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  1. #431
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    Grazie dei commenti, gente: prestissimo il prossimo capitolo!!

    Citazione Originariamente Scritto da Ssj 3 Visualizza Messaggio
    E' angosciante la nonchalance con cui continui a far fuori pg secolari xD
    E' la nonchalance di 17 e 18, non la mia! XD

    Citazione Originariamente Scritto da Ssj 3 Visualizza Messaggio
    Mi hai lasciato con un dubbio però: hai detto che anche l'obelisco di Balzar è stato messo a ferro e fuoco dai 2 mostri, e che di senzu non ne sono rimasti. Tuttavia Gohan ne fa uso da adulto, nel futuro. Mi chiedo come farà a ottenerli, o se hai deciso di toglierli di mezzo prima che nella versione canonica.
    Questa è una delle licenze poetiche che mi sono preso rispetto allo special.
    Nello special, Gohan possiede un ultimo senzu che dona a Trunks perchè si riprenda subito dopo un combattimento contro 17 e 18. Io ho chiuso in occhio ed eliminato questo riferimento per eliminare brutalmente due degli elementi di salvezza dei Saiyan (i senzu e il fattore Zenkai, anche se non si capisce bene come quest'ultimo funzioni XD). Più passa il tempo e più svaniscono i vari "aiutanti" storici di Goku e soci, e si delinea quel mondo senza vie d'uscita che Trunks del futuro ci ha sempre raccontato.
    Nel seguito della storia compariranno altre licenze poetiche. Un'altra, ad esempio, me la sono preso rispetto alla scena in cui si vede che a 13 anni dalla comparsa di 17 e 18 si vedono persone andare allegramente al luna park... una scena fuori luogo, secondo me. XD

    @ Ssj 3: non ho potuto mandarti la comunicazione di servizio perchè avevi la casella dei messaggi privati intasata... svuotala, altrimenti non potrai ricevere altri mp.

  2. #432
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    Proseguiamo con la lettura! Il titolo del capitolo ci dà la chiave di lettura del prosieguo della storia!

    Cap. 59: Gohan + Videl = ?

    Nel giro di quelle poche settimane, Gohan divenne per Belze uno di famiglia, quasi un nipote adottivo; fondamentali in ciò furono da una parte l’indole espansiva del vecchio, dall’altra le condizioni pietose in cui versava il mezzosangue, e che certamente suscitavano compassione nel cuore del padre di Satan. Un cuore che era malato: dalle frequenti chiacchierate con Belze, Gohan aveva appreso che i suoi guai di salute erano cominciati quello stramaledetto giorno in cui suo figlio Mark, che per i fans era Mr. Satan, aveva avuto l’assurda idea di affrontare quei due mostri a viso aperto. “E dire che suo padre lo aveva pure messo in guardia, mortacci sua…” La cruenta uccisione del campione di lotta, in diretta mondiale, aveva pugnalato senza pietà il cuore del povero genitore, che all’epoca viveva solo e che era stramazzato al suolo, colto da un infarto. Da allora, Videl – rimasta orfana di entrambi i genitori – era andata a vivere sotto lo stesso tetto di quel nonno che aveva rischiato di perdere in contemporanea con suo padre. “Ma fortunatamente sono solido come una quercia e forte come un orso!” amava ripetere di sé il vecchio, e anche i medici erano rimasti piacevolmente colpiti dalla sua solida fibra, grazie alla quale aveva resistito all’attacco cardiaco.
    Da parte sua, invece, Videl si era abituata ad accettare la presenza di Gohan, anche se era ben lontana dal definirlo suo amico. Il periodo di riposo prescritto dai medici trascorse in fretta, e Gohan, liberato dalle ingessature, constatò con soddisfazione di essere perfettamente guarito: mostrò con entusiasmo a Belze di essere in ottime condizioni, mettendosi a scorrazzare a tutta birra per i campi. L’unico segno visibile del-la precedente battaglia coi cyborg era una cicatrice che ora gli attraversava la fronte al di sopra dell’occhio sinistro, e che probabilmente non sarebbe mai andata via. Beh, non aveva nulla di cui lamentarsi, se l’unico residuo di quella grave sconfitta era una cicatrice. In qualche modo, poi, la compagnia di Belze e Videl lo aveva risollevato dalla malinconia dell’insuccesso subito, cosicché si può dire che anche le ferite dell’anima si erano rimarginate, anche quelle non senza cicatrici.
    La guarigione di Gohan giocò un ruolo fondamentale nella vita domestica dell’anziano e della ragazzina: per sdebitarsi della loro gentilezza e generosità, Gohan cominciò ad aiutare nel lavoro dei campi, con un’energia che a nonno e nipotina sembrava inesauribile. Dai bordi dei campi, i due lo osservavano percorrere in avanti e indietro il campo con l’aratro attaccato alla vita quasi fosse egli stesso una bestia da fatica, ma molto più veloce ed efficiente. Nel giro di qualche ora, anche il lavoro più faticoso veniva eseguito.
    «Bontà divina!» esclamò una volta Belze, al colmo dello stupore. «Ma che razza di creatura è, quel ragazzo?! Non sta versando nemmeno una goccia di sudore, guardalo! Potrebbe svolgere il lavoro di mille buoi!»
    «G-già… mai vista una roba simile…» replicò Videl. “Che sia più forte di mio padre? Non penso che lui sa-rebbe mai arrivato a tanto…” rifletté la ragazzina confrontando mentalmente il ragazzo con il defunto Mr. Satan. Oltre a ciò, riusciva con estrema semplicità a compiere mille e uno lavori più o meno pesanti sfrut-tando la propria forza, tenendo anche nascosta la sua origine extraterrestre, senza nemmeno aver bisogno di far ricorso alle tecniche speciali apprese fin dall’infanzia. Cominciò una vita più riposante per il nonno, e anche Videl fu contenta di poter dedicare del tempo ai suoi esercizi.
    Il figlio di Goku prese l’abitudine di andare ad allenarsi in qualche posto isolato, non appena riceveva con-ferma da Belze che, per quel giorno, non vi erano altri lavori da svolgere. Nei confronti del vecchio Belze, egli provava ormai lo stesso affetto, la stessa tenerezza che provava per suo nonno lo Stregone del Toro: anzi, i due si somigliavano per qualche tratto caratteriale. Il buon vecchio Belze era davvero un brav’uomo: consapevole di essere quasi al capolinea della sua vita, univa la serenità rassegnata di chi non può più la-sciarsi turbare da nulla, ad una insopprimibile bonarietà e persino allegria. Il sorriso era il suo punto forte, il suo atteggiamento costante davanti ad una vita quotidiana vissuta in un mondo infelice dove l’insicurezza regnava sovrana. Se da lui si poteva imparare una lezione di vita, era che in un modo o nell’altro si trova sempre un motivo per ridere. Viceversa, Gohan aveva tracciato un ritratto psicologico anche della sua coetanea Videl: al di là dell’atteggiamento distaccato mantenuto verso Gohan, era tanto premurosa con il nonno; inoltre era una ragazzina grintosa, dotata di un’ostinazione infantile che forse solo la maturazione avrebbe potuto smorzare. Questa sua testardaggine non avrebbe tardato a generare conseguenze nei rapporti tra Gohan e Videl.

    Gohan era convinto che nessuno sospettasse alcunché di tutti i suoi segreti, ma aveva fatto i conti senza l’oste, ossia Videl. Questa, sospettosa per natura, si era rifiutata di allenarsi con il mezzosangue che pure l’aveva gentilmente invitata per cercare di allentare la tensione tra loro due. La figlia di Mr. Satan, però, aveva addotto come motivazione del rifiuto il classico “Non ho bisogno di te, mi alleno benissimo da sola!”; Gohan – pur costernato dal modo di fare così scontroso della ragazza – aveva ritenuto di voler lasciare perdere, dal momento che aveva una sola impellenza, più che pressante: non c’è bisogno di precisare che il suo pensiero era costantemente focalizzato sui cyborg gemelli. Eppure era strano… la ragazza era così dolce e premurosa verso il nonno, mentre con lui diventava fredda, quando non intrattabile. Poco male: Gohan era risoluto ad allenarsi senza sosta, con un ritmo forsennato, come se non ci fosse un doma… ehm, no, questo è meglio non dirlo, visto che il rischio che un domani non ci fosse, era un’eventualità altamente probabile.
    Un giorno come tanti, Gohan uscì di casa, annunciando agli altri che sarebbe andato ad allenarsi. Ogni volta, dunque, lo vedevano uscire di casa, e potevano dare per scontato che non si sarebbe rifatto vivo prima dell’ora di mangiare: Chichi aveva educato il figlio a non farsi mai attendere all’appuntamento con il desco. Per diversi giorni, Videl gli diede la caccia, senza mai arrendersi, seguendolo senza posa. Scrutava in quale direzione si dirigesse, poi cominciava a inseguirlo, attraversando le superfici irregolari dei campi e qualche ruscello, inerpicandosi su sentieri collinari… quello che la poveretta non sapeva, era che spesso e volentieri il giovane Saiyan meticcio prendeva il volo, o con un salto si spostava qualche chilometro più in là; per cui la figlia di Mr. Satan a volte rimaneva con un palmo di naso nel constatare quanto le riuscisse arduo seguire le sue tracce. A volte si sentiva un’allocca a lasciarsi seminare in quella maniera; ciononostante, non si arrese mai. Com’è vero che la fortuna aiuta gli audaci, finalmente lo trovò, dopo qualche settimana di tentativi che – poco male – almeno le erano serviti da allenamento fisico. Dopo il solito giro nei campi, svoltò per un sentiero che attraversava un boschetto su un’altura; calpestando l’erbetta del sottobosco, arrivò sul bordo dell’altura e, dall’alto, poté vedere sulla sommità di una collina uno spettacolo che mai si sarebbe aspettata. Un gigantesco dinosauro erbivoro a becco d’anatra dalla squamosa pelle verde scuro se ne stava docilmente accovacciato; a ben vedere, però, quel bestione - alto quanto una palazzina – si sollevava su e giù, su e giù… Videl ridiscese il colle sul quale si trovava e si avviò fra l’erba e il terriccio, non senza incespicare in qualche sasso, dato che non scollava un attimo gli occhi di dosso da quella mirabolante scena. Solo quando giunse ad una distanza modesta, ebbe una visuale tanto più chiara quanto più sorprendente. Il dinosauro continuava a sollevarsi perché sotto di esso c’era una persona che lo usava come peso da sollevare, e quella persona era nientemeno che Gohan!
    «Gohan!!» lo richiamò Videl ad occhi spalancati. «E q-questo… che cavolo significa?!» Che Gohan fosse forte si era capito, pensava la ragazzina, ma a quei livelli… era una cosa che non aveva mai immaginato. Il ragazzo, sentendosi chiamato in modo così inatteso, si distrasse; era di dimensioni così minuscole rispetto alla bestia, che bastò quel minimo di deconcentrazione per fargli perdere la presa; così finì schiacciato dal dinosauro che gli piombò sopra con un tonfo sonoro. Videl si coprì gli occhi, atterrita: quel poveraccio si era appena ripreso da settimane di ingessatura, e ora si era sicuramente fracassato tutte le ossa. Senonché vide la bestia scoppiare a ridere e sollevare la zampa sotto cui era finito Gohan: si vide allora il ragazzino che solleticava la pianta del piede dell’animale. «Ghiri ghiri ghiri… eheheh!» ridacchiò Gohan. «Tranquilla, non mi sono fatto nulla!» la rassicurò.

  3. #433
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    Videl non reagì bene: digrignò i denti, si mise a correre furiosamente verso il mezzosangue ed, estraendo dai pantaloni un grosso coltello (coi tempi che correvano, Videl preferiva girare armata) gli balzò addosso. Con un’espressione agguerrita da tigre, Videl puntava la lama al collo del ragazzo. «Ascoltami bene…!» sibilò la ragazza con un tono carico di minaccia. «Chi diavolo sei?! Dimmi tutta la verità, delinquente! Cosa vuoi da me e da mio nonno?! Io non ho mai ammazzato nessuno ma giuro che, se non esci allo scoperto, ti taglio la gola! Rispondi, Gohan: chi sei davvero?!?»
    Gohan ebbe un sussulto: era stato colto di sorpresa. «M-ma… io-»
    «Niente ma! Le domande le faccio io!» disse Videl in collera, anche se quelle parole erano fuori contesto.
    «Anche l’altra volta ti ho visto a bordo di una nuvola gialla sospetta! Che trucco era?? Parla!»
    Gohan avrebbe potuto liberarsi dalla presa e dal coltello come e quando voleva, ma preferì stare al gioco: aveva capito che tutta quell’aggressività era figlia della paura e della diffidenza che, in quei tempi così difficili, avevano trasformato una ragazza d’indole vivace in una felina pronta a difendersi con ogni mezzo necessario. Per questo il ragazzo assunse un’espressione seria, sollecitandola a voce bassa e lenta: «Prova a tagliarmi la gola.»
    «Cosa?!» replicò la figlia di Satan, senza togliergli la lama di dosso.
    «Provaci.» la sfidò ancora, guardandola da sotto, mantenendo l’espressione convinta.
    «Sei matto?? Guarda che lo faccio sul serio! Il tuo cadavere resterà qua, abbandonato a sé stesso, e il nonno penserà che te ne sei andato all’improvviso, così come sei venuto… e che ti sei approfittato per due mesi della sua gentilezza, da bravo ingrato!»
    «Dai… basta parlare… prova a farmi un taglio… anche leggero.» Videl era titubante: perché la sfidava in quel modo?
    «Eppure fino a un minuto fa sembravi così coraggiosa…» sogghignò provocatoriamente Gohan, in un mo-do che ricordava il Piccolo dei momenti migliori. «Se sei così esitante, come pensi di proteggere il signor Belze?»
    L’agitazione si impadronì di Videl. Serrò gli occhi e con un colpo netto abbassò il coltello sul collo di Gohan; le mani compirono un gesto avventato senza chiedere il permesso al cervello – perché sapevano che il cervello non glielo avrebbe accordato. Riaprì gli occhi, ed ebbe la seconda sorpresa del giorno. Dopo aver visto Gohan sollevare un dinosauro con la sola forza dei propri muscoli, adesso lo aveva visto resistere ad un tentativo di omicidio; la pelle chiara del suo collo era illesa, anzi: era il coltello ad aver fatto una brutta fine, dato che la lama adesso era piegata da un lato, quasi accartocciata. Gohan le sorrideva benevolo. Videl era troppo sconvolta per reagire. Gohan se la tolse di dosso facendola sedere di lato, poi buttò via il coltello in mezzo all’erba, dicendo: «Questo non ci serve, per parlare.» Poi si rivolse al dinosauro, che aveva assistito a tutta la scena, ben conscio delle capacità sovrumane di Gohan e sapendo che questi non correva alcun pericolo: «Tu per oggi puoi andare via… domani mi aiuterai di nuovo con gli allenamenti. Va bene, amico mio?»
    Rimasti soli, seduti sull’erba della collina, Gohan iniziò a parlare a Videl. «Io e te abbiamo bisogno di farci una chiacchierata e chiarirci le idee.» asserì tranquillo. «Voglio che i nostri rapporti siano sinceri e leali, e voglio che la smetti di vedermi come un nemico… so che non sono un tipo normale e tutto di me ti induce a sospettare, e questo non mi piace.» Videl tacque, con le sopracciglia leggermente aggrottate che le conferivano un’espressione del tutto indecifrabile. «Finora non ti ho mai parlato di me per una questione di quieto vivere… anche perché QUALCUNA non me ne dava mai occasione. Ti risulta?» concluse Gohan, sorridendo sempre.
    “In effetti…” pensò tra sé la ragazza, tacendo. Ricordava l’ultima volta che il nonno le aveva rimproverato di essere troppo cinica, come tutti i giovani della sua generazione.
    «Ascoltami bene, Videl. Quello che ti racconterò ti sembrerà incredibile, ma è la verità…»

    Poco dopo, Videl sapeva tutto. Sapeva che Gohan era un Saiyan, anche se solo per metà; lui le aveva mo-strato la nuvola d’oro, la trasformazione in Super Saiyan, il punto del suo didietro da cui una volta fuoriusciva una coda da scimmia; non aveva mentito, Gohan, quando aveva detto che le ferite e fratture erano opera dei cyborg: solo una persona con la sua forza poteva sperare di affrontare i due esseri e sperare di cavarsela a così buon mercato. Ora Videl si sentiva in colpa… per l’eccessivo amore verso la memoria di suo padre, aveva odiato quel ragazzo che invece meritava solo stima, rispetto ed ammi-razione. Per la prima volta in vita sua, le capitava di parlare con una persona e sentire di potersi fidare cie-camente di lui: glielo leggeva negli occhi, specchio del suo animo puro. La nuvola d’oro non sbagliava quando giudicava Gohan degno di cavalcarla, mentre negava a Videl tale possibilità.
    «E questo è tutto…» concluse il figlio di Goku, mentre erano nei pressi della cascina di Belze. «Mi potresti fare un favore? Evita di parlarne a chiunque, pure a tuo nonno. Meno persone sanno di me, meglio è… perché quei due cyborg mi odiano. Se non volessi sdebitarmi con tuo nonno aiutandolo con i lavori, vi saluterei subito. Mi spiace avertelo dovuto rivelare…»
    «Non scusarti… sono stata io a spingerti a farlo.» rispose ella costernata.
    «Beh, cosa c’è? Tutte queste scoperte ti hanno rattristato?» sorrise allora Gohan, fermandosi di colpo coi pugni sui fianchi.
    «Ho sbagliato a comportarmi in quel modo con te… ti ho reso la vita difficile per nulla… però…» spiegò Vi-del.
    «… però so che non sei una persona cattiva.» affermò Gohan, senza perdere il sorriso rassicurante. «Lo vedo dall’affetto che mostri per tuo nonno. Negli ultimi tempi mi sono accorto di quanto siano cambiate le persone. Non ho mai visto tutto questo egoismo gratuito… o forse ho solo aperto gli occhi rispetto a qualche anno fa.»
    «Già… è uno schifo.» assentì Videl. I due si fermarono a qualche centinaio di metri da casa: Gohan sentiva il bisogno di pensare al suo futuro immediato, ora che era guarito – dato che in un mondo così “schifoso” non si poteva certo programmare un futuro che non fosse prossimo. “Cosa devo fare? Mi piacerebbe tornare al monte Paoz… dalla mamma. Probabilmente quel posto è relativamente sicuro: se i cyborg cercavano papà, sarebbero andati direttamente lì, se solo avessero avuto in memoria il nostro indirizzo. Vuol dire che non sapevano dove cercarlo… spero proprio che la mamma stia bene…” Poi gli venne in mente la situazione di Belze. “Mi spiace dirlo, ma al signor Belze ormai non resta molto da vivere: me ne accorgo subito da tanti piccoli segni, come il respiro e la difficoltà a sollevare grossi pesi… anche se lui cerca sempre di nascondercelo. Se non fosse stato per la sua generosità, per un mese e mezzo avrei avuto una vita molto difficile… dunque devo sdebitarmi… stando con loro, regalerò a tutti e due qualche altro momento di maggiore serenità; resterò finché c’è lui, e poi si vedrà.” Queste considerazioni silenziose vennero interrotte da Videl; le sue labbra si sollevarono in un mesto sorriso: «Poi c’è un altro motivo per cui sono triste… facendomi vedere quanto sei forte, mi hai distrutto ogni speranza di miglioramento. Non diventerò mai forte quanto te…»
    I due tacquero. «E se ti insegnassi qualcosa io? Potresti imparare qualche tecnica interessante ed allenarti… ti va?»
    Fu in quel momento, specchiandosi negli occhi sorridenti di Videl, che Gohan sentì a tutti gli effetti di essere parte della loro famiglia.

  4. #434
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    Da allora, il terzetto riuscì a ritagliarsi un’isola di relativa serenità. Si lavorava nei campi e ci si allenava, e così le giornate si susseguivano, tutte piene e tutte uguali, in fondo. Gohan e Videl divennero inseparabili; adesso avevano tredici anni, e andavano per i quattordici. Avevano maturato un rapporto fraterno; come fratello e sorella si aiutavano in tutto, per la soddisfazione del vecchio Belze, che aveva auspicato ciò fin dal primo giorno. Persino quando Videl sbottava a causa di qualcuna delle uscite ingenue di Gohan, non riusciva a tenergli il broncio. Il ragazzo scoprì così che, sciolta la gelida corazza, esisteva in lei una ragazzina energica e vivace, degna nipote di suo nonno e figlia di suo padre; anzi, era lei la più positiva tra i due, mentre Gohan era il più cupo. Ad entrambi fu chiara l’origine delle loro differenze caratteriali, man mano che si raccontarono le rispettive storie: tralasciando ciò che avevano passato dalla comparsa dei cyborg in poi, lei aveva trascorso un’infanzia da tifosa sfegatata perennemente in tournée al seguito del padre wrestler, mentre Gohan aveva dovuto lottare – controvoglia – per sopravvivere e per permettere alla Terra di sfuggire agli attacchi malvagi di diversi mostri. Ad ogni modo, adesso Gohan e Videl erano uniti, e trascorrevano le loro giornate tirandosi su il morale a vicenda. Tuttavia la loro serenità, si è detto, era solo relativa, perché non c’era nulla di più precario del mondo di terrore dominato dai cyborg 17 e 18; un mondo in cui le stragi aumentavano giorno dopo giorno, i milioni di morti ammazzati non si contavano più, e sopravvivere spesso diventava un’impresa desolante e disperata.
    Senonché una sera il nonno andò a dormire, e l’indomani mattina non si svegliò più: era durato più di un anno da quando Gohan aveva formulato la sua infausta ma realistica previsione. Lo trovarono già freddo: allora Videl corse a cercare conforto tra le braccia dell’amico; dopo un più che comprensibile sfogo di pianto e singhiozzi abbracciata al petto di Gohan, decise che doveva farsi forza. Dal canto suo Gohan, invece, si ritrovò a pensare che – da quando il mondo era stato stravolto dai cyborg - nonno Belze era l’unico fra i suoi cari che aveva potuto godere del privilegio di una morte naturale, non cruenta… beato lui.
    Videl non era certo il tipo da piangersi addosso davanti ad un evento che, pur essendo triste, poteva rite-nersi prevedibile, quasi atteso; in ciò, Videl mostrava una maturità ed una forza d’animo notevolmente superiore alla media delle coetanee.
    «E adesso cosa hai intenzione di fare, Gohan?» chiese Videl. La ragazza aveva vissuto in quel luogo più che altro in funzione del nonno; ma ora che non aveva più parenti, era rimasta sola. Quindi con un sorrisetto di sfida aggiunse: «Ora che mio nonno non c’è più, puoi considerarti libero da tutti i debiti nei suoi confronti, no?»
    «Dovrei chiedertelo io…» sorrise Gohan. «Io non ho problemi a difendermi contro i pessimi incontri che girano di questi tempi: il mio unico problema sono i due cyborg… ma tu?»
    «Quanto sei scemo!» esclamò Videl di rimando. «Ho passato l’ultimo anno ad allenarmi in compagnia di un Super Saiyan, non so se te lo ricordi… certo, a differenza tua sono solo una comune mortale… ma con la forza e velocità che ho adesso, posso tramortire qualunque malvivente prima ancora che possa dire “cip”! Perciò ho preso la mia decisione…»
    «Sentiamola.» disse Gohan, sorridendo serio a braccia conserte.
    «Ho deciso di andarmene in giro per il mondo. Con i cyborg corriamo tutti un grave pericolo, a prescindere dal posto in cui viviamo… lo diceva pure mio nonno. Quindi, finché non sarai in grado di sconfiggerli, stare qua nascosta a fare la muffa di sicuro non gioverà a nessuno… quindi voglio viaggiare per il mondo, e com-battere tutti quei malvagi che approfittano del caos che c’è in giro per rovinare la vita alle brave persone. Questo è ciò che posso dare al mondo, e lo farò…»
    «Mi sembra un ottimo proposito, da parte tua!» approvò Gohan.
    Videl abbassò lo sguardo; la pelle chiara del suo viso si colorò di rosso, mentre soggiungeva: «Però… mi piacerebbe…»
    «Cosa…?» le domandò il figlio di Goku.
    «Dai… Non ci arrivi da solo?»
    «Veramente no.» ribatté serio il meticcio. «Non ho mica poteri telepatici per leggerti nella mente.»
    Videl cascò a terra con tutta la sedia, con un tonfo pesante. «Sempre il solito scemo… fosse per te, a volte potremmo stare tre ore a guardarci negli occhi prima di capirci…!»
    «Sei tu quella che ama fare tanto la misteriosa! Non tergiversare e torniamo alla tua idea…» la sollecitò Gohan aggrottando le sopracciglia.
    Con quel battibecco, l’imbarazzo di Videl era sfumato. Senza altre esitazioni, chiese a Gohan: «Ti andrebbe di unirti a me? Potresti allenarti quanto vuoi, poi raggiungermi di volta in volta e aiutarmi nel caso in cui ce ne sia bisogno…» Se Videl aveva provato imbarazzo fino a poco prima, era solo perché non era sicura che Gohan accettasse; trepidava perché temeva non tanto di restare sola, quanto piuttosto di perdere quel fratello acquisito, che ormai da più di un anno era entrato nella sua vita.
    Gohan ci pensò un po’; poi rispose: «Lasciami il tempo per riflettere… Ho una cosa importante da fare, e non posso più rimandarla.»

    Era l’inizio della primavera. Il monte Paoz aveva il pregio di trovarsi in una regione del mondo temperata, per cui il clima si manteneva fresco per gran parte dell’anno, senza mai diventare realmente glaciale. Adesso i fianchi del monte azzurrino dalla cima imbiancata erano tappezzati, così come la vallata sottostante, da erbe selvatiche di un intenso verde brillante; miriadi di fiorellini gialli punteggiavano quella spettacolare visione della natura. Spiccavano, ora più numerosi ora più radi, alberi ad alto fusto dalle chiome di un verde cupo; sotto un sole lucente ma non aggressivo, la superficie del fiume dai grandi pesci scintillava di pagliuzze bianche.
    Era la regione dove Gohan era nato, dove era cresciuto per la maggior parte della sua vita, e dove suo padre Goku e il nonno Gohan avevano vissuto per molti anni prima di lui. Obiettivamente era un luogo molto ameno, ma non era solo per quello che Gohan, rivedendolo ora dopo quattro anni e oltre di assenza, era emozionato. Sceso a terra, si incamminò lungo il familiare sentiero che conduceva a casa sua. Bussò; non apriva nessuno. Forse sua madre era impegnata in qualche lavoro… “O potrebbe anche essere uscita, chissà… oppure… no, dai, io entro! È ancora casa mia, questa, o no?” pensò Gohan, e si decise a varcare la soglia senza aspettare oltre.
    «C’è qualcuno?» chiamò Gohan, lanciando lo sguardo a destra e a sinistra e muovendo qualche passo. «Mam-» stava per chiamare sua madre, che saltò fuori dalla porta della cucina brandendo una padella con atteggiamento minaccioso.
    «Altolà, teppista! Sappi che sono una campionessa di arti marziali… e, per di più, armata!» gridò Chichi fis-sando in cagnesco il nuovo arrivato.
    «Ma… mamma! Non mi riconosci?» Che domande! Come avrebbe potuto riconoscerlo ora che era ricom-parso in modo così improvviso, con quell’inedita camicia turchese, più alto di diversi centimetri e con quella voce, che in quegli anni si era fatta leggermente più profonda? Comparve però alle spalle di Chichi, con passo dondolante, la massiccia figura dello Stregone del Toro che – stupefatto, ma più calmo della figlia – esclamò, con le braccia tremanti: «Ma tu sei Gohan! Nipotino mio!!» Evitiamo di raccontare la scena di lacrime e commozione che seguì, che voi lettori potete facilmente immaginare; diciamo solo che i tre si ritrovarono stretti in un abbraccio collettivo che durò a lungo. Erano felicissimi.
    Poi, quando Chichi sollevò il ciuffo sulla fronte per accarezzare il figlio, trovò la cicatrice che percorreva la fronte giù, fino al sopracciglio. Gohan iniziò a raccontare ai suoi familiari le sue avventure a cominciare dagli allenamenti sotto la guida di Mr. Popo; arrivato alla parte in cui doveva raccontare di Belze, dovette raccogliere una grossa porzione di coraggio per spiegare come mai, nonostante le pessime condizioni fisiche, avesse preferito non tornare a casa per tutto quel tempo.
    Sorprendentemente, quasi miracolosamente, Chichi capì: per una volta non fece sfuriate, né pianti tragici, né reazioni isteriche di altro tipo. Benché fisicamente non fosse molto invecchiata, la solitudine degli ultimi anni l’aveva resa una donna più remissiva e rassegnata: aveva accettato l’antico adagio in base al quale “tale padre, tale figlio”; la storia si ripeteva, e Gohan – come suo padre in tempi ormai lontani – avrebbe dovuto dedicare altri anni ad allenarsi per la salvezza del pianeta, dato che il ragazzo era ancora ben lontano dal raggiungimento del suo obiettivo finale, ossia la sconfitta dei numeri 17 e 18. Per il momento Gohan non le apparteneva più, e la sua ambita carriera accademica non la riguardava più, in quanto era momentaneamente rinviata a data da destinarsi. Dunque, nel chiacchierare col figlio, nel sentirlo parlare esaminando con gli occhi le nuove posture e la gestualità più matura che aveva assunto, Chichi cercava di mostrargli un atteggiamento equilibrato tra l’affetto materno e l’accettazione del distacco, nascondendo completamente il desiderio divorante che lui restasse lì. L’aveva capito persino una donna ostinata come Chichi: Gohan non poteva restare lì; non più, nei tempi convulsi ed instabili in cui vivevano. Fu Gohan a rimanere stupito quando Chichi, al proposito del figlio di continuare ad allenarsi in giro per il mondo con Videl, rispose semplicemente con un sorriso mesto: «Per me va bene.»

  5. #435
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    «D-davvero?» ribatterono all’unisono Gohan e suo nonno.
    «Io e tuo padre ci siamo fidanzati ufficialmente quando avevamo dodici anni, e da allora ho aspettato per sette anni per sposarlo… poi venne quel Radish, e ho dovuto aspettare più di due anni per riavere mio marito accanto a me… e malgrado tutto, poi è morto. Pensi che io non abbia sviluppato una pazienza da record con voialtri?» concluse Chichi con una vaga espressione che aveva un che di provocatorio, e che lasciò interdetto Gohan. «Continuerò ad aspettare altri sette anni, e poi altri due anni, e così via… come ho fatto in passato. Promettimi almeno che tornerai a farmi visita, ogni tanto. Non mi sembra di chiedere tanto, no?»
    «Va bene… lo prometto! Magari ti farò conoscere Videl… magari andrete d’accordo…» Pensò Gohan, ricordando quanto potessero essere simili sua madre e la sua amica… O forse no, avrebbero finito di starsi reciprocamente antipatiche proprio per la loro somiglianza.
    Dopo aver ascoltato il lungo racconto del figlio insieme a suo padre, Chichi cominciò a spignattare per offrire al figlio un degno pasto, di quelli che il giovanotto non si sbafava da tempo. Trascorsero così alcune ore in tutta serenità, come se la cruda realtà fosse temporaneamente sospesa. Infine, quando giunse l’ora della partenza di Gohan, Chichi domandò con tono inquisitorio: «Dove hai preso quella camicia, Gohan? Hai dei vestiti puliti? O devo forse credere che MIO FIGLIO viva di accattonaggio??»
    «E-ehm…» balbettò Gohan abbassando lo sguardo. Chichi scosse la testa sconsolata: «Più passa il tempo e più diventi uguale a tuo padre… Aspetta un attimo, che ti do delle cose.» La madre si allontanò nell’altra stanza, poi chiamò Gohan. «Puoi portarti via questo baule…» disse, indicando un vecchio contenitore di legno amaranto. «Ci ho messo un po’ di roba appartenuta a papà… biancheria, tute da combattimento di varie taglie, anche perché da quando ci siamo conosciuti non ha mai smesso di crescere e di diventare più muscoloso…»
    «Devo prenderle io?» chiese il mezzosangue, stranito che la madre rinunciasse a quei vestiti, consapevole del fatto che essi avrebbero finito per fare una brutta fine, tra un combattimento e l’altro.
    «Certo! Mi sembra la cosa più naturale… in questo modo, lo spirito di tuo padre ti sarà vicino e, in qualche modo, ti aiuterà in battaglia.» soggiunse la donna con un sorriso mite d’incoraggiamento.


    Da qualche ora, Videl era in trepidante attesa. Gohan se n’era andato senza dare altre spiegazioni, promettendo che sarebbe tornato. Era certa che sarebbe tornato, perché il suo grande amico era la persona più limpida ed onesta che conosceva… tuttavia, finché egli non fosse stato lì presente, non si sarebbe sentita tranquilla. Ad un certo momento, avvertì l’avvicinarsi di una grande presenza spirituale, sfruttando le abilità percettive che il giovane mezzosangue le aveva insegnato. Si precipitò nel cortiletto giusto in tempo per vedere la figura familiare avvicinarsi sempre più fino ad atterrare; indossava una divisa rossa fermata da una cintura nera, e sotto la canottiera una maglia nera. «Eccomi qua. Possiamo partire quando vuoi, Videl!»

    *******************************
    L’ANGOLO DELL’AUTORE.
    In questo capitolo non ci sono precisazioni, e questa è l’unica precisazione che mi sembra il caso di fare. Alla prossima!!

  6. #436
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    Beh, perdonami, ma se devo essere sincero (*si prepara ad essere fucilato*)... Non mi ha entusiasmato come capitolo, sembra più un Chapter di preparazione a ciò che verrà dopo, un'introduzione, diciamo.
    Non mi fraintendere, il capitolo mi è piaciuto molto (specialmente la parte con Chichi), solo che penso mi piacerà di più il prossimo.

    P.S.: Scusa il ritardo nel commentare, ma non avevo letto il messaggio di servizio, e sono appena tornato da una vacanza in Calabria.
    Prossimamente... Dragon Ball R.S., il DB alternativo!

  7. #437
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    Beh, ammetto che non si possano fare sempre capitoloni entusiasmanti. Più che di preparazione, direi che è un capitolo anche di transizione, di passaggio ai fatti che verranno narrati successivamente.

  8. #438
    il VERO Super Saiyan L'avatar di Vegeth SSJ3 Full Power
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    Ma infatti ti va già ampiamente riconosciuto di avermi tenuto incollato al Pc per più di venti capitoli, che non è affatto poco.
    E poi dici di essere uno scrittore amatoriale XD (sembri uno scrittore proffessionista, altroche')
    Prossimamente... Dragon Ball R.S., il DB alternativo!

  9. #439
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    Eccomi finalmente!
    Ottimo capitolo! Da scrittore tendo ad apprezzarli proprio perché so quanto possa essere difficile scriverli. Nondimeno sono fondamentali per la qualità complessiva della storia. Complimenti!

  10. #440
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    Vi ringrazio come al solito per i commenti!
    Bene... l'estate è ormai passata e ho preferito aspettare prima di proseguire con la pubblicazione dei capitoli. Se vedo che continuerete a seguire come prima delle vacanze, cercherò di mantenere un ritmo di pubblicazione abbastanza serrato. Intanto, sotto con il cap. 60!

    Cap. 60: Sorellina mia.

    Sgominare la delinquenza era un proposito meno facilmente attuabile di quanto Videl avesse immaginato, all’inizio della sua avventura. Senza indugi era partita, ispirata dal desiderio di portare la giustizia ovunque. La realtà era che, dovunque ci fosse un uomo un po’ più forte della media, o dotato di un coltellaccio o di una pistola o di un fucile, lì nasceva la prepotenza che, molto spesso, sfociava nella criminalità. L’accordo tra i due amici, Gohan e Videl, era che lui la lasciasse agire da sola, salvo venirle incontro qualora si fosse trovata in schiacciante inferiorità numerica tale da renderle troppo ostico il compito. Ormai Videl aveva imparato che le bastavano due o tre colpi ben assestati per mettere fuori combattimento ogni avversario. Così, la ragazza non si limitava a picchiarli fisicamente: li disarmava; poi, raccolte le armi, le consegnava a qualche autorità locale o qualche amante della giustizia, per dar modo ai giusti e ai deboli di difendersi al meglio. Era la cosa più opportuna da fare: di certo Gohan e Videl non potevano correre da un lato all’altro del pianeta al ripresentarsi di un’emergenza! In tal modo, i due amici avevano assicurato alla giustizia centinaia di delinquenti, aiutando le autorità che solitamente stentavano a svolgere le proprie funzioni.
    Senza contare che, giorno per giorno, i cyborg imperversavano senza pietà e senza seguire uno schema pianificato. Gohan non aveva mai smesso di allenarsi severamente, e non avrebbe mai smesso finché non avesse realizzato il suo sogno, che era anche il sogno di tutta l’umanità: la sconfitta dei due cyborg. Solo dopo avere compiuto la sua missione, avrebbe detto addio a quella orribile vita da guerra; avrebbe ripristi-nato la pace e sarebbe tornato alle sue attività quotidiane e allo studio… Nel frattempo continuava a tenersi nascosto dal nemico e a proteggere Videl ogniqualvolta vi era la possibilità che venisse scoperta, in attesa del momento opportuno per infliggere l’attacco finale. Ciò gli era possibile grazie anche alle comunicazioni provenienti dai pochi radiogiornali e telegiornali ancora attivi.
    Avevano visto criminali di tutti i tipi: gente che si dedicava alle ruberie, al saccheggio e allo sciacallaggio per disperazione, perché non sapeva come tirare a campare; persone cattive che avevano sempre agito con prepotenza, e che nella rovina dei giusti trovavano il loro habitat naturale; infine, gente abbrutita dai vizi, dall’ozio e dal caos dei tempi. Disgraziati che si procuravano chissà dove mitragliatrici e fucili a canne moz-ze, e non si facevano scrupoli a puntarli contro esseri umani; lottatori più o meno in possesso di una certa tecnica che minacciavano di mettere le mani addosso a chi non si fosse adeguato al loro volere. Videl si trovava a lottare contro un’umanità degradata che era divenuta la feccia di sé stessa; Gohan vegliava su di lei e sugli esseri umani, facendo la sua epica comparsa al bisogno, come una sorta di angelo guerriero, pronto a saettare come un fulmine e a fare da scudo antiproiettile umano all’amica quando questa fosse stata in procinto di beccarsi anche solo una pallottola. Anche la gente da loro difesa rappresentava una fauna variegata: ragazzine e bambini indifesi, donne mature dalla lacrima facile, vecchi rassegnati oppure battaglieri, padri di famiglia, uomini e donne più o meno onesti, più o meno in difficoltà, persone da aiutare in ogni caso…
    I due compagni di avventure crescevano insieme e maturavano. Conoscendo le persone, si facevano un’idea più chiara di cosa fosse il mondo e di cosa fosse la vita. Si procuravano da vivere grazie ai frutti della natura e della terra; a volte, quando trovavano un villaggio del tutto abbandonato, prendevano per sé oggetti o cibo che ormai non appartenevano più a nessuno; quando era possibile, qualcuno che bene-ficiava delle loro gesta ricambiava regalando qualcos’altro. Il mondo si andava spopolando: se in quei sei anni trascorsi dalla loro riattivazione 17 e 18 avessero tenuto il conto delle loro vittime, sicuramente avrebbero superato la cifra del miliardo e mezzo di uomini, avviandosi pericolosamente a raggiungere anche i due miliardi.
    Videl teneva un diario. Lo compilava soprattutto la sera, dopo che lei e Gohan avevano concluso in santa pace una cena preparata alla bell’e meglio.
    Fu proprio una di quelle sere che Videl rivolse una strana domanda a Gohan. Distesa per terra sulla pancia, stava annotando i suoi pensieri sul diario, mentre Gohan leggiucchiava un libro, giusto per passare tempo e distrarsi dai soliti pensieri. «Gohan… ma se io per caso un giorno venissi ammazzata da uno di questi criminali che affrontiamo ogni giorno… sai com’è, un proiettile vagante, una distrazione… ma tu, mi vendicheresti?»
    «Sicuramente sarei divorato dal dolore… però sai come la penso: l’idea di uccidere un uomo mi ripugna. Purtroppo sono uno stupido pacifista… è più forte di me.»
    «Lo immaginavo! Me l’hai detto altre volte… ci sono solo due persone al mondo che vorresti uccidere, e non hai ancora la forza per riuscirci.» concluse Videl. A quel punto Videl si voltò, con un risolino comprensivo e sommesso, e tornò a scrivere qualche altro pensiero sul diario. Gohan era a conoscenza dell’esistenza del diario di Videl, ma non aveva mai mostrato curiosità di leggerlo per non violare la riservatezza dell’amica.

    In un certo spiazzo sterrato nella zona ad Est del grande continente, tre uomini stavano discutendo con trasporto dei programmi per la loro serata. Uno di loro, che aveva tutta l’aria del leader, stava seduto sul retro del loro furgone rubato, con gli sportelli aperti. «Stasera voglio proprio divertirmi! Giunta è l’ora di fumare, bere birra e spinellare... e se è il caso volare nella Città dell’Est e scoparci un paio di puttane!» proclamò solennemente un tizio robusto dai capelli neri a spazzola, la barba mal rasata e un’espressione da furbastro; indossava jeans laceri e una maglietta.
    «Bella idea, Garrickle… te lo ricordi che le puttane vogliono anche essere pagate? E che non abbiamo un soldo, te lo ricordi?» ribatté uno dei due scagnozzi, più bassetto e smilzo di lui, dal viso affilato, seduto per terra.
    «Tsk… idiota. Siamo maschi… non dobbiamo per forza pagarle, per prenderci quello che vogliamo.» rispose il capo.
    Nel frattempo il terzo uomo, somigliante a Garrickle ma più alto e corpulento, mentre lucidava il proprio bazooka, di enormi dimensioni, con una pezza intrisa d’olio, si limitava a commentare con l’acquolina in bocca: «Mmm… puttane.»
    Rimasero per un po’ lì ad oziare. Più tardi, il leader invitò gli altri a prendere posto sul loro veicolo. «Diamoci una mossa, stronzi… ce n’è di strada, per arrivare a destinazione.»

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