Pagina 3 di 4 PrimaPrima 1234 UltimaUltima
Risultati da 21 a 30 di 38
  1. #21
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Capitolo V: Guardando il Mondo da un oblò

    "Anno 25998, il Pianeta Plant è in guerra, e sembra sull’orlo dell’autodistruzione. Alcuni giovani oppositori della Tirannia Wènder Plant scrivono il manifesto “Un Pianeta, un Popolo, un Nome”, dove si sognava un Pianeta libero da guerre, libero da violenze, libero da debiti, libero da distinzioni. Quella che allora sembrava solo un irrealizzabile utopia, diventa realtà nel 26291, per la prima volta nella storia, Plant si ritrova unita sotto un'unica bandiera, divenendo un unico popolo con un unico nome: Plan.
    Sembrava solo un sogno, sembrava non potesse durare, invece sono ormai quasi 500 anni che noi Planòò viviamo l’un per l’altro, viviamo tutti uniti per debellare la povertà, per garantire uguali diritti ed uguali possibilità a tutti i cittadini del nostro splendido mondo.
    Quella che sembrava solo un utopia è invece una splendida realtà che non si vuole fermare e che non può essere fermata da alcun confine e da alcuna barriera.
    Il nostro sogno di uguaglianza e libertà vuole essere esportata fuori dalla nostra atmosfera, le Stelle che sono state l’oggetto dei nostri sogni fin dall’alba dei tempi, aspettano di diventare una realtà accessibile a tutti.
    Se oggi possiamo guardare a loro come un obiettivo realistico, è solo grazie alla maturità conseguita dal nostro popolo, e la razza che conosceranno le Stelle sarà quella che ha reso possibile tutto questo.
    L’odio e la violenza che troppo spesso nella nostra storia c’ha guidati, è solo un ricordo. Sì indelebile e da ricordare con assoluta reverenza, ma non è il lato del nostro Popolo che ai nostri amici delle Stelle vogliamo far conoscere.
    L’8 Vetrùle 26488 siamo per la prima volta entrati a contatto con un'altra razza, con un altro popolo. Pur somigliandoci parecchio, non sono come noi. Non usano la ragione, sono istintivi, aggressivi e territoriali.
    Pur rivolgendo il massimo rispetto ai padroni di casa, e pur avendo ripudiato la guerra in ogni sua forma, noi Planòò siamo dovuti ad educare, come un severo ma amorevole fratello maggiore, i nostri fratelli Seiyah.
    Sostenete la campagna per la bonifica del pianeta Plant, un chip KGM nella coda di un Seiyah ci permette di studiare meglio i nostri fratelli Veyatòò, ci permette di interagire con loro, ci permette di salvaguardare la vita dei nostri soldati, ci permette di risparmiare il dolore alle loro famiglie, al nostro popolo.
    Un chip per la sicurezza.
    Non è guerra, è sicurezza, è scienza, è amore."

    Era senza dubbio la pubblicità progresso più stupida che il capitano Kalùd avesse mai sentito.
    Era questa retorica che avvolte gli faceva odiare il suo popolo, ancor più seccante era sentirla di persona, in un colloquio fra pochi intimi: ok prendere per il culo la massa ma io a modo mio sono un istituzione, non ho certo bisogno dei giochi di fumo e degli spettacolini, questo è il mio lavoro, dammi un ordine, dimmi le cose come stanno e vai al sodo, ed io obbedirò.
    Certi discorsi non potevano che dargli fastidio, in quanto li riteneva un insulto alla sua intelligenza, o meglio un insulto all’intelligenza Planòò.
    Eppure funzionavano da secoli oramai. Una voce rassicurante ed un sottofondo strappalacrime erano un mix perfetto per far sentire tutti gli individui importanti.
    Stai cercando giustificazioni? Cerchi legittimazione ad un attacco ai Seiyah? Questo era uno dei messaggi più fastidiosi che questo ed altri spot mandavano. Ma perché c’è la benché minima possibilità che se il popolo si erga violentemente e chieda il ritiro delle truppe dal pianeta, le decine di migliaia di soldati stanziati vengano richiamate in fretta e furia su Plant? Come se lo sproposito di risorse investite sulle navicelle di ultime generazione tenesse in qualche modo conto delle esigenze della popolazione.
    La divinizzazione della spedizione era assolutamente insopportabile nonostante di riflesso comportasse una sua divinizzazione di cui non gli fregava un beato cazzo.
    La situazione sul Pianeta era così perfetta da concentrarsi anima e corpo ad un altro Mondo, come gli indici di occupazione indicavano? Assolutamente no.
    Nonostante su Plant fosse stata abolita la moneta e si garantisse in principio un uguale distribuzione di risorse in tutto il mondo, questo proposito era rimasto solo sulla carta ed ancora in atto, visto che la sperequazione sia sociale che territoriale era ancora alquanto marcata, con lavori in qualche modo più retribuiti di altri e territori poveri, poco sfruttati con una popolazione a cui veniva a malapena garantito il minimo indispensabile per sostentarsi. E su questa situazione le risorse indirizzate alla spedizione su Veyat pesavano non poco: negli ultimi 100 anni il Governo aveva palesemente incentivato i mestieri aeronautici, militari e tecnico-scientifici, mettendo in secondo piano la produzione di robot agricoli a discapito della produzione di macchine aeronautiche. Inoltre tutti i settori al di fuori dell’industria pesante aeronautica erano chi più chi meno tutti in crisi, visto che la manodopera era pesantemente concentrata sui settori spaziali e militari, a discapito di tutti gli altri ambiti artistici, scientifici e praticamente ogni altro lavoro.
    Per chi nella propria costituzione garantiva “una piena espressione del cittadino, delle sue passioni e dei suoi talenti, e l’opportunità di realizzare le proprie ambizioni per quanto possibile” era alquanto strano. Possibile che i talenti, le passioni e le ambizioni di tutti fossero costruire navicelle e fare i militari? Ok che c’era lo sbarco su Veyat ma la situazione era oltre i limiti dell’improbabilità.
    Sbarcare su Veyat e progettare d’arrivare su altri sistemi stellari era obbligatoriamente uno degli obiettivi principali del popolo Planòò e della sua evoluzione fin dal principio, ma esso andava perseguito con tale veemenza solo dopo che si fosse potuta garantire a ogni Plan una vita “tranquilla”.
    Riteneva quindi che questo insensato forzare i tempi fosse inutile, stupido e controproducente, visto che l’ignorare le esigenze del popolo aveva riportato alla ribalta alcuni moti indipendentisti, ai quali si poteva sì rispondere tramite la creazione di un’identità planetaria sbarcando su un altro pianeta, ma che potevano benissimo essere prevenuti.
    L’identità planetaria sempre non ti dà da mangiare.
    Ultima modifica di AJeX-97; 02-07-2014 alle 17:00

  2. #22
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Ma la cosa che più di ogni altra mal sopportava era il revisionismo storico: il testo della pubblicità che aveva invaso Plant avrebbe potuto entrare in un enciclopedia come esempio dell’aforisma “la Storia è scritta dai vincitori”.
    Negli ultimi 500 anni, le nazioni e le organizzazioni che s’erano fatte carico dell’unificazione di Plant, non sempre erano potute scendere a compromessi, e questo aveva provocato autentici genocidi e portato quasi all’azzeramento di alcune etnie. Spesso Nazionaliste e sovversive, aggressive e guerrafondaie. Forse era stato necessario, ma non si poteva passare bellamente sopra alle milioni di vittime che in un modo o nell’altro avevano reso realtà l’”utopia” (così piaceva chiamarla) in cui si stava vivendo.
    Di una di queste etnie faceva parte Jorgàn Kalùd, era un “Kiryìan”, e lo rimarcava ogni qual volta poteva (in antitesi con l’abolizione del termine Antròw, ovvero quello che per noi è un generico “Uomo” sacrificato in onore del termine Plan, ovvero quello per noi è “Terrestre”, più adatto alla creazione di un’identità planetaria) visto che la Storia si stava dimenticando di loro perché la Storia preferiva non parlare o parlare sottovoce di tutto ciò che il Governo Mondiale aveva distrutto.
    Era nato in una regione poverissima distrutta dalla Guerra “civile” (Mondo vs Nazione indipendentista); quando lui era nato la Guerra era finita da una decina d’anni. I programmi di recupero stavano lavorando per recuperare il territorio, e lui stimava tantissimo il Governo Mondiale che gli aveva dato l’opportunità di avere una famiglia, una casa, un pasto, di diventare qualcuno.
    Nient’altro da allora volle fare che servire coloro che gli avevano dato quest’opportunità, loro avevano fatto praticamente tutto per lui e lui non poteva far altro che far tutto per loro.
    Intrapresa la carriera militare, col sogno di esportare il suo bel Mondo fuori dalla propria atmosfera, ma più saliva la “scala” più comprese i mali che il suo Governo aveva compiuto negli ultimi secoli, mali che in ogni modo provava a nascondere sotto il lenzuolo, mali a cui non credeva fosse necessario dare conto.
    Eppure non poteva dimenticare la promessa fatta a se stesso ed al suo onore da ragazzino, era convinto fosse comunque la cosa giusta da fare, ed era anche l’unico modo per poter aiutare la verità a convivere con il Pianeta e con il suo Popolo, dando ad essa giustizia e l’onore e il rispetto che una simile virtù merita.
    Il senso di appartenenza per la sua etnia l’aveva sviluppato postumo, fino ai 15 anni non sapeva nemmeno di essere in qualche modo “diverso”. Oramai, a 43 anni, della storia del suo popolo aveva studiato quanto il più possibile il suo lavoro gli avesse consentito. Non chiedeva altro se non il giusto rispetto e il giusto commiato ai suoi antenati che non meritavano di essere cancellati dalla Storia solo per la reputazione del nuovo Governo.
    Lui era riuscito a rendergli onore e questo lo rendeva fiero, e lo induceva a guardare sotto ad una luce più indulgente il Governo Mondiale, l’Esercito ed i Planòò: si guardava allo specchio, con i suoi grossi occhi neri a palla, vedeva la sua pelle chiara, i suoi capelli neri. Non gli avevano impedito di diventare Capitano dell’Esercito Planòò, di guidare lo storico sbarco su Veyat al comando del gioiello per eccellenza della mente Planòò, e di migliaia di uomini che si rivolgevano a lui chiamandolo Signore.
    A quello stesso esercito che l’aveva messo a capo della spedizione adesso chiedeva delucidazioni, in quanto forse non ne valeva più la pena. Ormai erano passati 15 giorni da quando era stato avviato il progetto bonifica di Veyat, e i risultati erano stati disastrosi, la sensibilità dei Seiyah era qualcosa di mostruoso ed anche sparando i Chip KGM da migliaia di metri di distanza, sorprenderli era praticamente impossibile, l’unico risultato ottenuto era quello di esporsi agli attacchi, tradotto in numeri altri 89 kerùb e due rwàch persi, 268 vite perdute.
    Avevano avuto occasione di constatare che i cosiddetti “lampi esplosivi” che occasionalmente s’erano visti nei video dei rover, vengono utilizzati razionalmente e possono rivelarsi micidiali.
    Anche dalla lunga distanza un Seiyah era quindi un nemico formidabile.
    Da Tewstòn avvertivano dell’arrivo di altri 5000 kèrub e 2000 rwàch senza il consenso dei capitani, oltre che il permesso di scendere di quota ed a difendersi con ogni mezzo se fosse stato necessario, che parafrasando significa “adesso attacchiamo noi fategli un culo così”. Oramai s’era capito che contro i Seiyah o si faceva sul serio o si andava incontro ad un’inevitabile disfatta.
    Ma il Capitano Kalùd non era disposto a mettere in gioco le vite dei suoi uomini senza un valido motivo, visto che quella che era una semplice missione, per quanto grandiosa, di esplorazione si stava inesorabilmente tramutando in una Guerra a cui avrebbe di gran lunga preferito un ritiro delle truppe.
    Gli incoraggiamenti da Tewstòn e la ridicola pubblicità progresso non lasciavano adito a dubbi.
    Jorgàn aveva richiesto ai vertici il permesso di recarsi a Tewstòn per discutere, con una mezza intenzione di tradire quel ragazzino e rassegnare le sue dimissioni se non avesse ottenuto risposte. Troppa fretta di sbarcare su Plant, troppi rischi corsi e troppe vite in gioco, troppi scheletri nell’armadio, qualcosa c’era.
    Guardava il suo splendido Pianeta dalla sua navicella personale senza riuscire a pensare ad altro che ad un “Perché”.

    -------------------
    Angolo dell'autore:
    Ennesimo capitolo interlocutorio, lo so, ma necessario, visto che uno sguardo al pianeta Plant era necessario ed ho deciso di farlo attraverso gli occhi di un personaggio fin qui principale a cui mi sono divertito parecchio a dare una caratterizzazione, abilità necessaria per un grande autore quale io non sono, ma almeno voglio esserne una parodia.
    Ultima modifica di AJeX-97; 02-07-2014 alle 23:29

  3. #23
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
    Data Registrazione
    Tue Feb 2006
    Località
    Al campo della banda...
    Messaggi
    1,573

    Predefinito

    Ho letto entrambi i capitoli 3 e 4.

    Che dire? Ciò che mi colpisce finora è di ritrovare in questi Planòò molte caratteristiche tipiche dei terrestri, che evidentemente caratterizzano "l'uomo" in senso lato: il desiderio di dominio dell'intelligenza scientifica sulla natura; l'arroganza delle alte sfere nei confronti dei subalterni (vedi i vari gradi dell'esercito) e dei "diversi" da conoscere, studiare e sbarazzarsene quando diventano superflui (i Seiyah sono dei comuni animali umanoidi).

    Questo nel quarto capitolo si nota soprattutto nella propaganda politica. Per quanto il contesto sia un mondo ambientato da un'umanità futuristica, i toni usati dal manifesto politico mostrano quella retorica che li renderebbe validi oggi, duemila anni fa o fra centomila anni, ottima per tutte le stagioni. Si vede proprio, che vieni da un paese dove si fanno tante chiacchiere e i fatti vengono esaminati ben poco.

    Mi piace anche notare che i Planòò, oltre ad avere la grossa grana rappresentata dai Seiyah così misteriosi e difficili da studiare, presentano alcune forme di divisioni e focolai di ribellione all'interno di una società che viene presentata al popolo come perfettamente e scientificamente organizzata, e persino individui calati in posizione chiave hanno dubbi e critiche verso il governo. Chissà se e come la cosa si legherà al discorso dell'invasione del pianeta Veyat.

  4. #24
    Senior Member L'avatar di AlphaOmega
    Data Registrazione
    Tue Feb 2008
    Messaggi
    6,604

    Predefinito

    era da un pò he non leggevo! A me sinceramente questi capitoli, anche se interlocutori, sono piaciuto moltissimo! Mi piace quando un autore dedia del tempo ad approfondire la parte "storica" della sua opera e mostra la caratterizzazione dei protagonisti, anche se ciò va a discapito di scene d'azione, per me è importante conoscere la cultura e il passato che hanno mosso le vicende che stai raccontando! Bravo!

  5. #25
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Tutte le mie energie nervose sono state indirizzate ad un folle studio, e non ho potuto nemmeno accedere perchè già discutere di Dragon Ball è "faticoso", continuare la fanfic è invece una tremenda piacevole sofferenza.

    Virus hai capito a chi mi ispiro quando parlo dei Planòò
    Alpha ti ringrazio dei complimenti

    Entro questa settimana dovrebbe uscire un nuovo capitolo.

  6. #26
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Capitolo 6: La verità nella disperazione

    Tzzz…tzzz...appena atterrato su Plan il capitano Kalùd credeva a stento alle sue orecchie, il suo cellulare stava vibrando, erano anni che non vibrava e credeva che mai più avrebbe vibrato. Il suo animo si divise, da un lato i timori relativi alla guerra imminente ed al suo ruolo in essa, da un lato la speranza di poter risentire un vecchio amico, anzi forse qualcosa di più, ormai creduto perduto.
    Dopo la solita faticata per riuscire a prendere l’occultato telefono fu sorpreso di vedere che colui che gli aveva inviato il messaggio era la stessa persona che gli aveva regalato quel cellulare 30 anni fa, praticamente l’unico altro numero salvato in rubrica.

    Anno 26457, Regione anarchica Kutiryàn
    <<Guadda, guadda lasciù>>
    <<E non mi sputare, che c’è?>>
    <<Volano, sono belliscimi! Cosa sono?>>
    <<Sono le stupide navicelle del governo! Guardarle mi mette una tale rabbia! Ma non dovevano andare a fottersi su Veyat!?>> disse Jorgàn Kalùd
    <<E’ incredibile che tu non le conosca>> aggiunse <<guarda che se ci spacchiamo la schiena ogni santo giorno e solo per scappare da loro! Non ricordi che ha detto il Capitano Feiyùd? Se noi lavoriamo è per avere la sua protezione, solo col nostro lavoro lui può permetterci di mantenerci e proteggerci! A loro non basta aver distrutto tutto il nostro paese, vogliono prendere tutto ciò che rimane ed a quel punto non credo saranno sazi!>>
    <<Ma navicelle! Voglio guidarle! Voglio stare con loro!>>
    La mano di Jorgàn si mosse tanto velocemente che Schlùn non la vide nemmeno, e senza che il suo cervello elaborasse né un perché né un per come si ritrovò a terra, scaraventato dallo schiaffo del compagno, che con occhi lucidi lo afferrò dal colletto e gli disse con voce colma di rabbia e frustrazione: <<Ma come puoi dire una cosa simile, come??>> prese fiato, mentre una lacrima scivolava dal suo volto <<Ma lo vuoi capire che se non conosciamo i nostri genitori, è colpa loro? Se non hai un nome, è colpa loro? Se non hai un futuro è colpa loro? Se la nostra vita è una merda è colpa loro, lo vuoi capire cazzo che è colpa loro!? Ma non lo capisci!? Come fai a dire che vuoi stare con quelle merde, come fai!? Come!?>>
    Schlùn lo guardava con volto impaurito e tremante e con occhi sperduti, quando l’incalzante discorso gli dette tregua scoppiò in un pianto a dirotto <<Dai su, oh cazzo dai no, non fare così, scusa, mi dispiace>> il pianto proseguiva sempre più forte, stridulo ed insopportabile, ma aveva sciolto la tensione di Jorgàn, che tornò in sé e provò a consolarlo <<Dai, ti prometto che non lo farò mai più, però ora non fare così dai che diventi insopportabile>> ma Schlùn non si placava, allora Jorgàn prese le ceste e le buste che l’amico aveva in mano, cercando il compromesso <<Per farmi perdonare porterò tutto io oggi, va bene?>>. Ce l’aveva fatta, Schlùn si placò tanto in fretta da lasciargli qualche sospetto…
    Il sole era sempre più basso all’orizzonte quando arrivarono a casa era ormai sera, entrarono nella catapecchia dal retro e batterono tre volte sulla botola:
    <<Nomi>>
    <<Jorgàn>>
    <<Schlùn>>
    <<Parola d’ordine>>
    <<Jigùn tì pukilèd>> (nemmeno loro possono)
    Dopo le presentazioni di rito, la botola gli fu aperta e scesero nel sotterraneo, ad attenderli c’era il Capitano Feiyùd, il loro tutore, che non era un capitano, ma si faceva chiamare così dai “suoi bambini”, che prese borse e ceste dalle braccia di Jorgàn, scrutandole attentamente e sottoponendole ad attento e severo esame, e disse
    <<Cioè, fatemi capire: voi, arrivate con più di un’ora di ritardo, mi fate preoccupare, ci mettete tutti in pericolo, e per portare cosa poi? Un paio di jukèn*, un po’ di kalkèn* e una minchiatina di lekùn*?>> *frutti e frutti di bosco planòò
    <<Ma, Capitano, abbiamo dovuto prendere una via secondaria perché c’erano i predoni, poi siamo riusciti a scappare per miracolo a dei capìn (animali planòò), Schlùn s’è sbucciato un ginoc…>> un violento schiaffo interruppe le sue giustificazioni, questa volta fu lui ad essere scaraventato a terra ed afferrato dal colletto <<Credi di essere l’unico qui che fa sacrifici? Credi che io mi diverta a tenere a bada ad un branco di mocciosi come voi?>> gli urlò in faccia il capitano, che lo lasciò poi andare scaraventandolo sul pavimento, continuando poi la sua violenta predica <<Voi state approfittando del mio buon cuore, perché sapete che soffrirei a sbattervi fuori di casa, ma anche la mia pazienza ha un limite>> si avvicinò al ragazzo, chinandosi lo guardò negli occhi, faccia a faccia a pochi centimetri l’uno dall’altro, e concluse <<Jorgàn, quando arrivi in ritardo, mi manchi di rispetto, quando non porti un cazzo a casa, mi manchi di rispetto, quando mi rispondi, mi manchi di rispetto, quindi rifletti a chi manchi di rispetto, perché io come t’ho preso dalla merda nella merda ti posso rimandare>> ……. <<SONO STATO CHIARO JORGAN!?>> <<Si, Signor Capitano!>> <<NON HO SENTITO BENE!>> <<SI, SIGNOR CAPITANO!!!>> SBAM!! L'ennesimo schiaffo scaraventò nuovamente a terra un redivivo Jorgàn, reo di aver urlato in faccia al Capitano, ovvero ciò che del resto sembrava avesse implicitamente richiesto il tutore (tiranno), ma la logica è inutile quando tanto abissale è la differenza di forza e potere fra le due parti.
    <<Bene, almeno hai capito, spero una volta per tutte>> disse il capitano dando le spalle ad un intontito Jorgàn, dirigendosi al piano di sopra, dove si credeva abitasse da solo, mentre gli altri ragazzi stavano dormendo, o meglio facevano finta di dormire, e di non sentire, e Schlùn si sforzava a trattenere le lacrime per non vanificare l’impegno di Jorgàn, che si esponeva ogni volta per evitare che il piccolo compagno venisse picchiato, facendo da parafulmine all’aggressività del Capitano.
    Anche Jorgàn e Schlùn andarono a dormire, senza cena, la pena da scontare per coloro tornassero in ritardo, praticamente una giornata come tante altre.
    La nottata, invece, fu particolare. Fu tutto così veloce, un lampo, che ancora Jorgàn fatica a raccontare cosa successe, ricorda si di essere stato svegliato dall’allarme ma di essere stato catturato prima che potesse muoversi; ricorda la luce, di aver immediatamente cercato Schlùn con lo sguardo, e di non averlo trovato; e di essersi addormentato, dopo aver provato in tutti i modi a divincolarsi.
    Ultima modifica di AJeX-97; 05-05-2015 alle 14:55

  7. #27
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Quando si svegliò era solo, in uno stanzino bianco, dove c’era solo un lettino, un tavolo con sopra la colazione e due sedie, ed un bagno lì vicino. Una volta svegliato si mostrava tranquillo, era rassegnato, era finito, l’unica sua speranza era quella di una morte indolore, ma non ci pensava troppo, perché sapeva che se avessero voluto ucciderlo normalmente sarebbe già morto; aveva capito: il governo mondiale li aveva presi.
    Una voce gli parlò, avvertendolo di prepararsi che fra mezz’ora avrebbe ricevuto visite, se la prese comoda senza pensare a quanto stava per accadere. Il sergente Jorwàh lo trovò comodamente seduto, e sedendosi iniziò a parlargli.
    <<Salve>> salutò il sergente
    <<Salve>> rispose cordialmente Jorgàn
    <<Io sono il sergente Gaiyjìn Jorwàh, potrei sapere il suo nome?>>
    <<Perché, non lo sapete?>>
    <<La nostra documentazione sul vostro territorio è carente, non abbiamo documenti su di te, mi dispiace, quindi mi fareste un grosso piacere se mi dite il vostro nome>>
    Nella sua testa pensava chissà a cosa gli servirà mai, ma vabbè <<No no non ho problemi, mi chiamo Jirgùn Kalìn>> non volle sprecare l’occasione d’oro di prendere per il culo il governo, anche se era comunque una magra soddisfazione sempre meglio di niente.
    <<La ringrazio, posso chiamarla Jirgùn?>>
    <<Prego, faccia pure>>
    <<E allora Jirgùn, mi parli della sua vita>>
    L’atmosfera si incupì di botto, ed un’assordante silenzio dominò la stanza, il sergente riprese la parola rassicurando Jorgàn <<Non si preoccupi, non è nulla di personale, è una domanda standard>>
    <<No no ok, riflettevo solo. Allora, tutto è cominciato da quando quelle merde del governo uccisero i miei genitori durante la guerra, e non li conobbi mai.
    Dei primi anni della mia vita ricordo ben poco, il Capitano Feiyùd mi prese con sé e crebbi da ragazzino rachitico al minimo sindacale visto che per via di quelle merde del governo non cresceva un cazzo da queste parti. Poi…aspetti, mi faccia pensare, all’età di 6 anni cominciai ad andare in giro a cercare rifornimenti, a piedi, sempre stando allerta ai predoni ed a quelle merde del governo; dovevamo stare attenti a non farci vedere, vivevamo isolati dal mondo, dalle nostre parti non c’era niente e non passava mai nessuno, ogni giorno mi svegliavo alle 6 e non ho idea di quanti chilometri a piedi abbia fatto in vita mia, in mezzo a sterpaglie e paludi contaminate, non so quante ferite non so quante sbucciature, e sempre per colpa di quelle merde del governo. Ero in coppia con un certo Geuyìn, un tipo parecchio incazzoso, di una tristezza immane, il solo guardarlo mi faceva passare la voglia di vivere, in un anno ci saremmo scambiati una dozzina di parole. Non so poi che fine fece, non so che fine fa nessuno, a 14 anni il Capitano ci giudica “pronti”, e ci sbatte fuori di casa perché dice che ce la possiamo fare da soli. Ma forse per la prima ed unica volta della mia vita il destino mi sorrise, trovai un neonato in un orfanotrofio abbandonato, sicuramente quelle merde del governo erano passati di lì uccidendo tutti, era rimasto solo lui, chissà che destino orribile sarà toccato agli altri bambini, saranno stati probabilmente torturati, o perché no stuprati, sai come sono quelle merde del governo, no? Per questo il Capitano compiva ogni giorno lunghi viaggi, ha dato la sua vita per salvare ogni giorno più vite possibili da quelle merde del governo, e per questo non posso non provare per lui la mia più massima stima. Io lo presi in braccio e lo portai a casa, è e rimarrà l’unico elemento del gruppo non salvato dal Capitano, e l’unico con cui sono riuscito a legare, e probabilmente anche l’unica mia ragione di vita. Il Capitano non si oppose alla sua permanenza, anche se inizialmente dovetti sfamarlo con la mia razione di cibo.
    Da allora la mia vita cambiò, il solo pensiero di avere forse uno scopo che non fosse la semplice sopravvivenza alleggeriva le mie fatiche; sa, per colpa di quelle merde del governo io non ho potuto avere affetti, in pratica non ho potuto avere una vita.>>
    E così concluse il discorso, con l’ennesima accusa, ironicamente e blandamente velata, rivolta all’interlocutore. Fu rapidissimo, si prese poche pause, sembrava quasi un discorso imparato a memoria, ripetuto a pappagallo, ma non era così, il sergente Jorwàh capì chiaramente che l’intero discorso era un autentico impeto di rabbia e frustrazione, ben celata, perché voleva apparire forte e indifferente, anche dinanzi alla morte, soprattutto dinanzi al governo.
    I due si fissarono negli occhi, Jorgàn aveva la faccia di chi non ha più nulla da dirti, di chi vuole in tutti i modi comunicarti il suo disprezzo col suo silenzio.
    <<Senti Jirgùn>> disse il sergente spezzando il silenzio, e dando del tu al suo interlocutore <<quanti anni hai?>>
    <<Credo di averne 13, merda>> questa volta Jorgàn tradì la sua indifferenza, con una voce rotta comunicò esplicitamente il disprezzo a chi sicuramente era abituato a farsi chiamare Signore.
    <<13 eh…e dici che i tuoi genitori sono morti durante la Guerra giusto!?>>
    Jorgàn stette in silenzio. I suoi occhi diventavano sempre più lucidi, la sua apparente indolenza tradiva ormai un evidente malcelata furia; era in procinto di scoppiare, oramai il suo animo era fragile come un fuscello. Il Sergente lo capiva, ma non vedeva alternative che proseguire il discorso e farlo esplodere definitivamente.
    <<Se lei ha 13 anni, dovrebbe essere nato nel 26444; non so cosa le hanno raccontato, ma la Guerra è finita nel 26434>>
    Per Jorgàn fu come una scossa, si alzò di scatto dalla sedia facendo sgorgare finalmente le lacrime e con voce rotta gridò in faccia al sergente: <<No cazzo no, tu queste cose non me le devi dire! Tu non puoi mancarmi di rispetto così, a me e ad i miei genitori, non puoi calpestare così la loro memoria, non puoi farlo! Come puoi? Non avete cuore siete inumani! Per il culo a me non mi ci prendi! Per il culo a me non mi ci prendi! Non mi ci prendi per il culo a me! Hai capito!? Per il culo a me non mi ci prendi!>> e ripetè frasi simili svariate volte, nel mentre che le lacrime ormai scorrevano incontrollate, e la voce, sempre più rotta, veniva spontaneamente fuori con un tono sempre più alto ed aggressivo. Ormai aveva perso completamente il controllo, non rifletteva, il sergente capì che la cosa migliore era lasciarlo sfogare e lasciarlo inveire contro di lui.
    Quando ebbe concluso, Jorgàn si risedette crollando sulla sedia, e appoggiandosi al tavolino, continuò a piangere ed a singhiozzare con una mano appoggiata sulla fronte; la bomba era esplosa, il vaso era traboccato, la goccia l’aver messo in discussione il motivo della morte dei suoi genitori, la causa per una vita senza alcun senso; messo in discussione dagli stessi odiatissimi carnefici era un atto di codardia e vigliaccheria senza uguali che non poteva essere sopportato; nemmeno il sergente in cuor suo poteva sopportare la vista di tanto dolore, ma non poteva e doveva fermarsi, non era il momento: <<Sai Jirgùn, questa storia l’hanno raccontata parecchi dei tuoi compagni, nessuno c’ha messo però la passione che c’hai messo tu, questo mi fa capire quanto ti sei attaccato alla vita in una situazione in cui parecchi antròò (*uomini) si sarebbero rassegnati>>, proseguì <<Se c’è un valore su cui è impossibile sindacare in questo mondo, esso è la verità, non è bella, non è brutta, non è giusta, non è sbagliata; quindi perdonami Jirgùn ma è giusto che tu la sappia e che tu la capisca>>
    Jorgàn stava ancora a capo chino, piangendo disperato, al sergente toccava restaurare per quanto possibile il suo fragile animo <<E’ vero, parecchia gente è morta durante la guerra, anche parecchi innocenti, e li abbiamo uccisi noi. A guerra finita alcune frange estremiste continuavano a tenere viralmente in pugno buona parte del territorio, e reinstaurare un governo solido a guerra finita s’è dimostrato più complicato di quanto prevedessimo, ma non potevamo continuare un simile massacro quindi abbiamo man mano provato a debellare la criminalità con altri metodi, rintracciandola e cercandola, scovandola, provando a mettere in gioco le vite di meno persone possibili. Skogràn Feiyùd, il tuo tutore, fa parte di un’organizzazione criminale appoggiata da queste frange, il cui scopo è educare e reclutare ribelli e schiavi in regioni meno controllate dal governo.>>
    Le lacrime ed i singhiozzi di Jorgàn non accennavano a placarsi, evidentemente stava ascoltando; il sergente quasi titubò nel continuare, capiva quanto sarebbe stato difficile per il ragazzo sentire quanto stava per dirgli, ma non poteva rinnegare la lode alla verità, e non c’erano alternative, quindi prese coraggio e proseguì nel discorso: <<In assenza di ogni forma di giurisdizione, queste bande criminali viaggiano in cerca di nuove leve, prediligendo neonati ancora completamente da formare. Non è raro che uccidano padri e madri che hanno avuto figli da poco>>. Conclusa la frase, il sergente avrebbe probabilmente dovuto continuare il discorso, ma non sapeva che dire, il suo interlocutore non era stupido, sicuramente aveva già capito tutto.
    Ora si che la cosa migliore da fare era concludere il discorso e non dilungarsi oltre, lasciando da solo il ragazzo, dandogli il tempo di rielaborare le informazioni, e di metabolizzare lo shock.
    Il sergente si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta nel mentre che il ragazzo continuava a piangere <<La lascio solo Jirgùn>> disse Jorwàh, nel mentre che la porta si apriva <<tornerò domani per vedere come si sente>>.
    <<Jorgàn>>
    <<Come scusi?>>
    <<Il mio nome è Jorgàn, sergente>> disse rialzando il capo ed asciugandosi le lacrime <<Jorgàn Kalùd>>
    <<Ah, capito…bè, allora a domani, Jorgàn>> il sergente oltrepassò la soglia ed uscì dalla stanza; il suo volto serioso tradiva un sorriso, i suoi occhi una lacrima.
    Ultima modifica di AJeX-97; 02-07-2014 alle 18:51

  8. #28
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Per Jorgàn fu una giornata lunga, dove il tempo sembrava non scorresse; solo, senza alcun rumore, solo coi suoi pensieri. Capì, capì tutto, capì che aveva creduto cecamente a qualcosa che non aveva senso, gli dicevano che la guerra in realtà non fosse mai veramente finita, che il governo continuasse a rastrellare la zona e che l’unica speranza di salvezza fosse non farsi catturare. Non fu semplice, prima di convincersi dovette riflettere per ore, ma dovette rassegnarsi alla forza della logica.
    Non è facile, colui che credevi essere la tua unica ancora di salvezza, era diventato il tuo peggior nemico, la causa di tutti i tuoi mali e la rovina della tua vita; coloro che credevi essere il tuo peggior nemico, la causa di tutti i tuoi mali e la rovina della tua vita, erano forse diventati la tua unica ancora di salvezza.
    Era anche troppo poco forse per un ragazzino di 13 anni un solo giorno per comprendere tutto questo. Per chiunque un solo giorno è forse troppo poco. Forse nessuno è in grado di reggere un simile sconvolgimento. Sicuramente nessuno dovrebbe subirlo.
    Quando il giorno dopo il sergente tornò in camera, trovò un ragazzo tranquillo, quasi sereno; capì che la rieducazione per lui fosse finita, 13 anni d’educazione a pane ed odio erano stati cancellati in un solo giorno. Forse Jorgàn stava ricommettendo lo stesso errore, si stava nuovamente fidando ciecamente di quanto gli fosse stato detto, ma nonostante questa preoccupazione tartassasse continuamente la sua mente, non ebbe dubbi su chi fidarsi. Forse contribuì l’aria affidabile del sergente, a dispetto di quella odiosa del Capitano; forse pure il fatto che, legata a questa verità, si intrecciasse pure la sua stessa vita, che poteva continuare soltanto se gli avessero detto il falso prima di allora. Non aveva scelta e si aggrappò, razionalmente ed irrazionalmente, alla verità del governo.
    Quando ebbe il sergente davanti volle sapere soltanto due cose: che fine facevano i ragazzi una volta compiuti i 14 anni e se poteva vedere Schlùn. Alla prima non ebbe precisa risposta, venivano certamente prelevati un preciso giorno dell’anno, ma dove venissero portati il governo ancora non l’aveva scoperto; la seconda richiesta fu accontentata, e quando lo vide ridere e giocare insieme ad altri bambini, a quel punto ogni turbamento della sua anima svanì, non volle sapere nient’altro.
    Aspettò pazientemente in corridoio che Schlùn usciva da quella sorta di asilo di recupero, e con lui pure il sergente, che tanta simpatia trovava per questo ragazzino tanto attaccato alla vita. Quando uscì e lo vide, Schlùn si avvicinò lentamente a Jorgàn quasi preoccupato, come un figlio che sa che le sta per prendere dalla madre.
    <<Che c’hai?>> gli chiese Jorgàn <<So che se mi avvicino mi dai botte perché sto con quelli del governo>> rispose Schlùn. Jorgàn scoppiò in una risata ed a quel punto Schlùn, tranquillizatosi, gli corse incontro ed i due si abbracciarono, e Jorgàn lo rassicurò, dicendogli che da oggi in poi non avrebbe avuto nulla da temere.
    A Jorgàn scese una lacrima, ed il sergente aveva saggiamente deciso di lasciarli soli e si incamminava, ma un <<Le chiedo perdono>> lo fermò.
    <<Come scusa?>> chiese a Jorgàn
    <<Le chiedo perdono!>> disse un Jorgàn con voce rotta e con occhi lucidi <<Mi dispiace per averla odiata, e per averla insultata, mi dispiace>>
    <<Ah fa niente, al tuo posto chiunque avrebbe fatto lo stesso>> disse con voce calma e rassicurante, proseguendo <<Tutti prima o poi ci rendiamo conto che non bisogna dar per scontata la verità>>
    <<E adesso che ne sarà di noi?>> chiese Jorgàn al sergente
    <<Vediamo, dipende anche da voi. Per te Jorgàn quasi certamente verrà cercata una mansione consona in questo sporco mondo, e verrai inserito in qualche centro per i giovani. Mentre per Schlùn c’è la possibilità che venga adottato, visto che è ancora abbastanza giovane>>
    <<No, io voglio stare con Jorgàn!>>, disse Schlùn, ed era una cosa fattibile, ma Jorgàn fu il primo ad opporsi a questo desiderio, e con un secco imperativo <<Schlùn no!>> “fratellone” intervenne <<ti prego, se avrai la possibilità di essere adottato, accetta, ti prego! Fammi questo grande regalo!>> Schlùn lo guardò un po’ sperduto, la sua giovane mente non poteva capire tanto in fretta, Jorgàn fu costretto a spiegarsi sciogliendosi un po’ troppo come detestava fare, per l’ennesima volta <<Fin dalla prima volta che t’ho visto il mio più grande desiderio era quello di darti un futuro, una vita normale, una vita felice>> qualche lacrimuccia, di nuovo, cominciò a scendergli dal volto <<Quindi ti prego Schlùn, hai l’occasione per avere tutto questo, ti prego, non rendere vano il mio impegno!>> disse appoggiando le mani sulle spalle dell’amico, sempre più commosso, ma comunque deciso, fiero, incoraggiante, forte nonostante tutto. Schlùn avrebbe potuto mettersi a piangere dando ascolto al suo desiderio, quello di rimanere con l’amico, invece, con la saggezza di un terzo dan, dette ascolto al desiderio dell’amico, capì cosa intendeva, cosa voleva, ed abbracciandolo gli disse <<Basta che non mi abbandonerai mai>> <<Non devi nemmeno pensarlo>> gli rispose Jorgàn dandogli uno scappellotto.
    <<Sergente, voglio entrare a far parte dell’esercito>> disse volgendosi verso il militar, con voce fiera, guardandolo negli occhi <<Voglio sdebitarmi per tutto ciò che state facendo per me e per Schlùn, e non vedo modo migliore per farlo. La vita m’ha insegnato a vivere per chi m’ha permesso di vivere, non so fare altro!>>.
    Fermo, deciso, il sergente era impressionato dalla volontà del ragazzo, ma non volle mostrarsi da meno e rispose con la decisione che si addice ad un sergente, guardandolo negli occhi, rispose, chiaro e circonciso,: <<Compiuti 14 anni, puoi far domanda per entrare al collegio militare, e poi tutto dipende da te.>> il volto di Jorgàn si rallegrò, tanto da sembrare non poter trattenere la soddisfazione, ma tale sentimento dovette andar presto incontro alle seguenti parole del sergente <<Ma la avverto, signor Kalùd: se la sua esperienza avrà successo, potrebbe ritrovarsi a dover tagliare i rapporti col mondo esterno, e ad essere costretto a rinunciare ad affetti e vita sociale>>.
    Jorgàn capì subito cosa il sergente stesse dicendo, ovvero che la sua esperienza militare avrebbe potuto frapporsi fra lui e Schlùn. Il suo entusiasmo svanì e si ritrovò di nuovo dinanzi ad un dubbio quasi esistenziale, l’ennesimo in questi due giorni; troppo per un ragazzino, ed il sergente lo comprese subito, non poteva lasciarlo ancora di nuovo a torturarsi in preda dei suoi pensieri e dei suoi dubbi, e decise di intervenire <<Forse una soluzione c’è!>>, disse sciogliendo il suo volto serioso, come se stesse parlando ad un vecchio amico; Jorgàn si svegliò speranzoso, mettendo dubbi e tormenti in stand-by. <<Aspettatemi qui qualche minuto>>, disse il sergente ai due,tornando poi con due vecchi cellulari in mano <<Ma che sono sti così dell’età della pietra? Persino io ho visto di meglio…>>, disse un ironico Jorgàn alla vista di quell’anticaglia, ma il sergente si affrettò a spiegare <<Questi telefonini sono l’unico modo per eludere il controllo severo dell’esercito. Usano un’antica tecnologia a rete senza fili, che sopravvive in stato comatoso grazie a delle infrastrutture dir poco fatiscenti>> <<Cosa?>> chiese un confuso Jorgàn con sempre più confidenza <<In pratica, la connessione è scadente e prende rarissimamente in determinate aree, ma se andrai fino in fondo alla carriera militare, potresti ritrovarti a viaggiare molto e a ritrovatrici spesso, chiaro?>> <<Aaah si, adesso si>>. Il sergente volle mettere in guardia Jorgàn, in quanto non aveva dubbi che si sarebbe ritrovato ad usarlo <<L’uso di questi telefoni è severamente proibito, ma il governo non usa ormai da tantissimo tempo metodi per intercettare le chiamate ed i messaggi inviati con essi, quindi l’importante è che non lo fai vedere, o al limite non fai vedere la scheda>>
    Jorgàn stette in silenzio a guardare i telefoni e poi prendendone in mano uno disse al sergente Jorwàh <<La ringrazio moltissimo, Signore!>>. Il sergente non disse nulla e gli tese la mano in segno di saluto, il ragazzo, inizialmente un po’ sorpreso, gliela sfiorò col dito (saluto planòò che significa "addio" nell'uso comune, "consacrazione" durante le cerimonie formali, solitamente chi si trova in “posizione gerarchica” superiore sfiora il palmo della mano del "sottoposto"), e se ne andò lasciando cadere un foglietto con su scritto tre codici di telefono. Jorgàn raccolse il foglietto, dopo di chè volle salutare definitivamente il sergente, e forse volle pure far un patto con lui, e con tono di voce alto ed entusiasta quasi urlò “Arrivederci, Sergente Jorwàh, ci rivedremo su Veyat!”. Il sergente non si voltò, si lasciò scappare un sorriso dal volto che non fece vedere a nessuno, era convinto che ne avrebbe risentito parlare.
    Sperava di poterlo rincontrare un giorno, di essere alla sua altezza.
    Ultima modifica di AJeX-97; 07-08-2014 alle 19:44

  9. #29
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Passarono mesi prima che Jorgàn potette iscriversi al collegio militare, ma non aveva intenzione di farlo prima che Schlùn non fosse stato adottato, nel mentre vissero nel centro di recupero del governo della regione in cui erano nati.
    Una famiglia fu trovata per Schlùn, che all’età di sei anni fu adottato, abbandonò l’amico con tre desideri: avere un nome ed un cognome (Schlùn non è un nome, è un soprannome datogli da Jorgàn, un aggettivo che significa “uno che si fissa sulle novità e le approfondisce in modo maniacale, per poi dimenticarsene”), divenire pure lui un militare e di poter andare su Veyat.
    Jorgàn, qualche mese dopo aver compiuto 14 anni, fu accettato nel collegio militare, e fino a 21 anni non ebbe problemi a comunicare con Schlùn.
    A quel punto iniziarono i problemi, ma fra una difficoltà e l’altra un paio di volte all’anno riuscivano ancora a sentirsi, solitamente via messaggi (che restavano nel “limbo” anche per mesi prima di essere ricevuti) ma qualche volte pure tramite chiamate. Jorgàn aveva sperimentato un adesivo color carne sotto la pianta del piede per nascondere la scheda, che consigliò all’amico. Nel mentre dava sempre il meglio per il suo battaglione, ed intraprese il cammino che l’avrebbe portato su Veyat, un cammino che non prevedeva contatti col mondo esterno, lo stesso cammino che qualche anno dopo intraprese pure Schlùn.
    Jorgàn rimase sempre informato sulle novità della vita di Schlùn, escluso il nome, che non volle mai sapere per mantenere sempre il più vivo possibile il ricordo del piccolo Schlùn ed un rapporto a suo privilegiato con l’amico; aveva la speranza di poterlo rivedere un giorno su Veyat, anche se nonostante i numerosi avvertimenti dell’amico, Schlùn quando aveva l’occasione scappava dal controllo dell’esercito, e gli raccontava di essersi innamorato di una ragazza che negli ultimi 7 anni era riuscito a frequentare “a tratti”, “clandestinamente, un po’ in maniera simile con cui riusciva a sentire il “fratellone”. Gli aveva detto di aspettare un figlio e di non sapere se aveva intenzione di proseguire il sogno di andare su Veyat o dedicarsi a tempo pieno alla famiglia, qualunque cosa avesse deciso garantiva che sarebbe riuscito a farla, e Jorgàn sapeva bene che se Schlùn si metteva in testa una cosa era impossibile dissuaderlo.
    Jorgàn non riusciva certo a biasimarlo ed era immensamente felice per lui e per sé stesso, ce l’aveva fatta.

    Erano passati quasi 6 anni ormai dal messaggio che gli comunicava la lieta novella, da allora il suo telefono non aveva più né vibrato né squillato, almeno fino a pochi secondi fa.
    Aprì il messaggio: “Fidati di me come non ti sei mai fidato prima. Dinanzi al generale chiedi del Ki, insisti sul Ki, ricatta sul Ki. Ti prego. Colonnello Jorwàh”.

    ____________________________________
    Angolo dell'autore: Alla fine, con un pò di ritardo, sono tornato. Questo capitolo può essere considerato come "prima parte", in quanto avevo intenzione di farlo più lungo ed inizialmente m'ero mosso verso un preciso indirizzo, poi ho capito che era meglio concentrarsi su questo e fare due capitoli separati.
    Il prossimo è già iniziato ma non prometto nulla sui tempi.
    Spero vi piaccia perchè è stato forse il capitolo più complicato e soddisfacente scritto finora.

    Ultima modifica di AJeX-97; 02-07-2014 alle 17:16

  10. #30
    Senior Member
    Data Registrazione
    Tue Jul 2013
    Messaggi
    158

    Predefinito

    Capitolo VII: La Sezione 73

    Partì da Bedis Adùbe, in mezzo al deserto, a 1150 km da Tèwstòn; una base che lo illudeva che qualcuno lassù forse lo amava, visto che per casi fortuiti in quella zona il cellulare affannosamente prendeva, ed anche se ormai da tempo aveva smesso di squillare o vibrare, non aveva perso l’abitudine di atterrare in quella base, godendo della parziale autonomia di cui per certe cose gode un capitano.
    Era la prima volta che uno che non fosse Schlùn si facesse sentire in quel telefono, mai avrebbe immaginato che il colonnello Jorwàh avesse conservato quel vecchio numero.
    Capitava spesso che quasi dimenticasse cosa rappresentasse per lui il colonnello: da quando aveva dato un senso alla sua vita, Jorgàn Kalùd aveva deciso che non avrebbe fatto pesare i sentimenti di sincera stima ed ammirazione che provava verso l’ufficiale. Ciò nonostante quando apprese parecchi anni fa che era proprio lui lo Jorwàh che era stato promosso maggiore fu felicissimo, com’era vero che era colmo di gioia quando l’ormai colonnello gli “sfiorò il palmo” in occasione della promozione a capitano, quando sentì di aver tenuto fede ad un patto, ad un’investitura, ricambiando il gesto di cui era stato pregiato in gioventù.
    Era fiero ed orgoglioso quando prendeva atto che ne aveva pochi sopra di lui, e fra quei pochi c’era l’uomo a cui doveva tutto, un antrù che per lui era un simbolo di liberazione e rinascita.
    Dopo 30 anni dal loro primo incontro, i due si ritrovarono a rapportarsi continuamente, a lavorare insieme, come Jorgàn aveva sempre sognato e sperato; pur facendo trasparire la solita “indifferenza professionale”, in realtà egli continuava a stimare più di ogni altro il “nuovo” Jorwàh, considerandolo di gran lunga quello col cervello ancora più integro, non completamente lavato come gli altri ai vertici; colui con cui, pur non dandolo a vedere, preferiva discutere e ricevere gli ordini; colui con cui preferiva sfogare la propria frustrazione nei confronti del proprio lavoro e del proprio governo, sperando magari di ricevere qualche consiglio diplomatico, di apprendere la capacità di far buon viso a cattivo gioco che non aveva ancora fatto propria nonostante occupasse un importantissimo ruolo di potere.
    Eppure una volta tanto non era solo lui il rompipalle paranoico che aveva sempre qualcosa da ridire sull’operato dell’esercito: in questo caso era addirittura un colonnello che stava “tramando” alle spalle dei propri superiori! Era severamente vietato l’uso di cellulari di vecchia generazione nell’esercito, in quanto le comunicazioni dei militari venivano costantemente monitorate, pur non essendo questa una verità ufficiale per tutti, era, diciamo, una verità ufficiosa, un segreto di pulcinella.
    Quello che invece avrebbe destato scandalo, e su cui il capitano Kalùd, dall’alto della sua esperienza, non nutriva alcun dubbio, è che l’intera popolazione Planòò veniva costantemente monitorata. Segnali elettrici, telefonici ed in pratica qualsiasi altro segnale elettromagnetico venivano diffusi da quattro kiryòn-bobèn (etimologicamente “antenna di trasmissione elettrica”, per noi gigantesche “Bobine di Tesla”) equidistantemente piazzate nei quattro punti cardinali di Plant, i cui dati potevano essere recepiti solamente da chi le gestiva, naturalmente il Governo Mondiale.
    In pratica la comunicazione era fortemente centralizzata, era veramente troppo facile monitorare tutti per il Governo, ed in base alle sue conoscenze ed alle sue esperienze, non riusciva proprio ad immaginarsi i vertici perdere una simile occasione.
    Invece che lui ed il colonnello fossero costantemente monitorati, era, una volta tanto, una verità ufficiale, su cui lui non aveva assolutamente niente da recriminare, del resto era un personaggio pubblico messo in una posizione nevralgica.
    Ma se addirittura il colonnello Jorwàh aveva deciso di occultare una comunicazione con un proprio sottoposto, significava che l’assidua sensazione che, nonostante il rango, ci fosse molto che ancora gli tenevano nascosto.
    Aveva chiesto una riunione col generale appunto perché voleva vederci chiaro, voleva una motivazione valida e concreta per mettere in gioco le vite dei suoi uomini. Nella precedente riunione aveva chiesto approfondimenti sul Ki e di comunicarglieli; se il colonnello lo aveva pregato di nascosto di chiedere del Ki al generale, significava che c’era qualcosa da sapere sul Ki che il colonnello riteneva dovesse sapere urgentemente, e che l’esercito non aveva intenzione di comunicargli.
    Ormai mancavano pochi minuti alla riunione e l’hovercraft dell’esercito era arrivato alla base di Tewstòn. Il capitano Kalùd aveva deciso che avrebbe recitato la parte che il colonnello gli aveva suggerito.
    Una volta sceso dal velivolo, ad attenderlo trovò le due guardie preposte, che gli si posero dinanzi ed alle spalle come consuetudine, e lo scortarono alla Sala del Comando all’ultimo piano, dove avevano luogo le riunioni degli ufficiali di alto grado.
    Una volta annunziato dalla guardia, il capitano entrò nella sala, dove fu sorpreso nel constatare che ad attenderlo c’erano solo il generale Jokùn e il colonnello Jorwàh; non aveva alcuna logica, si sarebbe certamente aspettato di trovare il capitano Waltùr, e naturalmente generali e colonnelli al gran completo, magari pure i maggiori, al limite il generale da solo, ma che senso aveva invece il contesto che gli si parava di fronte?
    <<Si accomodi, capitano Kalùd>> lo accolse il generale, invitandolo a sedersi.
    Jorgàn si sedette, terrorizzato dall’eventualità di sorbirsi il classico pistolotto retorico del generale.
    <<Allora capitano, le ho concesso questa riunione sulla fiducia, con un generico “discutere delle motivazioni della spedizione su Veyat”, una richiesta informale senza dettagli e specificazioni; le ho dato una mano in quanto sono consapevole che le formalità non sono il suo forte, ma ora che si trova qui dinanzi a me, non ho dubbi che abbia qualcosa di importante da dirmi>>
    In effetti si, il generale parlava a ragione; la richiesta formale che aveva inviato al quartier generale qualche giorno fa non era ragionata e studiata, nè di comune accordo con l’altro capitano; era più che altro dettata da un impeto di rabbia e frustrazione, scatenatosi alla concessione di scendere di quota dopo le insopportabili 70 morti del giorno prima, permesso che aveva interpretato come scavalco alla sua autorità, una presa per il culo ed una mancanza di rispetto nei suoi confronti e nei confronti della vita dei suoi sottoposti, che a dispetto del crescente trend di vittime venivano invitati a farsi ammazzare; evidentemente erano implicite centinaia di vite perdute in un mese su Veyat per una missione di ricognizione, erano un costo preventivato; per tutti ma non per lui, che pur disposto a morire per la patria, aveva bisogno di una motivazione valida per farlo.
    <<La ringrazio di avermi ricevuto, signor Generale>> rispose Jorgàn <<certo dovrà ammettere che questa sembra in effetti una riunione informale, mi aspettavo ci fosse più gente>>
    <<Il colonnello Jorwàh è colui che mi ha convinto ad essere accomodante e concederle questa riunione; di comune accordo abbiamo deciso che saremmo stati noi due a parlarle, senza coinvolgere l’altro capitano>> rispose il generale, che proseguì chiarendo <<Fra l’altro, so bene che il colonnello è colui che meglio di chiunque altro riesce a tenerla a bada, capitano>> inappuntabile.
    Il colonnello, oltre ai classici saluti di rito non proferì parola, chissà se immaginava che il capitano avesse ricevuto il messaggio, a parere di Jorgàn no, ed anzi, era convinto che avesse persuaso lui il generale allo scopo di indirizzare il discorso verso una certa direzione.
    <<Capisco>> disse il capitano, fiducioso d’aver capito i veri motivi, a differenza del generale, per cui la riunione sarebbe stata fra loro tre.
    <<Perfetto>> rispose il generale, che proseguì <<Ora che abbiamo concluso le odiate delucidazioni, mi esponga le sue richieste, capitano>>
    Ultima modifica di AJeX-97; 05-05-2015 alle 15:11

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •