Un fruscio scosse leggermente i cespugli e il rumore di piccoli zoccoli fece sussultare Grakar, che aveva teso le orecchie per più di un’ora per cercare di captare un qualunque segnale del passaggio di un’ignara bestiola da cacciare. La sua famiglia soffriva da troppo tempo la fame ed era stata costretta a scappare da un villaggio all’altro a causa di una delle violente incursioni del popolo maledetto… Proprio quel popolo che si muoveva compatto ispirato da fanatiche manie di conquista e che ormai era sul punto di conquistare l’intera Tracia. Grakar era solo un ragazzo, eppure aveva sulle spalle delle grosse responsabilità… mentre cercava di capire dove si trovasse la possibile preda, si accorse che il sole stava tramontando, e se non fosse riuscito a prendere qualcosa da mettere sotto i denti i suoi cari avrebbero passato l’ennesima notte di digiuno. Con un movimento fulmineo e una trazione improvvisa del braccio scagliò la sua lancia nel folto della foresta, producendo un sibilo acuto, attutito da qualcosa di morbido e seguito da un lamento sommesso: lo aveva preso.
Corse a vedere cosa aveva colpito: un cucciolo di capriolo era agonizzante tra l’erba rada e perdeva fiotti di sangue da un fianco, trapassato dalla lancia. Grakar ebbe un momento di pietà per quella povera creatura troppo giovane per meritare di morire e pose fine alle sue sofferenze sgozzandolo con un solo colpo del suo pugnale.
Lo issò sulle spalle: era soddisfatto, ma c’era qualcosa nell’aria che lo turbava, non era tranquillo.
Una serie di rumori cominciarono a risuonare nella macchia susseguendosi nella notte come un macabro requiem: rami spezzati, scricchiolii di foglie secche calpestate e uno strano respiro pesante e affannoso.
Il buio era ormai calato e il plenilunio che sarebbe stato uno stupendo spettacolo in qualsiasi altro momento, allora metteva ansia con la sua luce fioca…
Grakar si fermò ad ascoltare, ogni muscolo teso, ogni vena pulsante, le mani pronte: lasciò cadere il bottino di caccia e incocco svelto il suo arco di legno nero, intagliato a spirali, simboli simili ai tatuaggi scuri che gli ricoprivano la pelle. Provò a capire dove avrebbe dovuto colpire, i sensi da cacciatore sviluppati a dismisura, mentre qualche goccia di sudore calava dalla fronte del giovane, gelandosi nel freddo della notte. Seguirono altri rumori, provenienti da direzioni in continuo cambiamento, come se qualcosa stesse girando intorno al cacciatore, studiandolo, mentre Grakar non capiva cosa fosse ciò che lo osservava. Tuttavia anch’egli studiava con estrema attenzione quell’avversario del quale avvertiva la presenza ma che gli era invisibile.
Un altro ramo spezzato e finalmente il Tracio localizzò la cosa che lo guardava coperta dalla penombra: a prima vista poteva sembrare un orso ritto sulle zampe posteriori, ma la corporatura era completamente diversa, sembrava più… un umano. La muscolatura possente ricoperta da una folta peluria si alzava e si abbassava aritmicamente seguendo un respiro bestiale, la testa allungata anch’essa ricoperta di pelo mostrava occhi piccoli e brillanti e orecchie canine, a punta, rivolte all’indietro in un atteggiamento di sfida; i muscoli facciali erano contratti in una smorfia di rabbia e di dolore e la creatura mostrò ringhiando delle zanne tanto chiare da contrastare perfettamente con il buio.
L’animale tirò all’indietro la testa e ululò alla luna, dopodichè partì all’attacco caricando Grakar, che lasciò la presa sull’arco, divenuto inutile, sfilò la sua ascia bipenne e urlando si abbatté sull’avversario. Il mostro cercava in ogni modo di azzannare la gola del ragazzo, che a sua volta cercava di affondare l’arma nella carne della creatura, ma erano entrambi troppo agili e riuscivano a evitare i colpi.
Grakar, con un improvviso slancio si trovò alle spalle del mostro e, afferratogli la gola, cominciò a stringere: lo strano animale cominciò a uggiolare come un cagnolino, ma il cacciatore che lo stava per uccidere non provava un minimo di pietà. Ma ad un tratto Grakar notò dei simboli che conosceva fin troppo bene, erano identici ai suoi, delle spirali… Ci volle un attimo per capire e lasciò la presa sul lupo: “Turak, fratello mio! NOOOO!” La bestia si voltò con uno spaventoso ghigno sul volto: “RAAAH!!!”