondi e avrebbe scritto tutto il nome, se non fosse stato che lui aveva visto il frammento, l'aveva scorto mentre lei si toglieva con timore il reggiseno...
Era surreale...
Tutto quel sangue nero che sgorgava dalle cervella della ragazza, da quel buco che le aveva storpiato per sempre i suoi tratti leggiadri... Non riusciva a togliere lo sguardo da lei, proprio non ce la faceva. Passarono i minuti, e il telefono della donna cominciò a squillare da qualche parte nel furgone... Dove diavolo era?
Il giovane dai capelli dorati gettò il fucile sul sedile e si mise a frugare nello scatolone contenente gli effetti personali della giornalista: eccolo! Quel maledetto cellulare squillò ancora, facendo lampeggiare la scritta "夜神 月 **",poi tacque. Il mittente della chiamata aveva riattaccato. Maledizione! Ora sarebbe stato un disastro... Lui avrebbe capito tutto, si sarebbe reso conto di ciò che poteva essere successo alla ragazza, e avrebbe cambiato piano!
Dannazione!
Scalciò furiosamente, per cercare aria in quell'angusto abitacolo, poi con una pedata aprì violentemente lo sportello, trascinandosi fuori. Andò verso un angolo della vecchia chiesa in rovina nella quale aveva parcheggiato, e scostò dei cespugli.
Kerosene...
Prese una delle due taniche erientrò nel furgone dallo sportellone posteriore: inondò il corpo svestito della ragazza col liquido infiammabile, e non riuscì a non ammirare la perfezione delle sue forme... cominciò a versare il combustibile con più delicatezza, quasi a voler lavare via quel sangue così impuro dalla giovane, ma poi si ridestò da quel sogno ad occhi aperti. Finì la tanica.
Uscì, aprendo il secondo contenitore e creando una miccia con lo stesso liquido, una miccia lunga abbastanza da garantire sicurezza, poi prese da una tasca uno zippo, lo aprì e lo gettò a terra, ai suoi piedi.
Fuoco...
Quando la fiamma raggiunse il veicolo si scatenò un boato, mentre il fuoco avvolgeva tutto con le sue spire mortali.
Il ragazzo si voltò, sistemandosi i capelli con un rapido gesto della mano. Poi mise una mano in tasca ed estrasse una barretta di cioccolato avvolta in carta argentata: fece per addentarne un pezzo, ma poi la guardò con disgusto per un attimo, prima di scagliarla via con un ringhio sommesso.
Inutili, vecchi vizi. Lui non era Nate, non doveva avere vizi...
Camminò a passo svelto, sapeva già dove doveva andare.
Prima di eliminare il suo nemico, doveva eliminare il suo avversario.
Arrivò alla sede dell'SPK, imbracciò saldamente il fucile, con estrema naturalezza, poi il nulla.
I telegiornali dei giorni successivi avrebbero enfatizzato quei momenti con "I minuti dell'apocalisse", già, i minuti, perchè tutto era successo in fretta, quasi inconsciamente.
Eppure la coscenza del ragazzo c'era, ed era piena di rancore, verso tutto e tutti.
Salì le scale con gran velocità: nessuno lo avrebbe bloccato sul tragitto.
Arrivò all'ultimo piano, la sede del "capo", certo, quel farabutto bastardo!
Dentro, intanto, i due agenti si preparavano a difendere il ragazzino che dava la caccia ad un dio, quando il risolvitore di puzzles prese parola: "Lasciatelo entrare"
Fuori, intanto, il rivale stava rodendo, non riusciva più a contenersi, a star fermo, a trovare una ragione per star calmo ancora qualche minuto: era finita, cercava di convincersi che era tutto finito, ma sapeva che non era così. Il suo vecchio compagno era un abile manipolatore e lo avrebbe fregato ancora una volta. Prese uno slancio e rintuzzò la testa contro il muro una, due, più volte, finchè le lacrime non gli rigarono gli occhi.
La porta di metallo rinforzato si aprì: "Ti stavo aspettando, Michael"
"Nate..." Il volto impassibile di Nate lo fece infuriare: "Perchè diavolo mi guardi così, non hai paura? Eh?" Nate River si attorcigliò una ciocca di capelli biondo cenere su un dito: "Perchè dovrei avere paura di te? Per quel fucile? Non basterà ad uccidermi..." Michael Keel abbassò lo sguardo, poi dal caschetto biondo vennero dei sussulti veloci, seguiti da una risata sadica: "Pensi di prendermi per il culo, Nate? Credi di potermi fregare con i tuoi giochetti mentali?" "No." Bastò quel monosillabo, quel solo monosillabo per scatenare la furia di Michael, che estrasse ancora il fucile, e presa la mira, fece fuoco. Un attimo, e Nate cadde, in mezzo ad una scultura di stuzzicadenti quasi ultimata. I due agenti non fecero in tempo a sparare, spiazzati dal gesto improvviso del ragazzo, ma lui il tempo lo ebbe, e lo seppe sfruttare.
Si avvicinò con passi cadenzati al giovane rivale accasciato a terra, ricoperto di sangue e prese degli stuzzicadenti, rigirandoseli tra le mani: "Non sei riuscito a finirlo, vero? Chi non finisce un puzzle è da considerare un perdente, vero?" Una risata isterica graffiò la sua gola, ma poi si tramutò in breve in urla strazianti. Il ragazzo si gettò a terra, tirando pugni contro il pavimento e urlando. Si mise le mani in faccia, in corrispondenza della cicatrice.
Afferrò e tirò.
La ferita si riaprì, mentre il sangue sgorgava a fiotti. Ormai privato della vista da un occhio, pieno di sangue, si diresse verso l'uscita, verso la prima uscita che fosse riuscito a trovare.
Fuori dall'edificio tre agenti in armatura lo afferrarono saldamente, mentre gridava sempre di più, lacerando le nubi della sera: "Il mio puzzle, devo finire il mio puzzle, non sono un perdente! Mi senti, River, e tu, bastardo, Lawliet? Mi sentite? Vincerò la mia battaglia!!!"
Da qualche parte, in uno studio di un magistrato una voce penetrante risuovava nella stanza quasi vuota: "Ora del decesso: 19.53, Michael Keel si suicida dopo aver rubato un'arma ad un poliziotto. Tre, due, uno..."