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The Sixth
Part 01 – Awakening (parte terza)

‘Quando l’Agnello aprì il Terzo Sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: “Vieni!”. Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia’

L’uomo trascinò faticosamente il forziere sulla spiaggia. Aveva passato le settimane precedenti in un ingrato lavoro di ricerca, aveva speso tutti i risparmi faticosamente guadagnati per affittare il sottomarino, ma ora, finalmente, aveva raggiunto il proprio scopo. Si era immerso nei mari sud orientali alla ricerca del favoloso tesoro nascosto in tempi lontani dai pirati e l’aveva trovato. Il baule che ora stava trascinando con tanta fatica conteneva gioielli antichi di valore incalcolabile: vendendoli, avrebbe finalmente messo fine alla propria povertà. Ovviamente, per evitare di attirare l’attenzione, aveva preferito non ormeggiare in un porto; si era fermato vicino a una spiaggia deserta, aveva messo il sommergibile in una capsula e si era accertato che nessuno si rendesse conto di quello che stava facendo. Si fermò per un attimo e rimirò il forziere. Lo aprì lentamente, quasi temesse che potesse sparirgli da sotto gli occhi da un momento all’altro. E invece, quando il baule fu spalancato, i gioielli erano ancora lì. Finalmente, avrebbe finito di fare la fame. La fame… Improvvisamente, un boato distolse l’attenzione dell’uomo dal tesoro; si girò freneticamente verso il mare, appena in tempo per vedere un gorgo che si stava formando tra i flutti. L’acqua salmastra sembrava venire trascinata verso il centro del mulinello con violenza inaudita, come se una bocca famelica fosse stata intenta a bere tutto l’oceano. Poi, veloce come un proiettile, la sagoma di un uomo emerse dalle acque. Levitando proprio sopra il centro del gorgo, il nuovo arrivato lanciò un’occhiata al cacciatore di tesori. Lo strano individuo uscito dal mulinello era piuttosto basso, anche perché teneva la testa vistosamente piegata verso terra. La sua armatura blu cupo gli copriva il petto, gli avambracci e le gambe, ma i suoi lunghi capelli neri e lisci, con una inquietante striscia bianca in mezzo, scendevano pigramente sul suo viso e sul suo corpo, coprendone buona parte. Le protezioni per le spalle, coperta da un panno nero avvolto attorno al collo a mo’ di sciarpa, erano composte ciascuna di due piastre che si allungavano verso l’esterno; i guanti metallici, che coprivano gli avambracci e l’ultima falange di ciascun dito, erano quasi completamente celati sotto le pieghe di un lungo mantello nero che ondeggiava fino a coprire buona parte della figura anche frontalmente. Un panno bianco scendeva dalla cintura metallica fin sotto le ginocchia, ma non copriva comunque le protezioni per le gambe: sia le ginocchiere che le piastre poste a difesa delle cosce erano rivolte verso l’alto e sotto di esse si potevano vedere i pantaloni neri che il nuovo arrivato indossava. L’uomo uscito dal gorgo levitò lentamente, fino ad atterrare di fronte al cacciatore di tesori. Attraverso i suoi lunghi capelli, il suo viso pallido e cadaverico sembrava minaccioso come nessun altro. L’uomo dai capelli neri e bianchi squadrò l’altro e sorrise: “Ci siamo già visti, vero?” domandò. “No” replicò l’avventuriero difendendo istintivamente il forziere con il proprio corpo. “Ma sì” insisté l’altro “Altrimenti, perché saresti interessato più a proteggere quel tesoro che alla tua vita? Non ti ricordi di me? Io sono il vecchio Anaton…”
“Non ti ho mai sentito nominare” l’uomo sembrava essere a un passo dalla crisi isterica, mentre Anaton gli si avvicinava sempre più “E adesso vattene!”
“Eppure, io sono convinto che tu mi conosca già. Anche se forse mi hai sempre chiamato con un altro nome. Forse mi chiamavi Fame”
“Non ti avvicinare!” frugando freneticamente tra le sue tasche, l’uomo estrasse una pistola e la puntò sul suo inquietante interlocutore.
“Ma cosa fai? Non puoi sconfiggere la Fame con dei proiettili… Non ti rendi conto che il tuo corpo sta già cedendo? Sei già troppo debole per sparare”
Il cacciatore di tesori deglutì. Era vero, si stava sentendo sempre più debole. Provò a premere il grilletto, ma ormai gli sembrava come una pietra inamovibile. E sentiva lo stomaco che lo tormentava. Era sempre stato povero, aveva passato la vita a combattere i morsi della fame. Ma non erano mai stati così acuti. Mentre il sudore gli colava copioso lungo la fronte, fece per scagliare rabbiosamente a terra la pistola, ma non aveva abbastanza forza nemmeno per quell’azione. Anaton fece un altro passo avanti. Stavolta, l’uomo crollò a terra premendosi lo stomaco. Un attimo dopo, senza nemmeno accorgersene, era morto.

C’erano momenti della sua vita in cui Marron si pentiva di essere così chiacchierona. Era una ragazza espansiva (tutto il contrario di sua madre, si sarebbe detto), si divertiva a stare con gli altri e a parlare di qualsiasi cosa le passasse per la mente, soprattutto di ciò che le piaceva o che le procurava un qualche tipo di felicità. Per esempio, quando uno dei suoi esami all’università andava bene, non poteva fare a meno di spendere un’enormità in telefonate per avvisare tutti i suoi amici. E poi, le piaceva parlare del suo ragazzo. Lei e Trunks si frequentavano già da qualche anno e Marron non perdeva occasione per decantare le qualità del giovane presidente della Capsule Corporation, mettendolo puntualmente in imbarazzo di fronte a chiunque la stesse ascoltando. Descritto da Marron, infatti, Trunks era il tipico principe azzurro bello, ricco e intelligente (tra l’altro, prestando fede a quanto diceva Vegeta, lui era effettivamente un principe); nemmeno lei, però, poteva negare quanto fosse imbranato nei rapporti sociali. Se non fosse stato per lei, la loro relazione sarebbe probabilmente rimasta un’ipotesi per l’eternità. Tuttavia, quando parlava di Trunks, Marron faceva sempre in modo di esaltarne i pregi e minimizzarne i difetti e c’erano dei momenti in cui questo le riusciva fin troppo bene. Forse era proprio per questo motivo che ora era costretta a fare da baby sitter a una ragazzina di dodici anni. Dopo averla sentita parlare della sua storia con Trunks, Pan si era fatta l’idea che Marron fosse abilissima nel trovarsi dei buoni partiti; una specie di cacciatrice di uomini. Così, quando l’aveva incontrata per caso quel giorno, insieme ai suoi genitori, per le strade della Città dell’Ovest, Pan le si era subito accodata. Cosa questa che sembrava divertire molto Crilin ma che piaceva decisamente meno alla giovane. “Senti un po’,” le chiese Pan per l’ennesima volta “ma come si fa a trovare il ragazzo giusto?”. Marron sospirò: “Non è che lo si possa cercare e trovarlo… Succede, punto e basta. Credo sia questione di fortuna”
“E tu pensi che Trunks sia il ragazzo giusto?”
“Certo che lo è! Non solo è molto carino, ma è anche il presidente della società più potente del mondo. E poi è molto intelligente. Ed è anche un Super Saiyan, quindi potrebbe proteggermi contro qualsiasi pericolo. È perfetto!”
Pan rimuginò tra sé e sé poco convinta. Trunks le era sempre sembrato perfetto, sì. Un perfetto imbecille. Come era possibile che a Marron piacesse un uomo che arrossiva quando una ragazza lo guardava e che non era capace di spiccicare due parole di fila davanti a un’esponente dell’altro sesso? A quelle considerazioni, la stima di Pan verso la figlia di Crlin subì il primo scossone. Il secondo arrivò quando Marron, guardandola palesemente dall’alto in basso, le disse: “Senti, a proposito di Trunks… Lui ormai dovrebbe quasi aver finito di lavorare ed eravamo d’accordo che io sarei andata a prenderlo fuori dall’ufficio, così dopo saremmo potuti partire direttamente. Sai, avevamo in programma di passare il week end fuori e vorremmo restare da soli… Non ti offendere, eh?”. Pan non si offese, ma poco ci mancò: a quanto pareva, anche Marron la considerava una bambina. “E va bene!” sbottò. In fin dei conti, non era poi così sicura che Marron fosse un buon modello da seguire. Molto meglio fare da sé.