Non posso fare la mia classica "recensione". Sarebbe innanzitutto superfluo parlare di questo film in termini critici, in secondo luogo blasfemo, e terzo peccherei d'indegnità.
Perchè al di là dei comprensibili e legittimi gusti personali, qui si tratta della rivoluzione copernicana del cinema, che dopo Citizen Kane non sarebbe stato più lo stesso. E' come se si volesse commentare e discutere Kant: può stare sulle palle, ma ha fondato la filosofia moderna.
Quindi è inutile che rimarchi l'innovatività di questo film, i tocchi di classe e di genio di Welles, le allegorie sparse nella pellicola, la bellezza di alcune riprese. Si può leggere tutto nel mio becero dei manuali di cinematografia.
Ciò che voglio invece dire è che se un film di settant'anni fa conserva tutta la sua forza creativa ed emozionale anche per uno spettatore contemporaneo, vuol dire che il film è ormai assunto ad opera d'arte. Immagino la folgorazione o lo straniamento per un uomo degli anni Quaranta.
Allora, io penso che questo sia un bel film, forse anche un gran bel film. Ma penso altresì che non si osannerebbe tanto se non ci fosse una prestazione monumentale di Sean Penn: la profondità che da' al sua personaggio è fenomenale.
Per il resto abbiamo un cast di grandi attori con ottime performance, una sceneggiatura ben strutturata, molto incentrata sulle psicologie dei personaggi, per niente interessata invece all'azione, all'emozioni facili e ai colpi di scena, una fotografia tetra e grigia ottimamente resa, che contribuisce, insieme alla quasi assenza di musiche, a rendere quel senso di ottundimento e decadimento morale e psicologico che permea la pellicola. La regia di Eastwood (che ci sguazza in queste tematiche e con questi plot) è spartana, asettica, senza fronzoli: tutta l'attenzione è sui volti, sui personaggi, sui discorsi, sulle smorfie.
Un thriller sui generis, che comunque merita la fama che ha.