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  1. #131
    Imagine you and me L'avatar di Shira
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    Tanto per sapere: entro che ora di domani bisogna consegnare?
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  2. #132
    Yay L'avatar di Feleset
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    Entro mezzanotte, non c'è un orario.

  3. #133
    I'm the best! L'avatar di vincenzopan
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    La vita è un piacere, ma senza la morte che piacere è?

    “Così passammo quella tragica serata, stando sotto i libri, guardare la televisione e poi altre cose simili. Quella serata sembrava non trascorrere mai, stavamo da soli nel letto e per ammazzare il tempo, giocavamo a carte. Ma niente, l’oscurità si faceva sentire dentro ai nostri cuori, che parevano due pompe che spruzzavano acqua a non finire. Si sentiva chiaramente un odore di morte, un profumo molto aspro che segnava la nostra vita. Non so come sia successo, ma il nostro percorso si concluse così, come meno te l’aspetti. Appena chiudemmo gli occhi, il giorno dopo non ci svegliammo e solo da allora i nostri amici e parenti scoprirono che fummo morti. Così è stato, forse Dio ci voleva bene perciò ha fatto giungere l’ora della nostra vita al culmine, cioè al suo massimo splendore. Io e mio fratello morti per dissolvenza per una mano da quassù, mah. Quello che vi sto raccontando sembra un episodio di un telefilm horror, oppure drammatico, ma non è così. Se posso dire la mia, io mi sono meritato il Paradiso perché non ho provocato nessun'azione contro i dieci comandamenti, mai bestemmiato, mai rubato e mai ucciso. Io sono morto all’età di 16 anni, perciò mi restava ancora molto da vivere, ma ripeto che non so come sia successo. Mi dispiace aver dovuto lasciare (per un caso ancora non risolto): la mia casa, la mia fidanzata, i miei parenti, i miei amici, il mio sport preferito, la mia città, la mia regione, la mia nazione, il mio continente e la mia cara e amata Terra. A quest’ultima va fatto un ringraziamento molto speciale, perché è il luogo in cui sono nato, vissuto e morto e sono felice che non sia ancora scomparsa dalla faccia dell’Universo. Il mio corpo è rimasto integro e riposa nella bara del cimitero della mia città. Uffa, quanto mi manca quel caro e adorato corpo dove lì potevo piangere per un qualcosa che ho subito e ridere per un qualcosa che ho combinato oppure per alcune battute di spirito. Insomma, il mio destino e quello di mio fratello è stato segnato così. Dio, o caro Dio perché non ci hai fatto vivere per un qualche altro annetto? Mi dispiace che hai infranto la vita di un giovane, ma allo stesso tempo sono rimasto contento perché almeno ti ho incontrato per la prima volta. Quanto è stato bello, eravamo nella tua sala per aspettare il mio giudizio finale, cioè se ero valido per entrare nel tuo mondo, e tu per rincuorarmi mi hai fatto vedere un libro in cui c’erano scritti tutti gli accaduti positivi su di me, dicendomi che ero giusto per giungere al Paradiso. Ah! Che bei ricordi. Sai, ti vorrei rivedere un’altra volta, però so che non è possibile perché tu devi osservare TUTTI i comportamenti di tutti i terrestri. È stato bello anche quando ho viaggiato nell’aereo per arrivare al pianeta divino, non avevo mai volato quando ero vivo, è stata un’esperienza fantastica anche perché ho conosciuto altre anime. Appena sono atterrato, la prima impressione che mi ha dato il tuo mondo era che è simile alla Terra (teoria confermata successivamente da te). Insomma, pensandoci bene, non è che la morte è così brutta come la raccontano diverse persone oppure io prima, anzi sembra piuttosto il contrario.
    Ho conosciuto Frank, una persona che è morta ugualmente come me e mio fratello. Ho avuto la possibilità di rivedere i miei nonni e bisnonni, ecco un altro fattore molto bello che ci riserva la morte. Altri motivi per approvare che la morte è bella sono: la possibilità di conoscere Dio e il suo libro, svolgere tutto ciò che si vuole senza dipendere da qualcuno e che non si può morire nuovamente. Il mio motto finale è: la vita è un piacere, ma senza la morte che piacere è?

    Spoiler:
    Scusate se la stesura del testo è un pò troppo corta per gli standard dettati nel primo post, ma non avevo altre idee per aumentare la mia produzione.
    Ultima modifica di vincenzopan; 20-06-2010 alle 23:14
    #1926 #ForzaNapoliSempre

  4. #134
    Senior Member L'avatar di Majin Broly
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    Feleset e shira, riuscite a postare stasera?

  5. #135
    Imagine you and me L'avatar di Shira
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    Citazione Originariamente Scritto da Majin Broly Visualizza Messaggio
    Feleset e shira, riuscite a postare stasera?
    Dovrei farcela
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  6. #136
    Yay L'avatar di Feleset
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    Sì sì, io sto revisionando. Nessun problema.

  7. #137
    Imagine you and me L'avatar di Shira
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    Morte con onore

    Nome: Richard
    Cognome: Star
    Nazionalità: Americana
    Precedenti esperienze lavorative: Ho combattuto nell'esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale


    Un curriculum molto scarno per un eroe di guerra. Ma, dopotutto, se uno si arruola nell'esercito a diciotto anni senza nemmeno aver finito l'iter dell'istruzione, poi non può certo pretendere di avere chissà quali meravigliose possibilità di trovare un lavoro, una volta conclusa la guerra.
    Ed in quella situazione si trovava Richard Star, generale pluridecorato, eroe di guerra. Tutto questo pur restando il più giovane nelle fila dell'esercito statunitense. Certo inizialmente non era stato facile comandare un esercito composto da uomini dell'età di suo padre, ma piano piano aveva mostrato a tutti che si era meritato quella promozione, con il sangue e con il sudore.
    Eroe di guerra...
    Quelle parole continuavano a riecheggiare nella sua mente, senza che lui riuscisse a liberarsene. Si ricordava ancora ciò che gli aveva detto il Presidente, una volta conclusa la guerra.
    “Generale Star, la Nazione le deve molto”.
    Perchè?
    Non riusciva a capire. Perchè lui era un eroe?
    Ripercorrendo la sua carriera di soldato riusciva a capire perchè fosse stato promosso a Generale (le sue grandi abilità di stratega) ma non capiva perchè dovesse essere considerato un eroe.
    O, meglio, prima non riusciva a capirlo. Poi l'aveva chiesto ad un altro generale, capo di divisioni diverse da quella che comandava lui. La risposta l'aveva lasciato senza fiato.
    “Ma è ovvio, amico mio, hai ucciso un mucchio di tedeschi, sei quasi riuscito a sbaragliare un'intera divisione da solo!”
    Per quel motivo era un eroe? Perchè era stato responsabile della morte di così tante persone?
    Cosa c'era di eroico nell'aver visto negli occhi una persona morire per causa sua?
    Che cosa c'era di eroico nell'aver tolto la vita a qualcuno prima che quella stessa persona la togliesse a lui?
    Che cosa c'era di eroico nel combattere una guerra che non gli apparteneva?
    Con rabbia sbuffò, lasciando che il fumo uscisse dalle sue fauci per perdersi nell'aria.
    Che merda!
    Essere considerato un eroe per aver ucciso delle persone!
    Aumentò l'andatura, mantenendo però un passo sostenuto e ritmico. Ormai l'esercito l'aveva cambiato, gli aveva fatto prendere delle abitudini difficili da dimenticare.

    La sua macchina lo portò fino a casa, dove iniziò a prepararsi un bagno caldo, ideale per togliersi di dosso tutta la stanchezza. Aveva girato tutto il giorno in cerca di un lavoro.
    Uscito dalla vasca si buttò sul letto, con l'intenzione di chiudere gli occhi solo per qualche momento; invece si addormentò e durante il sonno sognò la Grande Guerra alla quale aveva partecipato. Sognò i momenti di paura, quando credeva di non farcela, ed i momenti in cui invece era riuscito a reagire. Ma, soprattutto, sognò i momenti di devastazione...

    Due anni prima...
    “Generale Star! Generale Star!”
    Richard aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi davanti Philip Warrez, suo compagno d'armi.
    “Non sono morto”
    disse semplicemente, alzandosi con fatica da terra.
    “Siete stato ferito, generale Star?”
    Scosse la testa con fastidio: in realtà era stato ferito, ma non voleva che Philip lo sapesse; avrebbe insistito per curarlo, mentre lui sentiva di poter continuare a combattere.
    Con uno scatto riprese il suo fucile, dirigendosi insieme alle sue truppe contro i nemici.
    “Generale Star, stanno arrivando i carri armati, conviene aspettarli”
    Philip: la voce della ragione.
    Richard non disse niente, continuò a combattere, facendo cenno ai suoi uomini di proseguire. Carri armati? I nemici erano a terra, ebbene anche loro avrebbero combattuto stando a terra!
    Proseguì senza una sola parola, con un unico obiettivo in mente: vincere.
    Aveva diciotto anni e tutto quello che chiedeva alla vita era la gloria.
    E l'avrebbe ottenuta.
    Silenziosamente si avvicinò ai nemici, con il fucile sempre stretto tra le braccia.
    Ormai era vicinissimo.
    Riusciva a sentire l'odore della loro pelle sporca e sudata.
    Senza una parola lui ed i suoi uomini si posizionarono davanti ai nemici ed incominciarono a fare fuoco, finchè in tutto il campo non si sentì più un solo gemito.
    Più di duemila tedeschi trucidati.
    Altri duemila tedeschi ancora sani e in forze.
    Con un ringhio Richard si buttò per terra, ma troppo tardi per non venir ferito da una pallottola, la sua unica fortuna fu che Philip Warrez lo trasportò immediatamente al campo più vicino con l'ausilio dei carri armati, che intanto erano arrivati.

    Dolore.
    Il dolore al fianco era terribile, ma lui cercava di tenere duro. Accanto a lui Albert Power, altro generale in carica, gli teneva compagnia.
    “Avanti, generale Star, guardi il lato positivo! Se morirà, sarà morto da eroe!”
    Richard si trattenne a stento dallo sputargli in faccia.
    “Col cazzo! Io non voglio morire!”
    L'altro generale lo guardò, inarcando le sopracciglia
    “Non c'è morte migliore al mondo che la morte in guerra!”
    lo guardò con severità e continuò con il suo sermone
    “Chi muore in guerra sarà sempre ricordato come un eroe, inoltre la sua morte sarà servita per onorare e servire la patria, cosa può esserci di meglio al mondo?”
    La risposta di Richard arrivò puntuale e rabbiosa
    “Vivere, cazzo!”
    Il generale più anziano non sembrava per niente d'accordo. Bisognava capirlo, in fondo, aveva passato tutta una vita a servire l'esercito, per lui non c'era onore più grande che morire sul fronte.
    Richard era di tutt'altro avviso...
    Morire per la patria? Pfui, lui voleva solo vivere!
    Per lui non esisteva il concetto di “morire con onore” per lui chi moriva lo faceva sempre con il massimo disonore...
    Si girò dall'altra parte, voltando le spalle al collega anziano, non aveva più voglia di sentirlo parlare.

    Al presente...
    Richard si svegliò di scatto, balzando fuori dal letto.
    Incredibile, si era addormentato ed aveva sognato di quando era al fronte...
    Con un ringhio prese la giacca e se la infilò. Non era morto, quel giorno.
    Non era morto ed era tornato in patria, dove nonostante la sua fottuta medaglia non trovava un lavoro, dove aveva trovato la fidanzata sposata con un altro, dove aveva scoperto che sua madre era morta, mentre lui era al fronte.
    Forse sarebbe stato meglio morire.
    In fondo Albert aveva ragione: se fosse morto sarebbe stato sempre ricordato come un eroe...

    Uscì di casa per fare una passeggiata, non aveva più voglia di stare chiuso in casa, voleva schiarirsi le idee.
    Era sempre stato contrario all'idea della “morte con onore” ma forse nel suo caso sarebbe stata da preferirsi alla vita.
    In quel momento un forte rumore attirò la sua attenzione. Voltò la testa giusto in tempo per vedere una macchina avvicinarsi a tutta velocità verso una bambina, accorsa in mezzo alla strada per recuperare la palla che le era sfuggita.
    Senza pensarci due volte scattò in avanti e spinse la bambina fuori dalla traiettoria dell'auto, ma purtroppo non fu così abile da spostarsi in tempo.
    La macchina lo prese in pieno, sbalzandolo a qualche metro di distanza.
    Mentre si trovava al suolo osservò la bambina correre dai suoi genitori, sana e salva.
    L'ultima cosa che sentì fu il grido dell'automobilista accorso a vedere ciò che aveva combinato.
    Poi la mente iniziò ad annebbiarsi, gli occhi ad offuscarsi, le orecchie a non sentire più alcun suono.
    Eppure era felice.
    Adesso sapeva che era stato un bene non morire in guerra. Se fosse morto non avrebbe potuto salvare quella bimba. Non sarebbe stato in grado di donare la sua vita a chi ne aveva davvero bisogno.
    Quella era la vera “morte con onore” e lui l'aveva trovata.
    E fanculo ad Albert!
    ~E' meglio esser odiati per ciò che siamo, che essere amati per la maschera che portiamo~

  8. #138
    Yay L'avatar di Feleset
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    L'anima del bosco



    Camminava con passo sicuro, dando prova di conoscere quel luogo ormai da diversi anni. I lisci capelli corvini le ricadevano sulla schiena, scompigliati da un vento leggero. La bambina di fianco a lei avanzava in modo altrettanto deciso e sorrideva guardando in avanti. Dimostrava pienamente i suoi cinque anni.
    «Mamma, guarda!» si fermò improvvisamente «Questo è velenoso, vero?»
    La donna si chinò ad osservare un fungo ai piedi di un albero in mezzo al bosco.
    «Sì» rispose «Non toccarlo, mi raccomando»
    La bambina si voltò a destra, per poi iniziare a correre in quella direzione.
    «Attenta, Viola! Vai piano»
    La madre non si preoccupava molto del fatto che sua figlia potesse toccare un fungo velenoso. D’altronde aveva imparato a distinguerli due anni prima. Era un vero prodigio da quel punto di vista. Ciò che temeva maggiormente, invece, era il burrone che si trovava oltre gli alberi.
    Una singola lacrima le bagnò una guancia. Appoggiò la schiena sulla corteccia di un grosso albero, chiudendo le palpebre per qualche istante.
    “Sono già passati due anni”, pensò.
    Ma ci sono cose che il tempo non cancella.
    “Se fosse per me eviterei di tornare in questo posto per tutta la vita. Ma so che non è quello che tu vorresti. Se una parte di me odia questo bosco è a causa tua. Ma è sempre grazie a te se una parte di me lo ama”.
    Due anni prima.
    Un ricordo fin troppo vivo.


    «Pensi che Viola starà bene con tua madre?»
    «Ma certo, Anita» rispose il ragazzo sorridente «Sai che si divertono sempre un sacco. E poi è giusto ogni tanto stare un po’ noi due da soli. Siamo pur sempre sposati, no?»
    La ragazza dai capelli corvini rise.
    «Già» disse «Però è passato tantissimo tempo dall’ultima volta in cui siamo venuti qui nel bosco senza nessun altro. Da quando siamo genitori il nostro tempo libero si è ridotto drasticamente»
    Il giovane si appoggiò al tronco di un albero.
    «Sì, è vero, ma non ne sono per nulla pentito» ribatté «Io ho trascorso gran parte del tempo libero della mia infanzia sotto le fronde di questi alberi. Questa è la mia casa, e il mio sogno è sempre stato quello di avere una famiglia che potesse capirlo. E grazie a te e a Viola si è realizzato. Viola ha solo tre anni, ma ha già imparato a distinguere i funghi. È molto contenta che io gliel’abbia insegnato. Non potrei chiedere di meglio dalla vita»
    Anita si avvicinò fino a trovarsi di fronte a lui.
    «Sei il solito sentimentale. Non cambi mai, eh?» gli disse sorridendo. Sapeva che quella parte della sua personalità gli aveva procurato non poche prese in giro in passato.
    Lui la abbracciò.
    «Cambierei solo se questa cosa non ti piacesse» le sussurrò in un orecchio.
    Rimasero qualche istante in quella posizione, sotto gli occhi della natura.
    «Se solo anche gli altri potessero capire…» mormorò il ragazzo poco dopo.
    «Purtroppo il mondo è ingiusto»
    «No, Anita. L’uomo è ingiusto. Questo bosco è schiavo degli esseri umani. Per anni, decenni, forse secoli, non ha fatto altro che produrre ossigeno per il nostri polmoni e cibo per i nostri stomaci»
    «Il supermercato verrà costruito lo stesso. Qui sopra. Sai che non puoi evitarlo»
    La giovane strinse più forte il marito, come a voler alleviare il dolore che sapeva di stargli provocando con le parole.
    «Loro non possono capire. Non riescono a capire che gli alberi sono vivi. Questa è vita!» esclamò lui alzando la voce.
    Si sciolse dall’abbraccio di Anita, toccando la corteccia dell’albero con entrambe le mani. Iniziò a muovere le braccia delicatamente, come se stesse accarezzando un animale domestico.
    «Gli alberi nascono» continuò «e per tutta la loro esistenza ci servono in silenzio. Puoi dar loro calci, incidere le loro cortecce, strappar via le foglie, perfino tagliarli con una motosega… ma loro si lasceranno ferire senza muovere un dito. Eppure muoiono! Muoiono come gli uomini! E che cosa provano negli ultimi istanti della loro umile vita? Noi non possiamo saperlo! Ed è per questo che gli esseri umani agiscono senza pensare. Danno per scontato che gli alberi non sentano niente, come se fossero sassi, solo perché non possono gridare!»
    Diede le spalle alla ragazza, camminando in avanti con il capo chino.
    «Tesoro» lo chiamò lei a bassa voce «So che tutti continuano a chiederti perché continui a lottare per questo bosco, ma sappi che io ti sono vicina in questo. È vero, so che il destino di questo luogo è inevitabile, ma fino all’ultimo io sarò con te»
    Il giovane si girò nuovamente verso di lei, senza però sollevare il volto.
    «Non so cosa sentiranno questi alberi quando verranno uccisi. Ma so che in quell’istante una parte della mia anima morirà»
    Raggiunsero il limite del bosco. Di fronte a loro un enorme burrone mostrava la valle dove si trovava il paese. Rimasero immobili ammirando il paesaggio montuoso estivo.
    «Viola ti farà passare ogni dolore, vedrai» disse Anita.
    «Lo so. Niente ora è più importante di lei»
    Un rumore di passi pesanti li fece voltare improvvisamente. Un uomo mal vestito con una bottiglia in mano si stava avvicinando a loro.
    «Un ubriaco in pieno giorno?» chiese Anita a bassa voce al marito.
    «Lo conosco» rispose lui «È famoso in tutto il paese proprio per il suo vizio»
    «Ehi!» gridò l’alcolizzato guardandoli «Dov’è il supermercato? Non l’hanno ancora costruito? Quanto ci mettono?»
    I due cercarono di non considerarlo, sperando che se ne andasse. Sembrava aver difficoltà a stare in piedi, come se dovesse perdere i sensi da un momento all’altro.
    «Ehi!» continuò iniziando a ridere «Ma tu non sei il fanatico del bosco? Perché ti porti qui la moglie? A letto non combini niente? Eh già, senza le tue piante non riesci ad eccitarti!»
    «Ci lasci passare, per favore, dobbiamo tornare a casa» disse il ragazzo cercando d’ignorare quei discorsi.
    Sentendo quella frase, però, l’ubriaco si arrabbiò ed alzò ulteriormente la voce.
    «Come?!? Io lasciarvi passare? Così poi convincete tutti a non costruire il supermercato? No! Non ci penso neanche! Quanto ci stanno mettendo a fare a pezzi questi dannati alberi? Non lo sanno che la vodka è cara? E voi, lo sapete? Lo sapete che al pub la vodka tra un po’ costa più di una…?»
    Non riuscì a terminare la frase poiché il suo corpo barcollò in avanti, a un metro dalla coppia.
    «L-la vodka» continuò «a-al supermercato costa poco. E io voglio il supermercato!»
    Detto ciò si lanciò su Anita, facendola cadere a terra a pochi passi dal precipizio. Lei spaventata gli mise le mani sul viso per cercare di toglierselo di dosso.
    «Lasciala stare!» gridò il marito avvicinandosi ai due. Era una persona talmente pacifica da aver evitato qualunque rissa fino ad ora. Ma quello non era il momento di tirarsi indietro.
    «Mi prenderò tua moglie» disse l’ubriaco «e darò fuoco a questo bosco!»
    Fu un attimo.
    Il malvivente strinse la bottiglia vuota nella mano destra, tenendola per il collo, e la ruppe con tutta la sua forza sulla testa del giovane. Questi barcollò all’indietro, verso il burrone.
    «NO!»
    Anita gridò, cercando con tutte le sue forze di rialzarsi e di afferrare l’amato.
    Ma non fu abbastanza veloce.
    Come la bocca di un gigante, il precipizio inghiottì la sfortunata preda.


    «Mamma, ho trovato tre funghi!» esclamò Viola entusiasta.
    Anita annuì con poco interesse. Rievocare quegli avvenimenti non le aveva fatto per niente bene. Ricordava ancora perfettamente come l’ubriaco avesse perso coscienza subito dopo quel gesto; ricordava lo stupore della gente alla notizia; ricordava come la catena di supermercati avesse deciso di cambiare zona in cui costruire. Secondo alcuni sondaggi, gli abitanti di quella valle non erano più felici all’idea di doversi recare a fare acquisti in un luogo dove era avvenuta una tragedia. Ovviamente il fatto che quel giovane fosse così legato a quel luogo aveva giocato un ruolo fondamentale: che cosa c’era di meglio se non esaudire le ultime volontà di un ragazzo così buono e sensibile?
    Eppure, prima di quel giorno, del bosco non sembrava importare a nessuno.
    “È questo il prezzo che hai dovuto pagare?” pensò Anita asciugandosi le lacrime. Si voltò un attimo, giusto in tempo per notare la figlia sul bordo del burrone. Istintivamente lanciò un grido e corse verso di lei a tutta velocità. L’afferrò per un braccio e la trascinò lontano, per poi stringerla forte a sé.
    «Mamma…»
    «Non avvicinarti mai più al precipizio! Ti ho già detto mille volte di starci lontano!» esclamò, tentando invano di non rimettersi a piangere.

  9. #139
    Yay L'avatar di Feleset
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    «Questa è la mia seconda casa. Il mio terzo genitore»
    Il giovane sorrise alla ragazza dai capelli corvini.
    «Ci conosciamo solo da una settimana» rispose lei sorridendo «Non è un po’ presto per portarmi a casa tua e presentarmi i parenti?»
    Lui sorrise a sua volta.
    «Oh, stai tranquilla. Il bosco è di mentalità aperta» scherzò.
    Camminarono sotto le fronde con passo allegro. La loro gioventù sembrava riempirli di entusiasmo e voglia di vivere.
    «In questo luogo la mia anima è sempre calma. È così da quando ero piccolo. C’è un legame indissolubile tra me e il bosco. Nessuno è mai riuscito a capirlo»
    «Devi esserci molto affezionato» disse Anita. Quel giovane era davvero diverso da tutti quelli che aveva incontrato fino a quel momento. Ma era davvero un male?
    «C’è una sorta di unione spirituale tra me e questa natura. Chissà, forse un giorno non abiterò più qui. Forse non ci tornerò più. Ma non importa dove sia il mio corpo. La mia anima sarà sempre in questo luogo. Quando morirò verrò seppellito in un cimitero. Ma là ci sarà solo il mio cadavere. Il mio spirito vivrà in questo bosco»
    Anita lo osservò stupita.
    «Fai dei discorsi molto esoterici» disse.
    «No, in realtà non è così» rispose lui «Forse l’anima non esiste, forse le persone una volta morte non sono più nulla. Io questo non lo so e non lo posso sapere. Ma so quello che sento. So di essere indissolubilmente legato a questo bosco. E per questo motivo spero che questa unione venga ricordata. Voglio che tra cent’anni, quando qualcuno calpesterà questo suolo, sappia che era la mia casa. Ed attraverso quella memoria avverta i segni della mia presenza. Non una presenza reale, forse, ma simbolica. Io sono e sarò sempre “l’anima del bosco”».


  10. #140
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    Manche chiusa. Spero ora nella celerità dei giudici.

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