Proprio per questo sono due settimane
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Proprio per questo sono due settimane
Ok, abbiamo capito tutti il discorso, adesso pensate alle shot.
Siamo tutti spacciati, a quanto pare.
Nemmeno Dargil ha consegnato
La scadenza è il ventinove, non è detta l'ultima parola.
Io purtroppo per mancanza di idee sono ad un punto morto...
Io potrei consegnare anche all'ultimo, ma salvo imprevisti dovrei farcela.
Io consegno sempre all'ultimo, il lavoro l'ho finito da 2 giorni, solo che consegnarlo senza sfruttare il tempo concesso non mi ha mai giovato
lemon.
Finito, in giornata rileggo e posto.
Anch'io ho finito stamattina, quindi sicuramente posto entro oggi, ma credo che mi prenderò più tempo possibile per la correzione.
Doppio post perché non voglio finire in seconda pagina, spam RKO.
SINOSSI
Spoiler:
REQUIEM OF THE NIGHT
Nel cuore profondo della notte il villaggio taceva. Nessun focolaio rischiarava le tenebre peste e il silenzio tombale regnava sovrano, imprimendo in quel luogo dannato la sua quiete, così perentoria e suprema. Nessuno sano di mente, nemmeno il più intrepido degli avventurieri, avrebbe anche solo osato passeggiare mentre il buio abbracciava la regione della Transilvania. Ma questo era un veto per gli umani, ignari e impotenti che in un tacito tumulto pregavano sotto le loro umili coperte affinché quel male, ignoto ma palpabile, opprimente, non bussasse alle loro porte.
Correndo tra i fitti boschi, un impavido dalla chioma argentea sfidava le nubi tempestose, le quali tentavano di desisterlo a proseguire sfoderando fragorosi tuoni, inutilmente. Ormai prossimo alla destinazione, dinnanzi a quel gigantesco e sinistro maniero posto in cima della collina, poteva udire i lupi ululare a squarciagola, come se ne annunciassero l'arrivo con le trombe. Varcata la soglia dell'entrata, il ponte levatoio alle sue spalle si alzò, confinandolo all'interno delle mura, e fu così che gli scappò un sorriso. << Casa dolce casa. >>
Davanti a lui un vasto corridoio si estendeva a perdita d'occhio, mentre enormi vetrate ornate da splendide tende cremisi sbattevano in continuazione a ritmo del vento funesto, permettendo ai lampi filtrati dalle nuvole di illuminare la via. Nel percorso, putridi cadaveri viventi sorsero dal pavimento di granito, tappezzati da lerci stracci cosparsi di fango e sangue, che lo attaccarono in massa nella speranza di poter sbranare quel corpo vellutato. Ma non fu il caldo sapore della carne a placarne la furia, bensì una gelida lama che non conosceva la pietà, quasi ripugnata per essere stata sfoderata contro vermi di tale risma, mentre il suo padrone rimaneva impassibile, addirittura annoiato.
Fuori, in un piccolo piazzale, ove minacciose statue raffiguranti gargoyle sembravano scrutare l'intruso, dei cadaveri impalati a lance inquinavano il panorama del paesaggio romeno, come da monito per gli incauti esploratori. Nel frattempo, un figuro avvolto totalmente da una tunica logora, attendeva pazientemente l'arrivo dell'ospite. Se ne poteva scorgere il viso scheletrico all'interno del cappuccio, un teschio caratterizzato da un ghigno malefico che diede il benvenuto al nuovo arrivo.
<< Ah, Alucard. Qual buon vento ti porta? >>
<< Vento di tempesta. Sono venuto qui a porre fine a tutto questo. >>
<< La notte è ancora giovane, dovresti essere fuori a divertirti. >>
<< Il tuo umorismo è tagliente quanto un fioretto arrugginito. Levati di torno. >>
<< Ancora a parteggiare per quei miseri mortali, disdicevole. Il Conte oggi non accetta visite, torna domani. >>
<< Osa ostentare nuovamente la tua squallida ironia e ti recido la lingua che non possiedi. E non farmelo ripetere, sparisci, Dracula mi attende. >>
<< Rimpiangerai queste parole. >> e una sorta di scarica elettrica fuoriuscì dalla mano ossea.
Questo però non sembrò sortire effetto sul bersaglio designato.
<< Sapevo che avresti provato a sottrarmi i poteri, Morte, pertanto mi sono attrezzato adeguatamente. >> disse Alucard con sdegno, mostrando un talismano sacro.
<< Avrei preferito rimandare, ma così sia. >> e senza aggiungere altro Morte materializzò un'enorme falce, con la quale si avventò sul vampiro che prontamente schivò il colpo rotolando alla sua destra. I fendenti del cupo mietitore erano prepotenti e letali, perfino l'aria veniva fenduta da quell'enorme arnese, ma i riflessi dell'avversario erano migliori e gli permettevano di evitare ogni colpo, scattando all'indietro, di lato o anche abbassandosi all'ultimo momento. La sua strategia consisteva nel provocare il boia per portarlo a commettere qualche errore, in quanto in normali condizioni attaccarlo direttamente sarebbe stato deleterio, visto che la spada aveva un raggio d'azione nettamente più corto.
Morte come da programma cominciò a spazientirsi. La frustrazione di non riuscire a godere degli schizzi di sangue del vampiro cresceva a dismisura come una pustola infetta, portandolo a effettuare movimenti sempre più prevedibili e scoordinati. Alucard approfittò di questa breccia per colpirlo con una stoccata che lo fece indietreggiare dolorante. Morte si calmò, riordinò le idee e con uno schiocco di dita evocò innumerevoli falcetti, che si scagliarono seguendo un movimento rotante verso il figlio di Dracula. Alucard si rimise in posizione difensiva, proteggendosi da tutti i corpi contundenti grazie al suo impenetrabile scudo, rinunciando però alle possibilità di un contrattacco, oltretutto, gli oggetti evocati ricoprivano tutta l'area circostante e quindi diveniva sempre più difficile intercettare le varie traiettorie. Morte, cogliendo la difficoltà del rivale, si avventò su di lui usando la sua falce con tutta la forza che aveva, ma Alucard si trasformò in pipistrello, sfuggendo all'assalto.
Librandosi in cielo con le sue ali, il vampiro poté allontanarsi dal mietitore senza essere colpito dai falcetti, che diventavano estremamente prevedibili grazie ai suoi sensi, ma sapeva che questo non poteva fermare il demone, capace di galleggiare nell'aria. Morte , dopo aver gridato qualche epiteto offensivo, lo attaccò frontalmente con foga, come il falco che si avventa sulla preda, incappando però in un globo di fuoco che lo gettò rovinosamente al suolo. Alucard riprese sembianze umane e tentò di trafiggere il nemico infilzandolo in picchiata, ma non fece i conti con un falcetto a tradimento che lo ferì alla gamba durante la manovra aerea, facendolo cadere malamente.
Il vampiro tentò di rimettersi in piedi, ma Morte gli si parò davanti e con un rapido fendente lo trapassò da lato a lato. Ma nessuna fontana rossa lo accolse trionfante, nessun rumore di ossa spezzate, nessun impatto con qualche tenero muscolo, questo perché Alucard una frazione di secondo prima si era tramutato in nebbia, solidificandosi alle sue spalle. Un gelido brivido accarezzò la schiena del boia, che mollò la presa della sua arma. Alla vista di quell'enorme falce, distesa solitaria ai suoi piedi, Alucard non poté resistere, così la raccolse e fissò il suo nemico inerme con soddisfazione.
<< Tu che ti proclami signore della Morte, dovresti accettare la tua sorte invece di implorare pietà. Patetico. >> e la testa del mietitore rotolò al suolo, implodendo nel nulla, la sua dimora natale.
Alucard proseguì per la fatiscente scalinata, e arrivato in cima poté osservare come due delle vie fossero bloccate, una da un cancello spesso ed invalicabile, mentre l'altra da un enorme masso, costringendolo a prendere l'unica rimanente. Questo non lo avrebbe fermato, doveva trovare suo padre.
La leggenda narra che Dracula sia destinato a risorgere ogni cento anni per portare terrore e distruzione, ma a ogni generazione deve scontrarsi con un clan la cui missione millenaria è fermarlo: il nome di questi eroi è Belmont, cacciatori di vampiri che impugnano una frusta sacra e che si addentrano nella fortezza del signore oscuro a ogni sua resurrezione. Questa volta però è andata diversamente, difatti sono passati solo cinque anni da quando Richter Belmont ha sconfitto il padre del protagonista in un epico duello, eppure il castello è già risorto dalle proprie ceneri, suscitando la curiosità di Alucard che vi si è recato per investigare. Ma le testimonianze dei Belmont affermano anche che il castello muti ad ogni sua rinascita, come se fosse un essere senziente e dinamico, creando camere e percorsi ogni volta differenti. Per trovare Dracula gli occorreva un mezzo per orientarsi all'interno del labirinto.
Il vampiro si ritrovò nel laboratorio alchemico. Rispetto ai colori tetri dei mattoni usurati osservati in precedenza, qui l'impatto era notevolmente diverso e presentava grandi colonne corinzie dorate e strutture di marmo dallo stampo architettonico greco; ad addobbare i vari angoli delle stanze vi erano anche sculture che raffiguravano presumibilmente guerrieri romani che sguainavano le loro sciabole. Nonostante l'apparenza maestosa di queste gallerie, pochi erano a conoscenza di quali diabolici esperimenti venissero effettuati con tutti quegli intrugli posti sopra le tavole da lavoro, di certo i vari demoni umanoidi che scorrazzavano intorno davano molto da pensare. A tale verità Alucard scelse l'ignoranza, e impugnando l'elsa con veemenza, iniziò a estirpare tali abomini. Inizialmente semplici scheletri viventi rassomiglianti alle sculture, divennero presto pericolosi demoni capaci di sputare fiamme, clonarsi e lacerare la carne umana con i loro possenti artigli. Ma cosa potevano mai pretendere degli scherzi da laboratorio contro il figlio del Conte Dracula?
Tutti i nemici caddero uno dopo l'altro, lasciando una scia di cadaveri che mostrava inequivocabilmente il passaggio di Alucard. Egli pensò che fosse un mobilio più adeguato a questo luogo peccaminoso.
Man mano che il nobile saliva, l'assetto della muraglia mutava e diveniva sempre meno umano, sfociando nell'esoterismo, ma la cosa più sorprendente era la presenza di numerose torce, come se quegli affreschi arcani fossero consci di andare al di là della comprensione dell'uomo e non necessitassero dell'oscurità per occultarsi.
E fu quando entrò in un'abnorme sala, dove raffiguravano vistosi pentacoli color sangue, che capì cosa potessero significare: uno zombie mastontico, alto almeno una ventina di metri, era incatenato a delle colonne, mentre borbottava straziante incomprensibili litanie di dolore.
Secondo la mitologia, nell'antichità era un gigante che si rese famoso in seguito a numerose battaglie, ma non erano i trionfi in sé a contraddistinguerlo, bensì l'estrema brutalità con cui portava a termine le guerre, un sadismo perverso che attirò le ire degli dei inorriditi. Dopo avergli negato l'eterno riposo della morte, egli venne segregato e costretto a soffrire per l'eternità in uno stato di putrefazione, che lo rese pazzo ed ancora più pericoloso di quanto non lo fosse da vivo.
C'era un motivo se lo chiamavano Belzebù, il signore delle mosche: il mefistofelico fetore che le sue membra marce emanavano gli era valsa l'obbedienza di eserciti di insetti, che lo veneravano come se fosse una di quelle stesse divinità che lo avevano condannato.
Una pioggia di mosche grosse quanto rinoceronti si stagliò attorno ad Alucard, che prontamente sfoderò la sua spada incantata e cominciò ad affettarle una per una; prese singolarmente tali creature erano tutt'altro che temibili, ma unite formavano un branco assettato di sangue che poteva facilmente circondare un uomo. E difatti lo stormo divenne sempre più folto, arrivavano da tutte le parti e il prode spadaccino cominciò a sentirsi stordito, sino a venire bloccato sotto una montagna di zampe pelose. Spinto dall'esaurimento nervoso che gli provocava il riverbero del ronzio all'unisono, il vampiro, non potendo trasformarsi in nebbia, si districò con fatica calciando e tirando pugni all'impazzata, e quando fu finalmente libero cominciò a carbonizzare tutti gli insetti volanti che gli ronzavano attorno. Sfortunatamente, non era abbastanza per abbattere anche il colossale cadavere senziente, ma Alucard non si arrestò e continuò a tartassare la gamba di Belzebù a colpi di sciabola; la punta della lama perforava il morto vivente alla minima pressione, permettendo all'intero filo di penetrare nella polpa carnosa, ma mentre il figlio del Conte punzecchiava quell'essere aberrante, altre mosche spuntavano fuori dal nulla, come se venissero richiamate dagli inferi con un nettare inebriante.
Messo alle strette, il guerriero pensò a una nuova strategia. Le sue fiamme erano troppo modeste, il corpo a corpo era futile e trasformarsi in pipistrello lo avrebbe svantaggiato in uno scontro aereo. Con estrema riluttanza tirò fuori una boccetta contenente acqua santa, e cominciò a recitare un incantesimo. Improvvisamente, un enorme acquazzone invase la camera, semplice, banale acqua, che però al temibile Belbezù pareva piuttosto acido corrosivo, e di quella mostruosità non rimase alcuna traccia dopo pochi secondi. Normalmente questo espediente avrebbe danneggiato il nobile, ma tra i talismani che aveva portato con sé ne aveva uno anche per neutralizzare la letalità del liquido sulla pelle della sua specie.
In ogni caso era visivamente contrariato per aver sfoderato tale risorsa, probabilmente sperava di usufruirne in uno scontro più decisivo, piuttosto che contro l'ennesimo lacchè del padre.
Alucard seguì l'istinto e si diresse verso la strada più facile e scontata. L'arredamento era differente e si mostrava più caldo e allo stesso tempo inquietante, luci soffuse e delicate sculture demoniache creavano una speciale armonia tra colori e forme. Ovviamente vi vivevano diversi nemici, tra i quali dei nani saltellanti e dei cavalieri specializzati nell'uso delle asce. Avversari poco encomiabili per un ospite d'onore, che mai avrebbero potuto rallentarlo. Nella camera successiva vi erano posti numerosi orologi a pendolo, tutti sincronizzati perfettamente in un ticchettio quasi isterico. Non che l'orario avesse qualche valenza nel castello di Dracula. Al centro vi si trovava una possente guardia dorata, un contendente pericoloso.
Senza ulteriori esitazioni il vampiro si lanciò all'attacco tentando di abbatterlo in fretta, ma l'acciaio raffinato della sua arma venne respinto facilmente da una barriera creata con il palmo della mano. Appena il giovane si rimise in guardia tramite una capriola, il nemico, munito di un pesante spadone, lo attaccò duramente martellandolo di affondi velocissimi, che vennero prontamente bloccati dallo scudo. Nonostante quest'ultimo resistesse degnamente all'assalto, il braccio sinistro di Alucard perdeva sensibilità, costringendolo infine ad indietreggiare per non venire travolto. Il nemico insistette nell'offensiva e falciò il suolo con violenza provocando una forte onda d'urto, ma essa venne prontamente schivata dal vampiro con un balzo, il quale tentò poi di contrattaccare con delle sfere infuocate. Anche questo però si rivelò inutile contro la barriera magica. Il cavaliere tentò una nuova serie di stoccate, ma ciò che colpì fu solo nebbia, e con la stessa strategia adottata in precedenza, il figlio di Dracula ebbe la possibilità di infliggergli un fendente alla schiena che scheggiò la sua armatura splendente. A differenza del cupo mietitore però, questo avversario non sembrò risentire in alcun modo del danno, e girandosi di scatto menò un devastante fendente che Alucard parò a malapena con il piatto della spada. In un modo o nell'altro era riuscito ad oltrepassare quel soldato coriaceo, e avrebbe potuto proseguire nel cammino sapendo che non sarebbe stato inseguito. Ma l'orgoglio di Alucard divampò come il più incandescente degli incendi e cominciò a far danzare la sua fida compagna di metallo contro la barriera del nemico, senza tregua, senza sosta, come un tornado che si abbatte ineluttabilmente su un villaggio. E dopo qualche minuto, asciugandosi la fronte dal sudore, lo spadaccino poté finalmente bearsi dell'elmo dorato come trofeo.
Alucard si ritrovò dinnanzi ad un vistoso orologio affisso sulla parete, qualcosa di ben diverso da quegli insulsi pendoli. Prima che potesse esaminarlo, notò un cadavere in un angolo: era di una ragazza bionda e sembra fosse stata pugnalata al cuore. Appesa al suo collo il vampiro trovò una collana d'oro, così simile a quello di un suo caro, e improvvisamente un turbinio di ricordi lo assalì.
In un mezzo ad una folla inferocita, munita di forche e torce, una splendida donna dai capelli biondi viene condannata al rogo, legata ad una croce in onore della sacralità. È stata accusata di stregoneria, di servire il diavolo e di rapire i bambini nel cuore della notte. In realtà il suo unico peccato è quello di aver amato un uomo diverso, un Conte. Dalla loro unione nacque un bimbo speciale, metà uomo metà vampiro, costretto a vedere la sua stessa madre bruciare sotto i suoi ingenui occhi.
Nella sua testa rimbomba una frase, che lo accompagnerà per tutta la vita. << Figlio mio, so che gli umani hanno sbagliato, e che spesso possono apparire malvagi... Ma ti prego, non odiarli. >>
Mosso dal dolore e dal rimpianto, Alucard lasciò sfogare la sua bestialità e si trasformò in lupo, correndo lungo la via e sbranando famelicamente chiunque tentasse di ostacolarlo. Lungo il tragitto vi si potevano scorgere colonne arcaiche e levigate, oramai imbrattate dal sangue dei nemici del figlio di Dracula. Oltrepassata l'ennesima porta, il protagonista si ritrovò nelle mura esterne del castello, una gigantesca terrazza posta talmente in alto che era possibile ammirare la luna piena che oziava sopra le nubi viola e burrascose. Qui, impiccati con delle corde di sughero, vi erano corpi senza vita che penzolavano nella brezza montanara.
Alucard salì lungo le scale di pietra ed entrò nella biblioteca. Al posto delle comuni pareti, in questo edificio vi erano solo enormi scaffali dove vi era riposta una smisurata cultura, un quantitativo di informazioni che nemmeno il più geniale tra gli uomini avrebbe anche solo potuto sognare. Qualsiasi dubbio che l'umanità perseguiva sarebbe svanito sfogliando i tomi polverosi che la libreria offriva, ma non sarebbero bastate le esistenze di mille individui per leggere tutto. Ma come tutta la dimora di Dracula, anche questo luogo era maledetto e qui non bastavano scheletri assassini o piante carnivore: anche i libri prendevano vita, e portavano con sé orribili malefici. Ciò poteva impensierire un profanatore incauto, impotente di fronte ai pericoli che si celavano in quell'inchiostro, tuttavia il temerario Alucard si limitò a strappare le pagine dei volumi con le sue stesse mani. E finalmente trovò cosa andava cercando.
Il Maestro Libraio era seduto dietro una scrivania nel suo ufficio, un acuto anziano che oltre a essere il custode del luogo, era anche un noto ricettatore. Egli fu felice di rivedere il suo signore, e dopo una leggera titubanza, accettò di offrirgli una mappa in cambio di un ingente compenso futuro. Sapeva che Alucard è un uomo di parola, avrebbe solo dovuto attendere altri novantacinque anni. Una bazzecola per un essere quasi eterno, certo, a nessuno era dato sapere a cosa potesse servire il denaro in una simile circostanza.
Osservando la pergamena appena ottenuta, Alucard individuò immediatamente la sua meta finale: la stanza del trono. Uscito dalla biblioteca, il vampiro intraprese una scalata verso la cima delle mura; c'era anche un ascensore di ferro grezzo nelle vicinanze, ma si sentiva più sicuro usando le sue gambe. Lungo la salita trovò una moltitudine di nemici, perfino soldati del male armati di fucili e spadaccini provetti, tutta carne da macello.
Arrivato nel punto designato dalla mappa, il protagonista si ritrovò dinnanzi ad un enorme ponte roccioso, all'apparenza piuttosto malconcio, mentre sullo sfondo poteva ammirare la catena montuosa della Transilvania che regnava nella desolazione. Non appena la suola dei suoi stivali poggiò terra, il suolo sotto di lui cominciò a sbriciolarsi, costringendolo a saltare dall'altro lato, ma prima ancora di attutire la caduta, degli spettri lo assalirono facendoli perdere l'equilibrio. Alucard cadde nel precipizio, nella risata generale degli ectoplasmi, ma la loro ilarità durò ben poco quando un elegante pipistrello risorse dal burrone in cerca di vendetta. Arsi i nemici nella sua forma da volatile, il vampiro giunse all'interno di un'enorme torre caratterizzata da una complessa struttura meccanica. Vi erano dei grossi ingranaggi che fungevano tramite l'energia idrica, la quale fluiva attraverso canali interni e si collegava direttamente alle falde acquifere dei sotterranei, ove vi erano presenti enormi laghi e perfino una cascata. Adiacente alla torre steampunk, vi si trovava un antico tempio, dall'atmosfera tenebrosa che ricordava molto un luogo cerimoniale, dove venivano sacrificate candide donzelle per appagare l'avida sete del Conte Dracula. Qui vi erano guerrieri dannati, costretti a combattere in forma spettrale anche quando venivano uccisi. Per Alucard non faceva differenza privarli della vita una o due volte, anche se provava un po' di pietà per quegli errabondi.
La meta era oramai prossima. Delle lanterne con l'effige di un leone rischiaravano flebilmente il buio, mentre una piattaforma mobile accompagnava Alucard verso la cima. Qui trovò un pregiato tappeto rosso che annunciava la via verso il trono del signore oscuro, tuttavia, la scalinata era in parte crollata e Alucard per superarla dovette trasformarsi in pipistrello. Mentre volava, poteva ammirare l'enorme campanile del castello, le cui campane rombavano nel cielo coprendo persino il concerto della tempesta.
Il protagonista era pronto ad affrontare il sangue del suo sangue, e senza esitazione aprì il portone che conduceva alla sala del Conte in persona, ma a sua sorpresa egli era a terra, ferito, mentre seduto sul trono vi era un uomo dal cappotto blu, che stringeva una frusta. La vampire killer. La presenza del nuovo spettatore attirò l'attenzione dell'usurpatore, che con tono arrogante richiamò il vampiro.
<< Non immischiarti in faccende che non ti riguardano, straniero. >>
Alucard notò immediatamente l'arma che impugnava. << Quella frusta... immagino tu sia Richter Belmont. >>
<< E invece io posso immaginare che tu sia uno sporco demone, a giudicare dal tuo fetore. >>
<< Non capisco. Non fosti tu a uccidere Dracula cinque anni fa? Perché il ciclo è stato spezzato? >> chiese il nobile, totalmente indifferente agli insulti e mosso unicamente dalla curiosità.
<< Semplice. Sono stato io a far risorgere il signore oscuro, offrendogli in sacrificio il sangue di una vergine. >>
<< Quindi sei stato tu... mostro. Perché? Perché stai facendo tutto ciò? >> Alucard cominciava a perdere il suo temperamento, pensando alla ragazza trovata nella stanza dell'orologio.
<< Come ben saprai, il compito di ogni Belmont è quello di combattere Dracula. Veniamo istruiti sin da piccoli per adempiere al nostro obiettivo, e tutta la nostra esistenza verte su questo. Sono stato addestrato nel combattimento in ogni sua forma, dal lancio dei pugnali sino all'uso di questa frusta. Ho sopportato allenamenti durissimi al limite della sopportazione umana, sono stato indottrinato con preconcetti cristiani, ho rinunciato a tutto pur di diventare il miglior cacciatore di vampiri mai esistito. Il mio destino è questo, io >>
<< Ho capito. >> lo interruppe Alucard, visivamente disgustato. << Non hai trovato alcun senso alla tua esistenza, e perciò hai pensato bene di riportare in vita il tuo arcinemico, sacrificando la vita di un'innocente e minacciando l'intera umanità. E tutto questo per mero ego. >>
<< Non permetterti di giudicarmi. Non puoi comprendere quello che sto vivendo. Io non ho tradito nessuno, sconfiggerò Dracula per l'eternità. >>
<< Le tue parole sono vuote come la tua anima. Vedo con rammarico che il buon nome dei Belmont è stato corrotto durante la mia assenza. Sarà mio compito purificarlo. >>
Richter, dopo aver sbuffato con ilarità, si alzò e con un elegante serie di capriole si avvicinò al suo nemico. Alucard non era per niente impressionato, dentro di sé covava solo collera per quell'uomo. I due estrassero vicendevolmente le loro armi e si scrutarono intensamente: passarono pochi secondi prima che si potesse avvertire il respiro dei due, ma parvero secoli interminabili. Prima ancora di rendersene conto, Alucard era già scattato in modo fulmineo verso il Belmont, mentre la sua spada attendeva fremente di mozzarne la testa. Ma la risposta dell'avversario non si fece attendere, e prima che lo spadaccino potesse anche solo avvicinarsi alla sua preda, un duro colpo ne sfigurò il volto dai lineamenti delicati.
La frusta di Richter strisciava nel suolo, come un serpente sinuoso che tenta di confondere il nemico, pronto ad affondare i venefici denti non appena si fosse avvicinato. Alucard non si fece pregare e tentò nuovamente la carica, questa volta riuscì a intercettare la rapida sferzata prima che lo toccasse, ma nella fretta commise un errore di valutazione: la frusta era riuscita ad incatenare la spada, lasciando la mano destra disarmata. Ma il guerriero aveva ancora lo scudo, che usò per spintonare duramente il nemico. Mentre Richter si toccava dolorante il fianco, lo spadaccino spiccò un guizzo in aria e si lanciò in picchiata con un calcio volante. La frusta non si fece cogliere impreparata e catturò la caviglia del vampiro al volo, scaraventandolo addosso alla parete. Ora il protagonista era con le spalle al muro, mentre Richter aveva preso l'iniziativa agitando in modo forsennato la sua arma. Era un vero e proprio uragano di frustate, Alucard tentava disperatamente di proteggersi dietro lo scudo, ma le parti scoperte del corpo come le gambe e la fiancata destra venivano seriamente danneggiate.
Infastidito dalla risata del Belmont ancor più degli ematomi pulsanti, egli lanciò il suo oggetto contundente verso la tempia rivale, che venne solo sfiorata. Questo gli permise comunque di far breccia nella difesa nemica e di colpire direttamente la mascella con una gomitata.
Il figlio di Dracula non commise più l'errore di rimanere disarmato, e si precipitò a raccogliere la sua letale spada, mentre Richter si rimise in piedi più arrabbiato che mai, sputando un dente frantumato. I due corsero incontro all'altro, senza più tattica o eleganza, solo la foga muoveva la loro volontà, mentre i brutali scambi tra i loro mezzi di morte creavano assordanti frastuoni metallici. I due non si risparmiarono nessun colpo, e non appena si resero conto dello stallo, iniziarono ad usare ogni risorsa disponibile. Se Richter scagliava affilati pugnali, Alucard rispondeva con ardenti sfere infuocate. Se Alucard evocava spiriti di supporto, Richter sfoderava il suo boomerang a forma di croce.
Erano due lottatori eccezionali, dotati di abilità differenti ma altrettanto valide, il che creava una frustrante e logorante parità. Ma il vampiro aveva ancora qualche asso nella manica e ricorse così alle sue mutazioni. Nemmeno la vampire killer poteva anticipare i riflessi di un lupo, e questo permise al vampiro di affondare le sue zanne nella spalla del cacciatore, che urlò selvaggiamente. Il Belmont, raccogliendo le forze residue, estrasse l'ultimo pugnale che gli rimaneva e lo affondò nella schiena della bestia, che immediatamente tornò a vestire sembianze umane. Mentre Alucard tentava di rimuovere lo stiletto dalla schiena, una sonora frustata lo punì per il suo affronto. E un'altra. E un'altra ancora. Fu un massacro, che ruppe diverse vertebre al protagonista mentre il suo carnefice sghignazzava compiacente per lo spettacolo. Ma lo sguardo del vampiro non accennava resa. Il suo corpo mostrava sempre meno reazioni, ma la sua volontà era rigida, impiegabile.
La presunzione dell'umano divenne presto umiliazione, infatti, nonostante la forza che imprimeva nei suoi colpi, nonostante l'intensità con cui la sua arma leggendaria si abbatteva sulla quella schiena, l'individuo non sembrava voler accettare il proprio fato. Richter caricò l'ennesima frustata, un impatto capace di frantumare il capo di un bufalo, questa volta però Alucard bloccò la catena con la sua nuda mano, stringendola in una morsa inespugnabile. Prima ancora che il cacciatore potesse focalizzare la situazione, il suo equipaggiamento venne strappato dalle sue grinfie e un uppercut lo colpì direttamente sul mento. Il Belmont non si arrese e si lanciò in scivolata sul nemico, ma questo lo accolse con un calcio basso che gli ruppe il naso. Alucard lo afferrò per il colletto della giaccia e lo proiettò in modo irruento contro il portone d'ingresso. L'umano agonizzante tentò di strisciare verso l'esterno, ma venne afferrato per il cuoio capelluto e massacrato di pugni; le nocche del protagonista pestavano il corpo di Richter, rompendogli le ossa e spappolandogli gli organi interni. Quando ebbe vomitato abbastanza sangue, il cacciatore venne trascinato verso fuori dall'edificio mentre la mano del vampiro stringeva il suo collo come una tenaglia. Alucard era pronto per gettarlo nel precipizio, laddove la scalinata aveva ceduto. Ma l'umano moribondo non era ancora pronto a dargliela vinta, e dopo aver chiuso la vita di Alucard incrociando le sue gambe attorno, con una tecnica di karate colpì ripetutamente il fianco destro del collo nemico. Il vampiro strinse i denti, sopportando in silenzio gli urti senza allentare la stretta e continuando a strozzarlo. Ben presto la mano del cacciatore divenne sempre meno pesante, dopo ogni tentativo era sempre più floscia, fino a quando il braccio non cadde, esausto, seguito poi dagli arti inferiori.
La corrente gelida accarezzava il viso martoriato del vampiro, che con sguardo truce emise la sentenza.
<< Che la morte possa lavare l'onta di cui ti sei macchiato. Riposa in pace. >>
Non urlò, né imprecò. Forse aveva accettato la morte, forse l'aveva sempre cercata. Nessuna sinfonia della notte accompagnò Richter nella sua caduta, solo un tonfo sordo che ne annunciò la capitolazione.
Nel salone principale, Alucard raccolse la sua spada, mentre il terzo incomodo aveva ripreso conoscenza.
<< Ben fatto figliolo. >>
<< Risparmiati le lusinghe, sono qui per finire il lavoro. >>
<< In quelle condizioni? Non sopravvalutarti. Hai lottato strenuamente stanotte. >>
<< Non abbastanza. >>
Dracula voltò le spalle ad Alucard e alle sue minacce, sedendosi sul trono in modo disinvolto.
<< Tua madre non avrebbe mai voluto tutto ciò. >>
<< Non desiderava nemmeno che tu dessi inizio a una folle guerra verso la sua specie. >>
<< La tua forza è seconda solo alla tua ingenuità, Alucard. Ti sei unito alla causa degli umani spinto dalla purezza dei Belmont, eppure stasera hai avuto la prova che nemmeno loro sono incorruttibili. Gli umani sono ipocriti, si nascondono dietro a concetti come bene e male, ma in realtà tutti abbracciano la stessa filosofi di sopravvivenza. >>
<< Le gesta di un uomo non possono cancellare la storia di un clan, hai sempre sottovalutato la forza d'animo degli umani. Sanno bene che ogni vittoria contro di te non sarà mai definitiva, e che un solo fallimento potrebbe costargli tutto, eppure hanno sempre vinto. Loro sono mossi dalla speranza, mentre tu ti adagi sugli allori, ben conscio che la morte nel tuo caso significa solo un lungo sonno. Sei un debole. >>
<< Parole taglienti, ma rimangono pur sempre parole. Il vecchio Alucard non avrebbe aspettato a darmi il colpo di grazia, quindi ti chiedo, figlio mio, come mai tentenni? Perché le tue mani tremano mentre reggono la tua spada? Dov'è finita la tua aria tronfia e spocchiosa? >>
Alucard non voleva ammetterlo, ma il padre aveva fatto centro. Gli sconsiderati piani di Richter Belmont lo avevano profondamente turbato, lo avevano privato di una delle sue poche certezze.
<< Forse non te ne rendi conto... >> il tono di Dracula si fece sempre più mesto << ma siamo entrambi molto più simili agli umani di quanto tu creda. Anche io ho provato quello che loro definiscono sentimenti. Amore, rabbia, gioia, odio. Ho amato una donna, una splendida creatura che ti ha donato al mondo, ma mi è stata sottratta dall'ignoranza e dai pregiudizi di un popolo barbaro. >>
<< Non puoi condannare tutti per... >>
<< Per cosa? Per aver messo assassinato tua madre in nome di un Dio fasullo? Ovvio che non lo posso fare! Io non condanno il genere umano, esigo solo vendetta. Altri la chiamerebbero giustizia, ma non sono ipocrita. Riconosco che le mie motivazioni siano discutibili, ma questo non è sufficiente a spegnere l'odio che provo verso quei marrani. >>
Alucard si intristì. Aveva sempre visto il padre come un demone senza cuore, uno sterminatore il cui unico freno era l'amore verso una donna. Invece aveva completamente frainteso, era proprio la perdita di quel tesoro che lo aveva trasformato.
<< Tutti gli esseri umani hanno delle emozioni, odio compreso. E questo valeva anche per tua madre. >>
<< Smettila con le calunnie. Non potrei mai dimenticare le sue ultime parole... >>
<< Un ultimo regalo dettato dall'amore sconfinato che provava per te. >>
L'umore del protagonista mutò e divenne più aggressivo.
<< Cosa vorresti insinuare? Parla! >> gridò.
<< Sembri pronto per la verità. >>
<< Smettila! Dimmi subito quello che sai, o ti ammazzo seduta stante! >>
<< L'odio è come un cancro. Cresce in modo incontrollato e cessa solo quando il corpo esala l'ultimo respiro. Tua madre voleva solo evitarti questo tormento. La tortura che io sono costretto a vivere giorno per giorno. Forse non avrebbe approvato i miei gesti, essendo di buon cuore, ma non mi avrebbe mai biasimato. >>
Il viso tumefatto di Alucard venne rigato da delle lacrime. Non ce l'aveva con sua madre per avergli mentito. Non riusciva a condannare gli umani, ma nemmeno a criticare il padre. Perfino quel Belmont ora gli faceva pietà e suscitava in lui sconforto.
Dracula rimase in religioso silenzio, conscio dell'impatto psicologico della verità.
Alucard chiuse gli occhi e meditò sulle recenti rivelazioni.
<< Ho sbagliato a giudicarti. Non approvo la tua crociata, ma... È difficile. Non odio l'umanità, nonostante i crimini di cui si è macchiata, perché so che al mondo esistono ancora persone oneste, meritevoli di fiducia. Ma ora è diverso. Non trovo più ragioni per combatterti. Non ti darò man forte in questo genocidio, ma non punterò più la mia lama su di te. >>
<< Rispetto la tua decisione. Prima che tu vada... sappi che ti ho sempre rispettato come nemico, e amato come figlio. >>
<< Addio, padre. >>
La tempesta si era ormai dissolta, lasciando spazio alla stellata. Mentre il Conte sorseggiava un liquido vermiglio da un pregiato calice, un sacerdote si presentò al suo cospetto.
<< Ho seguito gli avvenimenti tramite la sfera di cristallo, mio signore. >> disse il misterioso figuro.
<< Il tuo controllo mentale su Richter Belmont è stato un'opera d'arte, Shaft. >>
<< Niente in confronto al suo piano. Ha finalmente stipulato una tregua con il signorino Alucard e lo ha usato per annichilire il Belmont. Non abbiamo più ostacoli. Mi chiedo soltanto se la bugia sulla madre non sia stata troppo per la psiche del ragazzo. >>
<< Non ho mai mentito su di lei. Non lo farei mai. >> disse Dracula mentre osservava il suo più prezioso cimelio, una collana d'oro.
Un enorme pipistrello si sollevò in cielo, pronto finalmente alla caccia.
Ragazzi io ho già iniziato la shot ma non penso di riuscire a finirla in tempo, il fatto è che in estate e durante i primi giorni di scuola potevo garantire la mia disponibilità ma ora non è più così, i momenti in cui posso dedicarmi al torneo non sono molti e d'ora in poi potrei saltare parecchi turni.
Proverò a concludere comunque, al massimo mi terrò solo allenato per le prossime manche.
Informazioni sparseSpoiler:
Dark Slayer
Un mare desolato si estendeva negli abissi, divorandoli completamente. Non esisteva un confine e dall’acqua solida spuntavano detriti di una civiltà millenaria. Vergil provò ad alzarsi, senza successo. Ricordava il volto del fratello, mentre il resto veniva oscurato dal suo animo affranto. Aveva perso.
Altre volte la sua nemesi aveva dimostrato di poterlo combattere alla pari, ma questa volta lui aveva la Force Edge, che era la spada, o meglio ancora, l’essenza di suo padre Sparda. Ed aveva comunque perso.
Non era questione di rivalità. Vergil si era dimostrato incapace di essere all’altezza della leggenda del padre, venendo eliminato da quella sua ombra grottesca che era Dante. Era a questo che stava pensando mentre un triangolo di fulmini ed oscurità lo sovrastava nel cielo, fissandolo. Vergil sapeva di chi si trattava.
Mundus, colui che aveva il diritto di regnare negli inferi, era stato precluso da quel compito 2000 anni prima da Sparda dopo una guerra di dimensioni straordinarie. Era diventato una caricatura, ridotto all'esilio nel più profondo buco delle tenebre. Per quanto non avesse più i poteri di un tempo, rimaneva comunque un avversario temibile, e mai si sarebbe dimenticato di ciò che il padre di Vergil gli aveva fatto.
Con un grosso sforzo, Vergil riuscì ad alzarsi, nell’aria delle risate gutturali.
<<Ho osservato gli scontri, bastardo di Sparda. Ho sperato ogni volta nella rovina di entrambi>>
Vergil rise di scherno <<La speranza è l’unica cosa rimasta alla tua forma grottesca, Mundus>> sputò un grumo di sangue <<e pare che tu abbia avuto molto tempo per pensarci sopra>>
Dall’occhio fiammeggiante erano emerse diverse saette, colpendo in pieno Vergil, che cadde di nuovo in ginocchio, sotto atroci sofferenze. Sapeva di non avere speranze, soprattutto nel pessimo stato in cui si trovava. Non gli importava.
Si rialzò, ringhiando verso Mundus.
<<Sarà divertente combattere contro il Principe dell’Oscurità>> sguainando la sua Katana, Yamato. Dono di suo padre, da quando l’aveva ricevuta, non se ne era mai staccato. Era parte di lui, un prolungamento del suo braccio, materializzazione di tutte le sue idee. Yamato poteva aprire le porte del mondo demoniaco e solo Vergil poteva controllarla. Nessuno più di lui meritava il potere del padre. Ma adesso era destinato ad altra sorte.
<<Se l’ha fatto mio padre, allora potrò farlo anche io>> impugnando l’arma in una posizione di combattimento.
Partì verso il suo nemico in una carica mortale. Perché Vergil voleva morire, porre fine alla sua vita, anche in quel luogo dimenticato da tutti. E sarebbe morto secondo il suo desiderio, secondo la sua volontà. Arrivato in prossimità dell’avversario, Vergil saltò. Nell’eseguire l’attacco aereo, lasciò scoperta la parte destra del petto. Un’altra saetta di Mundus e sarebbe finita.
Ma il signore decaduto aveva evidentemente altri piani. Vergil venne paralizzato.
<<Tu non hai ancora capito in che cosa sei capitato, bastardo di Sparda. Questo non è che l’inizio, e ora che sei in mano mia la morte sarà il tuo sogno più dolce. In questi 2000 anni ho passato ogni giorno a pensare su come vendicarmi della dinastia del traditore, e se per farlo dovrò usare i suoi figli, così sia. Tu sei diverso dall’altro bastardo. Tu hai delle aspirazioni più grandi di quante ne aveva tuo padre, aspirazioni che oggi come in futuro saranno la tua rovina, ed il tuo odio per la specie umana è tremendo. Per questo mi servirai. Hai sempre desiderato il potere ed io te lo darò. Ma non pensare che ti appartenga, senza la tua anima.>> e di nuovo, Vergil venne travolto da una marea di saette. Ogni lampo gli divorava una parte della sua energia, con lo spirito che si affievoliva sempre di più. Poi un raggio oscuro lo travolse, abbracciandolo completamente in una morsa che sapeva di umido ed oscurità, imprigionandolo in una sfera.
Stava cadendo in qualcosa di oscuro, con la tetra luce infernale che spariva per sempre. Mentre la sua anima veniva inghiottita, l’unica cosa che gli tornò in mente fu il momento in cui trafisse Dante con la sua stessa spada, durante il loro primo scontro, abbandonandolo morente sotto la pioggia in cima alla torre maledetta degli uomini deboli.
D’un tratto, sentì il potere sgorgargli di dosso. Quella che sembrava una caduta, stava invece diventando una risalita, così veloce e potente da risultare spaventosa. La sfera si distrusse in migliaia di pezzi, mentre l’essere al suo interno, un tempo Vergil, camminava per la prima volta. Aveva un’armatura oscura, intrisa di aura malefica ed istoriata di manifestazioni di quella che un tempo era la sua anima. Il suo elmo ne copriva completamente il volto, con corna ruggenti ed occhi di luminosa e violacea intensità, capaci di annichilire ogni avversario. Cadendo sull’acqua, il suo enorme mantello rosso volteggiò, facendo spuntare per un istante delle ali intorno a quell’angelo nero. Era esattamente questo, Nero Angelo. Un guerriero decaduto, senza onore o rispetto. Un essere divino ripudiato dal suo mondo.
Si alzò e fissò Mundus. Notò per terra la Yamato e la raccolse, osservandola per un attimo. Improvvisamente la puntò verso il triangolo fiammeggiante. Per un brevissimo istante la lucentezza dei suoi occhi sparì e, con una rapida mossa, rivolse la spada verso sé stesso, nell’atto di trafiggersi. A contatto con l’armatura, la lama si spezzò in 2, cadendo e sprofondando nel mare solidificato.
Nero Angelo si portò le mani alla testa ed urlò.
Era sulla cima del castello circondato dalle statue dei gargoyle, con le braccia conserte e gli occhi chiusi. Un rumore gli fece riaprire gli occhi viola, interrompendolo dal sogno. La porta principale veniva aperta ed un estraneo entrava nel castello. Era il momento di agire. In una frazione d’istante fu solo aria scura quella che rimase al posto di Nero Angelo.
Più sotto, ai margini di una finestra, una figura incappucciata stava seduta ad osservare la scena.
L’estraneo entrò nella camera da letto, guardandosi intorno con diffidenza. Si vide per un attimo nel grosso specchio alla sua destra, disinteressandosene poco dopo. Ma non fu lo stesso per l’immagine riflessa. Come se avesse una sua vita, uscì dallo specchio, attirando l’attenzione dell’estraneo. Guardò l’immagine, ed essa cambiò, da copia perfetta dell’estraneo a Nero Angelo. Il cavaliere oscuro osservò la figura di fronte a sé, vestita di rosso, di capelli bianchi e con uno spadone dietro la schiena. Sapeva che sarebbe stato un combattimento cui valeva la pena partecipare.
Con calma, si diresse verso il balcone, facendo cenno al guerriero di seguirlo, prima di anticiparlo per andare sul tetto. Il terrazzo si affacciava interamente sul cortile. Al piano terra c’era un piccolo giardino, mentre di sopra il portico permetteva camminate di cortesia per poter apprezzare il cielo notturno. Era tutto piuttosto ampio, rivelandosi un campo di combattimento ideale. Il guerriero rosso non si fece attendere, uscendo poco dopo, e Nero Angelo capì che la sfida era stata accolta, gettandosi subito contro il nemico. Il guerriero rosso parò di colpo il fendente, dimostrando degli ottimi riflessi, ma non fu altrettanto col successivo, che lo costrinse a schivare, andando sotto all’ingresso principale. Nero Angelo lanciò una sfera di energia sul portico, facendolo crollare in direzione del guerriero rosso che, incapace di schivare il colpo, sprigionò la sua forma demoniaca rendendo i detriti in cenere, tanto erano veloci i suoi attacchi. Subito dopo si lanciò in un affondo incredibile, simile ad un pungiglione e capace di coprire la distanza tra i due in un battito di ciglia. Nero Angelo parò il colpo, subendo allo stesso tempo un drastico contraccolpo che gli fece affondare le caviglie per terra. Afferrò la spada del nemico e gli diede un calcio sull’addome, privandolo dell’arma e causandogli il ritorno alla forma normale. Gettò la spada per terra, mentre il guerriero rosso saltò sul muro di sopra.
Ma il teletrasporto di Nero Angelo fu più veloce e lo colse alle spalle. Capelli bianchi fece un salto all’indietro prima di venire troncato in due e tirò fuori due armi da fuoco con cui crivellò Nero Angelo, che parò prontamente con la sua immensa spada. Era tutto un bluff, ed infatti il nemico riuscì a sferrargli un insieme di pugni e calci tali da disarmarlo. Erano entrambi senza armi ora.
Iniziarono ad attaccarsi a vicenda. Gancio destro, finta e sinistro, tutti previsti da Nero Angelo, contrattaccando successivamente l’avversario, prima deviandogli il calcio e gettandolo verso il muro, poi con un pugno verso difesa scoperta. Lo spinse di nuovo sul muro e lo afferrò al collo. Era finita, toccava solo dargli il colpo di grazia. Alzò il braccio destro carico di energia e mirò al cuore, quando un luccichio distolse il suo sguardo. Una collana pendeva sul petto del nemico e per qualche maledetta ragione era familiare al cavaliere oscuro. Un’ondata di calore travolse Nero Angelo e la testa iniziò a pulsargli. Di colpo fiumi d’immagini gli attraversarono la mente, come se fossero ricordi di una vita antica. Lasciò la presa sull’avversario e, impazzito, Nero Angelo volò via.
Si risvegliò nella sala del trono, seduto sullo scranno. Quel castello aveva origini molto lontane, costruito e vissuto da altri tempi. L’isola stessa, Mallet Island, era un luogo dimenticato e maledetto.
Gli uomini che ci avevano vissuto non erano malvagi, ma semplicemente incompresi. Quelli che potevano sembrare dei reietti si dirigevano verso una terra piccola ma libera, dove potevano praticare qualsiasi mestiere e credere in ciò che volevano. Fu così che Mundus li assoggettò, riducendoli suoi schiavi in nome di una falsa religione, che fu la stessa base per cui gli abitanti costruirono il castello.
Non si sapeva se la causa della loro morte fosse stata un sortilegio di Mundus o la loro ambizione, ma fatto stava che sparirono tutti nel nulla, senza lasciare nessuna traccia. Il Castello era maledetto, per certi versi, proprio perché nessuno lo aveva mai potuto abitare. Aveva una sua vita e cambiava di volta in volta le stanze, sempre circondate dal silenzio e dalla polvere. Era quello il portale che avrebbe fatto ritornare Mundus in vita.
Il portone si aprì, rivelando per l’ennesima volta la figura in rosso. Il cavaliere oscuro si alzò, all’esterno esplodeva un fulmine, irradiando di immagini deformi la stanza. La spada del guerriero si alzò, puntando dritta verso lo sguardo del rivale. Nemmeno il tuono, che sopraggiunse da lì a poco, poté spezzare un legame visivo così saldo. Nero Angelo decise di usare tutta la sua energia, ed in breve venne avvolto dall’esalazione della sua aura. L’elmo gli oscurava la vista, così lo disintegrò, rivelando il suo volto. Adesso poteva vedere chiaramente l’avversario che, senza aspettare oltre, lo incalzò in combattimento.
Nero Angelo parò il fendente fulmineo e furono faccia a faccia. Ma qualcosa stava cambiando intorno a loro.
Improvvisamente la sua visione venne distorta, e quello che si trovò di fronte fu un avversario diverso, almeno apparentemente. Era più giovane. Intorno a loro un fruscio costante e gocce d’acqua li stavano travolgendo. Al posto del suo spadone aveva una Katana. Entrambi si dilettarono in un velocissimo scontro tra spade, risultando impercettibili anche per la pioggia. L’ennesimo fendente incrociato li spinse uno lontano dall’altro, infrangendo l’allucinazione. Nero Angelo si sentiva spaesato, ma il suo avversario non gli lasciava tregua, sparando una sfera infuocata da uno dei suoi due guanti fiammeggianti. Il guerriero oscuro la squarciò con un pugno, e mentre il fumo si dissolveva, lo stesso accadeva per la realtà circostante. Una stanza circolare con muri spigolosi ed un pavimento varcato da strisce di luce bianca. Nero Angelo questa volta non si fece sorprendere e partì in un violento attacco. L'avversario parve come sorpreso, e fece a malapena in tempo ad intercettare il primo colpo, ma non il secondo. Un raggio di luce lo colpì dritto in faccia, facendolo inginocchiare. Nero Angelo notò un guanto artigliato nella sua mano sinistra, ma il tentato affondo del nemico lo riportò subito allo scontro. Non essendoci spazio per schivare, il cavaliere oscuro sprigionò un'ondata di energia fatta di parole maledette, che spinsero il nemico rosso dall'altra parte della stanza. L'avversario si riprese con una capriola. Entrambi si fissavano, preparandosi all’assalto finale. La sala venne distrutta ed il terreno coperto dall’acqua. Adesso si trovavano in una cascata fatiscente, circondati dalle rovine. Partirono all’attacco in una corsa all’ultimo sangue, dove ad ogni passo getti d’acqua venivano lanciati in aria. Alla fine della corsa i due eseguirono i loro affondi finali, e l’eco di qualcosa continuava a risuonare. “Dante”.
Erano ritornati nella sala del trono. L’armatura di Vergil era scalfita, ma non era niente in confronto alla ferita apportata ai danni di Dante, che intanto indietreggiava ferito. Vergil era tornato sé stesso, vittima di quel malefico sortilegio che lo aveva imprigionato per anni. Non riusciva a parlare, e prima di fare qualsiasi cosa, sentì qualcosa nel palmo della spada. Vide un amuleto, quello che gli diede sua madre. La testa gli stava scoppiando, facendogli perdere la presa dell’oggetto, caduto per terra. L’energia oscura lo aveva circondato, cancellando per sempre quel luogo maledetto da cui fuggì pieno di rimorso e paura.
Vedeva una villa, nascosta in una foresta lontana dalla civiltà. Nell’aria echeggiavano le risate dei bambini ed il profumo delle rose era costante, immerso in una natura rigogliosa e soleggiata. Una donna dai lunghi capelli dorati sedeva ordinata sotto l’ombra di un’enorme albero. Più le ci si avvicinava, più appassiva, fino a dissolversi come cenere. Al suo posto due medaglioni legati in uno.
Si risvegliò ansimante in una foresta innevata, sotto un albero gigantesco. Piuttosto che la foresta del sogno, ne sembrava l’ombra pallida. Una bufera di neve imperversava e l’aria era un coltello che troncava la gola ad ogni respiro. Vergil grugniva, mentre intorno a lui l’armatura si staccava pezzo per pezzo, andando a dissolversi sopra la neve. Era di fronte alla tomba della madre, fatta tempo addietro da lui e Dante. Si ricordava tutto.
La stanchezza era troppa per permettergli di arrabbiarsi, per quanto lo desiderasse. Era stato preso in giro, trasformato in una marionetta e privato della sua spada. Aveva voglia di uccidere chiunque in quell’istante, compreso sé stesso.
<<Se anche ci provassi, falliresti.>>
Vergil lo udì a malapena. Seduto su uno dei rami dell’albero, una figura completamente incappucciata lo stava osservando. La testa era completamente coperta, il viso in ombra. Lo stesso valeva per il corpo, circondato da stracci luridi, esclusa la penzolante gamba sinistra, ricoperta da un’armatura piena di rilievi che si perdeva all’altezza del ginocchio, divorato poi da quella moltitudine di vestiti strappati.
<<Cosa intendi dire?>> Vergil non era sorpreso. Quello era un demone, ne era sicuro, ed era loro potere leggere nella mente degli uomini, o mezzosangue che fossero.
<<Mundus non ha più controllo su di te, è stato sconfitto>>
<<Da chi?>>
<<Da tuo fratello ovviamente. Tu non sai quanto tempo è passato, è così?>>
Vergil ci pensò un attimo <<Sono fuggito poco fa dal castello>>
<<Mesi. E da più di vent’anni al servizio del signore degli inferi. Mundus è stato sconfitto e tuo fratello sta dando la caccia a tutti i suoi emissari>>
A Vergil poco interessava <<Ed in tutto questo, perché sarei destinato a fallire?>>
La figura incappucciata ghignò <<Perché sei immortale, bastardo di Sparda>>
Vergil fu colto di sorpresa <<Cosa?>>
<<Quando Mundus ti strappò l’anima ti rese possessore di un grande potere. Peccato che prima di potertene privare, tuo fratello l’abbia rispedito all’inferno. Si può dire tu sia in debito con entrambi.>> ghignando ancora.
Il figlio di Sparda era perplesso. Aveva perso la sua spada, la sua vita e la sua famiglia, eppure aveva finalmente il potere agognato. Si alzò guardando la figura incappucciata <<Per quanto riguarda la spada di mio padre… Dante ne è in possesso?>>
<<Esattamente. Ora nessuno osa sfidarlo. C’è chi parla del ritorno del demone leggendario, a vederlo combattere con quella sua aura cremisi…>> ci fu poi del silenzio <<Cosa intendi fare ora?>>
Vergil non rispose subito. Ripensò prima ai combattimenti contro il fratello ed alla sconfitta subita per mano di Mundus.
<<Avrò la mia vendetta, su tutti.>> facendo gemere la figura incappucciata di sorpresa.
<<Ma Mundus è stato sconfitto->>
<<Mundus è cibo per vermi in quella latrina demoniaca, ma fra 2000 anni ritornerà. Lo fa sempre. No, non è Mundus il mio obiettivo. Piuttosto i suoi servi. E Dante. E’ stato lui a causare tutto questo. Se non si fosse opposto al mio desiderio, niente di tutto ciò sarebbe capitato oggi. Dante la pagherà e di questo me ne occuperò personalmente. Riavrò la spada di mio padre e la lorderò del sangue di mio fratello. Questa volta non c’è niente che possa fare per fermarmi.>> dando le spalle all’albero.
<<Intendi combattere di nuovo contro tuo fratello? Alla fine è anche grazie a lui se sei immortale.>>
<<Non lo devo ringraziare di niente. Io non ho mai desiderato essere immortale. Io desidero il potere di mio padre, e Dante me lo ha strappato da sotto il naso per troppo tempo. Il mio conflitto non ti riguarda. Tu piuttosto, chi sei?>>
<<Non sono nessuno di interessante. Se proprio ti interessa, il mio nome è Vaga, ma fra non molto te lo dimenticherai. Ero un emissario di Mundus, anche perché nessuno sa più cose di me>> Vergil lo fissò male <<H-hey, ho vegliato su di te nel tempo che sei rimasto addormentato. Ora che Mundus è scomparso non voglio di certo avere contro i figli di Sparda. Spero non ci siano problemi tra noi due. Guarda, ti ho anche lasciato delle bende sopra quella tomba. Per nasconderti il viso. Intendo... il male ha lasciato il segno su di te.>> Vergil distolse lo sguardo e vide le bende. Si portò le mani al volto e tastò rughe e cicatrici. Riguardò la figura incappucciata. In passato aveva avuto alleati che poi non si erano rivelati tali. Avesse avuto la sua Katana non avrebbe esitato a fare a pezzi quel demone. Ma Dante era da qualche parte là fuori.
Partì verso l’uscita della foresta.
Determinato a riottenere la sua forza, decise di coprirsi il volto deturpato con le bende e di chiamarsi Gilver, affinché non venisse più gettato fango sul nome di Sparda. La battaglia era lontana, ma Dante l’aveva già persa. Sarebbe rimasto un solo discendente di Sparda, alla fine. Di questo, Gilver, ne era assolutamente sicuro.
La figura incappucciata lo vide allontanarsi. Ripensò alla vita di Sparda, durata migliaia di anni, e si chiese se anche i figli mezzosangue potevano sopravvivere tanto. Una volta sparito il vecchio demone, era stato facile ucciderne la moglie umana. Si sarebbe sbarazzato anche dei due ragazzini se non fossero spariti nel nulla. Si abbassò il cappuccio, rivelando una faccia bianca, di marmo. Lentamente, sulla fronte gli si aprì un terzo occhio. Vergil rivedeva il padre nel fratello, cosa che lo ossessionava. Entrambi si sarebbero combattuti, sempre, perché era quello che volevano. Ora però nessun limite umano avrebbe fermato la carneficina di Vergil. L’ultimo residuo dell’energia di Mundus sorrise, iniziando a dissolversi nel vento burrascoso. Sapeva di aver finalmente sconfitto la genia di Sparda, che ora si preparava a sparire nell’ennesimo, devastante e sanguinoso conflitto fraterno. E non c’era sensazione più dolce di quella, prima di addormentarsi.
Domanda veloce: per calcolare il punteggio finale si fa la media dei voti o la somma dei voti?
Perchè se si fa la media, me ne sbatto e non consegno così il mio punteggio non viene deturpato da votacci.
Se si fa la somma anche un 4 mi sarebbe d'aiuto per la classifica quindi consegnerei.
Guarda che in una media la divisione si fa per il numero di manches, quindi una non consegna ti conta 0, esattamente come nella somma, altro che favorirti. Non pensare al voto, scrivi se hai piacere di farlo. Nel caso di the only, se hai idee e stai scrivendo, da parte mia non ci sono problemi nel caso tu voglia uno o due giorni in più.