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Cap. .3 Sun of darkness (sole di tenebra). III° parte
“Ho abbassato il capo e riaperto gli occhi. Non so quanto sono stato in balia della tempesta, per quanto tempo ho solo ascoltato il lamento del vento come se fosse il mio. Sotto di me se creato un piccolo laghetto dalla troppa pioggia, proprio dirimpetto e mi ci posso specchiare. Vedo nel mio riflesso un'altra immagine, rivedo un mercenario a fissarmi di rimando, quello che ero anni fa. Mi ride in faccia. Se potesse parlare mi direbbe che me lo aveva detto. Sta lì impettito, con le braccia incrociate, nella tuta da battaglia. Non dovevo innamorarmi, non devo sentirmi così vivo, perché ho finito per perdete tutto, per tornare a soffrire forse più di prima. Eppure nel nostro amore ci credo ancora Bulma. Perché dovunque ti sia mi stai aspettando. Ma se grido, se ti cerco, se io muoio, tu lo sentirai. “Forse se non fossi mai venuto sulla terra… lei sarebbe stata ancora viva…”mormoro a me stesso, e me ne pento, perché ricordo che ci sono veramente orecchie ad ascoltare”.
“Parole stupide, parole vuote, ma almeno so perché sei venuto proprio in questo posto. Non so cosa devo fare. Ho paura che parlando, avvicinandomi tu ti richiuda in te stesso, e allora attendo. Tu potresti pensare che ti sto compiangendo, commiserando e tu odi simili atteggiamenti. Sbaglieresti, perché non ti sto sminuendo, penso a tutto tranne che a te come un debole piagnucolone. Vorresti sapere cosa avrei fatto io al posto tuo? Non posso nemmeno immaginare la mia vita senza Chichi. Avrei urlato, strepitato, pianto. Mi sarei buttato a terra, avrei schiantato i pugni per terra raggiungendo il mio massimo potere di supersaiyan. I miei ululati da uomo impazzito si sarebbero propagati ovunque e persino il Drago avrebbe cominciato a lamentarsi orribilmente, soffocato dalla mia disperazione. “Vattene Kakaroth, se veramente tenevi a lei, non ti conviene stare vicino alla persona che l’ha portata alla rovina”mi dici acido, ma contro te stesso, non contro di me. Apro la bocca e non riesco a registrare quelle parole. Sei ammattito per caso? Mi hanno raccontato cosa è successo, la posso quasi vedere quel’esplosione, sei tutto meno che colpevole. “No”rispondo semplicemente e vedo che il tuo dolore si sta trasformando, proprio ora che pensavo che mi sarei risparmiato una cosa simile. Come puoi pretendere una cosa simile? Non riesci a stare nemmeno diritto, in piedi, non commettere una simile fesserie. Ti rialzi pian piano, in volo e mi stai davanti. “Vattene perché stavolta ti uccido davvero”. C’è gravità nelle tue parole, la consapevolezza di non avere veramente più limiti, ma ti sbagli. Non solo non lo faresti, ma no ne hai nemmeno la forza. Voli sbilenco. Se non stai attento rischi di precipitare, stanotte sei andato ben oltre i tuoi limiti, sei troppo debilitato per sperare di sconfiggermi. No, non voglio, non qui. Questo posto ha conosciuto la potenza del principe dei saiyan al suo splendore (“ha conosciuto la potenza di un ssj che dopo un amara sconfitta a opera di una giovane cyborg si è rialzato e ha deciso di superare i suoi limiti. NdA), ha conosciuto la potenza del memorabile scontro in cui io sono stato la nemesi di MajinVegeta (Era lo stesso posto? NdLettori) (Secondo il mio videogioco, si NdA) ( O_O” NdLettori). “Andiamo da un'altra parte, la pioggia rischia di trasformare questo deserto in una palude”dico serio. Tanto la pioggia ci seguirebbe. Tu scendi e facendo un cenno positivo del capo, mi stringi così forte il braccio da farmi male. Ci teletrasportiamo, ma appena arrivati in questa anonima radura in un luogo deserto, visto che non c’è ne più bisogno, mi libero dalla stretta. Diventi ssj istantaneamente e provi ad attaccarmi. Sei troppo lento, sei troppo stanco. Si vede che non puoi fare niente contro di me, non stanotte, non così. Hai una smorfia di pura rabbia. Non è frustrazione, non ti importa per la prima volta veramente chi sia il migliore di noi due, vuoi solo sfogarti, vuoi solo smettere di soffrire. Se non sapessi che è impossibile, direi che vuoi sono crollare incosciente a causa dei troppi colpi. Non risolverai niente facendoti del male, cercare di uccidersi è una via troppo facile, non è da te. Che fine ha fatto la tua forza di volontà? Forse è il momento buono per parlarti. In fondo le nostre discussioni migliori le abbiamo fatte tra un colpo è l’altro, forse così mi ascolterai e darai peso ai consigli di un amico preoccupato. “Non è stata colpa tua”dico e devo alzare la voce per superare l’urlo del vento. Avevo ragione. La tempesta ci ha seguito e il terreno si fa molle sotto di me, mentre i miei stivali affondano. Lui si butta addosso a me come un animale ferito che parte alla carica. Come l’ultimo attacco di un predatore che prima di morire mostra tutta la sua ferocia e lui è feroce in questo momento. Lo trattengo e cerchiamo di spingerci a vicenda, stritolandoci a vicenda le mani. Sotto di noi la terra si spacca, però non ci vorrà molto, sto già prevalendo, non ha la forza necessaria. “Lo vuoi sapere perché è morta?!!! Perché è stata colpa mia?!!!”mi chiede urlando. Non vuole veramente la mia risposta. Vuole solo sfogarsi. Ben venga. Faccio un cenno del capo positivo, mentre ormai sento che si sta piegando. Perché mi stai costringendo a fare questo? Pensi che mi diverta a fare del male a un amico in un momento simile? “Per questo”ringhi e sul tuo viso si dipinge puro furore. Con un urlo disumano richiami a te il potere reale. Rimango basito scoprendo che adesso lo puoi controllare completamente. La tua forza si fa mille volte più forte della mia. Il drago però, che nel mio ssj è rimasto sempre presente, ruggisce pronto a combattere, mentre si accende anche il mio di simbolo. Ora siamo di nuovo pari. Lo scontro si fa sempre più acceso, i nostri colpi sempre più precisi. Combatti per fare male, combatti per ferire, ma da alcuni colpi dati alla rinfusa capisco che non stai combattendo contro di me, ma contro la disperazione, contro te stesso. Credevo di essere l’unico con una creatura, ma il mio drago si trova a combattere strenuamente con una fenice dalle ali nere e dal lamento lugubre. Un canto così triste riesce a diffondere e rimango basito riconoscendolo. Non so quanto è andato avanti, ma questa notte sembra non voler finire mai. Erano le tre di notte quando sono andato a cercarlo e prima su quella montagna, e ora questo combattimento, mi sembrano durate un eternità, ma l’alba non è ancora sorta. Cado su un ginocchio ansimando, bagnato, sudato, insanguinato e tanto altro. Lo stesso vale per te, ma tu hai anche gli occhi chiusi, sei messo peggio di me, perché mentre i nostri poteri si spengono mentre torniamo normali, si somma la stanchezza che avevi già prima. I nostri capelli sono tornati neri e le nostre auree dorate sono scomparse. Tu provi, rialzandoti, un ultimo attacco. Con la supervelocità ti sono già alle spalle. Ti afferro e comincio a stringere impedendoti i movimenti, bloccandoti anche le braccia. Ti divincoli come un forsennato, ma non ci metti tutta la tua convinzione. Alla fine crolli e ti accasci. Se non ci fossi io a sostenerti, saresti crollato a terra. Sto per dirti qualcosa, per scusarmi, quando mi rendo conto che la pioggia sul tuo volto è eccessiva. No, non è solo la pioggia. Non riesco a crederci, non può essere, o forse si. Alla fine sei crollato anche tu. “Perdonami”mormoro confuso, mentre ti lascio andare, anche se continuo ad aiutarti a tenerti in piedi. Tu mi spingi via, mentre ti asciughi gli occhi. La pioggia man mano cessa e con essa le tue lacrime. “Riportami a casa e se ti lasci sfuggire anche un solo fiato…”mi minacci, ma hai la voce rauca. Faccio un cenno positivo del capo. “Lo sai che non lo farò”dico serio. “Lo so”rispondi semplicemente e ti lasci mettere la mano sulla spalla, mentre ci teletrasportiamo alla Capsule co..
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beneeeeeeee!! xD fantastico mi è piaciuto tantissimo =)
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$kҸ ฿ŁΔÇk ϟ che dire. Bisogna dire che mi dai soddisfazione XD. Spero ti piacerà anche il proseguito.
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Cap.4 prison of fire (carcere di fuoco) I°parte
[quello che era successo prima]
Bulma era caduta in terra, sull’asfalto. Tutto il mondo tremava, come nel suo incubo. Stava per succedere, lo sentiva. Si era detta che non era vero, per tranquillizzarsi quel giorno era andata lei a lavoro alla compagnia al posto di Trunks. Come i vecchi tempi, era rientrata tardi per le troppe faccende da sbrigare. Questo l’aveva fatto tornare a sentirsi la donna forte, coraggiosa. Tutto un bleff. Il secondo terremoto della giornata, ma questo era più forte. Segno che non era in tutto il globo, ma solo lì, perché la minaccia era lì vicina. Alzando il capo vide arrivare un pezzo di tetto andare verso di lei. Le avrebbe spaccato al testa, ma il tremore della terra gli impediva di scappare e ormai era inevitabile. Chiuse il capo e abbasso la testa, tentando inutilmente di ripararsi con la borsa di quell’orrido colore rosa, regalatagli da sua madre. Eppure su di lei sentì qualcosa di protettivo, di così lontano da quello che avrebbe dovuto sentire. Sentì l’impatto risuonare, ma non addosso a lei e nessuno si lamentò. Rialzando il capo riconobbe lo sguardo di suo marito. La aiutò a rimettersi in piedi e poi rimasero uno di fronte all’altra. Occhi negli occhi. Quelli azzurri di lei parevano brillare come le stelle del meraviglioso cielo di quella notte. Spiccavano perdendosi negli occhi di ossidiana di lui. I loro volti così vicini erano illuminati solo dalla pallida luce del lampione. Quella notte lui aveva la tuta. Il terremoto era cessato. “Bulma, guardami. Resta a casa e non ti muovere per nessun motivo. Potrebbe essere pericoloso”la raccomandazione di un uomo, di solito non così premuroso. “Non ti lascerò”rispose lei e lui rimase a bocca aperta. Era così strano. Di solito lo ammoniva di stare attento, di non lasciarla. Perché mai doveva dire la cosa contraria. Lei avrebbe voluto stringerlo a se, ma scappò via, cercando di raggiungere casa propria velocemente. Lui si voltò invece e raggiunse in volo il luogo in cui sentiva, senza aura, senza motivi veri oltre il suo istinto, provenisse tutto quel male. Nella piazza deserta, al centro, stava lui. Il gigantesco serpente, ma stavolta era penetrato completamente nel loro mondo, niente più portali alle sue spalle. Vedendo Vegeta sorrise, mostrando i canini. Vegeta si mise in posizione di combattimento, ma prima che potesse attaccare, con un gesto repentino il serpente scattò nella sua direzione. Non lo attaccò, semplicemente pianto i suoi enormi occhi rossi, in quelli d’ebano del saiyan.
Quegli enormi occhi rossi di brace di fronte a lui lo fissavano e lui non riusciva a togliere lo sguardo, quasi lo stessero ipnotizzando. Quella sensazione di completa schiavitù, di speranza perduta, non era nuova. Aveva già visto quegli occhi, mille e mille volte, eppure non riusciva a ricordare dove. Aveva solo l’inspiegabile voglia di cadere in ginocchio. Di che strana malia si trattava? “Qual è il tuo animale simbolo?”chiese il gigantesco serpente con una voce a un tempo tagliente e suadente. Vegeta cercò di riprendere facoltà su se stesso. Non capiva. Non capiva cosa volesse da lui. Da dove fosse uscito. “Di che parli?”chiese sinceramente confuso. “Lo so che puoi vederlo. Lo hai chiamato, ma sono stato accecato prima di vederlo. Ora obbedisci e rispondi”disse quello, mentre un guizzo di ira lo pervadeva nel suo essere fuoco. Una cosa era certa, a Vegeta non piaceva ricevere ordini. “Come ti permetti?! Io sono il principe dei saiyan”rispose duro. Allora perché non riusciva ancora a distogliere lo sguardo? Mentre il muso del mostro continuava a stargli di fronte, le sue spire cominciarono ad avvolgerlo. Senza stringerlo, ancora abbastanza lontane, ma era come essere accerchiato da un cerchio di fuoco. Il serpente sembrò ghignare. Come se quelle parole nascondessero un divertimento andato avanti da anni. Un piatto sfizioso che gustava da tanto e avrebbe ancora continuato a godersi. “Qual è il tuo animale simbolo?”chiese di nuovo quello, facendo orecchie da mercanti, come se il discorso si fosse fermato a prima. “Non so di che parli!”urlò esasperato Vegeta. Cercava disperatamente di colpirlo, almeno di caricare le energie necessarie per un attacco energetico, ma era immobilizzato, perduto nelle fiamme di quegli occhi di brace. In quel momento sentiva il panico di un bambino spaventato, al posto dei suoi poteri. Vegeta si guardava intorno spaurito, non capendo, tentando inutilmente di reagire a quel senso di impotenza. “E’ già stato scritto. E’ già successo. Devi solo obbedire”disse tirando fuori la sua lingua biforcuta, anch’essa di fiamme, l’orrido rettile. “Chi sei, piuttosto? Di quello che vuoi senza usare frasi insensate”rispose il saiyan passandosi una mano sul viso. Strano. La testa gli vorticava furiosamente. Forse era il caldo provocato dalla vicinanza del fuoco. “Sei stato tu a volerlo discendente di Vargas”disse adirato il serpente e si alzò in volo, diritto. Vegeta fu sollevato un primo momento dal rompersi di quel gioco di sguardi. Guardò con sollievo il freddo nero del lastricato. Cadendo in ginocchio, mentre il freddo della sera finalmente gli ossigenava i polmoni e rinfrescava il volto, non fece caso alle parole che gli aveva rivolto l’essere. Quando alzando il volto lo vide dirigersi verso un punto della città ben precisa. Non fece in tempo a rialzarsi, che fu travolto dall’onda d’urto di un immane esplosione che spazzo via una gigantesca fetta della città dell’Ovest.
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è morta??? O_O è morta??? dimmi che è morta veggy e mi renderai tremendamente felice!!! :muhahaha:
.... ma sbaglio o siamo rimaste in due??? O_o
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Non sapre dirti $kҸ ฿ŁΔÇk ϟ. Se è così forse conviene cancellare la discussione. Umh, non so che si faccia in questi casi.
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*_* me lo dici per mex??? ti prego lo devo sapere!!! *_*
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Cap.4 prison of fire (carcere di fuoco) II°parte
Venne sbalzato via. Atterrò malamente sulla schiena, ma si rialzò quasi immediatamente incurante del dolore. Dopo l’esplosione di pure fiamme, il serpente era scomparso, ma a lui non importava. Non gli interessava più niente dal momento stesso in cui aveva capito chi poteva esserci in quel luogo. Corse, non aveva la forza di volare, ma corse. Sbandando, inciampando, semplicemente corse. Un vuoto sembrava essersi mangiato tutto quello che era intorno a lui, ma in realtà era un vuoto che stava penetrando in lui. Come se il suo cuore avesse smesso di battere, come se la sua anima se ne fosse andata e i suoi occhi fossero rimasti vuoti. Nel luogo dell’esplosione non c’era più niente. Né le persone che prima ci abitavano, né le case, nè le macchine. Se n’erano andati senza nemmeno un urlo, senza accorgersi di passare dal sonno alla morte. Il drago avrebbe potuto riportare indietro quegli sventurati, ma non la cosa più preziosa. Era un egoista, forse lo era davvero, ma a lui in quel momento interessava una cosa sola. Al centro dell’esplosione era rimasto solo un piccolo oggetto, insignificante forse, ma per lui era una condanna. Un piccolo orecchino dalla pietra azzurra. Lo strinse nel pugno, ma pian piano, senza romperlo. Rimase lì, immobile. “Se l’è portata via”mormorò confuso. Il serpente si era portato via la cosa a lui più importante. Alla domanda perché, il suo cuore si spezzo. Era stata una punizione, un stupida punizione, come quelle che gli infliggeva Freezer alla base. Ora capiva, ora che era tardi. Ora sapeva che risposta doveva dare. Doveva semplicemente urlare che era una fenice, ma ormai era troppo tardi. Voleva vendetta. Dove andarlo a cercare però un serpente di fuoco che magari non era di quella dimensione, che magari nemmeno esisteva. Non si accorse delle auree che si avvicinarono a lui, finché non sentì qualcuno atterrare dietro di lui. “Cos’è successo qui?”chiese sconvolto Trunks. “Sono morti tutti” constatò Pan. “Che carneficina”aggiunse Crilin. Quel giorno lui era andato a dormire alla Capsule corp., per non sentire più i piagnistei di Ely. Si voltarono e videro lì, impalato Vegeta. “Papà?”chiese Trunks avvicinandosi. “Sai cos’è successo?”chiese poi. Si stupirono non sentendo alcuna risposta. Rimaneva lì impalato, ignorandoli, come se non ci fossero. “Stai bene?”chiese Crilin, accorgendosi per primo che non quadrava qualcosa. Perché per lui non c’era altro che nero. Precipitava, senza freno nell’oscurità. Non c’erano rumori intorno a lui. Riviveva solo gli ultimi istanti vissuti con la donna che amava, che si sovrapponevano a mille istanti di una vita insieme. Le risate di lei, le sgridate, mentre ora c’era silenzio, non gli arrivavano i rumori del resto del mondo. “Vegeta…”mormorò Pan avvicinandosi e mettendo una mano sulla spalla del suocero. L’uomo finalmente si risvegliò. La guardo con due occhi spenti, stinti e la ragazza quasi si spaventò. La maschera però durava. Perché si scostò e si allontanò di qualche passo, stringendo sempre il simbolo di un amore perduto, un piccolo orecchino che rimaneva rifugiato nella mano da guerriero. “Dov’è la mamma?”chiese a un certo punto Trunks, ricordandosi che era con il padre. Con sua madre aveva sempre avuto un legame speciale, forse perché nonostante il suo affetto, Vegeta quando Trunks era piccolo non era ancora pronto per fare il padre amorevole, e Bulma aveva dovuto compensare viziando il primogenito. Quelle parole, così ingenue, ferirono Vegeta come forse nient’altro avrebbe potuto fare. Non riusciva a parlare, come se in quella gola secca, fosse sparita anche quella. Come se dentro fosse vuoto e il mondo vedesse n involucro che aveva perduto l’unica ragione. Si sentiva smarrito, perduto, e più questo succedeva, più si ripiegava su se stesso lasciando che un manto d’ombra e ira lo ricoprisse. “Cos’è successo?”chiese allora Crilin. Era il più grande oltre il principe dei saiyan, per una volta anche il più maturo. Aveva capito la dura verità, forse perché ormai conosceva lo scorbutico guerriero. Forse sapeva cosa vuol dire soffrire per amore. Non aveva il coraggio di dirlo però Vegeta, perché sarebbe stato come attestarlo in modo definitivo, come ammettere che se n’era andata davvero. “E’ tornato il serpente di fuoco vero?”chiese Trunks, che invece ancora non capiva. Vegeta si limitò ad annuire. “Quel mostro!!! Ha fatto questo sfacelo!!!”aggiunse adirata Pan, anche lei lontana dalla verità. Crilin sentì un peso al cuore. La sua amica. Quante sgridate, quante rimproveri. Allora era diversa. Non era difficile vederla con Yamcha a quei tempi. Anche a lei bastava un bel fisico per “innamorarsi”. L’aveva vista cambiata e matura. Aveva visto aldilà delle apparenze. Si era innamorata davvero. Aveva smesso di urlargli contro, aveva assunto una voce materna. Avrebbe smesso di andare all’avventura, ma non avrebbe smesso di seguire chi teneva anche nel pericolo. Avrebbe smesso di fare l’isterica, ma avrebbe avuto lo stesso paura della sua vita. Basta con tutto quello adesso. Aveva lasciato tutti e ora un uomo sperduto fissava il migliore amico di Goku. Crilin si pentì delle sue emozioni. Non voleva provare pensa per un guerriero così coraggioso, che stimava e inconsciamente cercava di imitare. “Era una donna stupenda. Non meritava una simile fine. Povera Bulma”mormorò Crilin, ma tutti lo udirono. Trunks e Pan si voltavano verso di lui per chiedere spiegazioni sconvolti, Vegeta si girò e volo via. Trovò la forza di librarsi solo per andarsene da tutto e tutti. Per non essere costretto a spiegare, a rivivere. Via, voleva andare via, senza sapere nemmeno lui dove andare.
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commento solo con una faccina per farti capire che hai scritto in un modo fantastico --> *-*
Edit: spero che sia sufficiente ;D
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Cap.4 prison of fire (carcere di fuoco) III°parte
Gli occhi gli si chiudevano pian piano, quasi fosse preso dal sonno, ma era il pensiero degli infiniti giorni che lo aspettavano in quel cammino che da quel momento avrebbe percorso da solo. Aveva perso l’unica luce, lui, il principe delle tenebre era ricaduto tra le ombre da cui sembrava finalmente uscito. No, non era la malvagità che si risvegliava nel suo cuore, era scomparsa davvero e se l’era portata via tanti anni prima una statua che cadendo a terra si era sgretolata in frammenti che il vento aveva tenuto con se. No, quello che lo avvinceva era un atavico dolore che lo relegava in quel letto nascondendosi dietro una fittizia spossatezza legata alla malinconia. Si lasciò cadere sul grande letto matrimoniale che mai come allora gli sembrava estraneo. Era lei la sua casa, era lei che lo legava a quel mondo, mentre lui apparteneva allo spazio profondo che aveva da sempre inghiottito i suoi ricordi, la sua anima. Agognava il silenzio, come sempre del resto, ma voleva ancora sentire quella voce melodiosa, quella risata cristallina, quei rimproveri noiosi da zittire con un bacio. Se chiudeva gli occhi rivedeva quelli azzurri di lei, se si passava una mano sulla bocca poteva sentire il sapore delle labbra di lei. Sarebbe impazzito a breve, questo era certo. Il tempo passava e lui non era ancora uscito dalla stanza, ma sapeva che se lo avesse fatto avrebbe preso la navicella e se ne sarebbe andato lontano, pur sapendo che con il teletrasporto Goku l’avrebbe ritrovato. Voleva rivedere quell’ammasso di meteore che un tempo avevano contenuto vita e speranze, luce e passione di tanti che conosceva o che erano legati a lui anche solo per la razza. Rivedere i resti di un mondo esploso sotto lo splendore di due soli che ancora rimaneva là immobili, come spettatori fissi ed eterni. La porta si dischiuse piano e si preparò a riprendere una postura decente, a urlare con voce dura intimidazioni ai figli che non dovevano assolutamente disturbalo. Non voleva vedere nemmeno l’amato nipote, chiuso nei suoi pensieri. Se poi fosse stato quell’incosciente di Kakaroth gli avrebbe detto astioso: “Sei venuto? Bene, adesso puoi andartene” e se quello tardava impacciato avrebbe visto un supersaiyan dal potere reale incavolato al massimo davanti a se. Crilin non poteva essere di sicuro. Il piccolo amico era troppo timido e impacciato per riuscirci, mentre Junior non avrebbe mai trovato il coraggio perché di parlare o consolare non era proprio capace. A sorpresa dalla porta fece capolino l’ospite più inaspettato. Neko 3-1-3-2, il gatto nero di Bra che aveva dovuto per forza adottare per evitare che la figlia, allora piccola, cominciasse a piangere disperata. Si era detto che sarebbe rimasto lì fino al ritrovamento di un padrone, ma era stato lo stesso gatto a sceglierlo. Più Bra si affezionava al micetto, più il micetto si affezionava a Vegeta, nonostante questi lo cacciasse in ogni modo. Il gatto, somigliante a quello del dottor. O’Brief, ne aveva copiato molti aspetti. Cercava di mettersi sulla spalla di Vegeta, miagolando e facendo le fusa. Se Vegeta lo scacciava questo tentava addirittura di leccarlo e doveva intervenire Bra per evitare che venisse eliminato da un attacco energetico. Alla fine anche Vegeta si era abituato a quella presenza e aveva preso l’abitudine di lasciargli le ossa del tacchino che tanto il saiyan amava mangiare. Quel gatto era un girovago e spesse notti mancava per via di alcuni suoi corteggiamenti alle micine vicine, perciò non si sapeva quando sarebbe tornato per richiedere la pappa. Bulma era l’unica con la pazienza di aspettarlo e perciò il micio, come ogni volta, si aspettava che la padrona gli desse i croccantini, ma lei non c’era. Aveva deciso di cercarla, girando in tutta la casa, ma dalla bella signora gentile dai capelli turchini non c’era traccia. Al contrario aveva trovato il padrone. Saltò sul letto, quando c’erano le coperte gli era permesso e di notte poteva dormire addirittura sopra i piedi della padroncina Bra che dormiva nel letto della stanza vicina. Si accucciò davanti al padrone e miagolando cercava di chiedere se avesse visto la padrona perché aveva fame. Vegeta lo guardò a lungo con i suoi penetranti occhi di ossidiana, che poteva ben fare concorrenza allo sguardo enigmatico che i felini possiedono. “Cerchi Bulma non è vero?”chiese infine centrando il problema. Lo chiese gentile, ma con una nota di amaro in bocca. Il gatto lo scrutò a lungo e si accorse che il padrone era triste, gli animali hanno un sesto senso per queste cose. Si accucciò perciò sotto la sua mano, che come al solito era guantata e perciò era abbastanza morbida, mentre le mani del padrone senza guanti erano dure e callose e se lo afferravano, anche piano, gli facevano sempre un po’ male. Neko rimase confuso quando il padrone gli regalò una carezza, non lo aveva mai fatto. Meritava un premio, per tutta risposta comincio a strofinarsi e a fare le fusa sotto la mano. Con il padrone, che da piccolo lo aveva salvato, e con la padroncina Bra era incredibilmente coccoloso e anche con la padrona quando gli dava da mangiare, ma con tutti gli altri era un gattaccio randagio difficile da afferrare e propenso al graffiare.
“Sai micio, lei se ne andata”disse Vegeta sospirando, mettendosi poi a guardare fuori dalla finestra. La terra, con i suoi colori, con il suo verde e il suo azzurro, quel giorno sembrava di colpo diventata tetra, in bianco e nero. Tutto era irreale, come quei sogni che alle volte si fanno. Il gatto nel frattempo si era fermato e miagolando sembrò quasi rispondere affermativamente a quella triste frase, quasi avesse realmente capito. “Se ne andata come se ne vanno tutti quelli che hanno commesso il grave errore di volermi bene. Scomparsa per sempre in un esplosione”disse raucamente e più andava a scavare dentro se stesso, riuscendo finalmente a dire quello che lo angustiava, più la voce diventava impercettibile. Il micio continuava a guardarlo, ma ormai era più un monologo che un discorso, il piccolo animaletto era solo un pretesto. “In fondo avrei dovuto saperlo. Era un angelo, il più bello e l’hanno rivoluta indietro”disse così piano che quasi lui stesso non si senti. Il micino preoccupato dall’espressione tormentata dal padrone, ricominciò a fare le fusa. “Ma la vedranno micio…avrò la mia vendetta e come non potrò mai scordarmi di lei, loro non potranno scordarsi dell’ira di Vegeta”e usò il suo nome perché quella non era la battaglia del principe dei saiyan, ma la battaglia di qualcuno ancora più feroce, un uomo innamorato. Eppure quelle parole, invece di confortare, sembravano ancora più vuote, quasi aprissero un baratro. Il tono usato, così inacidito, spavento il gatto che saltò per terra. Vegeta chiuse gli occhi, ma non durò molto. Si sentì infatti un tonfo. Vegeta si alzò, convinto che il gatto, indispettito per il suo tono arrabbiato, avesse rotto qualcosa. Il gatto invece, dimostrando il genio che doveva essere insito in tutti i componenti Brief, aveva fatto cadere apposta un oggetto ben sapendo che non si sarebbe rotto. Ogni volta che la sua padrona era triste prendeva un libro dalla piccola libreria della camera ed era proprio quel libro che era caduto. Vegeta si alzò per raccoglierlo e sorrise capendo cos’era. Era un album di foto e quasi inconsciamente lo aprì.