Salve a tutti!
Il quarto capitolo è pronto, e l'attenzione torna su Vegeta.
Ho visto che il topic ha ricevuto un certo numero di visualizzazioni che non può essere dovuto solo alle visite mie e di Feleset, per cui devono esserci lettori che hanno dato un'occhiata alla storia e magari sarebbero interessati a seguirla: orsù, non siate timidi e commentate, se siete già iscritti. Accetto commenti di ogni tipo, purchè argomentati.
Pubblico il nuovo capitolo sperando di farvi cosa gradita, e ringrazio coloro che hanno dato almeno una letturina.
Cap. 4 – Travel the world and the seven seas...
L'astronave sfrecciava lenta nello spazio più profondo. Lenta, se confrontata con la velocità tenuta dal mezzo usato da Goku per andare su Namecc; lenta, perchè non vi era fretta di raggiungere una destinazione precisa, e perché queste erano state le istruzioni del professore. Il dr. Brief, infatti, aveva intenzione di testare il veicolo in varie condizioni, sottoposto a varie sollecitazioni, assecondando quante più variabili possibili e sottoponendo il veicolo a tutte le velocità possibili per esso. Tutto attorno, le profondità dello spazio cosmico le scorrevano attorno, come un freddo lenzuolo di seta nera; ma questa immagine non era adeguata a comunicare le forti sensazioni che si potevano avvertire in un'esperienza come il viaggio nello spazio aperto, indescrivibili per chi non le aveva mai sperimentate sulla propria pelle. Come trasmettere ad un ipotetico interlocutore la concezione di uno senso di oppressione più scura del vuoto infinito? Qualunque viaggiatore non abituato si sarebbe sentito allibito e affascinato da quello spettacolo, affascinato in modo enorme e schiacciante; avrebbe sentito su di sé il peso della propria piccolezza in rapporto all'illimitato e al mistero del cosmo. Chiunque sarebbe stato indotto a pensare che l'universo se ne frega di coloro che lo abitano, esseri talmente minimi e insignificanti che il venir meno di qualunque essere vivente non avrebbe mutato la sostanza dell'esistente.
È chiaro che questi pensieri metafisici, ovviamente, valevano zero per un viaggiatore navigato come il Principe dei Saiyan. Egli, fin da bambino, aveva sempre attraversato le galassie per eseguire le sue missioni e, anche se diverse volte in letargo, era ormai indifferente al brivido di sottofondo che pervadeva il cosmo. Del resto, da anni non aveva più una casa propria dove tornare, e sulla Terra non aveva una “casa”, aveva solo un alloggio, un'abitazione; gli spostamenti erano stati per anni la sua routine ordinaria. Era quasi normale che lui vedesse lo spazio semplicemente come la scenografia dove si svolgevano i suoi spostamenti.
E poi la sua mente non poteva lasciarsi distrarre da pensieri di ordine esistenziale, perchè era focalizzata su un unico progetto. Doveva allenarsi e doveva trovare il Super Saiyan, l'essere della leggenda, il vero guerriero più forte dell'universo. Kakaroth, insomma. Perché doveva trovarlo? Cosa si aspettava da lui? Doveva trovarlo, doveva vederlo coi suoi occhi e basta; non c'era un perché. L'inconscio lo orientava a fare questo, mosso forse dall'istinto di competizione dei Saiyan e forse dal risentimento verso l'odiato rivale. Per questo, durante gli allenamenti, il suo spirito era perennemente all'erta in cerca di una grande aura che balzasse all'occhio, che non passasse inosservata. Non sarebbe stato troppo difficile... di aure forti se ne potevano anche trovare nell'universo, ma a quei livelli...! E poi quella era un'aura Saiyan a lui ben nota, praticamente unica. Il fatto che fino ad allora non avesse avvertito nulla non era servito a scoraggiarlo, né in quel contesto era possibile che qualcosa lo distraesse o lo dissuadesse. Sì, ok, il suo era un piano avventato, eufemisticamente parlando; altrimenti lo si potrebbe definire da pazzi, senza capo né coda. Quante probabilità di successo aveva? D'altronde nessuno avrebbe potuto dissuaderlo: in primis perché non aveva ritenuto opportuno metterne al corrente nessun altro; un po' anche perché... seriamente, chi avrebbe potuto dissuaderlo, ragionevolmente? A quali livelli potrebbe arrivare l'ostinazione di un Saiyan?
Su Namecc, Vegeta aveva acquistato una potenza spaventosa, e sicuramente era diventato uno degli esseri più potenti della galassia. I mesi di fiacca gli avevano fatto perdere una parte della sua potenza. L'ozio: quanto gli faceva rabbia associare quel vocabolo a sé stesso, al Principe dei Saiyan, quanto la riteneva distante da sé stesso! Eppure, dai tempi della sua infanzia, quello era il periodo di nullafacenza più lungo che avesse mai trascorso, e non ne era pentito: di più. Erano stati mesi di nulla, di vuoto totale, di tempo completamente sprecato.
Per questo, Vegeta aveva sfruttato il funzionamento del simulatore gravitazionale per un allenamento preciso e rigoroso, mediante il quale voleva recuperare la piena potenza che il suo corpo aveva già raggiunto in precedenza. A tale scopo, aveva deciso di servirsi dei primi fattori moltiplicativi della gravità per recuperare la forma fisica perduta, con calma e senza fretta, utilizzando anche l'attrezzatura da palestra che gli aveva fornito il padre di Bulma. Con quest'ultimo, i collegamenti erano stati frequenti, a cadenza più che settimanale: oltre ad interessarsi dell'incolumità della sua cavia (che tuttavia sapeva essere una delle creature più robuste dell'universo), lo scienziato voleva ricevere il resoconto tecnico direttamente da Vegeta, per individuare difficoltà che i computer avrebbero potuto non rilevare.
Successivamente, aveva deciso di utilizzare le gravità superiori per potenziarsi ulteriormente. L'allenamento, pensò Vegeta, doveva essere lento, intenso e metodico, e non doveva trascurare alcun muscolo del suo fisico. Non voleva assolutamente avere punti deboli, nemmeno uno solo.
Dopo diverse settimane, addirittura qualche mese di viaggio, Vegeta intercettò qualcosa di sospetto: una congerie di aure evidentemente appartenenti a razze aliene diverse, la cui forza era sopra la media, ma non di troppo: nulla che lo potesse seriamente impensierire; e non avrebbe potuto dargli filo da torcere, nemmeno fino a un anno prima, quando la sua potenza era notevolmente più bassa. La deduzione per lui fu semplice: in quei paraggi, che rientravano nella sfera d'influenza del suo ex-sovrano, doveva esserci una di quelle che in gergo tecnico veniva chiamata “colonia freezeriana”, ossia una stazione di rifornimento e base di stazionamento che Freezer aveva fatto piazzare su pianetini troppo piccoli per sfruttarli commercialmente o economicamente, in modo da utilizzarli almeno a scopo strategico e logistico.
«Una colonia freezeriana! Da quanto tempo non ne vedevo una... l'ultima volta dev'essere stata quando ero di ritorno dalla Terra, sul pianeta Freezer 79... Mi verrebbe voglia di ammazzare tutti quei leccapiedi!» Era chiaro che l'odio di Vegeta verso anni di umiliazioni non si era mai sopito.
La rabbia gli montava ogni volta che si ritrovava a pensare che lui avrebbe dovuto dominare come un re, e non strisciare come un soldatino... come se fosse uno di quegli squallidi imbecilli senza personalità! Quella era l'occasione di sputare addosso a quel sistema di potere che Freezer aveva costruito nei decenni, anche a costo di sacrificare qualche vita tutto sommato innocente. Cercò di calmarsi e di ragionare a sangue freddo: cosa poteva fare di questa colonia? Poteva sfruttarla a suo vantaggio? Poteva quel pianetucolo arrecargli qualche danno? Potevano sapere qualcosa sul Super Saiyan che aveva combattuto contro il loro monarca? O poteva al massimo derubarne le scorte alimentari, i carburanti e il vestiario a proprio vantaggio? Queste ultime domande lo avevano orientato verso la decisione di attraccare sul pianeta: è vero, il dr. Brief gli aveva fornito un quantitativo di risorse che definire ingente era riduttivo, il tutto sotto forma di comode capsule; però, per precauzione, poteva essere opportuno abbondare. Era pur sempre nello spazio! Disattivò la gravità artificiale, in modo da poter abbassare il livello di combattimento senza essere schiacciato dal proprio peso. Indirizzò la nave verso una delle piattaforme di attracco costruite a una distanza di diverse centinaia di metri dalla base, su degli appositi pilastri rocciosi.
«Un'astronave sconosciuta in avvicinamento.» - osservò il controllore di turno, un alieno umanoide dal fisico tozzo, in armatura, con un paio di piccole corna e una strana barba di stampo asburgico-ottocentesco di color indaco, seduto al suo posto di lavoro nella cabina posta all'ingresso della colonia. Pensò di contattare la base all'interno: «Signor Pyaa, c'è una nave in fase di attraccaggio. Potrebbe non essere una delle nostre,e nemmeno una di quelle al servizio di Re Cold o di Cooler, in quanto non ci è giunto alcun protocollo di comunicazione preliminare rispetto alle manovre di attracco.»
«Individua immediatamente l'indice numerico del suo livello combattivo.» comunicò una voce tramite le cuffie che il controllore indossava: chi parlava era il signor Pyaa, un corpulento dinosauroide dalla pelle verde scuro e dalla folta e lunga capigliatura rosso-arancio.
«Signore, il livello è bassissimo. È una persona sola, con un misero 20.»
«Misero davvero... pensaci tu.» - e chiuse il collegamento, credendo che il discorso morisse lì e ritenendo a buon diritto che del nuovo arrivato potesse occuparsi il controllore stesso, senza il minimo rischio per la sua incolumità.
Senonché, qualche minuto dopo, si udì una strana sequenza di suoni. La navicella era atterrata, ma a quanto sembrava non era la monoposto che il capitano si era aspettato, quando gli era stato comunicato che il misterioso avventore era da solo. Il rombo dei motori tradiva una navicella di una dimensione media, potremmo dire, considerando la flotta di Freezer.
Dopo un po', la porta saltò in aria all'improvviso.