Ultima modifica di John Fitzgerald Gianni; 07-06-2013 alle 16:44
btw qualcuno ha letto il libro da cui è tratto Cuore Selvaggio?
Ma appunto. A parte il fatto che la sceneggiatura mica l'ha scritta Fincher, tu (mi rivolgo a Light) pensi che l'adattamento sia sempre fedele all'opera cartacea? Una volta che hanno ottenuto i diritti possono farci quello che vogliono, quindi se il libro è mediocre, hanno il dovere di cambiarlo in meglio.
Voglio ricordare che un film, oltre che un'opera d'arte (generalizziamo), è anche un bene commerciale, e come per tutti i prodotti io consumatore pagante esigo qualità.
M'illumino d'immenso.
Shepard
Chiedo scusa a Light. Lo confondo sempre con Gohan.
Questa è la prima volta che dice che il regista si occupi della storia.
Ultima modifica di John Fitzgerald Gianni; 07-06-2013 alle 20:55
Ghost? Black Ghost?
Che poi la questione libro/film è molto delicata, perché un film oltre a essere una trasposizione non sempre fedele a volte può essere girato in un periodo storico completamente diverso per un pubblico completamente diverso.
Non pensate solo a Twilight o Harry Potter, dove bene o male libri e film sono contemporanei, esistono film tratti da romanzi molto più datati, che per forza di cose non potrebbero mai piacere al pubblico moderno se trasposti in maniera identica scena per scena.
S'è capito ormai che per un horror decente, o quanto meno un horror che non si adagi sui soliti clichè, ci si deve rivolgere non più alla produzione americana.
Marshall è comunque una buona garanzia.
Qui, a dire il vero, ci sono diversi elementi dell'horror classico di un certo stampo vecchio: mostri, assedio, gruppo di giovani, ne rimane solo uno. E' il resto che dà valore: l'originalità della location, la difficoltà e la perizia di ripresa in spazi così angusti, una certa caratterizzazione, il procedere tensiogeno.
Una cosa per volta: difficile fare una fotografia decente in una serie di cunicoli sotterranei; ci riescono. Ricostruito un senso di oppressione unico. Claustrofobico, topi in gabbia.
La prima ora di preparazione saggiamente gestita, nulla (o quasi) lascia presagire quello che accadrà dopo. E poi d'improvviso il botto, senza sfumature, e così fino alla fine.
Ma soprattutto la trasformazione delle ragazze: i mostri e il pericolo di morte sono solo i catalizzatori della fuoriuscita delle tensioni interpresonali, dei vissuti delle protagoniste. Un viaggio all'inferno per scoprire se stessi. Più giù, non solo nella terra, ma nell'animo. Fino a farsi bestie, più mostri dei mostri, per sopravvivere.
Se uno esordisce con un film simile non è normale. Non per forza un grande regista, ma semplicemente uno che non si piegherà mai alle grandi case di produzione, questo Rob Zombie.
Già come inizia: stralci televisivi, un pagliaccio spaventoso e il suo tunnel degli orrori, una ripresa bellissima che dall'insegna al neon della stazione di servizio si sposta allargandosi sull'entrata della stessa, luci malate, musica ansiogena, aria malsana, quella che si respirerà per tutta la pellicola. Hai capito già tutto.
Non è un capolavoro, sebbene molti lo lascino passare per ciò. Per me deve troppo a "Non aprite quella porta" (di cui doveva essere il remake), cerca di distaccarsene ma inserisce elementi poco coerenti (come il dottor Satana), indugia troppo su uno sperimentalismo visivo che in realtà prende molto da un certo tipo di cinema anni 70. Ma ci sono i crismi del grande cinema: personaggi indimenticabili come Capitan Spaulding, Baby e Otis, montaggio di alcune sequenze perfetto, musiche maestrali.
E soprattutto c'è personalità, e si vede.
E poi il simil-capolavoro. Sequel della prima opera, horror-non horror, mistura di generi, inclassificabile.
Si capisce subito che abbiamo a che fare con uno che il mezzo lo conosce eccome: altrimenti non si fa una scena della sparatoria iniziale di questo genere, girata benissimo, uso delle musiche perfetto, appassionante, reale. Questa volta i personaggi vengono sviluppati ancora meglio, è chiaro come Zombie intenda in un certo senso umanizzarli questi mostri, metterli sotto una luce di innocente e normale follia: in fondo cosa hanno di diverso da una normale famiglia texana? Si vogliono bene, si sostengono, hanno il loro codice, che ci possono fare se sono cresciuti e vivono uccidendo gente, smembrandola e torturandola? In cosa sono più malati di uno che pippa dalla mattina alla sera, di un altro che tenta di tradire la moglie, di un poliziotto che usa violenza.
Ecco il vero dramma dell'opera zombiana: non c'è nessuno che si salvi, in tutti i sensi. Tutti malvagi, tutti senza speranza, tutti morti. Lo sceriffo, da giustiziere a carnefice, gli ostaggi intorbiditi dai loro vizi, senza possibilità di salvezza, la sorte avversa agli inermi. Stessa aria malsana del primo, stesso mondo sporco, sanguinolento, marcio. Paradossalmente è il senso di appartenenza, la folle regolarità, la presa di posizione coerente dei sadici Firefly quella che sembra avere maggiore stima e rispetto di Zombie.
Tecnicamente perfetto, non eccedente come il primo, dosato. Magistrale di nuovo la scelta delle musche, spettacolari alcune trovate registiche, memorabili alcune scene.
Il finale stupendo: solo Zombie poteva farci provare dispiacere per la fine dei sadici assassini, loro gli eroi antieroi. Finale montato benissimo, con una spelndida Free Bird in sottofondo, emozionante e significativo.