Ho appena finito la one shot, ma voglio concedermi un po' di tempo per rivederla come si deve.
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Ho appena finito la one shot, ma voglio concedermi un po' di tempo per rivederla come si deve.
Io sono ancora in alto mare, quel poco che ho scritto fa schifo e non mi vengono altre idee decenti. T_T
Mi sa che con le morti sono proprio negata. :asd:
Domani parto in vacanza per una settimana, non immaginavo ci saremmo prolungati fino a fine mese, ad ogni modo torno il 7 Settembre e da quel giorno, se vi va bene, comincerei a leggere le shot (a parte quella di Majin Broly già letta), oppure per questa manche servirà un altro giudice.
Premessa: La mia one shot è basata sul manga "Bakuman" di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata. E' ambientata due anni dopo la fine dell'opera ed è incentrata sul personaggio di Niizuma Eiji, accerrimo rivale dei protagonisti. Sono presenti alcuni piccoli spoiler, ma nulla che possa rovinare la lettura del manga.
Shuya non deve morire
Era una fredda sera d'inverno e un vento gelido soffiava senza pietà sulla caotica metropoli nota come Tokyo. Non mancavano molti giorni a Natale e percorrendo le vie della città non era insolito imbattersi in allegre luci lampeggianti e decorazioni di vario tipo. Per molti quel periodo dell'anno era un'ottima occasione per riposarsi dalle fatiche del lavoro e trascorrere del tempo con la propria famiglia. Poter smettere di lavorare per un po' veniva generalmente visto come un fatto positivo, ma per Eiji Niizuma era un'agonia anche solo pensarci. Lui adorava il suo lavoro di mangaka con tutto se stesso e non trovava per niente pesante disegnare innumerevoli tavole giorno dopo giorno, stando ben attento a rispettare le scadenze imposte dalla rivista Weekly Shonen Jump.
Del resto per lui disegnare era importante tanto quanto respirare e così come i suoi polmoni non potevano fare a meno dell'ossigeno così la sua mano non poteva stare lontana da un pennino per più di qualche minuto. Dirgli di prendersi una pausa almeno per Natale o ricordagli che Jump non sarebbe uscito durante le prime due settimane di Gennaio era perfettamente inutile. Vedere i personaggi partoriti dalla sua mente prendere vita sul foglio da disegno era ciò che lo rendeva più felice e smettere di farlo per passare il tempo tra parenti, cenoni e regali era ai suoi occhi una vera e propria tortura.
Quella sera il mangaka e i suoi assistenti stavano finendo di disegnare un capitolo particolarmente importante di "Zombie Gun", opera che l'autore portava ormai avanti da qualche anno.
"Ed ecco che affetta lo zombie oscuro....Zukyuuuuuuuun!"
Per Eiji disegnare in silenzio era praticamente impossibile. Aveva la tendenza ad immedesimarsi nelle sue storie e a pronunciare ad alta voce le varie onomatopee. Ormai i suoi assistenti erano abiutati al suo comportamento bizzarro, ma all'inzio non potevano fare a meno di continuare a scambiarsi occhiate perplesse.
"Sensei, posso farle una domanda?" chiese di punto in bianco il più giovane tra i suoi collaboratori.
"Yeeeeeeeeees, you can! Shuupiiiiiiiiiiiiin!"
"Ecco...Mi domandavo se sia stata veramente una buona idea far terminare il precedente capitolo in quel modo..."
"Mi sembrava fossi entusiasta di tale sviluppo la prima volta che ve ne ho parlato."
"Sì, personalmente ho apprezzato molto l'idea...Ma non posso fare a meno di chiedermi come reagiranno i fan. Non credo che i lettori di Jump più giovani siano abituati a tali colpi di scena."
Niizuma smise di disegnare per qualche secondo, probabilmente per riflettere meglio sulle parole del collega.
"Non mi interessa l'opinione dei lettori. Sono io a scrivere la storia, non loro. Se non apprezzano le mie idee nessuno li costringe a continuare a leggere" affermò schiettamente, mentre la sua mano riprendeva a danzare sul foglio.
L'assistente si aggiustò gli occhiali sul naso.
"Quel che dici è assolutamente corretto, sensei. In fin dei conti un mangaka non può certo cercare di accontentare tutti o dare troppo peso alle critiche dei fan. Basta fare una breve ricerca su internet per rendersi conto che ci sono tantissimi lettori di manga incontentabili che si lamentano per delle sciocchezze e parlano male senza motivo dell'opera che idolatravano fino a qualche giorno prima. Certe persone mi danno veramente sui nervi...."
"Io disegno esclusivamente quel che piace a me. Finchè mi diverto il resto non conta. E' per questo che odio non essere totalmente libero di concludere una serie quando lo desidero."
Erano passate quasi due ore dal breve scambio di opinioni tra Eiji e il giovane collaboratore. Gli assistenti erano tornati a casa da più di un'ora ed il mangaka era da solo nello studio, tutto intento a disegnare. Ora che il capitolo era completo poteva dare libero sfogo alla sua fantasia e dare vita a personaggi e situazioni non legati all'universo di "Zombie Gun".
"Gli scarafaggi spaziali sono giunti su un nuovo pianeta, yahooooo! Chissà quali avventure vivranno in questa landa desolata?"
Nonostante fosse quasi mezzanotte il ragazzo non aveva minimamente sonno, anzi era pieno di energie ed entusiasmo.
"Disegnerò fino a quando non crollerò a terra privo di forze! Chi si fermerà prima? La mia mano o la rotazione terrestre?"
Ma dopo qualche minuto Eiji fu costretto a rimangiarsi tali parole.
Un improvviso rumore proveniente dall'esterno lo indusse a smettere di disegnare.
-Dei passi in avvicinamento...Strano, di solito non viene mai a trovarmi nessuno quando è così tardi-
Tese le orecchie per cercare di ricavare altre informazioni utili a stabilire l'identità del visitatore.
-Questo rumore...Sono abbastanza sicuro che sia prodotto da un tacco. Ricordo che le scarpe di Akina producevano un suono simile...Ma dubito che si tratti di lei. La sensei non è tipo da recarsi a casa di un collega ad un'ora così tarda senza avvisare.-
Più i passi si facevano vicini e più Eiji si sentiva inquieto. Improvvisamente si ricordò che la porta d'ingresso era aperta e che chiunque avrebbe potuto varcarla senza il minimo problema. Gli tornarono alla mente gli innumerevoli rimproveri del suo editor, che non aveva mai visto di buon occhio il suo vizio di non chiudere mai la porta a chiave.
"Ormai non vivi più in campagna, Eiji! Tokyo è una bella città, ma non tutta la gente che ci abita ha delle buone intenzioni. Potresti trovarti un ladro in casa nel bel mezzo della notte!"
Il ragazzo era solito liquidare quelle preoccupazioni, a suo parere eccessive, con una risata.
"E che cosa mai dovrebbero rubare? Qua oltre a migliaia di tavole e qualcosa da mangiare non ho poi molto!"
Ma ora che si trovava in quella situazione non si sentiva per niente in vena di ridere. L'idea di doversi confrontare con uno sconosciuto dalle cattive intenzioni nel bel mezzo della notte lo inquietava.
-Potrei sempre indossare la mia maschera di Crow e provare a spaventarlo...-
No, non era il momento adatto per vagliare ipotesi così ridicole. Sapeva perfettamente che l'unica cosa sensata da fare era prendere la chiave e chiudere la porta il più velocemente possibile. Con un rapido movimento scesce dalla sedia e iniziò ad ispezionare con gli occhi lo studio.
-Dove può essere la chiave? E' da una vita che non la uso....-
I passi erano ormai vicinissimi. La distanza che separava la sconosciuta dalla porta era estremamente ridotta. Eiji iniziò a spostare in fretta e furia tavole e numeri di Jump, abbastanza convinto che la chiave si trovasse sotto di essi.
-....Eccola!-
Il giovane afferrò la chiave e iniziò a correre il più rapidamente possibile verso la porta d'ingresso. Quando solo pochi centimetri lo separavano dalla sua meta si concesse di sorridere. Ormai era fatta, non doveva fare altro che infilare la chiave nella serratura e farla girare.
Ma proprio in quel momento la maniglia iniziò ad abbassarsi...
-No! Non può essere!-
Eiji cercò di spingere la porta con le mani per impedirle di aprirsi, ma una violeta spinta della persona che stava cercando di entrare lo costrinse ad arretrare.
La porta si aprì del tutto e una ragazza entrò a passi rapidi nello studio. Il mangaka notò con stupore che non era molto alta e che la sua costituzione era alquanto minuta.
-Non sono riuscito ad impedire ad una ragazza così gracile di entrare nel mio studio? Devo essere proprio fuori allenamento...-
Se fosse stato un personaggio di un suo manga una ragazza con un fisico del genere avrebbe avuto un viso dolce e bambinesco e forse fu questo il motivo che lo indusse a sussultare quando i suoi occhi si posarono sul volto della sconosciuta. Lo sguardo della giovane era vacuo e le sue iridi nere non trasmettevano il minimo calore. Niizuma si ricordò che nei film horror le ragazze possedute avevano spesso uno sguardo molto simile.
-Non sono solo i suoi occhi...Tutto il suo viso ha qualcosa di inquietante. E' troppo seria...-
"Sei tu il mangaka Niizuma Eiji?"
La voce della ragazza era poco più che un sussurro e quando parlava le sue labbra sottili si muovevano appena.
"...Sì, sono io."
-Come avrà fatto a risalire a questo indirizzo...? Probabilmente qualcuno deve averlo diffuso su internet-
Senza dire una parola la sconosciuta si scostò una ciocca dei suoi lunghi capelli neri dal volto. I suoi occhi erano fissi sul volto di Eiji.
-Non credo di averla ancora vista sbattere le palpebre...-
"Perché?" chiese la giovane dopo alcuni, interminabili, secondi.
Niizuma attese per qualche istante, sperando che la sua interlocutrice si decidesse a fornire qualche dettaglio sulla natura delle sue perplessità. Ma lei non sembrava intenzionata ad aprire bocca prima di aver ascoltato la sua risposta.
"Potresti essere un po' più chiara?"
Improvvisamente lo sguardo della ragazza si riempì di una rabbia feroce.
"Non fare finta di nulla!" esclamò con un tono di voce incredibilmente acuto.
Il cuore di Eiji iniziò a martellare all'impazzata. Non gli piaceva ammetterlo, ma aveva paura. Fisicamente quella ragazza non era minimamente minacciosa, ma erano le sue condizioni mentali a spaventarlo. Non poteva fare a meno di pensare che fosse completamente pazza. Se non voleva che la situazione degenerasse doveva iniziare a ponderare attentamente le sue risposte.
"...Shuya..."
La voce della sconosciuta era tornata ad essere un sussurro.
-Shuya...Intende il personaggio di Zombie Gun?-
"Sei una fan di Shuya? Mi fa piacere. E' stato un personaggio molto divertente da ideare."
Urlando come una pazza l'intrusa colpì il volto del mangaka con uno schiaffo incredibilmente violento.
"STAI ZITTO! NON HAI DIRITTO DI PARLARE DI SHUYA!"
Eiji si massaggiò lentamente la guancia dolorante con una mano. Nella sua mente la paura stava cedendo il posto ad un altro sentimento.
"Io non ho il diritto di parlare di Shuya, eh? Non ho il diritto di parlare di un personaggio che io stesso ho creato? E' questo che mi stai dicendo?"
La ragazza provò a colpire nuovamente Niizuma con uno schiaffo, ma quest'ultimo riuscì a bloccare rapidamente la sua mano.
"Lasciami!"
"Solo se la smetti di prendermi a schiaffi e mi spieghi con calma che problema hai con me."
Eiji non credeva che la ragazza fosse abbastanza lucida da accettare la sua richiesta e perciò rimase alquanto stupito quando la udì mormorare "D'accordo".
Come promesso le lasciò andare la mano, ma per sicurezza si allontanò di qualche passo da lei.
"Perchè...Perchè nell'ultimo capitolo hai...Hai fatto morire Shuya?"
Al mangaka tornarono in mente le parole pronunciate dal suo assistente qualche ora prima: Ecco...Mi domandavo se sia stata veramente una buona idea far terminare il precedente capitolo in quel modo...
Eiji scrollò le spalle.
"Avevo deciso da parecchio tempo che si sarebbe sacrificato per salvare il protagonista. Se ci pensi bene è una fine perfettamente coerente con la sua personalità."
Irritata la ragazza battè un piede per terra. Il rumore prodotto dai suoi stivaletti neri col tacco rieccheggiò per tutto lo studio.
"Ma non è giusto! Perchè tutti gli altri possono continuare a vivere e lui no?"
"Se lo avessi lasciato in vita sarebbe diventato un personaggio totalmente marginale nel giro di pochi capitoli. Credo che una fine gloriosa sia di gran lunga preferibile ad un lento declino."
"Tu non capisci! Nessuno di voi schifosi mangaka capisce!"
"Cos'è che non capiamo?"
Ormai Niizuma non nutriva più alcun timore. Tutta la sua mente era dominata dall'irritazione e dalla rabbia che aveva sempre provato nei confronti di un certo tipo di lettori.
"I personaggi dei vostri manga non appartengono solo a voi, ma anche a noi lettori! Capitolo dopo capitolo noi viaggiamo assieme a loro, imparando a conoscerli ed, in alcuni casi, ad innamorarcene. Io ero innamorata di Shuya! Lo amavo! Era molto più perfetto di qualsiasi ragazzo reale!...E tu me l'hai portato via...Senza nemmeno chiedermi il permesso!"
Il mangaka scoppiò in una risata priva di allegria.
"Il permesso?! Noi mangaka dovremmo chiedere ai lettori il permesso di far morire un personaggio che noi stessi abbiamo creato?! E' la cosa più ridicola che abbia mai sentito! Chi crea un'opera ha tutto il diritto di portarla avanti come desidera e di farla finire quando più lo ritiene opportuno. Purtroppo noi mangaka siamo parzialmente vincolati dal volere dei nostri editor e della redazione di Jump, ma perlomeno non siamo costretti a chiedere ad ogni singolo lettore se è d'accordo con le nostre idee. Seguivi "Zombie Gun" solamente per ammirare Shuya? Bene, ora che è morto nessuno ti impedisce di smettere di leggere la serie!"
"Perchè usi il plurale? Oltre a te e ad Ashirogi Muto non mi pare che negli ultimi anni qualcuno abbia fatto morire un personaggio della sua serie..."
Non credo che i lettori di Jump più giovani siano abituati a tali colpi di scena.
"E' vero che di recente la morte è diventato un tema poco comune nelle serie pubblicate su Jump, ma non è sempre stato così. Un tempo i mangaka si facevano molti meno scrupoli e pubblicavano le loro storie pensando più a se stessi che ai lettori. A mio parere...E' stata quella la Golden Age di Jump."
Con un urlo animalesco la ragazza si avventò su Eiji, buttandolo a terra senza troppa fatica. Il ragazzo cerco di divincolarsi in tutti i modi ma la sconosciuta non mollava la presa.
"Riportalo in vita! Riporta in vita Shuya! Solo tu puoi farlo!"
"No! Nessuno può obbligarmi a fare qualcosa del genere!"
La ragazza iniziò a tempestarlo di pugni.
"RIPORTALO IN VITA, BASTARDO!"
"NO!"
"SHUYA NON PUO' MORIRE! NON PUO' ABBANDONARMI COSI'!"
"SHUYA NON E' MAI ESISTITO! LASCIAMI ANDARE, PSICOPATICA!"
Con un sfrozo immane Eiji spinse la ragazza lontano da se. Quando vide la sua testa urtare con violenza lo spigolo della scrivania emise un urlo di puro terrore.
-No...Non posso averla uccisa!-
Cercò di avvicinarsi a lei abbastanza in fretta, ma le sue gambe erano pesanti come macigni e la sua mente gli urlava di scappare altrove.
-Forse posso ancora aiutarla...Forse è ancora viva...-
Ma quando il ragazzo fu abbastanza vicino si rese conto che le condizioni della ragazza erano piuttosto gravi. Si era ferita la testa e il sangue vermiglio colava copioso macchiando i suoi capelli corvini.
Con mani tremanti, Eiji cercò di spostarle la testa per esaminare meglio il taglio. Fu in quel momento che realizzò con orrore che la giovane era ancora cosciente.
"Se non vuoi riportare in vita Shuya...Allora lo raggiungerai insieme a me...."
"Ma cos..."
Un dolore atroce impedì al ragazzo di terminare la domanda. Qualcosa di feddo e metallico aveva appena attraversato il suo petto. Abbassò lentamente lo sguardo e vide la ragazza stringere in mano il manico di un coltello da cucina di cui poteva vedere solo parte della lama. Il liquido rosso che colava lungo di essa non poteva essere altro che il suo sangue.
Mentre le forze abbandonavano rapidamente il suo corpo un unico pensiero tormentava senza pietà la sua mente: -E'...E' lo stesso modo in cui è morto Shuya....-
The March
Il piccolo Gregge si muoveva in mezzo alla desolazione, tra gli aridi deserti e le case erose, abbracciato dalla sabbia. La Madre camminava con il piccolo Rei, tenendosi abbracciati insieme da un'unica coperta, mentre il Padre li precedeva poco più avanti, come una sentinella, per evitare che il suo gregge fosse in pericolo. Nella cortina della tempesta di sabbia si erse per un attimo la figura di un palazzo. Era inclinato di diversi gradi, con il tetto crollato su sé stesso e diverse finestre esplose. La figura sparì come era apparsa. Il Padre si fermò, facendo cenno alla Madre. Il Padre ci pensò profondamente. Erano due giorni che vagavano in quella tempesta. Mildtown non doveva essere lontana, eppure non riuscivano a trovarla, con le scorte che man mano si riducevano. Quel piccolo miraggio non era stato un caso: significava che la marcia era quasi conclusa. Ad una decina di Chilometri da Mild c'era una vecchia fabbrica poco usata dai viandanti. Non si trattava di banditi, a detta degli altri nella città bassa, se venivano interrogati sulle storie che avvenivano là dentro. Ma di spettri. Al Padre questo creò poca differenza, ora che il mondo intero era uno spettro. Si decise
<<Andiamo a Nord.>>
Nell'oscurità rimbombarono una serie colpi provenienti da una fonte indefinita. Dopo un'altra serie, il buio venne frantumato mentre una porta veniva abbattuta. Il piccolo Gregge entrò di soppiatto, riparando subito l'entrata per evitare la tempesta di sabbia. Chiusa la falla, riapparve l'oscurità. Il Padre tirò fuori qualcosa dalla sua borsa, ed un fascio luminoso irradiò la stanza. Era un luogo lercio, senza padrone. Ogni cosa al suo interno era sparita, fatta esclusione dei detriti sparsi ovunque. Detriti con una chiara impostazione, notò il Padre
<<Aspetteremo qui la fine della tempesta.>> concluse.
Il Padre stava intagliando il quarto segno sul muro, poco dopo essersi svegliato. Ormai la tempesta stava cessando. Se anche il suo messaggio non fosse arrivato a lui, a breve avrebbero potuto raggiungere la città da soli. La lampada ad olio illuminava una buona sezione della stanza. La Madre stava dormendo, appoggiata in un angolo con le stoffe intorno. A quella visione tornarono diversi ricordi al Padre. Ricordi sereni ed indimenticabili di una vita apparentemente mai esistita. La Madre si svegliò, portandosi le mani sulla faccia e strofinandosi gli occhi. Era ancora giovane e bella. Aperti gli occhi incrociò quelli del Padre, e per un attimo si misero entrambi a sorridere. Lei distolse lo sguardo all'improvviso, girandosi
<<Dov'è Rei?>>
Il Padre se ne accorse a sua volta e si alzò di scatto, guardandosi intorno, mentre la madre disse ancora
<<Dov'è Rei?>> con una nota frantumata nella sua voce.
Il Padre capì, e le fece segno di stare zitta <<Ci penso io. Tu prepara le nostre cose.>> per poi dirigersi nel corridoio oscuro.
Sapeva che c'era qualcuno in quell'edificio. Sapeva che non erano soli dalla prima volta che aveva visto la posizione di quei detriti. Erano messi in modo abitudinario, una cosa involontaria che però si riperquote sulla morfologia ambientale. Come lo fu con le bombe atomiche. Aveva evitato di intromettersi con la gente che abitava quel luogo solo perché aveva con sé la sua famiglia. Avevano sempre mantenuto un basso profilo evitando rumori sconnessi. Tentare un contatto con gli estranei nell'epoca in cui vivevano era troppo pericoloso, e lui non era più quello di un tempo, da quando le radiazioni lo avevano indebolito. Chi lo avrebbe mai immaginato che Rei non avesse paura del buio. L'uomo camminava nell'oscurità. Non doveva farsi notare, anche se per lui non era un problema. Una volta che gli occhi si erano abituati al buio, tutto il resto veniva dall'istinto. Molte porte erano distrutte, anche se l'interno era vuoto. L'uomo sperò che la gente fosse pacifica, in quel luogo. Se anche solo fosse stata deviata la metà di quello che aveva assistito da giovane... un rumore lo attirò verso il fondo del corridoio, in prossimità delle scale. L'uomo si accorse di alcune voci provenienti dall'alto. L'illuminazione veniva invece dal basso, dove probabilmente si trovavano gli scantinati. Proveniva anche della luce, quindi c'era la possibilità che Rei fosse passato là sotto. Bisognava tentare. Se anche fosse stato necessario esplorare ogni stanza, lui l'avrebbe fatto.
C'era un solo piano sotterraneo, con l'illuminazione ben tenuta e le porte stranamente presenti e chiuse. Il Padre non sapeva da dove iniziare, perciò provò ad aprire la prima porta, evitando di fare rumori. Era di metallo, niente di realmente pesante, all'incirca ai livelli di quella all'entrata dell'edificio, con una chiusura dettata dalla ruggine ed incline al cedimento dopo qualche spallata, se l'uomo che le infliggeva era in forma. Non fu necessario abbatterla, vista la presenza di una leva, così il Padre l'aprì manualmente. Un enorme tanfo si sprigionò su di lui, facendolo arretrare. Era un miscuglio tra vomito e feci, ma anche di marcio. Il Padre entrò per vedere cosa fosse contenuto, nonostante l'oscurità. Non c'era niente, era vuota. Continuò ad aprire altre porte ed anche in esse la situazione era sempre la stessa. Dopo una decina di porte l'uomo sentì provenire dei rumori costanti, e forti, da una stanza poco più avanti. Questa era diversa, con una porta in legno ed una luce proveniente dalla fessura. Più il Padre si avvicinava e più il buio diventava pesto, rendendogli difficile la vista. Si avvicinò lentamente, ed una volta arrivato alla soglia, sospinse lievemente la porta, facendola aprire completamente. Un uomo con qualche pelo sulla testa, in tunica, si stava dilettando con una mannaia verso un grumo di carne posto sul tavolo di fronte a sé. Un piccolo lamento attirò il Padre al di fuori da quella scena, sempre nel corridoio. Rei era dall'altra parte, rannicchiato nell'angolo. Il Padre cercò di attirarlo a sé, facendogli segno di fare piano. Rei non disse niente, indicò e basta. Il Padre seguì la direzione, alla destra di Rei, dove si trovava un sacco nero. Era difficile anche solo riconoscere Rei in quell'ombra, ma per un attimo al Padre parve di riconoscere quel tanfo delle stanza precedenti. Un terribile pensiero gli attraversò la testa, sprigionando una spora di lucidità nel suo cervello. Si rigirò verso l'uomo. Alla sua destra c'era un altro sacco nero. L'uomo finì con la carne sul tavolo e la mise in una pentola. Poi afferrò il sacco, tirandone fuori una mano.
Il Padre si girò verso di Rei, facendogli segno di venire. Rei si alzò e camminò lentamente verso il Padre. Ogni passo era un'agonia per entrambi, e Rei stava piangendo ed ansimando, silenziosamente. Arrivato alla soglia della porta aperta, dove il fascio di luce lo mostrava, Rei si girò verso l'uomo, e di fronte a quella scena non trattenne un urlo. L'uomo si girò di scatto, notando Rei scoperto, che dalla paura era inciampato all'indietro. L'uomo prese la mannaia e corse dritto verso Rei. Arrivato all'uscita della porta, il Padre lo placcò violentemente urlando, andando a buttare entrambi contro il sacco
<<Torna su da tua madre e fuggite!>> verso Rei che partì subito in direzione delle scale. L'uomo si riprese e spinse il Padre contro il muro. Il Padre si rimise subito in piedi ed andò a dare un pugno alla faccia dell'uomo, ma questo fu più svelto e lo schivò tirandogli un mancino sul fegato, per poi spingerlo lontanto. Mentre il Padre rantolava contro il muro, l'uomo cercò la mannaia persa durante il precedente attacco. I suoi occhi si illuminarono quando la vide. Andò a raccoglierla più in fretta che poteva, ma il Padre gli pestò la mano proprio mentre la stava raccogliendo, facendo urlare l'uomo come un animale. Il Padre gli tirò un pugno in pieno viso, facendo scivolare l'uomo di faccio nel sangue liberato dal sacco distrutto. Il Padre gli afferrò la testa e la spinse dentro il sacco, pieno di sangue e parti umane. L'uomo scalciò ripetutamente, ma ormai era bloccato dalla salda presa del Padre. Dopo meno di un minuto gli spasmi erano finiti. Il Padre si alzò, con fretta di tornare di sopra. Appena due passi ed un tremendo colpo sulla nuca lo gettò per terra, rendendo per un attimo quel mondo scuro completamente illuminato.
Il Padre si svegliò intontito, con una luce sugli occhi. Non riusciva a muovere le braccia. Si accorse di essere stato legato. Era una specie di sedia chirurgica, con lacci sui polsi e sulle caviglie. Alla sua destra c'era un uomo, indaffarato con un tavolo pieno di coltelli ed attrezzature chirurgiche. L'uomo si accorse che il suo paziente si era risvegliato, assumendo un atteggiamento più nervoso e frettoloso. Il Padre capì, ed iniziò a dimenarsi e scalciare per potersi liberare, mentre un rumore acuto lo fece girare verso l'uomo. Era un trapano ed era nelle sue mani. L'uomo iniziò ad avvicinarsi, mentre la disperazione nel Padre cresceva, come anche la foga con cui tentava di liberarsi. L'uomo arrivò alla soglia e gli piantò il trapano acceso sul braccio destro, tra il gomito e la spalla. Il cane voleva bloccargli i nervi. Il Padre urlò dimenandosi ancora di più, in un estremo atto di disperazione. Il laccio dell'altro braccio si ruppe, essendo marcio, permettendo un pugno in pieno viso ai danni dell'uomo. Cadde sul tavolo degli utensili, mentre il padre si tolse il trapano dal braccio sofferente e si tagliò i lacci. Erano entrambi in piedi, con l'uomo che teneva in mano una piccola sega elettrica. Attaccò per primo l'uomo, lanciando un fendente verticale da sinistra. Il Padre intuì la mossa e si abbassò in tempo, piantandogli il trapano tra le budella. L'uomo urlò e lasciò cadere la sega, per spingersi lontano dal Padre. Cadde all'indietro, di fianco ad un tavolo. Il Padre gli si avvicinò con la sega appena raccolta <<DOVE SONO>> e gli tagliò l'indice destro, facendolo urlare ancora più di prima.
<<DOVE SONO>> questa volta tagliandogli il pollice. Un rumore lo fermò. Sul tavolo, una radio
<<Ehi Gaz hai finito lì o vuoi una mano?>> facendo scendere il silenzio su entrambi.
<<Allora vuoi rispondere? Questo ha già iniziato a segare>>
Il Padre fissò l'uomo e lo minacciò di nuovo con la sega <<Falli andare via.>>
L'uomo lo fissò per un attimo. Prese la radiolina e rispose <<N-no, ci penso io>>
<<Va bene allora. Quando hai finito con lui la donna ed il bambino sono nello scantinato, Roach se li sta lavorando.>>
Quell'ultima frase accoltellò il cuore del Padre. Staccò la radio ed iniziò ad urlare, puntando la sega accesa sul collo dell'uomo. Dopo pochi secondi era tutto finito. Si alzò e prese un coltello dal tavolo. Doveva fare in fretta.
Uscì dalla porta lentamente. Non c'era nessuno nel corridoio, ma il tanfo era enorme. Si diresse subito verso le scale, prima che un grido lo fermasse. Proveniva da una delle porte di fianco. Erano grida di aiuto, grida disperate. Grida di selvaggina. Chiuse gli occhi e continuò a correre. Scese diverse rampe di scale. Quindi i cannibali portavano la selvaggina nei piani superiori. Questo significava che l'edificio era pieno di stanze come quella di poco prima. Arrivato allo scantinato, sentì subito le urla della sua donna, mischiate alla risata di un uomo. Identificò la fonte e provò ad aprire la porta, ma era bloccata. Non si erano ancora accorti di lui, ma le grida erano sempre più forti. Tirò una, due, tre spallate alla porta abbattendola. La Madre era per terra, intenta a coprire Rei col proprio corpo. La sua schiena era un cumulo di sangue, mentre le gambe erano piene di tagli e lividi. L'uomo nella stanza aveva in mano un bastone, mentre sul muro c'era una frusta. Il Padre lo assalì prima che potesse girarsi, buttandolo per terra. L'uomo era grosso, e si riprese subito, tirando una bastonata in pieno viso al Padre, che andò a sbattere contro il muro. L'uomo gli si avvicinò e gli tolse il coltello di mano, usando il bastone come strozzatoio, bloccando il padre tra il muro ed il legno, che veniva sollevato sempre di più. Il Padre non riusciva a respirare ed il braccio gli faceva ancora male per prima. In un gesto guidato dall'istinto, posò entrambe le mani sulla faccia dell'uomo, conficcando i pollici dentro gli occhi. L'uomo gridò di dolore e lasciò andare il Padre, che approfittò della sua occasione e raccolse il bastone con cui lo colpì in piena testa. L'uomo cadde per terra, svenuto, ma il Padre non si fermò ed iniziò a bastonarlo ripetutamente. La madre si coprì gli occhi, facendo lo stesso su Rei. Quando la testa era diventata una pozza di materiali disintegrati, il Padre si concentrò sulla famiglia
<<Che cosa vi hanno fatto>> abbracciandoli.
<<Volevano uccidere Rei, ma mi sono imposta col corpo, visto che per me avevano altri piani>> ecco spiegati i lividi ed i tagli.
<<Riesci a camminare?>> aiutandola a sollevarsi. Zoppicava, ma riusciva comunque a muoversi. In fretta e fatica salirono al primo piano verso l'uscita. Le loro cose non c'erano più, con rammarico del Padre. Una volta usciti, la tempesta era finita, permettendo la visione di ciò che nascondeva. Una landa con scheletri ed ossa umane piazzate in più e più parti. Il Padre distolse lo sguardo del suo Gregge a quella visione e continuò a farli correre. Un rumore sconnesso annunciò l'arrivo di qualcosa che il Padre non vedeva da anni. Il gigante era alto 3 uomini e largo una macchina. Era la sentinella lì, il Padre ne era sicuro. La tempesta aveva evitato a tutti lo spiacevole incontro, ma ora era tardi. Corsero subito verso un'altra direzione, ma il gigante era troppo veloce. Poco prima che il suo colpo arrivasse a destinazione, il Padre spinse di lato il suo Gregge ed evitarono la martellata. Un grosso martello fatto in proprio si era schiantato, spaccando la terra.
<<Fuggite, io lo distraggo!>> e così fecero. Erano abituati, ammaestrati. Avevano imparato a combattere il dolore personale con quello degli altri. Sapevano che se il suo sacrificio fosse stato nullo, allora il vero dolore sarebbe stato solo per lui. Il gigante fece per prenderli, ma il Padre gli piantò il coltello sulla coscia, facendolo urlare arrabbiato. Sferrò una martellata a mezza luna, girando solo il busto, ma il Padre la evitò rotolandogli sotto le gambe, riprendendosi allo stesso tempo il coltello. Mentre il gigante girava di nuovo il busto, esplose un altro urlo di dolore, con il coltello infilato sull'altro piede. Il Padre non fece in tempo a strapparlo che il gigante gli diede un calcio in piena faccia, lanciandolo 4 metri più lontano. Il dolore era allucinante, ma si riprese appena in tempo per girarsi e correre. Poco più in là c'era una gru che per qualche ragione era stata inserita dentro un piccolo edificio mezzo distrutto. Riuscì ad arrivarci indenne, visto che le accoltellate avevano rallentato di molto il gigante. Si mise di fanco alla gru, aspettando il momento opportuno. Il gigante entrò abbassandosi dentro l'edificio, riuscendo a scorgere il Padre, ma ormai era tardi. Il Padre attivò il comando della gru, che incredibilmente era ancora funzionante, ma a quanto pare guasto. Ne seguì un movimento confuso ed incontrollato che distrusse le fondamenta principali dell'edificio, facendolo crollare su sé stesso ed il gigante. Il Padre uscì in tempo, mentre un'enorme polverone si alzava dopo il crollo. Il Padre era sdraiato poco più in là, ansimante. Il problema era risolto, ora bisognava tornare dal suo Gregge. Fece per rialzarsi, ma un colpo di tosse lo fece inginocchiare. Sangue. Troppi danni, troppe radiazioni, doveva muoversi. Dietro qualcosa si mosse. Un'esplosione di detriti scaturì dal terreno. Il gigante gli tirò un pugno grosso quanto una ruota dritto sulla schiena, lanciandolo lontanissimo. Mentre rotolava, il Padre sentì qualcosa spezzarsi. Non era la sua vita, ma il passo era breve. Finito a pancia in sù, sapeva che per lui era arrivata la fine, mentre il gigante si avvicinava, ferito. La sua fine era giunta, finalmente. Ma la sua vita avrebbe continuato a brillare nel suo gregge, che ormai doveva essere arrivato in città. E forse anche la sua memoria.
La Madre teneva stretta a sé Rei, mentre correva zoppicando. Riusciva a vedere la città. Finalmente, ancora poco. Un'ombra la interruppe. Di fronte a lei. Non un uomo normale, ma un vero e proprio mostro. Urlò.
Il gigante si stava avvicinando. Aveva di nuovo in mano il martello. Il Padre ormai era esanime. Il sangue gli colava sulla barba, ma non per questo gli veniva a mancare la voglia di ridere. Il gigante ormai era sopra di lui, pronto a sferrare il colpo. I loro occhi erano incrociati, ed il Padre rideva beffardamente, orgoglioso che quel bastardo sarebbe morto di fame. Qualcosa volò. Non il martello, ma qualcosa di più piccolo. Il gigante venne colpito alla testa, interrompendosi irritato. Un sassolino notò il Padre.
<<Tu, stupido maiale, sono qui.>> la voce veniva da una decina di metri più lontano. Una figura con una cappa che ne copriva il volto ed il corpo. Era massiccia, non sproporzionata quanto il gigante, ma all'estremo per quanto riguarda l'uomo comune. Il gigante distolse l'attenzione dal Padre e si diresse correndo verso la sagoma. Inflisse una martellata al pieno della sua potenza, in laterale. Dopo il colpo, il martello aveva addosso lo straccio dell'estraneo. Il Padre aveva notato lo scatto di un'ombra dietro il gigante. Ora era lì, di fianco al Padre, in piedi. Gli occhi del Padre divamparono. Troppe sensazioni provava in quel momento, troppe. Kenshiro era eretto e stava fissando il gigante intontito dall'avvenimento. Spostò la sua vista verso il Padre. La sua espressione, da prima dura e fredda, subì uno spasmo impressionante
<<Bart...>> si inginocchiò <<che cosa ti ha fatto quel mostro>> iniziando a versare lacrime, in un'espressione incredibilmente triste ed affranta. Bart se la ricordava, quell'espressione. Un'espressione a cui ha assistito spesso mentre era in viaggio con Ken, da giovane. L'espressione di un uomo apparentemente mostruoso, ma puro di cuore e sensibile ad ogni male. Bart diventò triste a sua volta, nel vedere Ken di nuovo con quegli occhi, quasi sentendosi in colpa.
<<Ci ho provato Ken. E' troppo per me. Ti prego di prenderti cura della mia famiglia>>
I muscoli di Ken si gonfiarono e le vene pomparono sangue <<Non parlare così>>
<<Ti ho cercato in questi 10 anni. Volevo aiutarti nei tuoi viaggi, ma c'era stata la nascita di Rei. Volevamo solo una vita normale>>
Ken strinse i dentri, con gli occhi in penombra <<Ti ho detto di non parlare così>>
<<Mi dispiace Ken... mi dispiace>>
Il gigante si stava dirigendo verso di loro, di nuovo in carica. Ken sollevò la testa verso di lui, urlando
<<Ti ho detto di non parlare così!>> caricando un'unico, massiccio montante verso il gigante. Nessuna morte ritardata. Un'unica, potente esplosione che disintegrò il gigante nel nulla.
Entrambi fissarono i rimasugli disperdersi in aria. Bart si mise a guardare Ken, come se aspettasse qualcosa.
<<Userò gli tsubo per trasferirti la mia energia vitale.>> interruppe il silenzio Ken.
<<Non ci provare. Io so che dieci anni fa hai fatto lo stesso. Hai sprecato fin troppa della tua vita per me, ormai. Tu sei l'unica speranza per questo immenso deserto che è diventato il nostro mondo. Ti prego di prenderti cura di loro due, mettendoli al sicuro. Non puoi abbandonare il tuo viaggio per le lande disperate, si. Solo, ogni tanto visitali. Dagli l'affetto che io non potrò rendergli.>>
Ken lo fissò a sua volta, gli occhi erano in un'espressione indefinita, ma apparentemente sprofondata nella tristezza. Si girò verso il nulla.
<<Ho ricevuto il tuo messaggio. Ti ho risposto di non partire, con la tempesta di sabbia, ma è stato inutile. Quando ho saputo che il messaggio non era arrivato, sono partito subito alla vostra ricerca. Purtroppo non potevo immaginare che questa frabbrica fosse un covo di cannibali. Erano anni che stavano in contatto con Mildtown dicendo di ospitare profughi e ricevendo viveri, quei bastardi>> assumendo un'espressione irata <<Ucciderò tutti gli altri rimasugli della torre e libererò la gente al suo interno, te lo prometto. Ho trovato Lynn e tuo figlio poco fuori quest'aera. Ora sono al sicuro con la scorta venuta da Mildtown. Li incontrerai di nuovo->> per poi interrompersi.
Bart aveva gli occhi aperti, e fissava Ken. C'era un sorriso sul suo volto, intriso di pace ed ammirazione.
Bart era morto.
Ken comprese. In preda ad una silenziosa furia, con le lacrime che gli rigavano il volto, gli chiuse gli occhi. Si girò verso la fabbrica, mentre sullo sfondo un sole rosso tramontava. Ken si alzò, dirigendosi ad esaudire l'ultimo desiderio dell'amico più caro.
Rei si sentiva al sicuro, tra le braccia della madre medicata e la presenza di quegli uomini gentili. Voleva rivedere il padre, ed era sicuro che Ken glielo avrebbe riportato. I suoi genitori gliene avevano sempre parlato. Prima come favole, poi come leggende, ed infine come storie vere. Era il suo eroe. Un'esplosione attirò gli occhi di tutti quanti, mentre il lampo accecò momentaneamente Rei. La fabbrica stava crollando su sé stessa. Dall'enorme polvere, delle sagome cominciarono ad uscire. Una schiera di persone stanche, affaticate e scheletriche, seguiva una figura massiccia, che portava in braccio un altro uomo.
<<Papà>>
La mano dell'uomo tenuto in braccio scivolò, iniziando a rimbalzare senza vita passo per passo. Era l'alba.
TUTTI NOI SAPPIAMO CHE L'ORGOGLIO PUO' FARCI SOFFRIRE. LA DOMANDA E': QUANTO?
Si chiamava Crilin. Era molto basso e gli mancava il naso. Fino a una ventina d’anni prima usava radersi i capelli. La testa pelata lo aiutava a concentrarsi nella pratica delle arti marziali, diceva. Ormai aveva smesso. La sua presenza sulla Terra si è era fatta inutile, in quel senso. Le pure e semplici arti marziali ormai erano poco più che un semplice sfoggio di tecnica. Se occorreva difendere qualcuno o qualcosa, un ki blast era mille volte più veloce ed efficace, e in ogni caso non sarebbe stato certo lui, o qualunque altro terrestre, a scagliarlo. C’erano i Saiyan, per questo. Goku, Vegeta, Gohan e tutti gli altri. Non che la cosa gli dispiacesse, intendiamoci. Goku era il suo migliore amico. Solo che non è esattamente piacevole rendersi conto che la disciplina cui si è dedicata, volente o nolente, trent’anni della propria vita alla fine dei conti abbia davvero poco valore.
“Si sarà sentito così anche il maestro Muten”, si chiede, “alla fine del ventiduesimo torneo Tenkaichi?”
Già, il maestro Muten. Un personaggio bizzarro, quello. Era l’uomo più forte sulla terra, quando lo conobbe, ma bastarono pochi anni perché Goku fosse in grado di competere con lui. Poi comparvero Tenshinhan, il Grande Mago Piccolo, Dio e tutti gli altri. Persino lui e Yamcha, che non erano mai stati nulla di eccezionale, furono in grado di competere con avversari ben più forti di loro. Forse non era il massimo, ma almeno era qualcosa. Almeno fino a che fu convinto che tutti questi, si trattasse di uomini o demoni, fossero terrestri…
Crilin stava volando, durante tutto questo rimuginare. Verso dove? Proprio in direzione della Kame House, dove abitava il maestro Muten. Perché? La domanda che gli era venuta spontanea in mente poco prima forse è una risposta sufficiente. Fatto sta che aveva raggiunto l’obiettivo: una delle poche cose che probabilmente non sarebbero mai cambiate. D’altronde, come potrebbe cambiare una casa di legno costruita su un isolotto deserto con appena un paio di palme e una superfice complessiva che non supera i 200 m2?
Bussò e gli fu aperto. Da una tartaruga marina. Da che ricordasse, aveva sempre vissuto lì. Entrò e vide il maestro Muten addormentato con una rivista erotica sulla faccia. Ecco cosa intendeva quando diceva che la Kame House non sarebbe mai cambiata. Quante volte aveva visto questa scena? Decine? Centinaia? Si sedette sul divano, assaporando l’aria di casa e i ricordi d’infanzia. Poi prese una matita dal tavolino e la lanciò con precisione sulla pelata del vecchio, svegliandolo. Muten si agitò freneticamente per alcuni secondi, poi cadde sul pavimento. Altro classico.
“Oh, ciao Crilin”, disse rialzandosi e cercando di recuperare un aspetto quantomeno rispettabile, “cosa ti porta da queste parti?”
“Niente di che. Volevo giusto scambiare quattro chiacchere con lei, maestro”
“Hai fatto bene. Da quando ti sei trasferito in città con 18 ho ben poca compagnia”
“E Yamcha?”
Un’alzata di spalle e un’espressione perplessa sotto gli occhiali da sole. Crilin ancora non capiva per quale motivo avesse deciso di cambiare montatura. Sul volto del suo maestro avevano un’aria anacronistica. Solo che non capiva se l’anacronismo fossero gli occhiali o il contesto in cui erano inseriti.
“Allora, cosa volevi chiedermi?”
“Come si è sentito dopo il combattimento con Tenshinhan durante il ventiduesimo torneo Tenkaichi?”
“Bene, direi. Dopo te, Goku e Yamcha avevo trovato un altro ragazzo con un grande potenziale. La vostra generazione mi ha davvero sorpreso”
“Quindi non le è dispiaciuto abbandonare le arti marziali?”
“No, direi di no”
“E non si è mai sentito inutile, durante tutti questi anni?”
“Certo che mi sono sentito inutile. Dalla comparsa di Piccolo ogni vostro avversario è stato completamente oltre la mia portata. Di certo non è piacevole, ma non credo sia una cosa così negativa”
“Come ha fatto ad accettarlo, allora?”
“In che senso?”
“Come ha fatto ad accettare che così tante persone siano diventate infinitamente più forti di lei, che per anni è stato il più potente essere umano sulla Terra?”
“Pensi che sperassi di restare il migliore per tutta la vita? Andiamo, Crilin, sai perfettamente che le cose devono cambiare, che se l’acqua del fiume non scorre poi imputridisce e così via. A un certo punto mi sono reso conto che voi avreste potuto fare qualcosa che io non sarei mai riuscito a fare. Mi son detto che sarebbe stato uno spettacolo degno di essere visto e vi ho dato fiducia. Il tempo mi ha dato ragione. Per fortuna non siete diventati dei criminali”
“E se lo fossimo diventati?”
“Immagino che ci sarebbe stato ben poco da fare, ma ormai la Terra ha rischiato così tante volte la distruzione che, anche se uno di voi impazzisse e la facesse saltare in aria, non penso cambierebbe poi molto”
“Non capisco… come fa a ritenersi soddisfatto con così poco? Voglio dire, davvero le basta guardare tutto questo senza poterne fare parte?”
“Sì, mi basta. Il mio tempo per essere un atleta l’ho avuto. Sono stato il vostro maestro fino a che ho potuto e vedervi indossare la divisa della scuola della tartaruga anche dopo mi ha riempito di orgoglio. Sapere che i più potenti guerrieri dell’universo ancora ricordano il loro maestro con affetto è molto più di quanto molti praticanti di arti marziali possano sperare. Grazie a voi ho visto cose impressionanti. E se anche mi è costato la vita in un paio di occasioni, direi che il gioco valeva la candela. Sono fiero di voi”
Crilin rimase silenzioso per un po’. Non aveva mai sentito parlare in maniera così malinconica il suo maestro.
“Senza contare che è solo merito vostro se negli ultimi anni ho potuto rifarmi gli occhi diverse volte”
Lo aggiunse con un filo di bava che colava lungo la folta barba bianca e un rivoletto di sangue che gli colava dal naso. Crilin sorrise. Quella era il maestro Muten che conosceva. Si alzò dal divano.
“Grazie mille maestro”
“Già te ne vai?”
“Sì, devo tornare a casa. Ci vediamo”
Uscì dalla Kame House e ritornò a casa, dalla moglie e dalla figlia. Accettò semplicemente di essere un umano tra gli umani, troppo potente per combattere con gli altri terrestri (Tenshinhan a parte, ma quello non lo si vede mai) e troppo debole per tutti gli altri. Incommensurabile in grande e in piccolo, e forse proprio lì stava la sua unicità.
E Muten? Era vecchio, ormai, maledettamente vecchio. Neppure lui riusciva a capacitarsi di quanto avesse vissuto. Pochi altri esseri umani potevano vantare la sua longevità. Quella sera si sentiva stranamente stanco. Più stanco del normale, diciamo. C’era come un nodo alla gola che gli rendeva difficoltoso il respiro. Nulla di grave, si disse, e fece per alzarsi. Gli costò una certa fatica, ma qualche acciacco è comprensibile. Salire le scale si rivelò più complesso. Ogni gradino sembrava togliergli un poco dell’energia che gli era rimasta. Entrò in camera del tutto spompato, con quel nodo alla gola che non voleva saperne di allentarsi. Si infilò sotto le coperte. Il loro abbraccio era più piacevole che mai. Forse non era esattamente questo che Muten si aspettava dalla sua ultima giornata: non era stata poi molto diversa dalle altre. Forse avrebbe voluto passarla in compagnia dei suoi allievi e delle loro famiglie, in una di quelle rimpatriate che chissà quando si sarebbero fatte di nuovo. Forse una volta finito l’allenamento di Goku e Ub. Un po’ troppi “forse”…
Però, ad osservare i suoi occhi, ora che si era tolto gli occhiali da sole, non sembrava affatto dispiaciuto. Man mano che il respiro gli si faceva più affannato e la testa gli si offuscava, ripensava alle parole che si erano scambiati lui e Crilin e al suo volto sereno quando se n’era andato. Era riuscito ad adempiere il suo dovere fino all’ultimo, pensò, e la cosa era sufficiente. Crilin non aveva un animo candido come Goku, dopotutto. Aveva sempre avuto bisogno di qualcuno che gli ricordasse ciò che per il suo amico era sempre stato scontato. O forse Goku era talmente ingenuo che una domanda del genere non gli sarebbe mai venuta in mente. Era un Sayian, dopotutto.
Non so quando la notizia raggiunse i membri della squadra Z né quali furono le loro reazioni. So solo che il vecchio era morto di vecchiaia e che il Dio Drago non volle riportarlo in vita. Su come morì posso darvi ancora qualche informazione, se volete: smise di respirare dopo circa venti minuti. Abituato alla meditazione, la cosa non gli provocò tanto fastidio quanto qualcuno potrebbe pensare. Attese pazientemente che il suo cuore smettesse di battere e che il mondo, i suoi ricordi, lui stesso, diventassero neri.
Re Enma posò la penna sulla sua imponente scrivania; rilesse quanto aveva appena scritto nel suo registro, alla voce MUTEN, in una piccola sezione che recava la semplice dicitura NOTE.
“Non mi pare sia venuto male”, pensò, “un po’ sdolcinato, forse”
Con la sua solita voce cavernosa sbraitò all’anima successiva di farsi avanti.
Spoiler:
Ok, io posto oggi.