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  1. #351
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    Subito dopo, Ramen proseguì l’uso della tecnica dello Spirit Rifle, con altri due attacchi spirituali che - potenti, precisi ed invisibili - travolsero in pieno la ragazza facendola rotolare per terra. Ganja non ebbe nemmeno il tempo di vedere i fendenti aerei che, sparati in sua direzione, rendevano l’aria bollente ed ondulata.
    «Che cos’è quello? Una nuova tecnica?» domandò Crilin.
    Tenshinhan rievocava con un certo piacere nella propria memoria il giorno in cui Ramen aveva chiesto umilmente di poter apprendere la somma tecnica del Kikoho, il colpo più devastante della Scuola della Gru. Alla richiesta, Tenshinhan diede picche: se non fosse stato in grado di padroneggiarla alla perfezione, l’uso di quel colpo si sarebbe rivelato deleterio per chi lo usava e per chi gli stava intorno. Sfortuna voleva che Ramen, solitamente mansueto ed obbediente, su certi argomenti risultava ostinato ed insistente; la sua crescita nelle arti marziali era uno di quei temi. Passarono due, tre giorni, una settimana, due settimane di pressanti richieste; infine il maestro dai tre occhi volle dargli soddisfazione: “Per accontentarti, ti insegnerò il meccanismo su cui si basa il Kikoho, ma guai a te se ti azzardi ad usarlo… dovranno passare anni, prima che tu sappia sfruttarlo in modo consapevole!”
    “Sissignore!” rispose solerte e trionfante l’adolescente: era o non era quella una prima vittoria su quel te-stardo del suo maestro?
    “Guarda che non scherzo…” lo minacciò con espressione seria. “Se ti azzardi a usare questa tecnica senza il mio permesso, sei fuori dalla Scuola della Gru! Sappiti regolare! Intesi??”
    “Non dubiti della mia parola, signor Maestro!”
    Qualche tempo dopo – ricordava Tenshinhan - Ramen lo condusse in cortile, davanti ad un tronco d’albero robusto e resistente, ma ormai spoglio e secco. Quel vecchio vegetale fu la cavia su cui Ramen testò, davanti agli occhi sbalorditi del maestro, la sua nuova tecnica, lo Spirit Rifle. Il “Fucile spirituale” altro non era, in fondo, se non una versione più leggera e “maneggevole”, quindi meno stressante, del tradizionale Kikoho.
    «Così giovane, è già capace di ideare una nuova tecnica di quel livello! Quel ragazzo ti farà le scarpe, vecchio mio…» osservò Yamcha con un sorriso, dando un’energica pacca sulla spalla del treocchi.
    Nel frattempo, sul ring…
    «Ohi ohi ohi! La mia povera cucuzza!» si lagnò Ganja massaggiandosi la fronte. «Che attacco potente… da vicino deve fare molto male! Ad ogni modo, bella lì! Quell’attacco era tanta roba, Ramen!» Ora però doveva ideare una nuova strategia d’attacco, tenendo conto che il giovane possedeva anche una tecnica così pericolosa. “Riesco a percepire i suoi movimenti, ma lui è ancora più bravo di me a seguire i miei… devo rendermi imprevedibile…” pensò Ganja; calò le palpebre, tirò un sospiro meditativo e si massaggiò le tempie con i pollici. Quindi si sollevò in aria, mentre Ramen la studiava in attesa della prossima mossa; la ragazza cominciò a librarsi lentamente verso di lui, con le braccia e le gambe ciondolanti e l’espressione svanita. Le scappò un colpetto di singhiozzo: «Hic!» Ramen la fissava spiazzato.
    Rapidissima, contando sull’effetto sorpresa, Ganja calò di colpo addossò a Ramen mollandogli una pedata al mento; e ancora: «Hic!» Seguì un’inattesa e disordinata giravolta di cui approfittò per calciare con lo stinco il collo del ragazzo; poi, con un’agile capriola, ruotò su sé stessa e avvinghiò le gambe attorno al torace di lui, prendendolo a pugni al viso come avrebbe fatto un avvinazzato in taverna. «Hic!» Poi lasciò la presa e scivolò effettuando una ruota sul pavimento… «Hic!!»
    «Ahiahi… accidenti… che male…» si lamentò il ragazzo. «Che cavolo ti è preso?! Come mai non riuscivo a seguire i tuoi movimenti??»
    «Non conosci il colpo dell’ubriacone? Me l’ha insegnata un caro vecchietto… poi ho scoperto che la sua era tutta una manovra per palparmi le tette, quindi ho dovuto metterlo al tappeto, però almeno ho imparato una cosa nuova!» spiegò Ganja con la solita spavalderia. «Non puoi padroneggiare questa tecnica, perché sei troppo un bravo ragazzo… non ti sarai mai ubriacato, scommetto!»
    «Ubriacarsi non è un vanto!» rimbrottò Ramen indispettito, non solo per il fatto che una tecnica così de-menziale si fosse rivelata tanto dolorosa, ma soprattutto per il fatto che esisteva una tecnica che non poteva apprendere con il semplice addestramento. Che rabbia! “No… non devo pensare di essere sempre il migliore e di saper fare tutto subito!” si disse il giovane adolescente. “La presunzione è nemica della crescita! Piuttosto devo pensare a come rispondere… Idea!”
    «Ganja! Guarda l’uccellino!» gridò Ramen portandosi le mani ai lati del viso.
    «L’uccellino? Quale uccel-...?»
    «Colpo del Sole!» gridò il rosso sorridendo furbo, scatenando un’ondata di luce bianca che abbagliò la vista di Ganja, nonché quella di tutte le migliaia di presenti. “Sapevo che avrei finito per fare ricorso ad un diversivo così stupido, per usare il Colpo del Sole!” Come al solito, gli unici in grado di seguire gli sviluppi successivi dello scontro furono solo coloro che indossavano occhiali da sole, fra cui l’arbitro. «Signori spettatori, avete appena assistito ad una tecnica tipica della Scuola della Gru! Non temete, fra poco i vostri occhi torneranno come prima!» li rassicurò. «Nel frattempo, Ramen è già passato al contrattacco! Quale sarà la sua prossima mossa?»
    La prossima mossa di Ramen? Il ragazzo iniziò a saettare ai quattro angoli del ring rendendosi impossibile da individuare per le persone comuni. «Mi hai giocato proprio un bello scherzetto, testarossa… peccato per te che io non abbia bisogno di vederti! Posso seguirti con gli occhi della mente!» (“Ma se ci vedessi, sarebbe meglio, mortacci sua!” aggiunse mentalmente la ragazza. Una cosa era dover attaccare percependo i movimenti avversari, come aveva fatto prima, ma diverso era doversi difendere da un attacco altrui!)
    “Se le cose vanno come sospetto, posso vincere!” pensava Ramen schizzando a tutta velocità, finché non si lanciò silenziosamente verso Ganja, che si sforzava di avvertire persino i minimi spostamenti d’aria. «Sei qui!» urlò la ragazza puntando le mani in avanti e spingendosi verso l’alto. Ramen fu più abile: la seguì dal basso in quel movimento, e approfittò di quel suo attimo di esitazione e smarrimento per afferrarle la gamba con entrambe le mani, e scaraventarla a distanza. La incalzò ulteriormente e, allungando il braccio in avanti, colpì ancora una volta: «Spirit Rifle!» Nonostante l’allieva della Tartaruga tentasse di divincolarsi, la folata del fucile energetico era troppo potente, precisa e veloce perché potesse resistervi. Infine, con una ginocchiata alla schiena prolungata verso il basso, Ramen abbatté Ganja spingendola fuori dal perimetro del ring. La ragazza cadde sull’erba con un tonfo sordo; l’adolescente dai capelli rossi sbuffò, accusando segni di visibile stanchezza.
    «Con una manovra rapidissima, il giovane Ramen ha causato la caduta fuori dal ring della sua avversaria Ganja! Quando due avversari sono così in gamba e ricchi di inventiva, è sempre con dispiacere che annun-cio la sconfitta di uno dei due… ad ogni modo, vincitore di questa seconda semifinale è Ramen, che così accede direttamente alla finale!» proclamò con entusiasmo l’arbitro.
    Nel frattempo, Ramen stava già aiutando Ganja a risalire sul ring, porgendole gentilmente la mano. Ed ecco che, in un semplice gesto, tutto l’accanimento della battaglia era evaporato in due secondi. «Come ti senti?» domandò educatamente Ramen.
    La ragazza, risalita sul ring, lo guardò accigliata ed imbronciata. «Col dentro di…»
    «…bestia?» la interruppe il ragazzo.
    «No! Di merda.» Ed era insolito che la ragazza (o la sua gemella) attraversasse un momentaccio “col dentro di merda”, visto il carattere spensierato che la contraddistingueva.
    «Non farne una tragedia! Guarda che non stiamo mica per morire! Abbiamo tutta la vita davanti per alle-narci e diventare più forti…» disse lui, mentre entrambi si avviavano verso l’uscita del campo.
    «Giustooooooo!» esclamò la ragazza. «Non ci avevo pensatooooo!»
    «Flippata.» replicò Ramen.
    «Tanto la prossima volta vinco io!!» concluse Ganja strizzando l’occhiolino all’indirizzo del ragazzo. I due si strinsero calorosamente la mano.
    L’arbitro sollecitò un applauso del pubblico «…per queste due giovani e leali promesse delle arti marziali! L’avvenire di questo nobile sport è sicuramente nelle loro mani!» Un tripudio scrosciante di applausi ed acclamazioni si levò entusiasta e festoso dagli spalti, lusingando Ganja – quanto amava sentirsi al centro dell’attenzione, in modo così plateale! – ma anche il più timido e riservato Ramen.
    «Il nostro prossimo appuntamento è fissato per domattina alle dieci con la finale del ventiquattresimo torneo Tenkaichi! Non mancate! Buona serata a tutti!»
    “Mi dispiace essere stata sconfitta…” pensò Ganja. “…ma il motivo per cui volevo vincere è lo stesso per cui anche Kaya vuole la vittoria. Quindi, se c’è lei in finale, bella lì! Mi fido di lei! A proposito… eccola lì…” Il vincitore e la sconfitta erano infatti arrivati negli spogliatoi, dove incontrarono la gemella di lei e il rivale di lui. Kaya aspettava Ganja a braccia conserte ed occhi chiusi, in un atteggiamento vagamente saccente.
    «Ohè… cosa vuol dire questo modo di fare??» chiese Ganja irritata alla sorella.
    «Io non ho detto niente…» rispose Kaya.
    «Dai, forza! Dillo, testina!» la sfidò Ganja di rimando.
    «Ti ci voleva una bandana portafortuna efficace come la mia!!!»

  2. #352
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    «Mi dispiace per Ganja… lei ci è rimasta male, però le sconfitte fanno bene… le abbiamo subite tutti, no?» concluse Crilin con un sorriso un po’ mogio.
    «Domani anche Kaya subirà una sconfitta.» precisò Tenshinhan, con un ghigno beffardo.
    «Anche secondo me Ramen ha già vinto!» gli fece eco Jiaozi.
    «Ah.ah. Simpatici!» replicarono Crilin e Yamcha; poi i quattro maestri si guardarono reciprocamente con un sorriso complice, e presero a ridere bonariamente. Tuttavia qualche minuto dopo, il giovane uomo con le cicatrici, preso dai dubbi, si accigliò portando un dito alle labbra, in atteggiamento meditabondo: «In effetti… chissà…» La vittoria di Kaya in finale non era affatto scontata… tutt’altro.

    Nel pieno del pomeriggio, un uomo di media altezza con una valigetta grigia metallizzata da lavoro si era appostato all’uscita esterna che portava al di fuori dello stadio. Noto come il signor Kodak, svolgeva la professione del fotografo, e il suo studio era nella Città del Sud. In città negli ultimi giorni si lavorava poco, dato che il Tenkaichi aveva catalizzato l’attenzione di tutti; per cui, prevedendo caos e confusione in quei giorni, nessuno aveva osato fissare cene, conferenze ed eventi vari nei quali di solito è richiesta la presenza di un fotografo. Dato che il lavoro languiva, Kodak si era fatto venire un’idea per guadagnare qualche soldo facile, da buon disonesto qual era; si credeva un gran furbacchione, il nostro fotografo, e anche i tratti del suo viso non erano dei più affidabili, con quegli occhietti astuti e con quei baffetti sottili. Dopo aver seguito con noia dallo schermo televisivo di un bar il secondo match della giornata – del quale gli fregava relativamente poco -, si era messo a correre a rompicollo pur di intercettare il gruppo dei semifinalisti e dei loro illustri maestri al momento dell’uscita.
    La luce del cielo stava cambiando; il sole iniziava la sua discesa quotidiana, stava perdendo il classico azzur-ro pallido delle latitudini tropicali. “Eccoli… finalmente!” pensò quando vide uscire i quattro giovani, i due maestri della Tartaruga, i due maestri della Gru e altri personaggi, persino un bebè, che a quanto sembrava facevano parte del loro gruppo. Anche i partecipanti al torneo indossavano abiti casual, quindi la sua ipotesi era fondata: avevano perso tempo perché si erano cambiati d’abito; e probabilmente erano anche stati assediati dai classici giornalisti rompiscatole, dopo il combattimento. “È meglio che ci siano tutti quei soggetti di contorno! Più polli da spennare ci sono, meglio sarà per me!” Al momento opportuno, si presentò al gruppetto ostentando un umore allegro e un atteggiamento amichevole, e mostrando il suo biglietto da visita: «Salve a tutti, signori!! Mi chiamo Kodak, e sono un fotografo professionista, come potete leggere sul mio bigliettino da visita! Sono venuto per offrirvi un affare che ha dell’incredibile! Una vera offertissima solo per delle celebrità internazionali!» Tutti si guardarono attoniti, chiedendo cosa volesse da loro questo pazzo. «Dal momento che so di trovarmi davanti dei veri V.I.P., vi offro la possibilità di conservare un meraviglioso ricordo di questi giorni per voi festosi, ad un prezzo conveniente!» proseguì con accenti retorici e un tono di voce untuoso. «Un pacchetto completo di fotografie di gruppo di varie dimensioni, compreso l’ingrandimento formato poster! Vedo che siete in molti nel vostro gruppo, quindi se volete posso stamparvi copie delle foto per ciascuno di voi.»
    “Parla di foto e di prezzi convenienti, ma finora non ha citato nemmeno una cifra…” pensò Tenshinhan sogghignando divertito. “Scommetto che è uno di quei furbastri che prima ti fanno le foto e poi ti sparano prezzi esorbitanti…” Inquadratolo in questi termini, il treocchi domandò a sangue freddo: «E quale sarebbe questo prezzo di favore?»
    Kodak estrasse dal taschino del gilet una calcolatrice tascabile, digitò tasti a casaccio dando l’impressione di star eseguendo un lungo calcolo, mormorò sottovoce numeretti altrettanto a casaccio e infine sparò il risultato: «Vengono… sessantacinquemila zeny.»
    «Ma è un prezzo assurdo!» si lamentò Crilin. «Per quattro scatti!»
    «Non sottovalutate la mia serietà professionale! Saranno delle foto di lusso!» si giustificò il fotografo.
    L’idea delle foto era davvero allettante, ma effettivamente il prezzo era esorbitante e nessuno dei presenti aveva voglia di farsi prendere in giro dal primo arrivato. Il gruppo stava per tirare avanti, ignorando l’offerta di Kodak. Bulma, però, prese la parola. «Aspettate, ragazzi! Ci ho pensato bene… le foto ve le pago io!» Il volto del fotografo si illuminò, mentre gli altri la guardarono, attoniti per quello slancio di generosità. Uno dei tanti slanci di Bulma, in fin dei conti… «Lo sapete che per me i soldi non sono un problema.»
    Parlando a nome degli altri, Yamcha però osservò: «Rimane il fatto che il prezzo è eccessivo. È una questione di principio.»
    «Ascoltatemi.» disse la donna. «Chiunque vinca domani, questo torneo si è rivelato un successone per voi come atleti…» e qui puntò il dito verso i quattro allievi «… e per voi quattro come maestri! Fra qualche anno avremo voglia di rivedere come eravamo e ricordarci di questi bei giorni! Non credete?? Quindi ho deciso di fare a tutti voi questo regalo, se me lo permettete!» Il tono di Bulma fu tanto perentorio e convincente che nessuno ebbe l’ardire di contraddirla, per la somma felicità del fotografo che si preparava ad intascare la somma pattuita. Il gruppo si mise in posa, ed ognuno sfoderò un sorriso, chi più chi meno ampio, in linea col proprio carattere. Click!
    Si misero d’accordo con Kodak perché inviasse le foto ai rispettivi domicili; quindi il fotografo li salutò affet-tuosamente. Infine, quando se ne furono andati, pensò: “Che taccagni! Meno male che c’era quella gnoc-ca a pagare… avrei dovuto spillarle più soldi…!”

    Le gelide montagne del nord del continente erano un luogo inospitale; amate da escursionisti e scalatori, non erano certo una regione adatta a cittadini avvezzi alle comodità; anche la gente delle campagne e dei borghi montanari vi si avventurava raramente, fermandosi comunque a qualche centinaio di metri d’altezza e solo temporaneamente, per andare a caccia, o in cerca di funghi e tartufi. In alcuni punti relativamente estesi, però, l’accesso era estremamente arduo per i comuni esseri umani; quelle zone, infatti, finivano per essere punteggiate da rocce aguzze e baratri, massi che bloccavano il passaggio e conifere che crescevano, imponenti, con una discreta diffusione sul territorio. Come se non bastasse, il clima era per natura più rigido rispetto alle regioni centrali e meridionali; a volte si aggiungeva un vento insopportabilmente penetrante. L'erba non stentava a crescere alta, verde e scura, in un clima simile. Insomma, quelle montagne erano una sistemazione a prova di scocciatore per chiunque decidesse di stabilirvisi.
    In quei giorni, il disgelo primaverile stava avvenendo con lentezza. Quel giorno, poi, l'aria era stata umida per gran parte delle ore mattutine, e il cielo coperto da nuvoloni cupi; poi, la regione era stata battuta da un vento pesante ed ululante, finché nel primo pomeriggio non scoppiò un diluvio con tanto di fulmini – che ovviamente non guastano mai. Il temporale era ancora in corso.
    In quei luoghi, in un punto imprecisabile fra quelle rocce, era collocato un laboratorio segreto di cui pochi conoscevano l'esistenza, e addirittura nessuno l'esatta collocazione. Al suo interno, un uomo anziano dallo sguardo freddo ed apatico fissava, nel buio della propria abitazione, la conclusione della seconda semifinale del Tenkaichi, trasmessa dallo schermo azzurrino del proprio televisore. Afferrò il telecomando con la sua mano rugosa, ruvida e screpolata come la corteccia di un vecchio albero; premette un tasto e spense l’apparecchio. La scarsa curiosità umana che gli residuava l’aveva indotto a seguire qualche immagine frammentaria del Tenkaichi, manifestazione verso cui provava disinteresse. Disse poi: «Dunque domani è il gran giorno.» Anche se, nel suo caso, la frase aveva più di un significato. Accese la luce, e si palesò attorno a lui un ambiente disordinato: una cameretta ricavata nella roccia; quell’esiguo spazio, la sua dimora, era il luogo dove fino a poco tempo prima aveva continuato a coltivare le sue abitudini umane.

  3. #353
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    Era un uomo dal fisico molto asciutto, con un fisico probabilmente rachitico sotto la camicia arancione a righine nere dalle maniche a sbuffo, e indossava pantaloni scuri. Tutto il suo volto mostrava segni di una vecchiaia ancora più spietata di quanto si sarebbe sospettato guardandogli le mani. Occhi azzurri, lunghi capelli bianchi, ed un folto paio di baffi altrettanto candidi, corredavano un viso dalla pelle incartapecorita, rugosa e spessa, come avvizzita, essiccata ed indurita dai progetti di rivalsa contro la persona che aveva rovinato i suoi disegni di grandezza… Son Goku. Uscì da quel locale e si diresse nel grande stanzone, un laboratorio pieno di complessi marchingegni, frutto di quindici anni di studi esasperanti e di ricerche scientifiche solitarie. Nell’ambiente regnava una solitudine plumbea e silenziosa, incupita dal contesto isolato nel quale il laboratorio era costruito. Era il terreno ideale in cui il padrone di casa poteva coltivare da un lato la sua tetra misantropia crescente, e dall’altro i suoi studi, condotti ad un livello di conoscenza ed approfondimento pressoché ignoto agli altri miliardi di esseri umani che popolavano il pianeta. Informatica, cibernetica, automazione, meccanica… il tutto era affrontato e sviluppato a livelli avanzatissimi, ben oltre le capacità collettive della comunità scientifica dell’epoca. Le sue attività erano supportate da un monomaniacale desiderio di vendetta nei confronti di Son Goku; alimentata da astio e livore, la solitudine finiva a sua volta per incrementare tali sentimenti in un oscuro circolo vizioso, che lo aveva indotto infine ad assumere la folle decisione fatale: sentendo avanzare la vecchiaia sulle sue spalle, aveva deciso di diventare egli stesso un cyborg, per scampare alle degenerazioni dell’età. Anni prima aveva armato l’esercito eversivo del Red Ribbon con strumenti avanzatissimi, ancora impensabili per le truppe regolari del Governo del Re; ora, la stessa tecnologia, in una versione più progredita, avrebbe vendicato la sonora sconfitta. Chiaramente, lo scienziato – che viveva da recluso e si aggiornava sull’andamento del mondo solo per mezzo della televisione – ignorava di come quel son Goku, da anni destinatario delle sue care attenzioni, fosse ormai trapassato da un bel pezzo. Per quanto avesse spiato alcune delle sue mosse, il monitoraggio era stato incostante e diverse notizie fondamentali gli sfuggivano.
    «Numero 19.» Con questo numero, lo scienziato evocò seccamente, con voce ruvida e rasposa, il suo assi-stente artificiale.
    La figura a lui familiare di un robot obeso dal curioso aspetto orientale, pallidissimo, mosse due passi in avanti, staccandosi dalla parete a cui aderiva, in posizione eretta, in stato di quiescenza. Indossava indumenti pittoreschi e bizzarri quanto quelli del suo padrone. «Dr. Gero.» disse l’androide con il suo timbro vocale sintetico e metallico. «Mi dica. Presumo debba parlarmi delle decisioni relative al suo progetto.»
    «Deduzione corretta.» disse il vecchio robot ponendosi a sedere su una vecchia sedia imbottita dall’intelaiatura in acciaio. «Segui il mio ragionamento. Ciò che a lungo ha suscitato la mia indecisione è il fatto che non siamo a conoscenza dell’esatta forza attuale del nostro bersaglio, Son Goku. Del resto, lo abbiamo spiato solo nelle sue comparse pubbliche, ossia negli scontri combattuti qui sulla Terra dopo la disfatta del Red Ribbon. Mi segui?»
    «Sì, padrone.»
    «La volta in cui ci sarebbe stata utile la sua presenza, ossia durante lo scontro con Cooler, egli non si è pre-sentato. I nostri robot spia sono arrivati a combattimento iniziato: quindi non sapremo mai se è stata fatta menzione di Goku durante le prime battute dello scontro. Sentiamo un po’… Come te la spieghi la sua as-senza?
    «Non me la spiego, infatti. Un Saiyan è per sua natura interessato alla lotta e a fronteggiare nemici sempre più forti.» ripetendo con tono neutro informazioni inserite nei suoi software; da bravo calcolatore artificia-le, non era in grado di rispondere ad un quesito se non venivano inseriti degli input.
    Gero fissò l’aiutante; se fosse stato un normale essere umano, avrebbe sbuffato, scocciato. «Sono uno scienziato. Posso costruire da zero un uomo meccatronico, ma non sono in grado di leggere la psiche imperscrutabile e mutevole degli esseri umani. Chissà... magari il “nostro amico”, pur avendo percepito la forza di Cooler, non l'ha ritenuta alla sua altezza; colto dalla sua arroganza e presunzione, considerando lo scontro già vinto in partenza, ha scelto di lasciare a Vegeta la soddisfazione di toglierlo di mezzo... del resto, per il suo amico Saiyan, era la prima volta che poteva mettersi alla prova coi suoi nuovi poteri di Super Saiyan. Se non altro, abbiamo appreso della trasformazione in Super Saiyan… il che è un’informazione da non sottovalutare.»
    «Questo significherebbe che sia lui che Vegeta ormai sono più forti di Cooler e di Freezer... e quindi, probabilmente, anche di noi due, padrone.»
    «Corretto. Ottima deduzione, numero 19. Per questo ho deciso che, se vogliamo fargliela pagare, l'unica soluzione che ci assicura il raggiungimento degli obiettivi è la mobilitazione dei tuoi fratelli, i numeri 17 e 18. È in corso il Torneo Tenkaichi: è certo che vi sarà un enorme assembramento di persone. Domattina potremmo inviare i due gemelli sull'isola Amenbo, dove si svolgono le gare, per fare un po’ di trambusto; di certo i compagni di Goku li affronteranno ma moriranno orribilmente, e a quel punto è inevitabile che il nostro paladino si degnerà di scendere dall’alto dei cieli.» concluse Gero con una punta di sarcasmo, descrivendo lo scenario che si prospettava per l’indomani.
    «Ma padrone.» obiettò il cyborg. «L'ultima volta, che io ricordi, quei due automi erano del tutto ingestibili; ce l'avevano con lei per averli trasformati con l'inganno in cyborg. Come faremo a tenerli sotto controllo?»
    «Non serve che tu me lo ripeta. Per quanto io abbia cancellato la loro memoria umana, era rimasta a livello inconscio e subliminale l’idea che io abbia operato su di essi contro la loro volontà. Successivamente ho tentato di ripararli, ma non so con quale esito. Qualora li riattivassi, agirei nell'unico modo possibile, amico mio: terrei il controller perennemente sotto mano... Tuttavia, ormai ho deciso che entro domani Son Goku dovrà essere eliminato dalla faccia della Terra. È inutile indugiare! O lo farò io con le mie mani, o ci penseranno le mie creazioni. È questo il dilemma da sciogliere…»
    «E il progetto Cell?»
    «Quello sarà maturo fra molti anni… troppi, per i miei gusti; tanto è vero che l’ho accantonato lasciando che sia il super cervellone del piano sotterraneo ad occuparsene, continuando a seguirne la crescita. Indubbiamente è un progetto interessante sotto vari punti di vista, ma non avrebbe senso attendere tutto questo tempo per realizzare la missione relativa a Goku. Cell sarà un’arma fondamentale in futuro, quando riprenderemo in mano le redini del Red Ribbon…» rifletté leggermente soprappensiero. «Mi concederò solo una notte di riflessioni… Per quanto riguarda te, numero 19, puoi tornare in standby.»

    ********************************
    L’ANGOLO DELL’AUTORE
    Con questo capitolo ci avviciniamo alla svolta: forse i più attenti di voi avranno notato (già qualche capitolo
    fa) che la finale era prevista per il 12 maggio. Come disse Trunks del futuro a Goku “…il 12 maggio, verso le 10 del mattino, compariranno due terribili persone su un’isola a 9 km a sud-ovest dalla città del Sud…” Questi dati spazio-temporali vi ricordano qualcosa? :-) Con questa parentesi del torneo (che spero non vi abbia causato noia, indigestione o altre sensazioni spiacevoli) ci andiamo riagganciando alla storia principale…
    Il nome dell’isola Amenbo (che in tutti gli universi è la famosa isola dove i cyborg fanno il loro primo attac-co) è preso da preso da qualche sito in cui mi è capitato di imbattermi. Non è ufficiale del manga, ma credo che compaia in qualche videogioco o in qualche traduzione americana.
    Ultima nota: il personaggio di Kodak è assolutamente secondario, non dategli troppa importanza: a suo tempo capirete che ci stava a fare. :-D Il nome è preso da una marca di aggeggi fotografici vari; questo lo specifico perché mi sembra questa azienda sia andata in declino e il marchio oggi non sia più così famoso, soprattutto per l’avvento delle macchine digitali.

  4. #354
    Senior Member L'avatar di Ssj 3
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    Ho letto tutto d'un fiato la parte su Gero, descritta in maniera perfetta, sia l'ambiente che vita, azioni e pensieri del vecchio.

    Stiamo per svoltare, prevedo tempi oscuri.

    Visto l'orario, sto pensando che la finale potrebbe non concludersi.

  5. #355
    Senior Member L'avatar di marco ss3
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    Citazione Originariamente Scritto da marco ss3 Visualizza Messaggio
    In ogni caso mi aspetto qualche colpo di scena per la finale che mi sembra abbastanza scontata a favore di Ramen.
    Ecco quel colpo di scena che mi aspettavo, considerando che avevi sparso qualche indizio qua e là

    Mi aggiungo a Ssj3 nel farti i complimenti sulla parte su Gero che mi è piaciuta molto.

    P.S.
    Non farci aspettare troppo per il prossimo capitolo

  6. #356
    il VERO Super Saiyan L'avatar di Vegeth SSJ3 Full Power
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    Nel tuo cuore Dragonballiano
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    Stai mettendo del pepe in questa storia. E sappi che il pepe mi piace e non poco, Ortimo capitolo. Certo che in confronto agli altri, Ramen ha vinto "facilmente". Chissa' se l'attacco dei Cyborg avverra' proprio durante la finale, oppure riusciremo a vedere la fine di questo torneo.
    Prossimamente... Dragon Ball R.S., il DB alternativo!

  7. #357
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    Eccoci qua! Grazie per i commenti! Ormai avrete intuito dove andrò a parare e, anche se parte dei fatti che avverranno li conoscete già, la situazione è tutt'altro che scontata... state a vedere.

    Cap. 52: Double trouble: pronti a partire alla velocità della luce!

    La mattina del 12 maggio, i nostri beniamini si ritrovarono come ogni mattino nel ristorante dell’hotel a tre stelle presso il quale alloggiavano, per consumare insieme la loro colazione. Come era ormai abitudine, si divisero in due tavoli da sei: da una parte gli adulti, dall’altra i quattro giovani, in compagnia degli immanca-bili Olong e Muten; Trunks, seduto nel passeggino, poppava con goduria il latte dal biberon, mentre Pual gli stava appollaiato di fianco.
    Al termine del pasto Crilin, posando il tovagliolo con cui si era pulito la bocca, emise un’allegra esclamazione soddisfatta: «Aaaah! Si mangia proprio bene, qua!» Poi si rivolse a sua moglie Soya: «Sei soddisfatta, tesoro mio??»
    «Certo, caro paparino pelatino!» rimbeccò la ragazza con tono volutamente ironico. Tutte quelle attenzioni le facevano piacere: Crilin sapeva essere asfissiantemente premuroso; però Soya non lo respingeva, ma si limitava a buttarla sul ridere, giusto per ricordare a sé e al marito che nessuno nella vita dovrebbe mai prendersi troppo sul serio. Infatti, la sua risposta alla domanda del dolce pelatino suscitò risate da parte di tutti i presenti.
    «Sii un po’ seria…» disse Crilin. «Hai mangiato a sufficienza? Ricordati che…»
    «…”devi mangiare per due”!» completò Soya. «Me lo ripeti sempre, ed è la frase più banale e scontata che si possa dire ad una donna incinta nelle commedie romantiche!»
    «Già…» concordò Yamcha, per poi chiedere: «Tremo all’idea di quanto diventerai assillante fra… quanti mesi mancano?»
    «Più o meno sei…» rispose Soya.
    «Sempre simpatico tu!» esclamò Crilin rivolto a Yamcha, per poi domandare alla giovane donna: «Soya, ma tu mi ami?»
    «Certo, caro… che domande mi fai??»
    «E allora lo vedi che la cosa è reciproca?!» ribatté Crilin con un largo sorriso a trentadue denti.
    Nel frattempo, Trunks aveva finito di succhiare il suo latte. «Sei contento, eh? Bravo il mio piccolo principe.» gli disse amorevolmente Bulma. «Fra un po’ andremo allo stadio per la finale, ci godremo la sfida tra i due ragazzi, staremo un po’ in giro e poi pranzeremo con gli altri! Poi nel pomeriggio torneremo alla nostra solita vita…» spiegò Bulma al bebè, concludendo con un sorrisetto. Per tutta risposta, Trunks lanciò un urletto felice.
    «Devo ammettere che sono stati giorni piacevoli… ce li siamo vissuti come una vacanza…» osservò Soya. «Vero, Yamcha?»
    «Hm?» Yamcha era sovrappensiero. Guardava Bulma; guardava quel piccolo ed innocente mezzo Saiyan verso cui era impossibile provare il rancore che per lungo tempo aveva opposto il giovane con le cicatrici all’ignobile Principe dei Saiyan. Quei pochi giorni erano stati il periodo più lungo che avesse trascorso insie-me a Bulma dopo molto, molto tempo. Che sentimenti doveva nutrire adesso, nel presente, verso la sua ex fidanzata? Non lo sapeva… quella domanda, che egli si era posto da sé in quei giorni, lo confondeva. Era forse giunto il tempo di riconciliarsi, come due persone mature ed indulgenti avrebbero dovuto fare? Per il momento Yamcha si limitò a rispondere a Soya: «Sì… giorni di relax. Un po’ di riposo non fa mai male, eh?»
    «Ma senza esagerare.» aggiunse il serio Tenshinhan, ignaro di quel che passava per la testa del suo amico. «Anche se devo ammettere che mi sono trovato molto bene.»
    «Non dovremmo aspettare i tornei, per fare queste rimpatriate!» concluse Jiaozi, e tutti convennero con lui.
    Al tavolo dei ragazzi, nel frattempo, Ramen – accortosi che già da un po’ Ivanovich gli lanciava delle strane occhiate - gli domandò: «Ehi… si può sapere che hai? È da quando ci siamo svegliati che mi fissi in quel mo-do…»
    Ivanovich grugnì, e continuò a bere tenendo la bianca tazza del tè ben sollevata.
    «Vuoi forse dirmi qualcosa?» chiese ancora il rosso.
    Kaya, che era seduta accanto al biondo, schiaffò una energica pacca sulla schiena del biondo, facendogli spruzzare dal naso tutto il tè che stava inghiottendo. «Eddai, scemo!! Digli tranquillamente quello che gli vuoi dire, anche se va contro il mio interesse… è pur sempre il tuo compare! Kaya ti dà la sua autorizzazio-ne!»
    «Mi pesa dirtelo» ammise Ivanovich «…ma… in bocca al lupo… Ramen…» concluse, guardando verso il pa-vimento. Com’era difficile per loro dirsi qualcosa di gentile! Anche se – ricordiamolo – si conoscevano da tutta una vita e si volevano bene come due fratelli, anche se non lo avrebbero mai ammesso.
    «Grazie! Se vincerò il Torneo, dedicherò la vittoria ai maestri e a tutta la Scuola della Gru, te compreso!»
    Kaya irruppe tra i due, al braccetto della fedele gemella: «Per festeggiare questo momento di amicizia, io e Ganja canteremo una canzoncina dedicata ad Ivanovich! In coro!» gridò, e le due si alzarono fulmineamente ed iniziarono a sgambettare in una sorta di can-can: «Chi vive scemo non guarisce mai,/ se resti scemo cosa troverai?/Guai, guai, guai guai guai!/Guai, guai, guai guai guai!!» Il tutto mentre Ivanovich batteva allegramente le mani a ritmo e anche Ramen dondolava con la testa e le spalle.
    «Sembra il vostro inno.» disse Soya pacatamente, con gli occhi socchiusi a fessura, voltandosi all’indietro dal tavolo di fianco, da cui dava le spalle alle sue sorelle.
    «E tu non hai niente da dire a tua difesa?» chiese Ramen ad Ivanovich.
    «Qualunque insulto venga da Kaya, è musica per le mie orecchie…» rispose l’altro con sguardo sognante e bava alla bocca.
    Il maestro Muten sospirò, e commentò: «Eeeh… beata gioventù…»
    «Parla per te, io sono ancora giovane e molto attraente!» obiettò Olong. «Tu che ne pensi, Kaya?» chiese il maiale con un sorriso prettamente ebete stampato in volto.
    «Non sei il mio tipo, porcello! Comunque sei invitato anche tu per il dopo-torneo! Vada come vada, non importa chi vincerà… dobbiamo andare a sfondarci di alcol!»
    «Gyeaaaah, delirio!» le fece eco Ganja, battendo il pugno contro quello della gemella, nel cosiddetto “si-staz’ fist”.
    «Dice il proverbio: “Beati coloro che si sbronzano fra loro” !» commentò saggiamente il maestro Muten, sorseggiando il suo thè.
    «Ramen, anche tu sarai dei nostri, vero??» incalzarono in coro le gemelle, con sorprendente tempestività.
    «M-ma… veramente io… preferirei un bel chinotto per festeggiare…» disse Ramen. «O una cola…»
    «Noooo!» insistette Ganja. «Solo bevendo una decina di bicchierini di rum potrai apprendere il segreto del colpo dell’ubriacone!»
    «Giusto!» esclamò il rosso stringendo i pugni e battendo le nocche fra loro con convinzione, animato dall’insaziabile desiderio di diventare un atleta sempre migliore. «Devo apprendere il colpo dell’ubriacone!»
    Soya si voltò di nuovo, rivolgendosi stavolta al maestro Muten con il tono di un rimprovero sostenuto: «Lei non ha niente da aggiungere su questi edificanti propositi, signor maestro Muten?»
    «Io preferisco il limoncello.» sentenziò il barbuto vecchietto.

  8. #358
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    Poco dopo, nel suo laboratorio segreto disperso fra le montagne del nord, il Dr. Gero alias Cyborg numero 20 era ormai pronto a dare avvio al suo disegno di vendetta.
    «Qual è l’esito delle sue riflessioni, padrone?» chiese 19, convocato perché assistesse 20 durante le sue prossime mosse.
    «Questa notte, mentre i gemelli erano ancora inattivi, ho abbassato il massimale del livello di tensione elettrica dei loro reattori. Come ben sai, i due sono alimentati da reattori interni ad energia eterna: abbassando il livello di alimentazione dei loro container, non potranno mai attingere al massimo potenziale che un reattore è in grado di generare, in base al progetto di costruzione. Saranno comunque molto forti, più di un Super Saiyan… ma non avranno la sicurezza di essere i migliori in assoluto, e l’arroganza che ne deriva.»
    «Quale esito concreto produrrà tutto ciò?» domandò allora 19. Ossia, tradotto in termini più terra-terra: “Cosa speri di ottenere?” L’automa, infatti, non vedeva come la scelta dello scienziato potesse prevenire gesti di insubordinazione dei due gemelli: se essi restavano più forti di un Super Saiyan, per forza maggiore superavano anche il Dr. Gero, che così sarebbe rimasto comunque in loro balia.
    20 si inalberò al pensiero che – controller per la disattivazione a parte – le sue due creazioni sarebbero potute risultare ancora una volta scarsamente controllabili. «Devono capire che il loro padrone sono io! Io ho potere di vita e di morte su di loro, e decido io quanto devono essere forti! E ora muoviamoci!» Ancora irritato, si avvicinò ai due container verticalmente collocati a ridosso di una delle pareti della stanza. Erano contrassegnati dalle cifre 17 e 18, costruiti in materiali metallici e plastici, di colore grigio chiaro, e presentavano un’apertura sul portellone anteriore, con un oblò rotondo; erano collegati all’alimentazione centrale tramite cavi elettrici rivestiti da spessi tubi in gomma. L’inventore, sotto gli impassibili occhi a mandorla del suo assistente, si avvicinò all’oblò del numero 17. Il cyborg dall’aspetto giovanile, inattivo, lo fissava con i suoi occhi glaciali dal fine contorno allungato. “Spero di averli riparati bene…” pensò 20, spingendo con le dita ossute il tasto di attivazione. Sì udì lo sbuffò derivante dalla decompressione dell’aria. Con uno stridio metallico, il portellone si sollevò; dalla capsula mosse un passo in avanti il cyborg numero 17. Aveva l’aspetto di un giovane uomo dal fisico snello e dai lineamenti delicati; lo caratterizzavano dei capelli scuri e lisci che non raggiungevano le spalle, e due occhi limpidi e chiari come il ghiaccio. Vestiva casual: un paio di jeans, una maglia chiara, sopra la quale indossava una maglietta nera a maniche corte con il logo del vecchio Red Ribbon; calzava scarpe sportive di tela nera; dalle sue orecchie pendevano orecchini di metallo a forma di cerchietto, mentre spiccava un fazzoletto arancione annodato attorno al collo. Il nuovo entrato in scena si guardò attorno con aria circospetta; fissò il suo creatore, e notò con disappunto che quest’ultimo teneva in mano il controller per la disattivazione a distanza: era meglio agire con astuzia, e non lasciargli intendere che nutriva sentimenti ben poco affettuosi nei suoi confronti. Notò, del resto, che a quella riunione di famiglia presenziava anche una nuova figura: probabilmente il Dr. Gero si era costruito una guardia del corpo per ogni evenienza, dunque. Che potenza avrebbe potuto avere quel grassone? «Buongiorno, Dr. Gero…» lo salutò con un sorriso quanto più disteso possibile.
    «Che meraviglia…» osservò con sincero stupore lo scienziato. «Mi hai salutato…»
    «Certamente… nutro rispetto per mio padre.» aggiunse il giovane con naturalezza.
    “Uhm… sembra che la riparazione sia andata a buon fine…”
    Con tono composto, il numero 17 indicò con l’indice il numero 19, e domandò: «Lui è un nuovo fratello? Non ricordo di averlo mai visto, e gli altri uomini artificiali sono stati tutti distrutti da lei.»
    «Sì. È il numero 19 della serie.» rispose il vecchio, rinfrancato dalla prova positiva che 17 aveva appena dato di sé, mentre 19 non smetteva di tenere fissi gli occhi sul nuovo arrivato.
    Poi giunse il turno dell’apertura del secondo container. «La mia sorellina.» asserì 17, con tono neutro. Era l’unica per cui nutriva reale e sincero affetto in quella stanza, ma non rimarcò troppo la benevolenza che provava, per timore che il suo creatore dubitasse della sua buona fede. Dalla capsula appena aperta uscì una giovane donna, la cui statura, i lineamenti delicati e il taglio degli occhi erano identici a quelli del nume-ro 17; indossava un completo di jeans, una maglia nera con le maniche a righe, e stivaletti di cuoio marrone. Anche alle sue orecchie si notavano gli orecchini metallici a cerchietto. Numero 18, appena sveglia, incrociò lo sguardo – imperturbabile ma, per lei, carico di significato – di suo fratello; subito dopo, notò anch’ella il controller fra le mani del Dr. Gero, e intuì subito come fosse opportuno recitare una farsa.
    «Buongiorno, Dr. Gero.» salutò a sua volta la donna, educatamente.
    «Buongiorno, cara mia.» rispose 20. «Se devo essere sincero, vi confesso che mi sento sollevato. Quando ho operato su di voi, ho studiato troppo i reattori energetici; quindi ho trascurato di lavorare a dovere sui dispositivi di controllo: infatti, vi rifiutavate sistematicamente di eseguire i miei ordini. In tal senso, ho preso delle precauzioni: ho apportato un limite al vostro massimale. Senza il mio intervento, non potrete mai raggiungere la vostra massima energia. Considerate questo mio gesto come un monito per il vostro futuro.»
    I due gemelli provarono rammarico, ma non diedero segno di alterazione nel proprio umore, mantenendo una mimica facciale impassibile. Anzi, per simulare pentimento per le azioni passate, 17 soggiunse: «Credo di parlare a nome di entrambi quando dico che la sua è stata una scelta legittima, dottore. Posso compren-dere i suoi dubbi su di noi.»
    «Sono lieto che andiamo d’accordo. Oggi, infatti, è il giorno in cui daremo il via ai nostri piani di vendetta. Vi illustro i vostri compiti: vi recherete sull’isola Amenbo, dove alle ore dieci inizierà la finale del Torneo Tenkaichi, per la quale è previsto un amplissimo affollamento sull’isola. Quello che ci occorre è una strage di vastissime proporzioni, concentrata in un luogo preciso del mondo; in tal modo, Son Goku – desideroso di fare l’eroe, come suo solito – vi raggiungerà sul posto e lo combatterete. Secondo i miei calcoli, ciascuno di voi dovrebbe essere in grado di avere la meglio senza problemi. Dovreste stare attenti, però: è molto probabile che i suoi compagni siano intenzionati a mettervi i bastoni fra le ruote. Fate attenzione ad un certo Vegeta, soprattutto. Questa è una mappa per raggiungere la destinazione.» concluse il vecchio consegnando un foglio ripiegato a 17, che se lo infilò tra la cintura e l’orlo dei pantaloni. «Ci sono domande?»
    «E lui chi sarebbe?» domandò 18 accennando col capo a 19, che adesso stava vicino al dottore.
    «Vi presento il numero 19, una mia recente creazione. Oltre ad essere il mio assistente, è anche colui che mi ha trasformato in cyborg. Desideravo la vita eterna, ed era necessaria la presenza di qualcuno che me la desse, come io l’ho data a voi…»
    «Quindi anche lei è diventato un cyborg… compreso lei, siamo arrivati al numero 20, giusto? E 19 è molto potente?» domandò 17.
    «Sicuramente ha una forza notevole… ma non quanto voi due, né quanto Goku.»
    «I compagni di Son Goku potrebbero opporre resistenza o distrarci mentre noi tentiamo di ucciderlo.» osservò 18, mostrandosi interessata alla buona riuscita del piano. «Numero 19 potrebbe venire con noi e ripulire la piazza da quei miserabili mentre noi ci occupiamo del pezzo grosso.»
    «Non è un’idea malvagia…» ribatté 20. «Goku ha una fortuna sfacciata e l’abilità di cavarsela nelle situa-zioni più disperate, grazie anche ai suoi amici…»
    «Mi permette di mettere alla prova il numero 19, dottore?» chiese affabilmente il numero 17.
    Dopo una leggera esitazione, lo scienziato acconsentì. «Vacci piano… come ti accennavo, non è forte quanto voi.» 17 invitò il robot grasso ad attaccarlo; seguì un breve scontro in cui 19 si sforzò di colpire 17 più e più volte, che parò agevolmente ogni singolo pugno; infine lo colpì con una debole pedata, che sbatté a terra 19. 17 lo guardò con un sorrisetto di scherno, e allungò la mano in avanti: «Prendi questo!», e dalla sua mano partì un’onda di energia molto potente. Gero osservava lo scontro con attenzione, e 18 pensò di approfittare di quel momento per strappargli di dosso il telecomando per la disattivazione. Proprio mentre la ragazza cyborg aveva allungato di soppiatto la mano per afferrare l’oggetto, 20 le puntò l’apparecchio addosso. «Con chi pensi di avere a che fare, sgualdrinella??» gridò, premendo il pulsante rosso al centro del dispositivo; proprio mentre, nel frattempo, 19 risucchiava nel palmo della propria mano l’energia emessa da 17. «Ma… che diav-» si chiese stupito il giovane cyborg maschile, mentre sua sorella cadeva sul pavimento come una bambola inanimata a grandezza naturale.
    «Assorbimento energetico.» accennò il grasso androide con un sorrisetto di compiacimento.

  9. #359
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    «Sapevo che stavate recitando la commedia, idiota! Hai cercato di distruggere 19!» gridò il Dr. Gero, pun-tando addosso al cyborg ribelle il controller, come fosse una pistola. «Tua sorella è già fuori combattimen-to, però la tua forza mi serve, maledizione! Vedi di muoverti e di fare come ti ho detto, idiota! Andiamo, io e 19 ti terremo sotto tiro da qua fino alla sede del Torneo… e al primo passo falso che fai, giuro che finirai fuori uso anche tu!» 17 si vide costretto alla resa; sfilò sotto gli occhi degli altri due cyborg fissandoli in cagnesco, come un carcerato braccato da due secondini. D’un tratto, quando Gero si era illuso di averlo sotto controllo, sparì a super velocità sotto gli occhi del suo creatore, ricomparendo un infinitesima frazione di secondo dopo, a pochi centimetri da lui. Gli stritolò l’avambraccio con una stretta d’acciaio, costringendo il vecchio a lasciar cadere per terra il telecomando: «Penoso e incauto, da parte del mio inventore, sottovalutare la mia agilità, o credere che mi piegassi al suo volere… Ti sei scavato la fossa!»
    «Che hai intenzione di fare, 17?! Lasciami stare… ubbidisci!» gracchiò il vecchio in preda al panico più cupo di chi conosce fin troppo bene le potenzialità dell’avversario che ha di fronte. Sì, perché era chiaro che 17 era un nemico… non aveva mai smesso di esserlo. 19 era l’unica difesa: «Forza, 19! Attaccal-…!» gridò, ma il suo comando venne spezzato da 17 che trapassò il suo petto con la mano ben tesa, quasi fosse un’acuminata daga di ferro. «Era da un pezzo che aspettavo di metterti le mani addosso, dannato figlio di puttana!» disse con un gelido ghigno trionfale. Poi, gettò a terra il vecchio che annaspava, perdendo olio e emettendo scintille di elettricità; quindi si rivolse a 19: «Tu cosa speri di fare, bombolone ambulante? Attaccami pure a distanza, se credi: scaricherai solo le batterie e per giunta mi sgualcirai gli abiti… Avvicinati e sei un androide morto! Tanto ti ammazzerò lo stesso.» Nel frattempo, si era già chinato a raccogliere il dispositivo: premette il pulsante, noncurante dei due nemici che lo guardavano sconvolti e consapevolmente impotenti; il Dr. Gero, poi, addirittura tremava.
    «Che cavolo è successo?» domandò la donna cyborg, una volta riattivata.
    «Il nostro professorone ti aveva spento.» dichiarò seccato il fratello. «Ora però il coltello dalla parte del manico ce l’abbiamo noi…» aggiunse, agitando davanti a lei il controller.
    «Che bastardo.» fu la secca replica di 18, pronunciata con una smorfia di disgusto.
    «Non ci resta che ammazzarli. Ah, stai attenta… quell’imbecille ciccione può assorbire l’energia dalle mani! Te lo lascio, a condizione che mi permetti di sfogare la mia ira sul dr. Gero.»
    «Affare fatto.» rispose la bionda, e i due fratelli si scambiarono una stretta di mano.
    18 si accanì subito su 19, riempiendolo di cazzotti, mentre 17 schiacciò fra le sue mani il controller, con la stessa facilità con cui si appallottola un foglio di carta. Poi si diresse verso 20 e lo afferrò per il collo rugoso e secco, sollevandolo di peso da terra: «Sei così inutile… ormai sei alla frutta!» Con queste parole, strinse il pugno attorno alla gola del vecchio e lo strozzò; fuoriuscirono cavi elettrici e schegge metalliche. 17 gettò a terra la carcassa dell’odiato scienziato, che aveva ormai la testa piegata di lato, in modo totalmente innatu-rale; gli occhi erano del tutto bianchi. A quel punto, il giovane cyborg decise di farla finita: in un unico colpo, schiacciò sotto il suo piede la testa del cyborg numero 20, decretandone la fine fra mille frammenti misti, organici e metallici. Nel frattempo, anche 18 compì il suo dovere con l’assistente dello scienziato: dopo essergli saltata sul petto sfondandoglielo, con un calciò gli staccò di netto la testa.
    «Ora sì che mi sento libero! Finalmente quello scienziato pazzo da film è crepato! E mi sono divertito a leggere il terrore nei suoi occhi…»
    «Ci temeva maledettamente, il vecchiaccio…» replicò pacatamente la sorella, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
    «Sì… pensa che quel grassone aveva nella mano un dispositivo che assorbiva gli attacchi di energia! Credo che il vecchio pazzo avesse accantonato l’idea dei motori ad energia eterna che ci rendono praticamente inesauribili, per evitare di creare altri androidi ribelli…!»
    «E adesso che si fa?» chiese 18.
    «Abbiamo un mondo intero là fuori che ci aspetta, finalmente liberi! Ahahaahah!» rise 17, e sparò un colpo di energia contro il portone di pesante lega metallica, che si piegò e saltò in aria precipitando giù da un dirupo.
    «Cretino, che bisogno c’era di sfondare il portone!?» domandò la ragazza con un sorrisetto malizioso. Non si può dire che la cosa le dispiacesse poi troppo…
    «Che ti frega?» ribatté il fratello. «Hai paura che i cavi elettrici del laboratorio si prendano la polmonite per via della corrente d’aria?»
    «Sono pur sempre una donna…» affermò 18 portandosi le mani ai fianchi, senza smettere di sorridere maliziosamente. «Mi piace tenere la casa ordinata…»
    «Ah sì? Guarda come ti faccio le pulizie di casa!» Quindi, per tutta risposta, 17 fece saltare in aria la sala d’ingresso principale del laboratorio, che ospitava le varie capsule numerate, un tempo avevano ospitato i vari androidi e cyborg inattivi: 19, 18, 17, 16… e via a ritroso. Senza alcun rispetto per tutto quel vario mate-riale appartenuto allo scienziato, con pochi colpi di energia mise a soqquadro la congerie di tecnologia pre-sente in quel piano del centro di ricerca, danneggiandola irrimediabilmente.
    «Sei così scemo…» concluse la ragazza, ravviandosi i capelli che le si erano scompigliati per via del trambu-sto. «Forza, andiamocene. Voglio farmi un giro, è da tanto che non vado al bar. Ho proprio voglia di un cap-puccino…»
    «…e una brioche con marmellata di albicocche?» completò 17, memore dei gusti della sorella.
    «Mmm… tu sì, che sai come viziarmi…»
    «Andiamo… io la prendo con il ripieno al cioccolato!» esclamò il cyborg ragazzo dopo aver così travolto i resti dei corpi cibernetici di 19 e 20; prendendo una rincorsa, i due gemelli compirono un balzo, e spiccaro-no il volo in cerca di un centro abitato. Lo scienziato era stato distrutto senza mai sapere quale vaso di Pan-dora aveva appena scoperchiato; le sue egoistiche brame ignobili gli si erano ritorte contro e, come vedre-mo, avrebbero procurato all’umanità indicibili dolori, e sofferenze a mai finire. I due gemelli, però, ignora-vano che, in una sala sotterranea semibuia del laboratorio, qualcosa bolliva ancora in pentola: un enorme calcolatore elettronico, i cui led si accendevano e spegnevano ritmicamente, stava proseguendo nelle proprie funzioni, con un continuo ronzio; con i propri calcoli, avrebbe completato gli studi avviati dal folle luminare, e realizzato un progetto che in un qualche futuro avrebbe creato non pochi problemi.


    Mancava meno di un’ora all’inizio della finale, e il gruppo composto da Bulma, Muten, Olong, Soya, Pual e Trunks aveva appena preso posto con un certo anticipo, data la gran massa di persone confluite per l’occasione allo stadio del Tenkaichi, in numero ancora superiore rispetto ai precedenti incontri. All’improvviso, inspiegabilmente, Trunks scoppiò in lacrime.
    «E adesso che succede, Trunks??» chiese Bulma preoccupata, cominciando a dondolarlo per calmarlo.
    «Forse ha fatto la pupù? Eppure non sento cattivo odore…» provò ad ipotizzare Soya.
    Bulma lo annusò: «No, non è quello… forse hai fame?» Trunks tacque per pochi secondi fissando la mam-ma con due occhioni lucidi e le lacrime ai lati degli occhi; poi, quando vide passare un venditore ambulante che vendeva pacchetti di crackers, biscotti e dolciumi vari, si mise a piangere ancor più forte di prima. «Possibile che tu abbia ancora fame?? Ti sei scolato i tuoi soliti tre litri di latte, come al solito!» esclamò con una punta d’indignazione. Il bimbetto guardò la mamma con due occhioni dolci e tristi.
    Bulma sbuffò costernata: «Uff… Trunks, brutte notizie… ti sei fatto fuori tutte le provviste di giorni e giorni che avevo portato dietro, accidenti… hai messo KO l’organizzazione ferrea della tua mamma!»
    Trunks, che dovette percepire il disappunto della mamma, scoppiò a piangere.
    «No, no…» disse la donna con dolcezza, stringendolo al seno, cercando di calmarlo. «C’è ancora un po’ di tempo prima dell’inizio del match! La mitica Bulma procurerà la pappa al suo dolce principino!» Poi, rivol-gendosi al vecchio Muten, stabilì: «Ehi, nonno Tartaruga… tu verrai con me e Trunks!»
    «Ehm… veramente vorrei seguire la finale… quei due giovani mi incuriosiscono…»
    «Eddai, non farti pregare! Tu sei l’unico forte che possa accompagnarci e proteggerci in caso di bisogno… Soya è molto forte, ma di certo non può correre rischi! Una signora e un bambino hanno bisogno di prote-zione in una città sconosciuta! E poi ci vorranno pochi minuti: non è che questa città sia così grande!»
    A malincuore, l’anziano maestro acconsentì. Una volta fuori dallo stadio, saltarono a bordo della flying car di Bulma e si misero a girare per le strade dell’isola Amenbo; Bulma guidava, mentre Muten stava seduto nel posto del passeggero e Trunks, sul seggiolino, mugugnava – mentre il suo stomaco brontolava. Ciò che videro fu sconfortante: «Tutti i negozi… chiusi! Che città di lazzaroni! A quest’ora, nella Città dell’Ovest lavorano tutti!» si lagnò Bulma con tono isterico.

  10. #360
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    «Dev’essere perché sono tutti a seguire la finale… chiunque si trovi in questa città proprio oggi, non vorrebbe mai perdersela…» suppose Muten.
    «Hai qualcosa da ridire??» domandò Bulma con tono irritato, leggendo in quella frase una sorta di rimprovero verso di lei.
    «Nonononono! Ma… dove stiamo andando?» domandò il vecchietto notando che Bulma si accingeva ad uscire dall’isola; pochi secondi dopo sorvolavano il pelo del mare, in direzione della terraferma, sollevando al loro passaggio due creste d’acqua parallele.
    «Alla Città del Sud! Quella è una grande città, troveremo sicuramente un negozio di alimentari aperto! E torneremo in tempo allo stadio, fidati!»
    Muten abbassò la testa fra le spalle, mentre sulle tempie comparivano goccioline di sudore. Contraddire quella donna isterica non era solo inutile: più che altro, era un suicidio.

    17 e 18 avevano trovato un villaggio di montagna che sorgeva nell’incavo di una delle tante vallate che co-stellavano la regione delle montagne del Nord. Il luogo era pittoresco: praticamente, un paesaggio da cartolina. Chissà… in futuro avrebbero potuto evitare di distruggerlo e usarlo come un luogo di villeggiatura per le loro vacanze. Nel presente, comunque, quel sito stava già offrendo loro l’indimenticabile goduria di una cioccolata calda e una brioche con crema al cioccolato per lui, e un cappuccino con brioche alla marmellata per lei. Seduti al tavolino di una sorta di bar-taverna-osteria del villaggio, la cui clientela era composta principalmente da vecchietti alticci già al mattino che giocavano a carte, i due cyborg gemelli assaporavano dopo tanto tempo il piacere di un buon dolcetto. Non che ne avessero bisogno, da un punto di vista fisiologico; tuttavia, essendo stati creati su base umana, erano ancora dotati di buona parte degli organi biologici tipici di ogni essere umano, per cui potevano ancora concedersi i piaceri della gola.
    «Hai qualche programma per la giornata, fratellino?» chiese la ragazza, rigirando il cappuccino e facendo tintinnare il cucchiaino sull’orlo della tazza che aveva davanti.
    «Beh… andiamo al Torneo, no?» rispose 17 quasi si trattasse di un’ovvietà.
    «Scherzi?! Non vorrai mica eseguire le ultime volontà del dr. Gero!?»
    «Certo che no… ad ogni modo sarà molto divertente fare un po’ di casino e sperare che salti fuori qualche stronzo in grado di farci divertire! Mi riferisco a Son Goku e ai sui compari… DOBBIAMO andarci!»
    «Sei sempre il solito bambino… ma quando cresci?»
    «Dai… poi domani ti accompagno a fare spese…» Come resistere a tale lusinga? «Il vecchiaccio ha detto che l’incontro iniziava alle dieci…» disse 17, guardando l’orologio appeso alla parte del bar. «Prendiamocela con calma… con la nostra super velocità, non sarà un problema arrivare all’altro capo del pianeta!» E qui bevve con desiderio un sorso della sua ottima cioccolata calda. Era deciso: per quel giorno, quel bar non sarebbe stato distrutto.

    Quella mattina, Chichi – come molti altri telespettatori del pianeta - accese la televisione e si sintonizzò sul canale che trasmetteva la finale del Torneo Tenkaichi. Seduti sul divano in soggiorno, lei e Gohan avevano seguito con interesse i vari combattimenti. Il bambino non aveva rimpianti per non aver partecipato alla manifestazione, visto che sarebbe stato fuori scala; la donna, invece, ricordava con nostalgia i tempi in cui, giovanissima, praticava le arti marziali, fino al giorno in cui Goku aveva accettato di sposarla proprio durante la penultima edizione del Torneo, sotto gli occhi di migliaia di estranei. Com’era cambiata la sua vita, da allora!
    «Secondo te chi vincerà, Gohan?» lo interrogò la madre.
    «Io propendo per Ramen, l’allievo di Tenshinhan e Jiaozi…» rispose il ragazzino. «Oltre ad essere molto forte per la sua età, è anche determinato, ma soprattutto ha un’intelligenza tecnica non comune… anche se è un comune essere umano. Si vede che ha molta passione!»
    «E della ragazza, cosa ne pensi? Tu li conosci tutti di persona, vero?» chiese ancora la mamma.
    «Sì, certo… beh, conoscendo lei e sua sorella, dico che Crilin e Yamcha possono ritenersi soddisfatti. Non deve essere stato facile portare a quel livello quelle due teste calde…» Chichi sorrise. Gohan parlava come un esperto, ed in effetti alla sua tenera età aveva un’esperienza di lotta straordinaria, che molti uomini “normali” non avrebbero accumulato nemmeno in tutta la loro vita. Naturalmente, desiderava sempre che egli proseguisse i suoi studi e diventasse uno studioso di fama internazionale, e anche Gohan desiderava riuscirci… ma perché nascondere a sé stessa quanto le facesse piacere che in Gohan sopravvivesse l’eredità di Goku?
    «Guarda, mamma! Finalmente comincia!» esclamò Gohan. Lo schermo trasmetteva infatti le immagini dell’ingresso dei due atleti sul ring. Ramen aveva un viso disteso, sereno e determinato, perfetto specchio del suo stato d’animo; Kaya indossava la sua solita bandana col simbolo dei pirati: che portasse veramente fortuna o meno, quel brandello di tessuto nero l’aiutava a tenere in ordine i capelli durante il duello.
    «Che emozione! Mia sorella in finale!» commentò Soya seduta fra il pubblico. «Ma Bulma e il maestro Muten che fine hanno fatto? Se non arrivano subito, si perderanno l’inizio dell’incontro…»
    «Forse hanno avuto qualche intoppo… se devo essere sincero, comincio a preoccuparmi anche io…» rispose Olong.
    «Signore e signori, bentrovati alla finale del ventiquattresimo Tenkaichi!» disse il biondo cronista. «Siamo arrivati alla sfida tanto attesa! I due candidati al titolo di campione del mondo di arti marziali, ormai, li co-nosciamo bene: da una parte Kaya, della Scuola della Tartaruga; dall’altra Ramen, della Scuola della Gru! Sappiamo anche che non dobbiamo lasciarci ingannare dalle apparenze perché, a dispetto della giovane età, sono molto ben preparati! Non è assolutamente un caso che siano arrivati fin qui! Basta con gli elo-gi…prima di dare il via al match, vorrei ricordare alla signorina Kaya che ieri lei e sua sorella ci hanno lasciato con un interrogativo in sospeso…»
    «E chi se lo scorda? È il motivo per cui sono arrivata fin qui!» disse la ragazza dai lunghi capelli verdi.
    «Appunto… è la domanda che ha suscitato la curiosità collettiva: per quale motivo Kaya e Ganja aspirano alla vittoria del Tenkaichi? Avevate promesso che ce lo avrebbe rivelato quella di voi due che fosse giunta in finale… dunque, a te la parola.» dichiarò il cronista, avvicinandole il microfono alle labbra. La ragazza scippò ancora una volta il microfono dalla mano del cronista e iniziò a parlare con disinvoltura passeggiando per il ring: «Well! Come sapete, ho una sorella gemella e una sorella maggiore. Si dà il caso che mia sorella maggiore sia in dolce attesa… dunque, ci ha promesso che se una di noi due vincerà il torneo, acquisteremo il diritto di decidere noi il nome del nostro futuro nipotino! Ecco svelato il mistero!»
    «Era questo?» replicò il biondo cronista inarcando un sopracciglio e avvicinandosi a Kaya: adesso era lui che doveva tirarle il braccio per aver modo di parlare al microfono. «Ma signori e signori, allegria! È una cosa tenerissima! Il Torneo Tenkaichi unisce le famiglie!» A Soya quelle parole accesero di rosso le guance: ricordava ancora quando da piccola, col suo defunto padre, seguiva le edizioni del Tenkaichi… ricordava pure quel concorrente di diversi anni prima, piccolo nanerottolo pelato che adesso, per uno strano capriccio del Destino, era diventato suo maestro prima, e suo marito poi. Insieme, stavano anche per mettere al mondo un figlio… Era proprio vero che il Tenkaichi univa le famiglie!
    «Ora vi svelo pure un’altra cosa, così domani finiamo tutti insieme appassionatamente sulle stupide riviste di gossip» disse la ragazza con tono cospiratorio, strizzando l’occhio alla telecamera: «… rizzate le antenne! Il padre del bambino, ossia il marito di mia sorella, ossia mio cognato, è… Crilin!»
    «Crilin?» ripeté l’arbitro. «Intendi il tuo insegnante di arti marziali?»
    «Yessa!»
    Soya, dalla sua postazione, con gli occhi a fessura commentò: «Questa rivelazione poteva risparmiarsela… E dire che sembrava un momento tenero…»
    «Ma questo è uno scoop! Beh… ormai che ci siamo, completiamo l’argomento, così domani le riviste di gossip sapranno bene cosa scrivere. Avete già in mente qualche idea… qualche nome per il nascituro?»
    «Beh, io e Ganja ci siamo consultate a lungo: dipende dalla somiglianza. Se somiglia al papà Crilin ed è un maschio, lo chiameremo Castagnaccio; se è femmina, Marronglassè.»
    Soya, dal sedile da cui seguiva il torneo, gridò con la sua solita doppia fila di denti da pescecane: «Mio figlio non si chiamerà mai Castagnaccio!!!»
    Pual le diede un’amichevole pacca sulla spalla e, con un’espressione imbarazzata, cercò di calmarla: «Dai, non agitarti, Soya…»
    Olong aggiunse: «E poi non è che Marronglassè sia tanto meglio! Ma poi, perché l’arbitro si presta a questi discorsi?»
    Nel frattempo, Crilin – in disparte nel solito angolo coi suoi tre compagni di avventure – era assorto nella riflessione su quei nomi: «Marronglassè… se ne può discutere…»
    «E se assomiglia alla madre, che nome vorreste dare al neonato?»
    «Boh… non ci abbiamo pensato, anche perché speriamo che non somigli alla madre…» poi aggiunse in un bisbiglio (che, amplificato dal microfono, poté essere udito da tutto lo stadio): «Sapete… è tanto antipatica… ha un brutto carattere…» Esplosero l’ilarità del pubblico, e ovviamente l’ira di Soya.
    A quel punto, l’arbitro proclamò: «Benissimo! Senza esitare oltre, cominci la finale!»

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