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    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    The Sixth
    Part 01 – Awakening (parte terza)

    ‘Quando l’Agnello aprì il Terzo Sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: “Vieni!”. Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia’

    L’uomo trascinò faticosamente il forziere sulla spiaggia. Aveva passato le settimane precedenti in un ingrato lavoro di ricerca, aveva speso tutti i risparmi faticosamente guadagnati per affittare il sottomarino, ma ora, finalmente, aveva raggiunto il proprio scopo. Si era immerso nei mari sud orientali alla ricerca del favoloso tesoro nascosto in tempi lontani dai pirati e l’aveva trovato. Il baule che ora stava trascinando con tanta fatica conteneva gioielli antichi di valore incalcolabile: vendendoli, avrebbe finalmente messo fine alla propria povertà. Ovviamente, per evitare di attirare l’attenzione, aveva preferito non ormeggiare in un porto; si era fermato vicino a una spiaggia deserta, aveva messo il sommergibile in una capsula e si era accertato che nessuno si rendesse conto di quello che stava facendo. Si fermò per un attimo e rimirò il forziere. Lo aprì lentamente, quasi temesse che potesse sparirgli da sotto gli occhi da un momento all’altro. E invece, quando il baule fu spalancato, i gioielli erano ancora lì. Finalmente, avrebbe finito di fare la fame. La fame… Improvvisamente, un boato distolse l’attenzione dell’uomo dal tesoro; si girò freneticamente verso il mare, appena in tempo per vedere un gorgo che si stava formando tra i flutti. L’acqua salmastra sembrava venire trascinata verso il centro del mulinello con violenza inaudita, come se una bocca famelica fosse stata intenta a bere tutto l’oceano. Poi, veloce come un proiettile, la sagoma di un uomo emerse dalle acque. Levitando proprio sopra il centro del gorgo, il nuovo arrivato lanciò un’occhiata al cacciatore di tesori. Lo strano individuo uscito dal mulinello era piuttosto basso, anche perché teneva la testa vistosamente piegata verso terra. La sua armatura blu cupo gli copriva il petto, gli avambracci e le gambe, ma i suoi lunghi capelli neri e lisci, con una inquietante striscia bianca in mezzo, scendevano pigramente sul suo viso e sul suo corpo, coprendone buona parte. Le protezioni per le spalle, coperta da un panno nero avvolto attorno al collo a mo’ di sciarpa, erano composte ciascuna di due piastre che si allungavano verso l’esterno; i guanti metallici, che coprivano gli avambracci e l’ultima falange di ciascun dito, erano quasi completamente celati sotto le pieghe di un lungo mantello nero che ondeggiava fino a coprire buona parte della figura anche frontalmente. Un panno bianco scendeva dalla cintura metallica fin sotto le ginocchia, ma non copriva comunque le protezioni per le gambe: sia le ginocchiere che le piastre poste a difesa delle cosce erano rivolte verso l’alto e sotto di esse si potevano vedere i pantaloni neri che il nuovo arrivato indossava. L’uomo uscito dal gorgo levitò lentamente, fino ad atterrare di fronte al cacciatore di tesori. Attraverso i suoi lunghi capelli, il suo viso pallido e cadaverico sembrava minaccioso come nessun altro. L’uomo dai capelli neri e bianchi squadrò l’altro e sorrise: “Ci siamo già visti, vero?” domandò. “No” replicò l’avventuriero difendendo istintivamente il forziere con il proprio corpo. “Ma sì” insisté l’altro “Altrimenti, perché saresti interessato più a proteggere quel tesoro che alla tua vita? Non ti ricordi di me? Io sono il vecchio Anaton…”
    “Non ti ho mai sentito nominare” l’uomo sembrava essere a un passo dalla crisi isterica, mentre Anaton gli si avvicinava sempre più “E adesso vattene!”
    “Eppure, io sono convinto che tu mi conosca già. Anche se forse mi hai sempre chiamato con un altro nome. Forse mi chiamavi Fame”
    “Non ti avvicinare!” frugando freneticamente tra le sue tasche, l’uomo estrasse una pistola e la puntò sul suo inquietante interlocutore.
    “Ma cosa fai? Non puoi sconfiggere la Fame con dei proiettili… Non ti rendi conto che il tuo corpo sta già cedendo? Sei già troppo debole per sparare”
    Il cacciatore di tesori deglutì. Era vero, si stava sentendo sempre più debole. Provò a premere il grilletto, ma ormai gli sembrava come una pietra inamovibile. E sentiva lo stomaco che lo tormentava. Era sempre stato povero, aveva passato la vita a combattere i morsi della fame. Ma non erano mai stati così acuti. Mentre il sudore gli colava copioso lungo la fronte, fece per scagliare rabbiosamente a terra la pistola, ma non aveva abbastanza forza nemmeno per quell’azione. Anaton fece un altro passo avanti. Stavolta, l’uomo crollò a terra premendosi lo stomaco. Un attimo dopo, senza nemmeno accorgersene, era morto.

    C’erano momenti della sua vita in cui Marron si pentiva di essere così chiacchierona. Era una ragazza espansiva (tutto il contrario di sua madre, si sarebbe detto), si divertiva a stare con gli altri e a parlare di qualsiasi cosa le passasse per la mente, soprattutto di ciò che le piaceva o che le procurava un qualche tipo di felicità. Per esempio, quando uno dei suoi esami all’università andava bene, non poteva fare a meno di spendere un’enormità in telefonate per avvisare tutti i suoi amici. E poi, le piaceva parlare del suo ragazzo. Lei e Trunks si frequentavano già da qualche anno e Marron non perdeva occasione per decantare le qualità del giovane presidente della Capsule Corporation, mettendolo puntualmente in imbarazzo di fronte a chiunque la stesse ascoltando. Descritto da Marron, infatti, Trunks era il tipico principe azzurro bello, ricco e intelligente (tra l’altro, prestando fede a quanto diceva Vegeta, lui era effettivamente un principe); nemmeno lei, però, poteva negare quanto fosse imbranato nei rapporti sociali. Se non fosse stato per lei, la loro relazione sarebbe probabilmente rimasta un’ipotesi per l’eternità. Tuttavia, quando parlava di Trunks, Marron faceva sempre in modo di esaltarne i pregi e minimizzarne i difetti e c’erano dei momenti in cui questo le riusciva fin troppo bene. Forse era proprio per questo motivo che ora era costretta a fare da baby sitter a una ragazzina di dodici anni. Dopo averla sentita parlare della sua storia con Trunks, Pan si era fatta l’idea che Marron fosse abilissima nel trovarsi dei buoni partiti; una specie di cacciatrice di uomini. Così, quando l’aveva incontrata per caso quel giorno, insieme ai suoi genitori, per le strade della Città dell’Ovest, Pan le si era subito accodata. Cosa questa che sembrava divertire molto Crilin ma che piaceva decisamente meno alla giovane. “Senti un po’,” le chiese Pan per l’ennesima volta “ma come si fa a trovare il ragazzo giusto?”. Marron sospirò: “Non è che lo si possa cercare e trovarlo… Succede, punto e basta. Credo sia questione di fortuna”
    “E tu pensi che Trunks sia il ragazzo giusto?”
    “Certo che lo è! Non solo è molto carino, ma è anche il presidente della società più potente del mondo. E poi è molto intelligente. Ed è anche un Super Saiyan, quindi potrebbe proteggermi contro qualsiasi pericolo. È perfetto!”
    Pan rimuginò tra sé e sé poco convinta. Trunks le era sempre sembrato perfetto, sì. Un perfetto imbecille. Come era possibile che a Marron piacesse un uomo che arrossiva quando una ragazza lo guardava e che non era capace di spiccicare due parole di fila davanti a un’esponente dell’altro sesso? A quelle considerazioni, la stima di Pan verso la figlia di Crlin subì il primo scossone. Il secondo arrivò quando Marron, guardandola palesemente dall’alto in basso, le disse: “Senti, a proposito di Trunks… Lui ormai dovrebbe quasi aver finito di lavorare ed eravamo d’accordo che io sarei andata a prenderlo fuori dall’ufficio, così dopo saremmo potuti partire direttamente. Sai, avevamo in programma di passare il week end fuori e vorremmo restare da soli… Non ti offendere, eh?”. Pan non si offese, ma poco ci mancò: a quanto pareva, anche Marron la considerava una bambina. “E va bene!” sbottò. In fin dei conti, non era poi così sicura che Marron fosse un buon modello da seguire. Molto meglio fare da sé.

  2. #12
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    ‘Quando l’Agnello aprì il Quarto Sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: “Vieni!”. Ed ecco mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e dietro gli veniva l’Inferno’

    L’uomo camminò tra i resti del laboratorio guardandosi attorno incuriosito. Era sorpreso da come quel posto fosse cambiato mentre lui era stato addormentato. Resti di enormi computer e cilindri di vetro giacevano tutt’intorno; benché l’uomo non fosse in grado di comprendere l’utilizzo di tutte quelle apparecchiature, capiva che erano servite a creare delle forme di vita artificiali e che non venivano utilizzate ormai da decenni. I progetti laceri e divorati dal tempo che ancora giacevano tra la polvere e le macerie spiegavano come integrare componenti meccaniche con tessuto vivente. Spiegavano come progettare l’organismo più potente dell’universo e quali cellule ci volessero per conferirgli un corpo perfetto e invincibile. Chiunque fosse stato a preparare quei progetti, sicuramente aveva voluto tenerli segreti: altrimenti, perché nascondere il proprio laboratorio tra le granitiche montagne del nord? Perché costruire un centro di ricerche così attrezzato dove nessuno avrebbe potuto trovarlo? Ma, tutto sommato, all’uomo queste cose non interessavano; con un gesto quasi istintivo, si avvolse nel proprio lungo mantello lacero e verdastro. Il suo volto quasi scheletrico sembrava ora buffo, con i capelli neri, che avevano una striscia bianca in mezzo, sparati verso l’alto. Il mantello, che si ripiegava abbondantemente attorno al collo e al torace, quasi copriva le piastre pettorali dell’armatura color verde cupo e celava i rossi guanti metallici Anche le protezioni delle spalle erano rosse: la destra era costituita da due piccole piastre metalliche sovrapposte, mentre la sinistra era una singola copertura con un paio di borchie. Un panno dello stesso colore verdastro del mantello pendeva dalla cintura e una fascia anch’essa lacera passava sopra la spalla sinistra e sotto l’ascella destra. Camminando, l’individuo colpiva il terreno con una lunga falce dalla lama seghettata, la cui asta sembrava fatta di ossa allungate fissate una dietro l’altra. Il nome dello strano tipo era Arton, o almeno così gli pareva di ricordare. E ricordava anche di avere una missione da compiere. Doveva uscire da quel posto. Però, mentre lasciava quel bizzarro laboratorio, mentre guardava i grossi feretri meccanici che avevano evidentemente contenuto dei corpi umani (uno dei quali decisamente grosso) e che riportavano numeri da 16 a 20, non poté fare a meno di notare l’ironia della sorte. Lui era stato sepolto proprio nel posto dove, moltissimo tempo dopo, qualcuno aveva costruito quel centro di ricerche. Era una bizzarra trama del destino, ma non c’era tempo per preoccuparsene.

    In tutta la Città dell’Ovest, Bulma era probabilmente l’unica persona che potesse permettersi di mantenere una famiglia di Saiyan; due, però, erano troppe anche per lei. Mentre guardava suo marito e sua figlia che si abbuffavano senza ritegno, non poteva che essere contenta che Trunks fosse fuori casa per il week end. Anche perché Goku e Goten compensavano ampiamente la sua presenza. Lei e Chichi si scambiarono un’occhiata piena di comprensione reciproca: entrambe sapevano cosa significava dare da mangiare a degli esponenti della razza più vorace dello spazio. La cena che la ex presidentessa della Capsule Corporation aveva offerto ai suoi amici si stava velocemente trasformando in un caotico banchetto in cui solo il più affamato poteva permettersi di sottrarre del cibo dalle fauci dei Saiyan. Però, tutto sommato, a Bulma tutto questo non dispiaceva affatto, anzi. All’età di cinquantotto anni, poteva dire di essere soddisfatta della propria vita. Aveva vissuto più avventure di quante fosse possibile immaginare e ne era sempre uscita intera; anche quando era morta, uccisa da Majin Bu, era stata resuscitata; aveva sposato un uomo che, pur essendo un singolare esempio di mente contorta e di orgoglio autolesionista, aveva dimostrato di essere pronto a dare la vita per lei; aveva due figli dei quali era molto felice; aveva degli amici che le erano cari quasi quanto la sua famiglia. Si riteneva fortunata. Quando poteva assistere a delle scene come quella che si stava verificando in quel preciso momento sotto i suoi occhi, l’unica sua paura era che tutto questo potesse finire.

    ‘Fu dato loro il potere sulla quarta parte della Terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della Terra. Quando l’Agnello aprì il Quinto Sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: “Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia vendicando il nostro sangue sugli abitanti della Terra?”’

    Il vento sferzava impietoso sull’altipiano di Yunzabit. Tra tutti posti della Terra, quello era uno dei più impervi; la cima dell’altipiano era una vetta gelida e inospitale, dove gli uomini non osavano avvicinarsi. Nessuno sapeva che, moltissimi anni prima, proprio in quel posto era arrivato un alieno che sarebbe poi diventato Dio. Nessuno sapeva che, ancora prima di allora, proprio quel posto era stato il centro di una civiltà della quale non restava nemmeno il ricordo. Nessuno sapeva che, quel giorno, proprio quel posto era il luogo di riunione di cinque uomini dai capelli neri e bianchi. Uno di essi aveva una falce. Uno di essi aveva degli artigli metallici. Uno di essi era enorme, indossava un’armatura rossa. Uno di essi, piccolo e gracile, aveva il volto quasi completamente celato dai capelli. Questi quattro, inginocchiati davanti al quinto, che volgeva loro le spalle, non osavano alzare lo sguardo. Il quinto si girò. I suoi capelli, anch’essi neri con una striscia bianca in mezzo, superavano di poco la nuca. La sua armatura, sul petto, sugli avambracci e sulle gambe dalle ginocchia in giù, era viola cupo. Da ciascuna delle coperture sulle spalle spuntavano tre aculei rivolti verso l’esterno, una davanti, una sopra e un dietro. I guanti metallici coprivano solo l’ultima falange di ciascun dito. Sotto le ginocchiere triangolari, rivolte verso il basso, da ciascun gambale spuntavano due piccoli aculei rivolti verso l’alto. I bicipiti dell’uomo erano avvolti da due larghe maniche nere fluttuanti, mentre un lungo panno bianco scendeva dalla cintura metallica, al centro della quale, due piccole spine si curvavano verso l’alto. L’uomo aveva in viso un trucco pesante, completamente nero: due larghi segni a V sulla fronte; due piccoli segni a forma di V rovesciata sul naso; Tre linee che si appuntivano salendo dal mento al labbro inferiore; sotto ciascun occhio, un segno simile a una lacrima, che scendeva descrivendo la linea dell’ovale per poi piegarsi verso l’alto nella parte finale. Ma ciò che più impressionava gli altri quattro convenuti erano gli occhi. Completamente neri, con solo una piccola linea verticale rossa in ciascuno di essi a denotare una traccia di vita.
    Il primo a parlare fu l’uomo con gli artigli: “Tu sei Adam, vero?” domandò al misterioso individuo con l’armatura viola. “Sì” fu la risposta “E voi dovete essere i quattro che mi erano stati promessi”. Lo sguardo di Adam si puntò sull’uomo con la falce: “Arton!” lo chiamò. Arton si alzò e fissò Adam in viso. Poi, spostò gli occhi su quello che aveva parlato: “Mesembria!” disse. Mesembria si alzò a propria volta. Adam girò lo sguardo verso quello che indossava l’armatura rossa: “Disi!” esclamò. Disi si sollevò sulle gambe. Infine, il guerriero in viola posò la vista sull’ultimo, quello magro e basso: “Anaton!”. Anaton si mise in piedi. Adam incrociò le braccia: “Credo che si possa cominciare” disse spaziando con lo sguardo tra tutti i suoi collaboratori “La prima cosa da fare è occuparsi di questo pianeta”. Mesembria fece un passo avanti: “Questo non è un problema” annunciò senza perdere la consueta espressione impassibile “Ho già provveduto a informarmi e tra poco avremo il mezzo per sistemare questa faccenda in maniera che ci sia utile”.

    ‘Allora venne data a ciascuno di loro una vesta candida e fu detto loro di pazientare ancora per un po’, finché non fosse stato completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. Quando l’Agnello aprì il Sesto Sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna si fece simile a sangue, le stelle del cielo si abbatterono sulla Terra, come quando un fico, percosso dalla bufera, lascia cadere i fichi acerbi. Il cielo si arrotolò come un volume che si arrotolasse e tutte le montagne e le isole furono smosse dal proprio posto. Allora i re della Terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti. E dicevano ai monti e alle rupi: “Cadete sopra di noi e nascondeteci alla faccia di Colui che siede sul Trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira e chi vi può resistere?”’

    E così finisce il primo capitolo.

  3. #13
    Demente precario L'avatar di Final Goku II
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    Eh si! E' proprio quella! Ora ne ho la certezza.

    Finalmente potrò leggere per intero questa fanfiction! Peraltro con la cadenza con cui la posti tu mi risulta più leggera e meno scoraggiante leggerla piuttosto che trovandomi innanzi all'opera completa nella sua interezza.

    Consiglio a tutti di leggerla perchè merita. Anche se ovviamente non spoilero (anche perchè i miei ricordi sono abbastanza frammentari)

  4. #14
    adventure dipendente L'avatar di pappa
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    Davvero bello il primo capitolo!!! la vicenda é molto misteriosa e intrigante.
    Sono curioso di leggere il seguito

  5. #15
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    Bene, vedo che c'è qualche interessato.
    Continuerò a postare i capitoli: sono 7 in tutto compreso il primo già postato, tutti di lunghezza simile, più un capitoletto in cui l'autore spiega certe sue scelte.

    Stay tuned, come si dice in questi casi.

  6. #16
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    The Sixth
    Part 02 - Make a Wish (parte prima)

    Piccolo atterrò al Santuario di Dio, il suo mantello immacolato che svolazzava al vento contro il cielo notturno. Si guardò intorno come se arrivasse lì per la prima volta, ma in realtà conosceva già fin troppo bene quel posto dove il suo alter ego, ora fuso con il suo corpo, era vissuto per secoli. “Piccolo!” esclamò Dende correndo incontro al guerriero verde seguito da Mr. Popo a breve distanza. “Ero preoccupato per te! Ho avuto un brutto presentimento mentre ero in meditazione e temevo fosse successo qualcosa di grave.. Forse l’aura che ho sentito comparire all’improvviso era solo una mia impressione?”. Piccolo non rispose. Fece qualche passo avanti, come se stesse saggiando il terreno sotto i suoi piedi. “Sì,” disse poi “credo sia successo qualcosa di grave”. “Davvero?” il giovane namekiano spalancò gli occhi “Pensi sia il caso di chiamare anche Goku e gli altri?”. Nonostante fosse il Dio della Terra, Dende continuava a provare un grande rispetto per quello che considerava essere il suo tutore e preferiva avere la sua approvazione qualunque decisione prendesse. “No,” replicò Piccolo “non ancora. Anzi, è meglio che loro non abbiano niente a che fare con questa storia. Dobbiamo sistemare il problema in maniera più pulita. Dove sono le Sfere del Drago?”. Dende esitò: c’era qualcosa che non lo convinceva nel comportamento di Piccolo. Aveva ammesso l’esistenza di un problema, ma non voleva parlarne. E riteneva che fosse così grave da dover usare le Sfere del Drago.
    Era passato molto tempo dall’ultima volta che le Sfere del Drago erano state utilizzate, quasi vent’anni. Dopo la sconfitta di Majin Bu, Dende aveva deciso che erano troppo pericolose per essere lasciate sulla Terra; aveva chiesto a Piccolo di ritrovarle e portarle al Santuario, in modo che potessero esservi custodite finché non si fosse veramente presentata una situazione di emergenza. I due namekiani aveva discusso a lungo in proposito: troppe volte, in passato, le Sfere erano state nelle mire di individui che avevano voluto sfruttarle per i loro fini, non ultimo lo stesso Piccolo. Sarebbe stato molto meglio che gli abitanti della Terra dimenticassero della loro esistenza e che restassero custodite nel posto più sicuro del mondo. Non doveva più accadere che una ragazzina ne trovasse per caso una nella cantina di casa e decidesse di cercare le altre per avere qualcosa da fare durante le vacanze. Le Sfere del Drago non dovevano più essere usate per motivi personali. Fu per questo motivo che Dende si insospettì: possibile che Piccolo gliele chiedesse senza nemmeno spiegargliene la ragione? Il giovane alieno si mise direttamente davanti il suo compagno più anziano: “Cosa significa che dobbiamo sistemare le cose in maniera pulita? Perché ti servono le Sfere del Drago?”. Piccolo sembrò risentirsi: “Non devo rendertene conto! Dimmi dove sono e basta!”. Adesso Dende era certo che ci fosse qualcosa di strano: quello non era Piccolo, poco ma sicuro. Mr. Popo, anch’egli visibilmente atterrito (il che era notevole, considerata la sua consueta mancanza di espressivit&#224, faceva correre lo sguardo da un namekiano all’altro, in attesa che qualcuno dicesse qualcosa che potesse sbloccare la situazione. A sbloccare la situazione fu la mano di Piccolo che gli si serrò sulla gola senza che lui nemmeno potesse vederne il movimento. Sollevando da terra il basso uomo nero senza apparente sforzo, Piccolo puntò lo sguardo su Dende: “Portami immediatamente le Sfere del Drago, se non vuoi che il tuo amico faccia una brutta fine!” sibilò mentre una luce omicida gli balenava negli occhi. Il giovane arretrò di qualche passo: “Chi sei? Tu non puoi essere Piccolo!”. “Chi io sia non ti deve interessare! Portami quelle Sfere senza fare storie”. Quasi a enfatizzare le proprie parole, Piccolo strinse la gola di Mr. Popo, estraendone un rantolo di agonia. “E va bene!” cedette Dende “Adesso vado a prenderle!”. Il Dio della Terra scomparve tra le colonne del Santuario, mentre si inoltrava nell’edificio principale. Per espressa richiesta di Piccolo, era meglio che solo Dende, e nessun altro, conoscesse l’esatta posizione delle Sfere: nessuno lo avrebbe ucciso per impadronirsene, perché la sua morte sarebbe stata la fine delle Sfere del Drago. Mentre il giovane namekiano percorreva i labirintici complessi di corridoi e scale che costituivano l’interno del Santuario, pensò che il suo brutto presentimento si era avverato nella maniera peggiore possibile. Piccolo doveva essere posseduto da un qualche tipo di agente esterno, non c’era altra spiegazione per il suo comportamento. Fortunatamente, Dende sapeva a chi rivolgersi.

    “Manca ancora molto?” chiese Marron cominciando a spazientirsi. “Ci siamo quasi” la tranquillizzò Trunks. Quel viaggio in macchina era un po’ troppo lungo per i gusti della ragazza. Stava incominciando a chiedersi seriamente se Trunks non si fosse perso. Erano partiti da circa un’ora dalla Città dell’Ovest e Trunks si era vantato di conoscere un ristorante come non se ne potevano immaginare a poca distanza dal centro abitato. Eppure, non erano ancora arrivati. Stavano viaggiando ormai da un pezzo su di una ampia strada di periferia, incrociando altre auto solo di tanto in tanto. Tutto ciò che c’era da vedere nel paesaggio erano degli enormi campi coltivati. Tanto più che il giovane presidente della Capsule Corporation non era esattamente un brillante conversatore e, nonostante fosse abituata a negarli di fronte a tutti, c’erano dei momenti in cui Marron doveva ammettere i suoi difetti almeno con se stessa. Quando riusciva a venire a patti con la propria testardaggine, cercava di compensare alle carenze del suo ragazzo. “Com’è andata sul lavoro?” gli chiese per rompere l’irritante silenzio che stava diventando intollerabile. Trunks si girò verso Marron quasi sorpreso: ma quando mai lei si era interessata al suo lavoro? “Oh, niente di che” rispose con distacco. Marron sospirò: la conversazione languiva, come al solito. Nonostante si vantasse sempre del suo ragazzo, certe volte le veniva da chiedersi perché stessero insieme. Certo, perché era stata lei a farsi avanti per prima: se avesse aspettato lui, avrebbe fatto in tempo a invecchiare. Ma valeva davvero la pena di portare avanti una storia simile? I suoi pensieri furono interrotti dalla brusca frenata dell’auto, che la fece quasi andare a sbattere contro il cruscotto. “Ehi!” gridò sollevando la faccia e lanciando un’occhiata di rimprovero a Trunks “Sta’ più attento, per poco…”. Non fece in tempo a finire la frase: vide il motivo per cui Trunks aveva inchiodato. Un uomo dal lungo mantello nero, con un’armatura blu cupo a proteggergli il corpo, stava levitando a pochi metri da terra proprio davanti a loro.

    “Non vale la pena di andare avanti!” sentenziò Chichi sporgendosi dal sedile posteriore dell’auto e afferrando Goten per un orecchio “È inutile che tu continui ad andare all’università se non hai voglia di studiare!”. “Ma dai,” la tranquillizzò Goku dal posto di guida “in fondo, si tratta solo di aspettare un paio di mesi! Non mi sembra una tragedia se questo esame gli è andato male!” “Tu sta’ zitto!” lo rimproverò la moglie “Non è solo per questo esame! Cosa mi dici di tutti gli altri? E poi, perché prendi sempre le sue difese quando lo sgrido?”. Goku si trovò spiazzato. Era il guerriero più forte dell’universo, eppure, quando si trovava a litigare con sua moglie, provava l’irrefrenabile desiderio di sparire. Voleva una scusa per potersene andare. E la scusa arrivò. La voce di Dende gli risuonò nella testa: “Goku! C’è un’emergenza! Ho bisogno di te qui, subito!”. L’auto frenò bruscamente, mentre le parole di Chichi si perdevano nel rumore delle ruote che stridevano sull’asfalto. “Prendi tu il volante” disse Goku rivolto a Goten “Io ho una cosa urgente da fare”. Un attimo dopo, era scomparso.

  7. #17
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    Dende si avvicinò a Piccolo porgendogli un grosso fagotto grigiastro. Il namekiano più anziano buttò sprezzantemente a terra Mr. Popo e avvicinò cautamente una mano al fagotto. Spostando delicatamente alcuni lembi del panno, ne scoprì il contenuto. Le sette Sfere del Drago, le stelle scarlatte che brillavano debolmente nell’involucro arancione, erano tra le mani del Dio della Terra. Riavvolgendo il fagotto, Piccolo se le mise sotto braccio e si girò per andarsene. Non aveva ancora preso il volo, che una figura familiare si materializzò come dal nulla davanti a lui. “Allora?” domandò Goku all’amico “Cosa sta succedendo?”. Piccolo non impiegò molto a capire perché il Saiyan fosse lì. Si girò verso Dende: “Hai cercato di fregarmi, eh?”. “Goku!” esclamò il giovane namekiano “Piccolo è impazzito! Vuole rubare le Sfere del Drago!”. Goku si voltò il capo verso il guerriero dal mantello bianco: “Cosa significa?” domandò. L’unica risposta che ricevette fu una ginocchiata nello stomaco che lo fece volare lungo disteso. Rialzandosi a fatica, guardò quello che era stato il suo mortale nemico e uno dei suoi amici più fidati: “Ho capito…” disse “Sei posseduto da qualcuno o qualcosa, no? Un po’ come è successo a Vegeta quando era sotto il controllo di Babidy, vero?”. Un attimo dopo, i capelli di Goku esplosero verso l’alto in un lampo di luce dorata: “Vediamo se riesco a farti rinsavire”. Lasciando dietro di sé qualche piastrella infranta e un gran polverone, il Super Saiyan si lanciò sull’avversario; Piccolo lasciò cadere a terra le Sfere del Drago, mentre bloccava uno dopo l’altro le moltitudini di colpi che il suo opponente gli stava tirando. Sapeva bene che Goku non stava combattendo sul serio: il suo scopo doveva essere solo quello di immobilizzarlo per poi trovare un modo per poi riportarlo alla ragione. Pur rendendosi conto del proprio stato anomalo, però, il namekiano non aveva la minima intenzione di tornare ‘normale’. Ma questo non toglieva che la forza del Saiyan era superiore alla sua: non sarebbe stato facile sfuggirgli. Doveva inventarsi qualcosa.
    Goku lasciò partire un pugno diretto al viso; Piccolo lo bloccò al volo con la mano e lo strinse tra le dita. Poi, con una rapido movimento, fletté il braccio alle proprie spalle. L’arto del namekiano si allungò per diversi metri, portandosi con sé la mano imprigionata del Saiyan, che si trovò improvvisamente sollevato dal suolo. Non che la cosa lo preoccupasse più di tanto, ma non capiva il perché di quella manovra. Gli risultò chiaro solo quando la mano di Piccolo lasciò la sua. Il namekiano si chinò a raccogliere il fagotto con le Sfere del Drago e balzò giù dalla piattaforma che sorreggeva il Santuario di Dio. Già, Piccolo aveva voluto scappare; Goku non aveva dubbi in merito, mentre si lanciava al suo inseguimento volando a tutta velocità. Lo raggiunse quasi subito, ma, quando lo vide atterrare, fu tutt’altro che sollevato. La enorme velocità che i due avevano tenuto durante il volo aveva permesso loro di percorrere centinaia di chilometri in meno di un minuto; ora si trovavano molto più a nord, in un territorio di densa vegetazione di aghifoglie e di imponenti formazioni rocciose. All’insaputa di entrambi, non molto lontano di lì, molti anni prima, un mostro di nome Cell si era rifugiato sotto terra per completare la propria metamorfosi dopo aver compiuto un viaggio a ritroso nel tempo. Goku e Piccolo, ciascuno con i piedi su di un piccolo affioramento di roccia, si fronteggiavano in silenzio. “Cosa ti è successo?” domandò il Saiyan, che non riusciva a scrollarsi di dosso una sensazione di disagio opprimente, come se qualcosa di terribile fosse sul punto di accadere. Era più o meno la stessa cosa che aveva provato combattendo contro Freezer e Cell, ma, in quel preciso momento, non aveva senso. La paura euforica che lo attanagliava quando poteva combattere contro un avversario più forte di lui gli sembrava completamente fuori luogo in questa situazione. Non perché dubitasse della forza di Piccolo, ma perché era un suo amico. Non era affatto contento di combatterci insieme e non riusciva nemmeno ad avere veramente paura di lui. Si rivolse di nuovo al guerriero dalla pelle verde: “Perché ti comporti così? Piccolo, non mi riconosci più?”. Non fu il namekiano a rispondere, ma una risposta arrivò: “Lui ti riconosce. È per questo che si comporta così”. Una figura umana enorme era comparsa dietro Piccolo. La sua muscolatura imponente sembrava schizzare fuori dall’armatura scarlatta che indossava; i suoi bizzarri capelli neri con una striscia bianca in mezzo esercitavano uno strano contrasto stagliandosi contro la luna piena, quella stessa luna che era stata distrutta due volte e che due volte era stata ripristinata da Dio. “Chi sei?” domandò Goku rivolto al nuovo arrivato. Ma, almeno in parte, conosceva già la risposta. Era stato lui a causargli quella sensazione. L’aura di quel tipo, benché fosse trattenuta, sembrava essere semplicemente mostruosa. “Mi chiamo Disi” rispose il colosso mettendosi davanti a Piccolo e facendo un cenno con la mano al namekiano, che spiccò il volo verso nord. Goku sapeva benissimo che inseguirlo sarebbe stato inutile: quel tizio non glielo avrebbe mai permesso. “Cosa volevi dire poco fa?” gli chiese accigliandosi. “Semplice!” ribatté Disi “Il tuo amico è stato colpito dall’artiglio della Guerra Civile. Ora la sua natura è quella di rivoltarsi contro i suoi amici a vantaggio dei loro nemici ed è esattamente ciò che sta facendo…”. Goku restò per un attimo sbalordito: Cos’era questa storia? L’artiglio della Guerra Civile? Ma cosa significava? Stavolta, non ci fu il tempo per una risposta: Disi caricò il nemico senza ulteriori indugi.

    Piccolo atterrò sull’altipiano di Yunzabit. Davanti a lui, due figure umane lo stavano aspettando. Uno era Mesembria, colui che lo aveva colpito, colui che lo aveva indotto a rivelargli ogni segreto delle Sfere del Drago e ad andarle a rubare. L’altro era per Piccolo un completo estraneo. Eppure, fu lui a porgere il palmo teso verso il namkiano, come se si aspettasse di ricevere qualcosa. “Avanti,” lo incitò Mesembria con voce suadente “consegna le Sfere ad Adam”. Adam. Ecco come si chiamava. Piccolo obbedì e porse il fagotto all’uomo dall’armatura viola, che lo afferrò avidamente. Ne spostò qualche lembo e fu confortato al contare sette sfere. Fece un cenno con il capo a Mesembria. “Grazie mille” disse l’uomo dall’armatura bianca avvicinandosi al namekiano, la piastra metallica sul suo viso che scintillava minacciosa alla luce lunare. Un attimo dopo, senza nemmeno vedere quel movimento, Piccolo sentì uno degli artigli di Mesembria che gli squarciava il petto. Avvertì come una folata di aria gelida trapassarlo da parte a parte e capì che le unghie metalliche del suo nemico gli erano uscite dalla schiena. Quando il suo corpo fu gettato tra le voragini dell’altipiano, lui era già sprofondato nell’oblio; l’ultimo pensiero che gli passò per la testa era che il guerriero dall’armatura bianca aveva detto che uccidere era contrario ai suoi principi. E quasi si stupì che fosse una menzogna.

    (continua...)

  8. #18
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    Molto ben descritto il capitolo! Come lo ricordavo del resto!

  9. #19
    Ho le Palle Piene L'avatar di VirusImpazzito
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    Proseguiamo!

    The Sixth
    Part 02 - Make a Wish (parte seconda)

    Goku saltò verso l’alto, evitando per un pelo la carica furiosa del suo avversario. Da quando il combattimento era iniziato, Disi era diventato una macchina di distruzione inarrestabile: avanzava senza riguardo, bucando il terreno a ogni passo, sradicando alberi ogni volta che dimenava le mani. Buona parte della foresta di sempreverdi era stata rasa al suolo. Disi si girò rapidamente, seguendo il salto del suo avversario e sputando una raffica di energia scarlatta dalla bocca; intrecciando le dita, Goku respinse il colpo centrandolo al volo con entrambe le mani. Un attimo dopo, il suo avversario era a una manciata da centimetri dalla sua faccia. Mentre sentiva il proiettile di energia che aveva appena deviato infrangersi tra gli alberi, un pugno di potenza inaudita lo colpì al ventre. Il Saiyan si sentì sbalzato all’indietro come mai prima; il suo corpo impattò contro diversi tronchi d’albero in sequenza, abbattendoli uno dopo l’altro; quando, con un colpo di reni, Goku si rimise in piedi, Disi era esattamente davanti a lui. Balzò verso l’alto per evitare un nuovo pugno, ma vide quasi subito che il suo avversario se ne era accorto e stava già alzando l’altra mano per afferrarlo al volo per la caviglia. Con la freddezza che gli era derivata da anni di combattimento, Goku capì che non poteva permetterselo: era fondamentale aumentare la velocità di spostamento per evitare quella presa. La mano di Disi afferrò solo l’aria: non era stato preparato a quell’improvviso incrementò di rapidità. Quando il gigantesco guerriero si girò verso il suo avversario, vide che qualcosa era cambiato. I suoi capelli erano ancora più sparati verso l’alto e il suo corpo sembrava immerso in un turbinare di scariche di energia volante.
    Goku sogghignò: era un pezzo che non si trasformava in Super Saiyan 2 e gli faceva piacere incontrare un nemico che lo costringesse a questo. “Cominciamo il secondo round?” domandò. Non ricevette risposta, ma non fece in tempo ad accorgersene: il tacco di Disi lo colpì in piena mandibola, letteralmente ribaltandolo e mandandolo di nuovo a terra. Senza nemmeno vederlo, il Saiyan avvertì istintivamente che un pugno stava piombando su di lui, un tentativo di schiacciarlo al suolo. Il colpo di Disi centrò solo il terreno, mandando zolle di terra in aria, mentre il suo bersaglio iniziale saltava in alto e giungeva le mani piegando il busto: “Ka… Me”. Disi saltò a propria volta verso l’avversario. “Ha… Me”. Il gigantesco guerriero vibrò nuovamente il proprio pugno sul nemico; e di nuovo trapassò solo l’aria: con un teletrasporto istantaneo, Goku si riportò a terra, esattamente dietro il combattente dall’armatura scarlatta. “Ha!”. Un’ondata di energia azzurrina eruppe dalle mani di Goku, andando a schiantarsi contro il suo avversario. L’impressione che Goku ebbe di quella scena fu che l’Onda Kamehameha si fosse infranta contro un muro. Là dove il corpo di Disi si sarebbe dovuto trovare, l’energia del colpo deviava vistosamente, formando una pioggia di scie azzurrine che si espandevano in aria. Senza darsi per vinto, il Saiyan impresse più potenza all’Onda, seguendo con le mani la traiettoria discendente che portava il gigante a posarsi a terra, esattamente davanti a lui. Quando vide quello che stava accadendo, il Super Saiyan fu sul punto di terminare in anticipo il proprio colpo per lo stupore. Disi stava avanzando muovendosi in senso direttamente contrario a quello dell’Onda. Praticamente, la stava infrangendo andandoci addosso con il proprio corpo. Non era la prima volta che l'Onda Kamehameha si dimostrava inefficace, ma nessun avversario prima l’aveva affrontata sfondandola in quel modo. O meglio, Freezer aveva fatto qualcosa di simile, ma si era prima ricoperto con una barriera e poi aveva lasciato il centro dell’Onda quando questa si era fatta troppo potente. Fu principalmente lo stupore che impedì a Goku di difendersi dal calcio con cui Disi lo centrò in pieno stomaco, spedendolo a diversi metri in aria. Il guerriero in rosso guardò verso l’alto, aspettando con impazienza la caduta del suo avversario per potergli dare il colpo di grazia. Ma le cose dovevano andare diversamente. Goku era atterrato sul ramo di un alto albero e stava guardando il suo avversario dall’alto in basso: “E va bene!” esclamò “Se proprio vuoi che faccia sul serio, ti accontento subito!”. Un attimo dopo, un’esplosione di luce dorata frantumò l’albero; quando finalmente fu nuovamente possibile vedere il Saiyan, qualcosa in lui era cambiato. Le sopracciglia erano scomparse e i capelli erano diventati molto più lunghi. Il Super Saiyan 3, non avendo più alcun supporto sul quale appoggiarsi, stava ora levitando a mezz’aria; le ondate di energia che aveva sprigionato avevano dato fuoco agli alberi in un raggio di chilometri e, quando Goku toccò terra, i due combattenti si trovarono circondati da una minacciosa danza di fiamme ruggenti. “Confesso che, prima di te, solo Majin Bu mi aveva costretto a impegnarmi fino a questo punto” ammise il Saiyan “Però adesso è ora di finirla”. Con uno scatto in avanti, Goku volò contro il suo avversario, spingendo nel suo pugno destro tutta la propria forza. Anche stavolta, il gigantesco guerriero fu capace di spiazzarlo: si mise a correre verso di lui a propria volta. Quando i due avversari furono a una decina di centimetri uno dall’altro, Goku colse la follia omicida negli occhi del suo nemico. Quello di Disi non era odio, né rancore: era pura e semplice pazzia. Si muoveva in maniera praticamente automatica, travolgendo tutto quello che incontrava; non aveva alcuna tecnica, solo pura potenza. Una frazione di secondo dopo, il pugno del Saiyan si abbatté sul volto del guerriero in rosso; per un attimo, il difensore della Terra sorrise, convinto che il nemico avesse accusato il colpo. Ma la sua soddisfazione divenne quasi panico, quando il suo braccio si piegò sotto la pressione del volto di Disi: stava spingendo in direzione contraria al pugno e stava avendo la meglio. Un po’ per lo stupore, un po’ per la velocità del movimento, Goku non riuscì a difendersi quando il braccio del suo avversario lo centrò in pieno collo, spezzandogli il respiro e spedendolo contro uno degli affioramenti rocciosi. Mentre sentiva pietre e detriti franargli addosso, Goku avvertì chiaramente la presenza del suo nemico pochi metri davanti a lui: aveva intenzione di caricare direttamente tra le rocce che l’impatto con il corpo del Saiyan aveva frantumato, consapevole che non avrebbero potuto fermarlo; voleva venirsi a prendere il suo avversario senza lasciargli il tempo di reagire. Con uno scatto che stupì anche se stesso, Goku balzò fuori dalle macerie, stagliandosi contro la luna piena, mentre sotto di lui la foresta bruciava. Non riuscì a reprimere un senso di colpa vedendo quello che aveva fatto al pianeta che amava tanto, ma non era il momento di lasciarsi prendere dai sentimentalismi. Di nuovo, il Saiyan giunse le mani, di nuovo iniziò a cantilenare quella formula che tante volte gli aveva salvato la vita: “Ka… Me… Ha… Me…”. Non sapeva a cosa potesse servire un colpo che si era già dimostrato inefficace; stava solo tentando il tutto per tutto, ma era evidente che il suo avversario non fosse qualcuno che si potesse fregare due volte nello stesso modo. Tanto più che l’Onda Kamehameha non aveva funzionato nemmeno la prima volta. Poi, tutto accadde troppo velocemente perché Goku potesse rendersene conto. Quando lanciò le mani in avanti e terminò il colpo con il consueto “Ha!”, Disi era già di fronte a lui, spostatosi con una rapidità mai vista, il suo pugno destro che turbinava in un vortice di energia scarlatta. Il colpo si abbatté esattamente tra le mani di Goku, proprio nel punto da cui l’Onda stava per partire; il Super Saiyan 3 fece solo in tempo a sentirne il nome, mentre Disi lo gridava con voce tonante: “Giga-Quake!”. Un attimo dopo, le sue mani si separarono forzatamente e la sua guardia fu infranta da un’esplosione di energia rossa, come un terremoto che si abbattesse su tutto l’universo.

  10. #20
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    Trunks deglutì vistosamente, mentre il tizio con l’armatura blu e il mantello nero levitava verso il basso, fino a posarsi delicatamente sulla strada. Poteva avvertire chiaramente la sua aura e questo lo rendeva nervoso. Scese dalla macchina e mosse qualche passo verso il nuovo arrivato. “Va’ via, Marron” disse senza nemmeno girarsi. “Aspetta un attimo!” protestò la ragazza “Chi è quello?”. “Non lo so,” replicò il giovane presidente “ma è meglio che me ne occupi io. Tu prendi la macchina e torna a casa”. Marron aveva già capito che quel tipo non era normale; d’altra parte, il concetto di normalità era piuttosto elastico per una giovane che, fin da piccola, aveva sempre visto i suoi genitori volare senza difficoltà. Ma l’uomo dal mantello nero era strano. Attorno a lui c’era un’aura di angoscia quasi palpabile; Trunks doveva avere avvertito all’istante la tacita minaccia che il nuovo arrivato si portava dietro. Marron capì che andarsene era la decisione migliore: non le piaceva l’idea di dover abbandonare il suo ragazzo, ma si rendeva conto che, restando lì, lo avrebbe costretto a proteggerla e sarebbe stata solo d’intralcio. Perché, anche se non riusciva a spiegarselo, sapeva che, di lì a poco, sarebbe cominciato un combattimento. Si mise al posto di guida e avviò il motore: “Sta’ attento” mormorò, più a se stessa che a Trunks.
    Mentre sentiva il rumore della macchina che si allontanava, il giovane mezzo Saiyan tirò un sospiro di sollievo: in realtà, quella mancanza di testardaggine non era da Marron. Ma era meglio così. Aveva intuito subito che l’uomo in armatura aveva intenzioni ostili, nonostante sul suo viso, quasi completamente nascosto dai lunghi capelli, campeggiasse un inquietante sorriso. “Chi sei?” domandò Trunks ostentando una calma che non aveva. “Sono Anaton, la Fame. Ti stavo cercando, sai?”. “Ne sono lusingato” rispose il giovane con sarcasmo “E posso sapere perché?”. Anaton fece spallucce: “A dire la verità, ero in viaggio per fare tutt’altro, ma ho avvertito la tua aura e volevo accertarmi di una cosa”. Un attimo dopo, l’uomo dai capelli neri e bianchi era scattato in avanti, in u attacco dalla velocità inaudita. Per qualche secondo, Trunks non poté fare altro che parare una raffica di calci e pugni che in più occasioni rischiò di infrangere la sua guardia; quando i due si divisero, il giovane presidente restò dominato dalla consapevolezza che il suo avversario non aveva usato che una frazione della propria forza. Lo aveva capito chiaramente, nonostante la breve durata dello scontro. E aveva capito anche di non avere speranze. Doveva trovare un modo per disimpegnarsi e soprattutto per avvertire i suoi amici di questo pericolo. Levitò fino a una ventina di metri di altezza e si guardò attorno. In ogni direzione, immensi campi coltivati si stendevano per chilometri. Il posto era isolato, ma quello non era un problema: suo padre e Goku avrebbero sicuramente avvertito la sua aura. Quello che preoccupava Trunks era altro: sarebbe sopravvissuto fino al loro intervento? E loro avrebbero potuto farci qualcosa? Sempre con quel suo irritante sorriso sulle labbra, Anaton levitò a propria volta fino alla stessa altezza alla quale Trunks si era fermato. Solo allora il giovane si rese conto di quanto poco minaccioso apparisse il suo avversario: lui non era alto (almeno in questo, somigliava a suo padre), ma quel tizio era anche più basso. E poi era esile, apparentemente gracile. Ma la potenza dei suoi attacchi non aveva niente a che fare con il suo aspetto. Trunks decise che fosse meglio attaccare per primi: non ci sperava molto, ma voleva provare a contare sull’effetto sorpresa. D’altra parte, c’era un solo modo per avere qualche speranza di colpire quel tizio almeno una volta. In un secondo, un lampo di luce dorata squarciò l’aria e il rumore tonante dell’energia del Super Saiyan si sprigionò dal corpo di Trunks. Mentre i suoi capelli scintillanti si alzavano verso l’alto, il giovane si lanciò sul nemico. Il suo primo pugno andò a vuoto: Anaton afferrò la volo il suo braccio e Trunks vide il mondo che cominciava a girargli vorticosamente attorno. Quando l’uomo dal manto nero lo lasciò andare, si sentì scaraventato con violenza nel bel mezzo di un campo, mentre attorno a lui si alzava un polverone che oscurava la vista. Cosa che gli sarebbe potuta tornare utile.

    Dalla sua posizione in alto, Anaton osservava divertito la polvere che si era alzata quando il corpo del suo avversario si era schiantato al suolo. Il suo divertimento fu ancora maggiore quando vide una raffica di sfere di energia dorate saettare fuori dal polverone dirette contro di lui: davvero il ragazzino aveva pensato di fregarlo in quel modo? Anaton non si degnò nemmeno di pararle: spalancando le braccia con un grido, espanse la propria aura attorno a sé e guardò ogni colpo che si infrangeva in una pioggia di scintille morenti contro la sua invisibile barriera. Poi, si accorse che il tizio dai capelli che cambiavano colore si era spostato sul suo fianco sinistro muovendosi a ipervelocità: l’uomo dal mantello nero parò con disinvoltura il calcio del suo avversario usando il braccio sinistro e rispose liberando una sfera di energia bluastra dal palmo della mano destra; il colpo centrò il giovane in pieno petto, spedendolo a sbattere contro uno dei pali della luce che costeggiavano la strada. Trunks cadde a terra, seguito a ruota dal palo. Si rimise in piedi, pronto a contrattaccare, ma il suo avversario era sparito. “Cerchi qualcuno?” gli chiese Anaton mettendogli una mano sulla spalla. Trunks rimase paralizzato dallo stupore per un attimo: il suo avversario era dietro di lui. Ma questa sua eccessiva fiducia in se stesso poteva trasformarsi in un’occasione che sarebbe stato imperdonabile perdere. Girandosi in un lampo, il presidente della Capsule Corporation tentò di colpire il nemico con un movimento del braccio, ma non fece che fendere l’aria. Anaton era già a una decina di metri di distanza. E sorrideva ancora. “Come pensavo” disse “Non mi ero sbagliato a valutare la tua aura. Tu non sei uno della stirpe dei Lilim, sei un Malkut. E senza sigillo, per di più. Non pensavo che ne esistessero ancora, credevo si fossero distrutti da soli… Ma possiamo rimediare subito”

    (continua...)

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