Visualizzazione Stampabile
-
"Papà...."
Tutto avvenne in un lampo. Di punto in bianco l'essere iniziò a correre in direzione di Haruko. Hideo lasciò il braccio della bambina e le ordinò di tapparsi le orecchie. Dopodichè il dito dell'uomo premette senza la minima esitazione il duro grilletto del fucile. Il lungo proiettile perforò il ventre del mostro con una forza tale da spostarlo di qualche metro.
Ansimando per lo sforzo e lo spavento Hideo si appoggiò ad una delle pareti della stanza. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla rivoltante carcassa presente sul pavimento. Le viscere di quella creatura erano ben visibili e in circostanze diverse l'uomo non avrebbe esitato a vomitare di fronte ad un tale spettacolo. Ma le esperienze degli ultimi giorni lo avevano decisamente temprato.
Con gli occhi pieni di lacrime Haruko si avvicinò lentamente al cadavere del padre.
Hideo non la fermò. Ormai il pericolo era passato ed era giusto che la piccola piangesse la scomparsa del suo genitore.
La giovane si inginocchiò vicino alla testa del padre e con una delle sue piccole mani iniziò ad accarezzare dolcemente i suoi capelli. Le lacrime colavano copiose dal suo volto, macchiando l'una dopo l'altra la maglietta del genitore.
Fu Hideo il primo ad accorgersi che qualcosa non andava. La testa del mostro reagiva al tocco di Haruko muovendosi lentamente.
-No....Quel coso dovrebbe essere morto...!"
"Haruko! Allontanati da lì!"
Troppo tardi. Con uno scatto fulmineo l'essere si avventò sulla bambina e, prima che Hideo potesse fare qualcosa, le morse due volte il braccio sinistro
In preda ad una furia cieca Hideo si avvicinò a passi svelti all'infetto e colpendolo ripetutamente col fucile lo indusse a spostarsi da Haruko.
"Come hai osato farle del male, bastardo?!"
Dopo aver pronunciato quelle parole l'uomo puntò la canna del fucile verso la testa di quello che fino a pochi giorni prima era un amorevole padre di famiglia. La distanza tra di loro era di pochi centimetri. Non poteva mancarlo.
BANG
Il cranio della creatura esplose in tanti piccoli frammenti.
-....E' finita...- pensò Hideo. La spalla destra gli faceva male per colpa del violento rinculo, ma in quel momento non gli interessava. Doveva sincerarsi delle condizioni di Haruko, anche se sapeva perfettamente che non potevano essere positive.
La bambina era accasciata a terra, non molto distante dal padre. Il suo braccio sinistro era in condizioni a dir poco terribili. I due morsi avevano scavato in profondita nella tenera carne, arrivando a causare la rottura di numerosi vasi sanguigni. Intorno a lei era infatti presente una larga pozza vermiglia.
Hideo sapeva che dopo il morso di un infetto, un individuo adulto iniziava lentamente a perdere le proprie facoltà intellettive. Quel giorno si rese conto che nei bambini il processo si verifica con una rapidità di gran lunga maggiore.
"....Il cane scava nel corpo...Nel corpo..."
-Frasi sconnesse...E' un brutto segno-
Vedere Haruko in quelle condizioni faceva venire ad Hideo una voglia irrefrenabile di scoppiare a piangere. Nonostante la conoscesse solamente da poche ore, l'uomo si era in qualche modo affezionato alla bambina.
-Con tutto il sangue che ha perso dubito che vivrà ancora a lungo...E forse prima della morte farà pure in tempo a trasformarsi in una di loro...-
Fu in quel momento che Hideo si rese conto di poter fare solo un'ultima cosa per aiutarla. Col fucile ben stretto tra le mani l'uomo si posizionò a breve distanza dalla testa della giovane.
Haruko nel frattempo continuava a delirare. Di tanto in tanto sembrava urlare per il dolore e quando lo faceva batteva con forza il braccio sano per terra.
-Sta soffrendo terribilmente...-
"Papà....Compito andato bene...Contento?"
Per quella che sperava essere l'ultima volta in quella giornata, Hideo puntò il fucile in direzione della testa di un altro essere umano. In direzione della testa di Haruko.
"Cartoni animati....Eroe...Cartoni...."
BANG
"Hai proprio ragione, Haruko. Io sono un eroe...proprio come quelli dei cartoni animati."
-
Ok, arrivato il momento di inserire il lavoro. Come già detto in precedenza, la storia l'ho basata dal manga breve Blue Heaven. Il personaggio che ho scelto è Yukinobu Sano
http://i45.tinypic.com/14bnqkh.jpg
quello che probabilemente è il primo personaggio positivo mostrato al lettore. L'impressione iniziale è che sia lui il protagonista, anche perché quasi tutti gli eventi iniziali sono visti attraverso di lui. Però quando inizia la carneficina viene messo praticamente subito KO, nonostante abbia la possibilità di interrompere tutto sul nascere. Il resto di quella storia lo scoprirete nella shot comunque. Ho scelto lui proprio perché il tema l'ho trovato perfetto, nel suo caso. Da lettore, ma anche da parte del personaggio stesso, traspare una certa delusione su come si comporti durante la vicenda e, per certi versi, rivelandosi il colpevole di tutto. Per il resto, la storia l'ho ambientata 1 anno dopo e ho cambiato moltissimo il personaggio, cercando di riflettere il più possibile i suoi pensieri sul mondo circostante. Non inizio a postare da questo post perché questa volta il lavoro è lungo e ho paura di non starci in 5 pagine, quindi scusate. Per tutto il resto, spero che la storia riesca a farsi capire, finale soprattutto.
-
Gray Purgatory
467 morti. 567 dispersi.
Ti guardi intorno. L’aria ti attraversa la faccia, poi vedi una stanza, forse è tua. Controlli tasche e cassetti, mai che qualcuno ci lasci qualcosa. Anche se questo è poco probabile ed infatti non trovi niente. Vai allo specchio e provi a guardarti, ma è rotto, qualcosa di forte e deciso, forse un gesto di frustrazione o magari un semplice incidente. Deve essere in ogni caso cambiato. Ti guardi le mani e le vedi insanguinate, nessuna ferita ma non vuoi rischiare e così vai in bagno. Cerchi dei farmaci, ma non ne trovi. C’è poca sicurezza nel vivere senza medicine perché se anche impari ad evitare i danni loro non imparano ad evitare te. Poi ti volti. Il riflesso è scostante, la luce va ad intermittenza, forse è guasta, ma riesci a vederti. C’è un uomo che ti fissa. Ti chiedi chi sia. Sai di non essere tu, troppo alto, a petto nudo e, ridi, ha un’espressione estranea nel volto. Ma sai anche che sei tu, devi essere tu perché questa non è altro che la tua condanna e sai che dovrai patirla ogni volta. Un flash ti attraversa la mente e ti getti a capofitto nel mucchio di vestiti per terra. Cerchi qualcosa ma non sai cosa, forse un pezzo di carta o qualcos’altro di importante o forse no, non ne sei sicuro. Poi lo trovi. Un portafoglio, pelle, marca apparentemente pregiata ma procurata da un sobborgo in zona. Molto bravi a copiare, ma era un regalo così non si doveva dire niente anche se lo si sapeva perché è buona educazione mentire ai bugiardi. Lo apri delicatamente. L’azione è automatica e questo ti fa pensare sia il tuo portafoglio perché il cervello si abitua ad azioni e movimenti che dopo andranno di pari passo con il tuo istinto e così nascerà quella che chiami abitudine. Tiri fuori quello che ti serve e getti via il resto. La foto è diversa e mostra altro rispetto a quanto visto prima, ma tu sai che quella stessa foto ti rappresenta come sai che quello specchio non sta mentendo e anche che qui c’è qualcosa di strano e vuoi scoprirlo. Non sai chi sei veramente e cerchi di capire come ti chiami perché in questo modo qualcosa dentro di te scatterà, così sposti i tuoi occhi sulla scritta di fianco e leggi Yukinobu Sano. Tu sei Yukinobu Sano e ora sei chiuso in una stanza con le mani insanguinate e lo specchio rotto. Sai chi sei ma sai anche che non è questa la chiave di volta della tua storia, ed improvvisamente un brivido ti attraversa la schiena. Ti guardi intorno di nuovo perché ora hai paura o forse ti stai svegliando. Ti volti perché senti un rumore molto forte da farti sussultare. Riesci ad individuare l’armadio e quello conferma perché si muove. Sei teso ma devi scoprire cosa c’è dietro e capire se anche questa volta qualcuno è morto per colpa tua. Ti avvicini lentamente ed allunghi la mano verso la porta. Cerchi di far durare questo momento il più a lungo possibile ma devi aprirlo e lo sa anche l’armadio perché si avvicina sempre di più e così accidentalmente lo apri. Vedi una borsa, di grosse dimensioni, aperta a metà e appoggiata sul fondo vuoto. Sposti la testa lentamente al di sopra di essa e tenti di vederne il contenuto. Un occhio ti fissa. Azzurro, cristallino, pallido e lucido. Ti fissa senza mai chiudersi. Dietro quell’occhio c’è una faccia, sopra quella faccia ci sono dei capelli, lunghi e biondi. Dietro quell’occhio c’è morte. Poi si muove.
Ti gira la testa, il mondo intorno a te ruota. Per un attimo ti attraversa il pensiero che tutto questo sia colpa tua, atto a dare una svolta alla tua vita. Precipiti.
<<Cindy…>>
Un debole cinguettio strappa Sano dal sogno. La luce filtra dalla finestra e gli crea fastidio, ma la cosa lo rassicura, visto che ora sa di essere realmente sveglio. Un’altra notte con quell’incubo. Quella storia che lo affligge da 1 anno, esattamente lo stesso tempo passato dall’incidente.
<<Che cosa ci sto facendo qui, in realtà?>> si domanda, affranto, Sano, che si alza e si appoggia alla finestra. La brezza mattiniera è dolce e candida, spinge costantemente la tenda e permette a Sano di vedere l’orizzonte. Un’isola, un arcipelago. Sono ormai due settimane che si trova lì. La vita dopo la Blue Heaven non era stata più la stessa. Tutti quei morti, indiscriminatamente tra amici e passeggeri. Tutti quei folli, che per un briciolo di sopravvivenza avevano iniziato una guerra razziale, scatenando il caos più totale. Ma di chi era stata la colpa? Sano caccia via quei pensieri. Sua moglie, per quanto lo potesse amare, non riusciva a vederlo in quello stato afflitto e sofferente, così gli aveva proposto un viaggio da solo ed in pace, lontano da tutto e tutti. Santa donna. Oltre che ottima moglie, si rivelava anche una brava madre per la loro bambina. Ma questa storia a Sano creava disagio, e sapeva il perché. Il vero motivo per cui era stato mandato in vacanza era legato alla lieve schizofrenia che lo affliggeva da diversi mesi. I medici non avevano trovato nessun vero sintomo, eppure c’erano delle volte in cui Sano si sentiva diverso, assumendo degli atteggiamenti contorti e soprattutto quegli incubi… così realistici e folli da farlo sentire un vero malato. Oppure è questo il suo incubo?
<<Questo è reale? Sono io che sto guardando me stesso o qualcuno sta scrivendo le mie gesta? Chi sta tracciando la mia strada ed i miei atteggiamenti? Chi mi sta guardando ora nel mio piccolo mondo mentre mi muovo e faccio quello che ogni personaggio è destinato a fare? Sono sveglio? Sono io che detto questa storia? O qualcun altro?>>
Blackout.
Ti fa male la testa. Non quello che attribuiresti ad un semplice mal di testa o ad un gioco alcolico con gli amici. E’ qualcosa di più malvagio. Vorresti chiederti dove sei, ma sai che conterebbe poco. La tua vita, ora, è vuota. Meglio fare uno sforzo, in ogni caso. Quella che a qualcuno di molto garbato sembrerebbe una stanza è immersa nell’oscurità, con le finestre oscurate ed il pavimento pieno di ogni genere di cosa. Pare che ogni lampada sia stata distrutta, qualcosa di aggressivo. Per un attimo ti guardi le mani e scopri chi è stato. Le medicine, come nel sogno. Ti giri verso il bagno e noti che la porta è sbarrata <<Questo è assolutamente ingiusto>> ed inizi a staccare i pezzi di legno piantati in modo disordinato con chiodi e coltelli. Coltelli? Ti chiedi da che razza di pessimo venditore te li sei procurati. Trovi il martello per terra e sfili i coltelli, poi inizi a staccare i chiodi.
<<Facciamo mente locale. Sono partito per mia moglie, giusto? E la mia bambina, si. Cosa ci faccio in questo posto? Devo uscire e chiedere aiuto. Questa dannata schizofrenia>> due chiodi si staccano maledicendoti << e questo dannato luogo.
E questi dannati tagli.
E questa dannata porta>> e le tiri un calcio sfondandola.
Che immagine curiosa, quella dell’uomo imbavagliato. Se ne sta lì immerso nella vasca, con gli occhi fissi su di te. Che sia vivo? Gli lanci il martello per accertartene, così quello inizia a sbraitarti contro. Sorridi.
<<Chiedo scusa, lo staff si prenderà tutte le responsabilità>> e ti dirigi a toglierli il bavaglio, facendo nascere un bellissimo arcobaleno di insulti e urla.
<<Sei pazzo! Che diavolo ti salta in mente Sano? Liberami subito razza di malato che non sei altro, hai capito?>>
<<Non ne sono sicuro. Fa parte delle mie priorità?>>
<<Cosa? Che cosa stai farneticando maniaco?>>
Il tizio è poco socievole, meglio tirarlo fuori dal suo bagno. Lo liberi e questo ti fissa.
<<Ma hai idea di chi sono? Hai dimenticato di nuovo tutto?>> chiede.
<<Niente, mi dispiace>>
<<Sono il Dr. Samuel Loomis. Dio… sta succedendo di nuovo. Senti, questa storia deve finire. Hai bisogno di urgente aiuto da parte di una clinica specializzata. Come tuo psichiatra ed amico è l’unica diagnosi che posso trarre dopo tutta questa vicenda.>>
Non capisci <<Aspetti un momento. Cosa intende dicendo che è successo di nuovo? Io non la conosco, ma forse c’entra con il mio problema. E’ successo dopo l’incidente della Blue Heaven, sono diventato schizofrenico, o alienato, i medici non sapevano descrivere la cosa in modo chiaro.>>
<<No, Sano. Ascoltami, questo me l’hai già detto, ma non è vero. E’ tutto falso, è la tua mente che ti prende in giro.>>
Una strana scossa attraversa il tuo corpo. Abbassi la testa e vedi la mano trasformarsi in un pugno, poi lo scaraventi contro il viso del povero Sam che volteggia sul water.
<<Agh che cosa stai facendo!>> ma non c’è più tempo per le buone maniere <<Che cosa diavolo sta succedendo qui? Chi sei tu, e che cosa sai di me e del mio disturbo? Non voglio sentire altre bugie.>> d’effetto, ma attira tutta l’attenzione del vecchio americano.
<<Nessuna bugia! Sei tu che stai mentendo a te stesso. Non mi credi? Cerca nell’armadio, troverai il tuo diario. Me lo dicesti tu, che stavi annotando tutto. Dentro quel quaderno c’è tutta la verità, se proprio non riesci a fidarti, razza di idiota presuntuoso.>>
Oh. Forse vale la pena controllare. Ma un momento. Cos’è questo brivido che ti scioglie la schiena? Non sarà per caso per colpa di quegli incubi? No, non questa volta. Devi farlo se vuoi capire cosa ti sta succedendo.
Vai da quello stupido armadio e comunque hai un attimo di esitazione. Poi lo apri. Un mucchio di stracci, niente di che a dire il vero. Ma eccolo, è lì, lanciato come se fosse spazzatura. Lo raccogli e torni dal vecchio, ora seduto, così lo imiti.
-
<<Che cosa intendeva prima, dicendo che sto mentendo a me stesso?>>
<<Ma guarda, che tono garbato. Passata la minaccia diventi gracile come un agnellino. Non ti smentisci. Tu menti a te stesso, ma solo perché non riesci a ricordare. Ci siamo incontrati per la prima volta una settimana fa, qui alle isole Fuji. Tu eri l’addetto alla sicurezza sulla Blue Heaven, io uno psicologo interessato a certi casi, nel mio paese. Così ti ho cercato. Mi dicesti che tua moglie ti aveva mandato qui per reintegrarti nell’ordine sociale, ma come vedi la cosa si è trasformata in qualcos’altro. Ammetto di avere anche io le mie colpe, ma posso almeno dire di essere giunto ad una conclusione, ovvero che tu sei letteralmente pazzo>> ride tossendo <<no, perdonami. Scusa. Hai un grave problema, ma non è quello che pensi. Solo che ci ho provato, veramente, a fartelo capire, ma tu continui a perdere il controllo e a trattarmi in questo modo. Spetta a te quindi. Considerala una seduta. So il contenuto del tuo diario e so che tu stesso hai tentato di risolvere il tuo problema ponendo forse qualcosa di nascosto tra quelle righe. Io non l’ho scovata, tu forse si, non ne ho la certezza, quindi so solo che dobbiamo provarci, Sano. Ora leggi, dalla prima pagina, ad alta voce.>>
C’è qualcosa di incompleto in tutto questo, ma meglio vedere come si evolve la vicenda. Mancano tutte le pagine dall'inizio alla quasi fine, visto che da lì ne mancano due. Senti una lieve fitta al labbro inferiore, mentre il gusto del sangue ti attraversa la bocca. Come un bambino alle prese con la scuola materna, senza opporre resistenza o domandare qualsivoglia cosa, schiarisci la gola ed inizi
<<5 Giugno>>
***
5 Giugno. Escluse le due persone sui lettini, la spiaggia è immacolata, frutto di duro lavoro all’apparenza. Sano si chiede se questo posto così pulito sia tale per l’assenza di spazzatura o di persone.
<<Si metta pure comodo, l’essere a suo agio è fondamentale in questa esperienza.>> recita sorridendo il dottore con camicia ed occhiali da sole. Che brava persona, questo Samuel Loomis. Spunta dal nulla dicendo di essere uno psicologo. Sano nemmeno l’aveva mai visto, uno psicologo. Pare essersi occupato di tanti casi, alcuni piuttosto violenti. Sta nascondendo qualcosa. Sano lo sa perché un tempo era il suo lavoro.
Che caos, l’America, con tutte quelle persone, pronta a scoppiare da un momento all’altro. A Sano viene l’agorafobia al solo pensarci.
Un attimo.
Lui soffre di agorafobia? Cerca di non pensarci. Un’altra malattia nel suo curriculum potrebbe mandare in crisi sua moglie.
<<E’ proprio sicuro che sia necessario? Un luogo appartato sarebbe andato bene lo stesso, sul serio.>>
<<Oh no, questa spiaggia è perfetta. Lei tenta di dimenticare, purtroppo. Il sole, l’acqua e l’aria salina la riporteranno direttamente alla Blue Heaven. Non si preoccupi, è solo per permetterle di stare più a suo agio.>>
<<Starei più a mio agio a casa, a dire il vero. Non importa. Devo raccontarle quello che è successo, quindi?>> Il dottore annuisce <<Bene. Lavoravo alla Blue Heaven da diverso tempo. Quel luogo era la mia seconda casa anche se, lo ammetto, l’ho spesso scambiato come per il mio vero habitat. Quante persone, là dentro, e quanto lavoro. Io ero l’addetto alla sicurezza, ma se qualcuno spariva, anche un moccioso, ero incaricato di trovarlo. Nessuno poteva nascondersi nella nostra fortezza galleggiante, ci piaceva pensare. Quel luogo era come una Las Vegas acquatica, con tutta quella gente e quel divertimento. Avevamo tutto, dal gioco d’azzardo alla vita sfrenata. Ho visto persone di ogni genere ed avvenimenti piuttosto dissacranti, ma faceva parte del mio lavoro. Una notte trovammo un’imbarcazione alla deriva. Il nostro direttore escludeva categoricamente l’aiuto, ma il capitano mise in ballo l’umanità.>>
<<Strano effetto sentire questo da parte sua. Secondo certe mie fonti lei è considerato come una persona sociale e piuttosto incline all’aiutare il prossimo. Da persona a persona, la trovo grezza, Sano.>>
<<Questo perché la mia umanità ha condannato più di mille persone. E lei deve essere più professionale. Non mi interrompa, la prego.
Così scendemmo nell’imbarcazione per perlustrarla. Trovammo un uomo a terra, ancora vivo, disidratato ed in stato confusionale, ma a posto per il resto. Mentre gli altri ne trovavano uno ancora vivo ma con un buco nello stomaco nascosto in un frigo, io diedi un’occhiata dentro. Che razza di idiota che sono stato. Trovai la stanza piena di sangue, dappertutto. Non ne feci parola, un errore che mi porterò fino alla tomba. Tornai su. Nessun altro membro dell’equipaggio fu trovato. Portammo i feriti alla nave, ma la situazione degenerò presto. Quello che trovammo per primo sparì, insieme ad uno dei miei compagni. Non fu altro che l’inizio dell’inferno. Ci diedero delle armi. Quanto odiavo quegli aggeggi. Io speravo di risolvere la cosa il prima possibile, ma feci un errore di calcolo: Cindy, la dottoressa di bordo, aveva visto e parlato con l’altro superstite che intanto le aveva raccontato la storia del primo sopravvissuto, facendo capire che razza di mostro avevamo salvato. Una storia terribile che non starò qui a ripeterle. Così andai subito da lei, ma era troppo tardi. Quella donna non meritava di morire. Nessun medico o in generale chi dedica la vita ad aiutare il prossimo se lo meriterebbe. Quel mostro l’aveva messa dentro un’enorme borsa. Non ho mai saputo come l’avesse uccisa. Ma non importa. Cindy era morta e lui era lì, di fronte a me, disarmato. Cosa ho fatto, si chiede? Assolutamente niente. Gli ho ordinato di mettere le mani sul muro, e l’ha fatto. Ma alla mia prima esitazione mi ha spezzato un braccio e legato come un perfetto idiota. Poi mi sparò ad una gamba, decretando la mia totale uscita di scena da quella storia. Mi prese e mi agganciò ad una delle finestre di babordo. Ed io piansi. Piansi veramente tanto, prima che mi riprendesse. Nel mentre un folle, un altro, aveva iniziato una guerra ideologica e razzista sulla nave. Il nostro amico killer aveva bisogno di me per fuggire e mi portò nella sala comandi. Incontrai un’altra mia amica lì, e so che è sopravvissuta anche lei. Le devo la vita. Se non fosse stato per lei, quel mostro mi avrebbe sparato in testa. Ero pronto per il mio destino. Ero goffo e ferito, dovevano fuggire tutti, ma mi sentivo meglio, almeno, sapendo che potevano fuggire proprio grazie a me. Lei mi salvò convincendo il bastardo ad andarsene insieme. Poco altro da dire, non so il resto della storia. So solo che sono rimasto lì come un’idiota ad aspettare la mia fine, ma a quanto pare la fortuna è stata dalla mia parte, ed eccomi qui.>>
Il dottore tace per un breve istante.
<<Mi parli dell’altro pazzo.>>
<<Ne so pochissimo, in realtà. So che era il figlio del nostro finanziatore, un vecchio tedesco sfigurato da giovane. Non ho mai capito quella gente, con quell’aria di superiorità e l’idea che ogni persona al di fuori della propria famiglia fosse inutile. Quel vecchio sarà pure stato un mostro, fisicamente, tra l’essere incapace di camminare e vedere, ma il figlio non era poi tanto diverso. Era cieco nel credere a quella stupida guerra razziale che aveva cominciato, ed incapace di reggersi sulle proprie gambe partendo dal semplice presupposto che era stato il padre a renderlo così. Non so chi abbia vinto quella folle battaglia, né mi interessa, ma spero per davvero che non sia stato lui. Alla fine sono morti entrambi, ma è per questo che dobbiamo dire di aver vinto noi superstiti? Affatto. Tutta quella gente… erano dei surrogati di quei due. Il tocco di genio del nazista era stato il dire che l’assassino era asiatico. Istintivamente, tutti quanti hanno capito che per sopravvivere bisognava sbarazzarsi di ogni sospetto possibile, senza nessun compromesso. I Killer quella notte non sono stati solo due. No, proprio per niente. Quando guardavo in faccia gli altri sopravvissuti riuscivo a vederlo, quel lampo di felicità negli occhi. In ben pochi hanno davvero evitato la guerra tenendo fede all’umanità. Sto parlando di quelli fuggiti con l’imbarcazione del vecchio nazista. Ma loro si sono semplicemente persi la parte più bella. Un po’ come per me, alla fine. Dubito avrei davvero ucciso qualcuno, se avessi potuto, dopo lo scoppio della guerra. Ma ammetto che i miei principi avevano iniziato ad alterarsi già da quando mi stavano appendendo a quella finestra. Fissavo l’acqua e pensavo alla gravità della mia azione. Mentre le lacrime mi scendevano provavo ad immaginare il mare aprirsi onde evitarle. Ma alla fine sparivano e basta nell’abisso oscuro della mia stupidità.>>
<<Quindi lei prova rimorso per quella storia?>>
<<Sì.>>
“No” pensavo dentro di me. Il dottore credeva davvero che tutta quella sceneggiata fosse seria. Un tempo lo era, ma ora non più. Non provo niente, non sento nessuna emozione. Sento indifferenza. Cosa mi sia successo non riesco a spiegarmelo. Forse mi sono abbandonato a quel senso di inutilità che ho provato quando ho creduto fosse giunta la mia ora, perdendo quel poco di umanità che avevo. Oppure non me ne importa più niente e basta.
***
Ti senti stupido <<Questo significa che le ho mentito?>>
<<Esattamente. Avevi perso il controllo delle tue emozioni. Mi piacerebbe pensare che questo ne riguardasse il solo uso, ma non è così. Io sapevo del tuo stato, ti stavo mettendo alla prova. Ora non lo sai, e di certo nemmeno allora, ma non venni da te solo di mia spontanea volontà. Dal momento che la Heaven girava su acque internazionali, il mio paese si era interessato alla vicenda.>>
Ti viene un’incredibile voglia di ridere, ora che hai capito <<E questo che cosa significa? Cosa c’entro io con quella storia? Non avrebbe senso riportare in auge questa vicenda se... aspetti, non starà per caso dicendo che ero un sospettato?>>
-
<<Che sei un sospettato. Bada, uno degli assassini fu ritrovato, il “nazista”, ma dell’altro, quello che ti ferì, non se ne trovò traccia. Il fatto che egli fosse asiatico come te e che tu fossi, be’, una delle persone meglio addestrate ed in forma lì dentro, ha portato una lista di sospetti nei tuoi confronti. Special modo per come tu sia sparito per la maggior parte del tempo.>>
<<Ma è assurdo. Natsukawa, l’amica di cui le ho parlato nel diario, lei è stata a fianco dell’assassino e della mia persona nella stessa stanza. Ha stilato anche un identikit, sono sicuro l’abbia letto.>>
<<Sì, l’ho esaminato. Sano, la tua amica era in stato di shock. Per quanto possa essere stata uno dei pochi superstiti ad essere rimasti dentro la nave, sappiamo con certezza che certi dettagli non ci sono stati riferiti, colpa di alcune falle nel suo racconto alle forze dell’ordine. Senti. Io ho, per certi versi, la completa certezza che non sia stato tu. Mi capisci? Però il tuo disturbo… devo capire se lo soffrivi da prima dell’incidente. So che suona strano, ma neanche la tua di storia aveva molto senso, e come già detto il dubbio principale è dovuto alla tua improvvisa sparizione. Tu hai dei vuoti di memoria, degli eccessi di rabbia in cui perdi il controllo e ti trasformi dimenticandoti cosa hai fatto, una volta risvegliato. Parli di stanza insanguinata, eppure l’hai vista solo tu. Parli di dialogo con il killer, ma mancano prove concrete e fatti. Nella peggiore delle ipotesi, potresti esserti immaginato tutto ed aver tragicamente risposto alla cosa trucidando chiunque ti capitasse a tiro.>>
Ovviamente <<Se fosse così, non teme per la sua vita? Potrei ucciderla qui ed ora.>>
<<Temo per la mia vita, si, ma in modo relativo. Tu sei pericoloso per i tuoi eccessi incontrollati, ma quando ripensi alla vicenda della Heaven per qualche dannato motivo diventi apatico. Se mai ti sei interessato alle vite di quelle persone, prendila come una rivalsa. Aiutami a capire che cosa c’è veramente nella tua testa. Continua a leggere.>> ti chiedi perché questo vecchio ci tenga così tanto.
Quali scioccanti rivelazioni, in ogni caso. Non sai se sia peggio perdere la memoria o ascoltare un vecchio in cerca di dialogo. Però è una cosa seria, quindi ti devi adattare. Anche perché questo luogo ti fa impressione.
***
6 Luglio. Sano sta passeggiando per il centro della cittadina. Luogo tranquillo, il mare riesce a rubare tutto lo stress e la frustrazione. Sano si chiede come reagirebbero tutti di fronte ad un’inondazione. Sicuramente sarebbe qualcosa di eccitante. Tutta quella gente impegnata a praticare la propria routine ed all’improvviso doverla interrompere per una fastidiosa onda gigante che crea disordine e panico. Lui cercherebbe del latte. Passa di fronte ad un bar e crede che sia una buona idea. Al bancone un giovane ragazzo dalla carnagione scura gli chiede cosa desidera. Molto acuto, il suo atteggiamento. Sano si chiede da quanto tempo bada alle origini delle persone. C’entra qualcosa quel discorso fatto dal giovane crucco che si era divertito a fare guerra aperta con quell’altro pazzo, alla Blue Heaven. Fece un bel discorso, qualcosa riguardante il fatto che la nave fosse come la terra e che se ci fosse stato il nucleare, la gente non si sarebbe potuta nascondere. Era morto. Quel lurido razzista.
<<Un bicchiere di latte, grazie.>>
A volte Sano guarda la gente provando a capirne i pensieri. Di suo alla Heaven aveva fallito miseramente con il killer, gettando alle ortiche ogni speranza di salvezza per quelle 1000 persone. Ma cosa può farci, ormai. Il tempo passa e bisogna andare avanti, anche s’esso è una macchinazione dell’uomo. Di fianco si siede una giovane ragazza. Così carina e truccata, non avrà più di 16 anni, nonostante questo agli uomini basti ed avanzi. Più cambiano le generazioni e più queste ragazzine si dispongono a gente più grande di loro. Sarà un virus, o un punto di vista, c’è poca differenza, ma non si accontentano dei loro coetanei. C’è aria di insoddisfazione. O forse è semplicemente Sano che pensa troppo. Dannata schizofrenia. O Apatia. O sindrome di Truman.
<<Sei nuovo di qui?>> chiede guance rosa. Ma che simpatica, a tentare un contatto con un a malapena trentenne che ha sulla coscienza migliaia di morti.
<<Ero nei paraggi.>> taglia corto Sano. Chissà se la ragazzina ha mai avuto rapporti. A Sano lampeggia lo scenario della ragazzina piangente e tenuta legata ed imbavagliata nell’angolo di un bagno. Le lacrime le staccano il trucco mostrando il suo bellissimo ed immacolato volto, mentre tenta di liberare le mani legate dietro alla schiena. Appoggiata di lato, ha le mutandine staccate e pendenti dalla gamba destra, ora inutili, incapaci di coprire quel mondo da cui traspare una chiazza di sper-
<<Il prossimo drink te lo offro io.>> questi dannati ragazzini, così frettolosi.
<<Smamma. E’ tardi per te e circola brutta gente a quest’ora. Non farmelo ripetere.>> forse offendendola, ma questo non importa. Se ne va, in uno scatto al limite del rabbioso. Che eroe, Sano, ad evitare l’amata passiona carnale di un tale e pregiato miele ancora da raccogliere. Tutta questa roba gli fa venire il mal di pancia. Beve il suo latte al sorso e si leva dai piedi. Mancia per il ragazzino, ovviamente.
La città è molto illuminata, ricorda per certi versi le nottate alla Heaven. Sano ha il dubbio di esserci ancora, dentro la Heaven. Il mondo non gli pare così diverso, è solo un po’ più grande. “Non se ne vedeva la fine”, diceva un pianista osservando il mondo dalla cima della sua nave. Forse aveva ragione. Sano si siede su una panchina, perché l’aria è fresca e vale la pena godersela. Un vecchio signore occupa il posto di fianco, intento a leggersi un giornale, o qualcosa del genere. La vecchiaia a Sano crea una strana sensazione di ostilità, a tratti ribrezzo. Devono essere loro le figure sagge che insegnano i dettami sulla vita. Invece si cresce. Si cresce e si scopre che non cambia niente. A parte la presenza degli ormoni, ed anche quello entro certi limiti. Qualcuno oserebbe dire che la saggezza più grande è votata alla ricerca personale, ma sarebbe spietato. Intere generazioni di bambini che affidano i loro comportamenti e la loro crescita ad eroi ed icone che narrano le proprie gesta con noncuranza. Sano non aveva mai creduto in Babbo Natale, eppure tutti lo prendevano in giro per questo. Poi, crescendo, la cosa da parte degli altri era ovviamente cambiata. Almeno si spera. Sano si chiede come si sentirebbe sua moglie se lui le dicesse di credere in Babbo Natale. Prima prenderebbe la cosa come uno scherzo, poi sentirebbe una lieve irritazione mischiata alla vergogna. Se l’irritazione è naturale nelle persone comuni, quella invece nata per motivi “non comuni”, termine tutto da definire, ti crea una piccola figura da schizofrenico. Questo Sano lo sa perché glielo ha detto qualcuno. Sano lancia un’occhiata al vecchio. Ben vestito, con cappello, bastone ed occhiali da diverse centinaia di migliaia di Yen.
<<Che cosa è solito fare, lei, oltre a venire qui la sera e leggere?>> socializza Sano.
Si gira <<Oh, poco altro. Mi godo la vecchiaia. Lei non pare affatto vecchio, anzi, è ancora piuttosto giovane. E’ per caso in cerca di qualche avventura? Ce ne sono tante di persone, qui in giro.>>
Sano sbuffa. Capisce con che razza di persona si è imbattuto. <<Sono totalmente privo di sorpresa.>>
<<Come scusi?>>
<<Cosa faceva da giovane?>>
<<Ah, tante cose. Un lavoro onesto dopo tanti anni di studio. Un giorno mi misi a girare il mondo, senza badare a ciò che poteva succedere. Mi sentivo libero. Tante città, tante persone e tanti avvenimenti. Ora me la passo con calma tra i piaceri dell’età avanzata. Non sembra, ma ci sono diversi vantaggi nell’essere vecchi. Almeno se si sta bene economicamente.>> scoppia a ridere.
<<Ne sono certo. Lei ha mai ucciso qualcuno?>>
Smette di ridere <<Che razza di domande fai, ragazzino? Certi peccati rimarranno sempre vietati. E ora chiedo scusa, ma ho un appuntamento.>> e si alza.
Ironico pensare che quella ragazzina stesse solo cercando di evadere qualcosa di ben peggiore. Si presenta al fianco del vecchio e lui le mette una mano sulla spalla, poi si incamminano. C’è un attimo in cui gli occhi di Sano e della ragazzina si incrociano. Lei è triste.
A Sano gira la testa. Sente il cuore battergli ed il cervello pulsargli, mentre se ne sta seduto su quella panchina. Stringe forte le mani ed i denti. Gli occhi iniziano a guardare intorno in modo incontrollato. Cosa vuole tutta quella gente che passeggia? Un cenno nervoso gli attraversa la faccia, mentre alza le mani e le apre. Sono piene di tagli e sangue.
Non ricordo altro di quella serata. Capii solo che l’indifferenza ha diversi volti. Io non amavo più la compagnia delle persone, eppure avevo creduto che quell’atto di pietà verso la ragazzina fosse tale. L’avevo solo condannata. Il vecchio, poi. Non so perché gli ho parlato. Mi svegliai il mattino successivo sdraiato in un vicolo. Le mani non erano più insanguinate, anche se il vestito era da buttare. Mi alzai e tornai a casa, felicemente sorpreso della qualità del mio nuovo paio di occhiali.
***
-
<<Quindi ho provato qualcosa.>> e ti metti a fissare il dottore.
<<Così pare, ma non è un dato certo. In qualche modo, quella cittadina aveva rievocato in te la Heaven.>> ti chiedi per un attimo come faccia a saperlo con tale certezza, diario a parte <<Ovviamente non un processo definito, ma un insieme di tante situazioni che hai vissuto durante la tua carriera a bordo. Tu provi indifferenza per le persone, eppure non riesci a non pensarci. La ragazzina è l’esempio più pratico, ma anche il cameriere o il vecchio erano per te spunto di pensiero e riflessione. Io credo che tu provi qualcosa per gli altri, ma che non riesca ad esprimerlo pienamente. Il mio grosso dilemma è se tu creda di essere malato per alienarti o, viceversa, ti alieni perché sei malato. A livello medico non presenti nessun difetto, però il cervello umano è sempre pieno di sorprese. Pensa a Charles Whitman, militare in carriera che ebbe l’idea di fare il tiro a segno dalla cima dell’università del Texas. Nessun vero sintomo se non il congedo con disonore, ma quello fa più parte del lato burocratico, che quello psicologico. Lui appariva sano, ed invece esaminando il suo cadavere gli trovarono un tumore avanzato al cervello. Certe cose risulteranno sempre inevitabili, od incalcolabili. Devi ricordartele come certezze nella vita.>>
Lo fissi stranito. Bell’esempio il suo. Avevi letto un articolo sul quel tizio durante il viaggio per le Fuji, sai che non se lo sta inventando.
<<Ma perché ho scritto queste cose? Voglio dire, io so… io sapevo di avere un problema, eppure ero venuto con l’idea di riprendermi da quella storia. Le spiego meglio: ero affranto prima di partire, più gli incubi e tutto il resto. La cosa peggiorò quando mia moglie mi disse di aver programmato il viaggio, ed era senso di colpa. Mai, assolutamente mai avrei potuto gettare tutto all’aria, visto che lo stavo facendo per lei. Dubito che lo sappia, ma io->>
<<Lo so invece. Tu provi ancora dei sentimenti per tua moglie e per tua figlia, me lo dicesti tu stesso. E questo per me è stato il punto fondamentale, ad oggi. La prova che ti incrimina.>>
Ti senti confuso <<… che cosa? Il fatto che io sia empatico nei confronti della mia famiglia sarebbe un pretesto per incriminarmi?!>> le vene ti si gonfiano, le tempie iniziano a battere.
<<So che la cosa risulta difficile, ma nell’ottica generale risulterebbe tutt’altro che indifferente. Facciamo finta: durante il tuo raptus omicida alla nave, tentasti a tutti i costi di trovare un modo di andartene per rivedere tua moglie e tua figlia. So che era appena nata.>>
<<No, non ha assolutamente senso. Mi avete trovato ferito, questo non potete negarlo.>>
<<Certo, ma non si può negare che le ferite potessero essere state applicate da te stesso…>>
<<Cosa diavolo dice? Avevo un braccio spezzato!>>
<<… come è vero che potrebbe avertele applicate il “nazista” con cui ipoteticamente avresti lottato.>>
La testa ti gira <<No… no no no. Non starò qui a sentire le tue stupidaggini vecchio. Voglio uscire. Come diavolo si apre questa porta>> e ti dirigi verso essa. E’ chiusa. Con il bagno ha funzionato, vale ritentare. Ma niente, il calcio non ha effetto. Qualcuno l’ha bloccata come si deve. La chiave. Ti giri verso il vecchio <<Dammela. Non costringermi a farti del male. Dammi subito la chiave.>>
<<Non è così facile. Sei ancora un sospettato. E’ il mio lavoro, mi dispiace.>> dice. Si vede che le botte di prima non gli sono bastate, così ti dirigi verso di lui.
<<Ehi EHI fermo, datti una calmata. Ma non ti vedi? Dai di matto appena si parla della tua famiglia o ti si dice di aver mentito. Io sono dalla tua parte, ma tu stesso sai che non posso lasciarti andare così. Siediti e continua a leggere. Non ti manca molto, anzi, siamo ormai alla fine del tuo manoscritto, visto che il resto delle pagine è assente.>>
Basta con queste bugie <<No, voglio darci un taglio con questa sceneggiata. Pensi davvero che questa storiella dell’essere sospettato funzioni con me? So che mi stai mentendo dalla prima volta che ci siamo visti. Ho letto i fascicoli della Heaven. Io stesso ho contribuito alle indagini su richiesta degli agenti che, a quanto pare lei non lo sa, erano americani. Proprio così, furono degli americani a salvarci, visto che passavamo proprio in acque sotto la loro giurisdizione. Ed il mio diario. Perché mancano delle pagine? Posso anche essere malato a livello psicologico, ma mai distruggerei qualcosa di così importante per me. E' stato lei, vero? Cosa avevo scritto in quelle ultime due pagine? La smetta con questa storia e con le sue accuse da quattro soldi. Che cosa vuole veramente? Perché siamo rinchiusi in questa stanza?>>
Pare aver funzionato, vista l’espressione sulla sua faccia <<Io… hai ragione, perdonami. All’inizio volevo usarti per creare un identikit psicologico, un’idea per un mio progetto, qualcosa che in futuro sarebbe servito nel campo delle indagini. Lo ammetto e ne vado fiero. Non c’è niente di male in quello che voglio fare. Ma più ti vedevo e più la cosa mi affascinava. Voglio solo aiutarti, per davvero. Ma non nascondo che voglio anche studiarti. Le ultime due pagine del tuo diario non erano altro che l'inizio di ciò che sta avvenendo qui e ora. La verità già la conosci, solo che non l'accetteresti senza il dovuto riepilogo, ne sono certo, nonostante non sappia il tuo vero dilemma. Tutte le pagine passate non erano altro che menzogne, come quelle che hai letto poco fa. In ogni caso non ti costa niente, rimanere a parlare con me e tentare di risolvere il tuo problema. Ti ho portato io qua dentro. E’ la tua stanza. Sei svenuto l’altra sera, dopo che te ne sei andato all’improvviso, nel mezzo della cena in onore della Blue Heaven e delle sue vittime. C’ero anche io. Non ti costringerò a rimanere qui, e in ogni caso ti ridarò le pagine del tuo diario. Ti chiedo di farlo per te.>>
<<Ci siamo parlati altre volte? Oltre a ieri sera e alla seduta.>>
<<Diverse, ma niente di veramente significativo. Mi dimenticavi ogni volta, che cosa curiosa. Ho provato comunque a fartelo ricordare, ma non funzionava, e tu eri così dannatamente riservato. Così ho deciso di approfondire la tua psiche man mano, visto che almeno ricordavi la nostra seduta, provando un impulso di fiducia, o quasi, nei miei confronti. Non so perché questa volta te lo sia dimenticato. Forse il discorso di ieri ha cambiato qualcosa.>>
<<Chi mi dice che ieri sera ci siamo davvero incontrati?>>
Usa un filo di voce, come se ti stesse dicendo un segreto <<L’hai scritto sul tuo diario>> e lo indica.
Cosa ti costa, veramente. Forse sei solo curioso, forse è qualcosa di più importante. Quando ha nominato il diario e la sua ultima parte hai sentito voglia di nasconderti sotto il letto. Che cosa buffa. Fallo per la tua famiglia, glielo devi. Ti siedi.
<<Bene. Facciamola finita allora. Spero che il suo progetto abbia successo>> non credi alle tue parole << visto che qui cade tutto a pezzi. Dove eravamo arrivati… ecco, apra le orecchie.>>
***
7 Agosto. Che serata squallida. A Sano hanno detto che è stata organizzata in memoria delle vittime della Blue Heaven. Certo. Scoprire di avere nel proprio hotel uno dei sopravvissuti di quella vicenda aveva mandato in modalità viagra il direttore che ora si trovava tra le mani una miniera d’oro. Sano già se lo immagina. Chiedergli una foto ed una dedica da incorniciare all’entrata. “Colui che è fuggito dal paradiso”. Molto simpatico. La gente poteva farcisi le foto. Chissà se avrebbero realizzato gadgets o altro.
<<Come si sente, signore?>> avanza il cameriere.
<<Come se stessi per affondare. La mia presenza presumo sia indispensabile questa sera.>>
<<Se questo la disturba, allora, ahimè si. Lei stasera è necessario. Si faccia forza, per questa gente lei è un eroe.>> facendo dietro front tra le richieste degli altri tavoli.
Il direttore ci aveva azzeccato, almeno. Tantissime, troppe persone sono presenti alla cena. Per fortuna non aveva chiesto a Sano di fare un discorso, sarebbe stato abominevole. Aveva anche avuto il tatto di lasciarlo sedere solo, in disparte, senza che fosse al centro dell’attenzione con tutti quei pezzi grossi. Forse Sano si sente a suo agio, lì. Ma ovviamente si sbaglia.
<<Eccola, cercavo proprio lei!>> questo dannato dottore. Si siede.
Sospira <<Molto bene. L’ho trovata, finalmente. Lei è proprio un tipo fuggiasco, sa? E’ dalla nostra seduta che non la rivedo.>>
<<Avevo da fare. Credevo che la seduta fosse l’unica situazione in cui dovevamo incontrarci, anche se non ricordo di cosa abbiamo parlato precisamente.>>
<<Vuole dire che si è dimenticato tutto?>>
<<Non proprio. Non so il motivo, ma a volte ho dei vuoti di memoria, che siano avvenimenti o persone.>>
<<Capisco... una cosa pericolosa. Stia attento se non vuole essere sfruttato. Comunque no, non basterebbe una seduta. Per niente. Se si fosse trattato di ordinaria amministrazione, lei avrebbe dovuto vedere la mia faccia almeno 3 volte alla settimana, per un paio di anni. Non mi tratti così, avanti, io sono suo amico.>>
Quella parola per Sano ha perso significato da tempo. Quando era stata l’ultima volta in cui aveva pensato ad una persona come sua amica? <<Ah, capisco. Prima fa il suo lavoro per conto del governo e ora vuole approfittarsi di me. Vuole scrivere un libro? Posso consigliarle qualche titolo, se per questo.>>
Ride <<Non faccia così, io voglio davvero aiutarla. Anche se avevo per davvero l'idea di un manoscritto, ha indovinato. So che se non si supera la barriera umana non potrò fare al meglio il mio lavoro. Sono venuto a parlare con lei da persona a persona, non da psicologo a paziente. Mi venga in contro.>>
Del resto c’è poco altro da fare per Sano. <<Va bene. Avanti, cosa vuole sapere, Sam.>>
<<Sono incuriosito da questa faccenda della memoria, non ha paura di dimenticare le cose?>>
-
<<Paura? No, ma non sarei un buon marito ed un buon padre se lasciassi un fatto simile senza soluzione. Non essendo niente di grave, tento di scrivere le mie giornate in un diario, anche se ad oggi sono arrivato a decine di diari diversi.>>
<<Capisco. Ingegnoso. Mi sento un po' malvagio, ma lei in realtà me ne aveva già parlato. Mera curiosità, chiedo scusa. Mi parli della sua famiglia.>>
Malvagio, certo, molto conveniente <<Non ho niente da dirle sulla mia famiglia. Li amo con tutto me stesso e tutto quello che ho fatto fino alla Blue Heaven era per loro. Anche il fatto per cui oggi sia qui, a parlare con lei, lo faccio solo ed unicamente per loro due. Non voglio essere un peso per le mie ragazze. Abbiamo finito?>>
<<No, però capisco il suo disappunto, quindi passiamo oltre. Mi ha parlato solo del passato, eppure non mi ha ancora descritto com’è il mondo ai suoi occhi, ora, dopo l’incidente e dopo questa strana sindrome che l’ha colpita.>>
<<Non credo le piacerebbe.>>
<<Potrei stupirla.>>
<<Come desidera. Da piccolo mi raccontarono una storia, intitolata “La forma della vita”.
“Un giorno il Bruco chiese alla Lumaca <<Saggia Lumaca, tu che sai molte cose, sai dirmi qual è la forma della vita?>>
La Lumaca ci pensò, poi rispose <<Be’, giovane Bruco, la vita è rossa, come un pomodoro.>>
Il Bruco si agitò <<No signora Lumaca! Non le ho chiesto il colore della vita. Voglio saperne la forma.>>
La Lumaca tornò quindi a ripensarci, e disse <<Be’, giovane Bruco, la vita è dolce, come un barattolo di miele.>>
Il Bruco si agitò ancora di più <<No signora Lumaca! Non le ho chiesto il sapore della vita, ma la forma!>>
Così la Lumaca ci pensò molto di più di prima <<Be’, giovane Bruco, la vita è profumata, come una rosa.>>
Il Bruco perse il controllo <<No! Non ho chiesto il profumo della vita.>> e scoppiò a piangere <<Lei non è saggia, continua a non rispondere alla mia domanda, me ne vado!>> e si allontanò.
La Lumaca lo guardò andare via, poi disse <<Oh, giovane Bruco. Sai già la risposta. Felicità, tristezza, paura, rabbia. Puoi vederli, sentirli ed assaporarli. La vita è fatta di tante forme da scoprire ed esplorare.>>”
<<Escludendo che il racconto è incompleto, sa cosa ne penso io, Sam? Che quella lumaca è la bugiarda più grande mai esistita. Il discorso sulle sensazioni ed i sensi… è solo l’autoconvincersi di avere qualcosa da assaporare e condividere. E’ falso. Questo non accade in un mondo grigio. Alla Heaven forse non sarò di certo stato in quello che voi chiamate un mondo normale, ma lì potevo sentire ed assaporare ogni cosa. No, non le dirò com’è il mondo ai miei occhi, semplicemente perché è senza colori e l’unico modo che ho di vederlo è piangere.>> Sano si alza <<Piangere lacrime blu, come il paradiso che mi è stato tolto. Molto conveniente, vero?>> per poi andarsene. Sam guarda il vuoto, senza fare niente.
***
<<Non c’è un’annotazione finale, si conclude qui. Dubito fosse nelle ultime due pagine, c'è ancora spazio. Ironico, se la storia dell’essere sospettato fosse stata vera, quest’ultima frase mi avrebbe incriminato.>> ti senti dire, anche se avresti voluto saperne di più. Ma in fondo sai di sapere tutto, ora.
<<Lo so. Come puoi capire, questa nota finale è piuttosto malinconica. Ma sincera, te ne sarai accorto. Questo come ti fa sentire?>>
<<Colpevole, se la colpa non sa di niente. Tutto questo... tu, io, la stanza. Sta succedendo per colpa mia, vero? E' una specie di punizione.>>
<<E' la verità. Cosa puoi dirmi sul tuo disturbo?>>
<<E’ falso, molto probabilmente. Non ne ho la certezza. Io… sono giunto alla conclusione di non poter fare niente per quelle persone. Ho provato diverse volte a farla finita>> alzi le mani << ma non andavo mai fino in fondo. Io voglio bene alla mia famiglia, ma il senso di apatia nei confronti di quella storia… è la cosa che mi fa impazzire. Non posso fare niente per quelle vittime, ma posso soffrire per loro.>> e per un attimo ti senti veramente realizzato.
<<Finalmente l’hai capito, proprio come pensavo. Non devi più soffrire. E’ finita, torna a casa>> tirando fuori un mazzo di chiavi.
<<No, dottore. L’ho sempre saputo. Tutto quanto. Ed è per questo che non posso tornare indietro.>>
<<Cosa?>>
<<Potrò anche stare in pace con me stesso, ma non posso dimenticare quelle vittime. Ho fatto la mia scelta.>>
<<No, non puoi farlo per davvero. Guardati! Sei quasi morto su quella nave ed oggi sei qui con le fasce ai polsi. Questo non è abbastanza?>>
<<Lo sarebbe se riportasse in vita quella gente, ma non lo è. Devo assumermi le mie responsabilità.>>
<<Lo stai facendo. L'hai sempre fatto. Le tue sofferenze derivano tutte da questo e tu l'hai saputo in ogni circostanza. Pensi che quel vecchio sia sparito nel nulla? La risposta la sai, eppure quella ragazzina oggi potrà vivere una nuova vita. Questo per te non è abbastanza?
<<... no. Non è la stessa cosa. Tentare di aiutare qualcuno oggi non è lo stesso di quello che avrei dovuto fare sulla Heaven.>>
<<E mai lo sarà, ma non puoi nemmeno continuare a soffrire per qualcosa di irreparabile. Oltretutto salvasti tutto il resto dell'equipaggio, attivando le scialuppe di salvataggio. Prendine atto.>>
<<Ma lo faccio! Sto prendendo atto delle mie azioni da quando mi hanno appeso a quella finestra. Il problema è che è tutto bianco o nero. Salvo o condanno. Non voglio. Non voglio avere questa responsabilità. E' meglio per tutti che io stia in disparte, da solo, lontano.>>
<<E' così quindi? Pensi che isolarti ed evitare il prossimo sia la soluzione? Questa tua stupida fuga è un insulto a quelle morti. Non è così che devi fare Sano, e non devo essere io a fartelo notare. Il mondo continua a girare, la realtà a sussistere>> bussa per terra <<e tu non puoi farci niente. L'inevitabilità c'è e basta. Dai un peso alle tue azioni. Non riesci a dimenticarti di loro? Salva il mondo allora! Vai in giro ed aiuta la gente. Scala qualche palazzo per gli orfanotrofi. Brucia qualche parlamento per la società. Dona il tuo sangue, salva i panda, pulisci le spiagge francesi. Fai qualcosa per gli altri, per il mondo ma soprattutto, fai qualcosa per te. Tu non ti meriti questo, non puoi gettare via la tua vita dopo essere sopravvissuto a mille persone. Sarebbe disumano.>>
Qualcosa si muove dentro di te. Per un attimo ti senti commoso come ti succedeva da piccolo vedendo Amuro Ray sul suo Gundam. E te ne stai zitto. Vorresti controbattere, ma l'eco di quelle parole ti riempie il cervello. Forse ha ragione.
<<Aiutare per dimenticare. Mi chiedo se sia la cosa giusta. La prospettiva della vita è più contorta del riflesso di uno specchietto retrovisore, eh?>>
Sta in silenzio col volto serio fisso su di te.
<<Sarebbe pur sempre un atto di tua volontà, come quello che avresti dovuto assumere con quell'assassino. Con gli occhi aperti. Alle volte penso piuttosto che sia pretenziosa come una sgualdrina, la vita.>>
Lo guardi serio anche tu.
Ridete entrambi. Una risata lunga, c'è qualcosa di pacifico lì in mezzo.
<<Penso di avere capito. Rifletterò su questo, ma non fermerò la mia pena.>>
<<L'importante è che sia tu a sceglierlo. Tu e tu soltanto. Ho capito di non poterti salvare, questo mi rattrista. Ma mi basta sapere che avrai coscienza delle tue azioni. Hai gli occhi aperti.>> ti guarda e chiude gli occhi. Sorride.
Sei felice. Ti alzi e vai verso la porta. Esci da quel luogo e per un breve istante ti giri e non vedi niente lì per terra. Poi la porta si chiude. Giorno, ma la luce è tenera. Ti dirigi al parcheggio ed attivi il comando. Un furgone risponde. Ci sali e ti prepari al tuo viaggio.
Una volta dissi che non credevo a ciò che la Lumaca insegnava. Le diedi della bugiarda e rifiutai ogni sua parola. Mentii. 467 persone sono morte, altre 567 disperse, mai ritrovate. Amo la mia famiglia e so che loro provano lo stesso per me, ma non posso fermarmi qui. A bordo di questa macchina, tento di addentrarmi in un mondo grigio, senza colori. Non posso riportare in vita nessuno e questo mi tormenterà per sempre. Ma devo guardare avanti e tentare di fare ciò che posso per chi ha la mia stessa visione del mondo. Perché è ingiusto pensare che il mondo sia solo bianco, nero e grigio. Il mio mondo un tempo ne aveva uno bellissimo, di colore. Non era per tutti, ma io lo comprendevo. Da quell’esperienza ho imparato che le persone sono un insieme infinito di colori diversi. A volte puoi abbinarli, così nascerà qualcosa di unico. E’ il principio della vita. Non crederò nel raid razzista che mi hanno urlato all’orecchio per ore. Non crederò di trovarmi in mezzo a persone senza umanità. Non crederò che quei morti siano dimenticati per sempre. La mia storia non è finita. E’ appena iniziata. E la tua?
Sano si allontana verso il lungomare, guardando l’infinito blu distendersi nel mondo. Prova fastidio nel vedere quella scena, ed un tic gli fa chiudere l’occhio destro, per un breve istante.
-
Avviso di aver ultimato le votazioni del precedente turno, quindi, le votazioni che avevo lasciato incomplete, ora ci sono tutte, sempre allo stesso post (pag. 20).
-
Io la sto terminando e spero di riuscirci. Eventualmente chiedo una proroga. Adesso sono più o meno ad un quarto.
-
Citazione:
Originariamente Scritto da
Light 96
Io la sto terminando e spero di riuscirci. Eventualmente chiedo una proroga. Adesso sono più o meno ad un quarto.
Io ho fatto ancor meno, ma se la consegna è per l'1 sono a postissimo. Questi giorni non devo far nulla in particolare, quindi posso completare la One-Shot in tutta tranquillità.
-
Io come al solito quando ho tempo me la prendo troppo comoda. >_<
Spero di riuscirci, farò il possibile. :)
-
-
QUANDO È TROPPO È TROPPO
PROLOGO
La porta d’ingresso si spalancò.
«Ah, finalmente siamo a casa! Entrate, entrate pure!»
Un piccolo cagnolino sgattaiolò vivacemente all’interno dell’abitazione, abbaiando e scodinzolando felice. Saltellava di qua e di là senza sosta, al settimo cielo.
L’uomo scoppiò in una gioiosa risata. «Ti piace questo posto, non è vero? Beh, perlomeno ora hai un tetto sulla testa. Nessuno oserà mettere nuovamente a repentaglio la tua vita finché starai qui con me, piccoletto».
Si voltò verso l’ingresso. «Ehi, e tu che ci fai ancora lì fuori? Vieni, forza!»
«Okay, Satan».
Un grosso individuo rosa comparve sulla soglia. Indossava un minuscolo gilet che lasciava la parte alta del suo corpo quasi interamente scoperta, dei pantaloni bianchi eccessivamente larghi, un lungo mantello color porpora ed una cintura nera con al centro incisa una misteriosa M.
Si trattava di Majin Bu.
Il mostro procedette lentamente, guardandosi intorno con curiosità.
L’atrio era assolutamente immenso. Ogni cosa trasmetteva all’osservatore un’immediata sensazione di lusso e sfarzo, a partire dall’enorme lampadario di cristallo che troneggiava sul soffitto fino ad arrivare alle robuste pareti di candido marmo.
Ma tutto questo a Majin Bu non interessava.
Guardò il suo migliore amico con un sorriso stampato sulle labbra. «Sono molto contento di essere qui con te».
Il campione del Tenkaichi rise nuovamente, imbarazzato. «Oh, ma certo, ma certo! Anche io sono felice che tu sia venuto a vivere nella mia umile dimora, ah ah! Ma ora bando alle ciance, vieni, ti mostro la tua stanza. Scommetto che ti piacerà un sacco!»
Majin Bu trotterellò al fianco di Satan, senza obiettare.
Il cagnolino abbaiò gioioso e saltò addosso al mostro rosa, che lo tenne tra le braccia e lo coccolò grattandogli la nuca.
Majin Bu era felice. “Sono veramente fortunato.
“Ho due amici che mi vogliono bene ed amano giocare con me. Non pensavo che ciò potesse essere più divertente del distruggere e dell’uccidere. Mi sbagliavo, ed è tutta colpa di quei cattivoni di Bibidy e Babidy. Mi han portato sulla cattiva strada, manipolandomi per i loro scopi.
“Ora posso finalmente affermarlo senza dubbi: quella non era vera vita”.
Tutt’a un tratto, qualcuno bussò alla porta.
Satan si arrestò immediatamente, ed assunse un’espressione sconsolata. «Dev’essere lei! Oh, no, speravo se ne fosse dimenticata! E ora che faccio? Che faccio?»
Majin Bu non riusciva a capire cosa stesse succedendo. «Ehi, c’è qualcosa che non va?»
Satan si riscosse e fissò Majin Bu spalancando gli occhi. «Non è niente, Bu! Sta’ tranquillo, è tutto a posto! Va’ pure in fondo a questo corridoio e goditi la nuova camera, io ti raggiungerò subito!»
Sentì nuovamente bussare, questa volta con più forza.
Satan si allarmò. «A-arrivo!»
Corse in direzione della porta d’ingresso e la aprì il più in fretta possibile. Era completamente pervaso dal panico.
“Satan… perché ti comporti così?” pensò la creatura rosa, preoccupata. Decise che la sua camera poteva aspettare e rimase immobile, intento ad osservare la scena.
Una donna attraente, bionda e snella, entrò a passo deciso nell’atrio. Il suo sguardo di ghiaccio vagò per qualche tempo nella stanza, finché si soffermò proprio su Majin Bu.
Le sue labbra si contorsero in un ghigno. «Tsk, ti sei davvero tenuto il grassone allora».
Si voltò verso Satan. «Lo sai che quest’essere ha ucciso Vegeta, ferito gravemente Gohan e annientato un’infinità di terrestri innocenti, non è vero? Per non parlare di ciò che ha fatto il suo alter ego, Super Bu. Tu sai quanto sia pericolosa questa creatura.
«Eppure, lo tieni in casa come fosse un docile animale domestico. Aveva ragione Vegeta; avremmo dovuto annientarlo ore fa, dopo lo scontro con Kid Bu».
Satan non osò rispondere. Rimase in silenzio, ammutolito dalla paura.
La donna osservò di nuovo la maestosità e la ricchezza che la circondavano. «Vedo che ti tratti proprio bene. Deve fruttare parecchio essere il campione mondiale del torneo di arti marziali più famoso del globo, non è vero?»
Inaspettatamente, Satan prese coraggio e si decise a proferir parola. «S-senti, C-18, se sei v-venuta qui p-per i soldi devo avvertirti che n-non…»
18 lo fulminò con lo sguardo. «Che non son giunta fin qui invano, giusto? O volevi forse dire che non puoi darmi ciò che mi spetta? Sai, odio particolarmente chi non tiene fede ai patti e non so quale potrebbe essere la mia reazione se tu non potessi soddisfare la mia richiesta adesso…».
Satan impallidì, e subito indietreggiò d’un passo. Deglutì.
«M-ma certo, lo so bene! Ah ah ah - gulp - ! Ho lasciato i d-dieci…»
«Venti».
«C-certo, i venti milioni di zeny nella c-camera accanto. Ora, se vuoi scusarmi…»
Satan sparì in un lampo dietro una porta a sinistra dell’ingresso. Il cagnolino saltò giù dalle braccia di Bu e seguì l’uomo, probabilmente anch’esso intimorito dalla nuova arrivata.
Nell’atrio rimasero C-18 e Majin Bu, soli.
Il mostro rosa era decisamente arrabbiato. «Ehi, tu, perché infastidisci Satan?»
Il cyborg scosse il capo con fare sprezzante. «Non sono cose che ti riguardano. Io e lui abbiamo fatto un accordo, ed ora deve rispettarlo».
«Ma a Satan non piace quest’accordo. Devi lasciarlo in pace!»
C-18 rise. «A me non interessa ciò che pensa lui. Le possibilità sono due; o mi paga ciò che deve, o io lo decapito. Chiaro? Tu non immischiarti, questo è un affare che riguarda solo me e quello sbruffone».
Majin Bu non voleva che venisse alzato neanche un dito contro Satan. I suoi amici erano intoccabili.
«Se vuoi far del male a Satan, dovrai vedertela con me!»
«No, Bu!»
La creatura si voltò, sorpresa.
Satan aveva fatto capolino dalla stanza in cui era entrato. «L-lei ha ragione, le devo dare ciò che le spetta».
L’uomo si diresse dall’androide con in mano un sacco pieno di mazzette.
«E-ecco. Contali pure, se vuoi».
18 afferrò gli zeny e sorrise. «No, so bene che non stai tentando di fregarmi. In ogni caso, se tornassi a casa e scoprissi che qui manca qualcosa, sai già che cosa succederebbe».
Dopodichè la donna uscì dall’abitazione a tutta velocità.
Satan tirò finalmente un sospiro di sollievo e si appoggiò alla parete, esausto. «Uff, quel cyborg è agghiacciante. È l’unica donna che sia mai riuscita a tenermi testa. Dannazione, venti milioni… Sono rovinato!».
Majin Bu era ancora dubbioso.
Non riusciva a comprendere il comportamento dell’amico. «Perché non hai voluto il mio aiuto, Satan? Potevo sistemarla io. Ho visto come ti sei preoccupato al suo arrivo».
Satan fissò il mostro rosa con sguardo malinconico. «Bu, tu sai quanto io ti voglia bene. Son sicuro che in fondo non vorresti far del male ad una mosca. Ma è passato davvero poco tempo da quando non facevi altro che distruggere città, e... beh, diciamo che in questo caso potevo cavarmela da solo. Certo, quella specie di robot femmina non mi va molto a genio, ma non voglio assolutamente che si faccia del male a causa mia… o tua. Dopotutto è un’amica dei veri eroi della galassia, Goku e Vegeta.
«Io avrò sempre bisogno del tuo aiuto, Bu, specialmente ora che Videl ha deciso di andare a vivere da Gohan. Ma in questo caso semplicemente non era necessario che intervenissi».
Con un sorriso, Satan concluse il discorso e si diresse in camera sua, stanco per tutto ciò che aveva passato negli ultimi giorni e desideroso di una bella dormita.
Majin Bu rimase di sasso. Non riusciva a muoversi, e non sapeva che cosa pensare.
“Satan non si fida… di me?”
-
PART 1 - UN EROE INCOMPRESO
«Eh eh eh, ho già capito le tue intenzioni».
Vegeta stava riflettendo tra sé e sé a voce alta, osservando la sagoma di Goku allontanarsi velocemente dal ring con il piccolo Ub sulle spalle fino a sparire in lontananza, diretta chissà dove.
Majin Bu era piuttosto incuriosito. «Perché Goku ha detto di voler allenare quel bambino?»
Piccolo rispose, tenendo sempre lo sguardo fisso all’orizzonte: «Avrà capito che la Terra ha bisogno di un nuovo combattente. Oramai noi veterani stiamo invecchiando, Goten e Trunks si sono adagiati su questo lungo periodo di pace ed hanno perso preziosi anni d’allenamento e d’esperienza in battaglia…»
I due giovani si guardarono l’un l’altro, imbarazzati.
«…ma il pianeta necessita comunque di un paladino che la difenda a lungo ed efficacemente. E quel ragazzo, essendo la reincarnazione del forte Kid Bu, ha tutte le carte in regola per poter assicurare tranquillità a tutti i terrestri».
Vegeta sorrise a quelle parole. «Pff, è innegabile che quello sciocco di Kakaroth voglia anche confrontarsi con un nuovo avversario alla sua altezza. Allenerà Ub, e poi lo sfiderà. È un saiyan dopotutto.
«Sapete, quel Goku che voi tutti tanto osannate in realtà è solo uno sporco egoista, pronto a mentire pur di realizzare i propri scopi. Tsk, addestrare un nuovo paladino della Terra, ma a chi vuole darla a bere?»
Majin Bu ascoltava tutti quei discorsi rimanendo in silenzio.
Più capiva ciò che Goku aveva fatto, più non riusciva a capacitarsi del perché.
“Ma hanno davvero intenzione di affidare il loro futuro nelle mani di quel… bambino?
“Non mi pare che la sua forza fosse tanto straordinaria. Anzi, in realtà dubito anche che sia davvero la reincarnazione di Kid Bu. Se così fosse, mi aspettavo perlomeno che mettesse in difficoltà Goku, invece il saiyan è riuscito a tenergli testa senza nemmeno trasformarsi.
“E come potrebbe quel piccoletto esser considerato un degno avversario? Probabilmente anche Goten e Trunks potrebbero sconfiggerlo con facilità una volta divenuti super saiyan, figuriamoci i loro genitori. Ed è chiaro che l’allenamento non potrà incrementare di molto la forza di Ub, essendo quest’ultimo un semplice terrestre alla stregua di Crilin o Yamcha.
“Inoltre, la vita di un essere umano ha una durata esigua se confrontata con l’eternità dell’universo. A chi si affideranno quando per quel ragazzino sarà giunta la fine? E se nessun’altro avesse forza sufficiente a ricoprire il ruolo di paladino? I nuovi nemici avrebbero via libera, ed allora per la Terra sarebbe la fine”.
Majin Bu abbassò il capo, triste.
“Nessuno qui mi considera davvero.
“Son dieci anni che Satan non fa altro che assegnarmi compiti ingrati. Cucinare, lavare i pavimenti, far la spesa, accudire il cane. Dannazione, io sono nato per combattere, non per svolgere sciocche faccende domestiche!
“Ma so anche che Satan vuole solo il mio bene. È mio amico, quindi sopporto le sue richieste senza lamentarmi. D’altronde, se lui non avesse supplicato Vegeta di risparmiarmi tempo fa, io non sarei più tra i vivi. Gli devo molto.
“Questo però è troppo. Come possono affidare il destino del pianeta nelle mani di un bambino sconosciuto quando qui c’è un essere immortale, forte ed esperto nel combattimento? Io sarei il paladino perfetto. Immune all’invecchiamento ed alle ferite corporali, capace di una forza superiore a quella di un saiyan, desideroso di nuove battaglie. Posso difendere tutti, e posso farlo meglio di Ub.
“E nessuno s’è degnato anche solo di propormi il compito… Nemmeno Satan, l’unico che davvero s’è sforzato di capirmi in tutti questi anni…”
«Ehi, Bu, mi chiedevo…»
Il filo dei pensieri venne spezzato dalla voce di Satan.
Majin Bu era al settimo cielo. “Ehi, forse ora ha capito!”
Una grande speranza si risvegliò nella creatura rosa. Si rivolse al suo amico con un grande sorriso sul volto. «Dimmi pure, Satan».
Il campione del Tenkaichi si grattò la testa. «Ecco, mi chiedevo se avessi il tempo di andare a prendere un po’ di cibo per Bee. È tutto il giorno che mi salta addosso in cerca di qualcosa, e credo voglia un po’ dei suoi croccantini, ma proprio ieri sono finiti gli ultimi rimasti. Puoi fare un salto al mercato? Fa in fretta, o il tuo scontro comincerà mentre sei via!»
Majin Bu era sorpreso. Un’immensa delusione crebbe dentro di lui.
Senza riuscire a celare la sua tristezza, rispose contrariato: «Certo, vado subito».
***
Majin Bu volava rapido a circa duecento metri d’altezza dal terreno, lontano da quel mondo che tanto lo ignorava. Aveva appena portato un grosso carico di frutta fresca all’affamato Satan, ed ora si stava dirigendo velocemente a casa di Bulma.
“Ora basta. Devo convincere tutti che io posso farcela. Sono io quello giusto per questo compito”.
Giunto a destinazione, Majin Bu si lanciò in picchiata sull’abitazione.
L’impatto provocò un grosso foro sul soffitto e la creatura si ritrovò all’interno di una piccola stanza, circondato da detriti.
Vegeta si trovava proprio lì, a torso nudo, intento ad allenarsi.
Erano nella camera gravitazionale.
Il saiyan rimase allibito. «Tu… che ci fai qui!? E perché sei entrato in questo modo?»
Majin Bu si scrollò, alzandosi dal punto in cui era precipitato. «Devi allenarmi».
Vegeta strabuzzò gli occhi. «Io… cosa!? E ti pare questo il modo migliore di presentarti per chiedermi un favore?»
«Voglio dimostrarvi il mio valore. Anche io posso difendere la Terra, non c’è bisogno di affidarsi a quell’Ub. Quindi voglio allenarmi, diventare più forte, e so che tu puoi aiutarmi in questo».
Il saiyan si infuriò. «Ma se hai appena danneggiato la camera, come pensi che potrei aiutarti ora?! Anche solo una fessura nella parete disattiva l’attrazione gravitazionale, dato che potrebbe rivelarsi pericolosa. Ora ci troviamo solo in una comunissima stanza, ed è tutta colpa tua! E chissà quanto tempo richiederà la riparazione!
«Inoltre, come credi che una creatura come te possa aumentare il proprio livello combattivo? Noi saiyan, così come i terrestri, siamo organismi dotati di muscoli, ossa, vene, cervello, ed è in questo che risiede la nostra forza spirituale. Con l’allenamento riusciamo ad incrementare la capacità massima esercitata dalle nostre funzioni naturali. Noi nasciamo piccoli ed indifesi per poi crescere e fortificarci in età adulta. Il miglioramento del corpo è nelle nostre corde.
«La tua forza spirituale invece deriva direttamente dalla magia di Bibidy, ed è probabilmente immutabile. Tu non sei un soggetto in crescita; rimarrai in eterno identico a come sei nato, a meno che non ricorri a quella dannata tecnica d’assorbimento che tanto ci ha fatto penare in passato. Non possiedi muscoli da allenare, ossa da irrobustire, né un cervello da affinare. Tutto il tuo essere deriva dalla magia, e solo tramite essa potresti diventare più forte. Peccato che Babidy e Bibidy siano ormai morti e non possano aiutarti.
«È per questo che Kakaroth confida in Ub. Quel ragazzino può facilmente migliorarsi pur possedendo già in sé le enormi potenzialità di Kid Bu. Se ben addestrato potrebbe raggiungere una forza inimmaginabile, a differenza tua, che sei invece destinato a non mutare in eterno.
«Io non posso allenarti. Rassegnati».
Quelle parole colpirono Majin Bu con la forza di un ciclone. La nuda, crudele verità gli si parò dinnanzi agli occhi limpida come l’acqua.
Egli era divenuto inutile ormai, relegato al compito di mero servetto di Satan. L’addestramento avrebbe facilmente portato gli altri combattenti a superarlo, e questo limite lo rendeva un individuo di secondo piano nel disegno di difesa del pianeta.
Ma Majin Bu si rifiutò di arrendersi all’evidenza. La sua forza era sufficiente, non era necessario possederne di più, ed inoltre la sua vita eterna sarebbe stata un vantaggio non indifferente.
La creatura rosa fulminò Vegeta con lo sguardo. «Dovrei essere io il paladino della Terra! Come fate ancora a non capirlo? Come potete ignorarmi così?»
Con un misto di ribollente rabbia e cupa malinconia nell’animo, Majin Bu volò in alto passando attraverso l’apertura sul soffitto, per poi scomparire nella volta celeste.
Vegeta abbassò il capo. «Tsk, illuso».
-
PART 2 - LA STORIA SI RIPETE
La porta d’ingresso s’aprì lentamente, e Majin Bu entrò nell’abitazione.
Bee gli corse subito incontro e pose le zampe anteriori sulla morbida pancia della creatura, scodinzolante. Sembrava avesse voglia di giocare, ma Majin Bu non era proprio in vena.
Un rumore di passi affrettati risuonò nell’atrio, proveniente da chissà quale zona dell’immensa casa. Lo scalpiccio si faceva sempre più vicino, sempre più deciso.
Poco tempo dopo, Satan arrivò nell’atrio. Aveva lo sguardo furente.
«Bu! Dannazione, che fine avevi fatto? Devi avvisarmi quando vuoi uscire di casa! Quante volte dovrò ripetertelo, eh?»
Sbuffò. Poi, respirando profondamente, cercò di darsi una calmata.
«Senti, perché ora non vai a fare un po’ di spesa? Tra poco ceneremo, e nella dispensa non c’è nulla».
Majin Bu stava tremando. Dense volute di fumo fuoriuscivano dai fori della sua pelle, ed un fischio acuto penetrò le orecchie dei presenti.
«Bu…?»
Il braccio della creatura rosa si allungò, rapidissimo. Un pugno raggiunse il volto di Satan e lo colpì, riducendo la sua testa ad una nera poltiglia. Fiumi di sangue sgorgarono dal collo dell’uomo, sporcando il pavimento lucido di cera.
Il suo corpo, oramai senza vita, cadde a terra con un tonfo sordo.
Il fischio si spense. Il fumo si diradò. Nella stanza cadde un silenzio di tomba, rotto solo dai tristi guaiti del cane.
Majin Bu osservò la propria mano. Era macchiata di sangue.
“Che… che cosa ho fatto?”
Bee era scosso da tremiti. Fissava spaventato l’assassino di Satan, senza spostarsi di un centimetro.
Majin Bu sentì qualcosa scivolargli sulla guancia. Si toccò il viso, e la sua mano si bagnò.
Era una lacrima. “Sto… piangendo?”
La creatura rosa guardò ancora una volta il corpo inerme dell’amico.
Era un incubo. Un orrendo incubo.
“Negli ultimi mesi che abbiam passato insieme, ho iniziato a dubitare di te. Strane idee hanno assalito la mia mente. Il sospetto che tu non mi considerassi più un compagno, ma semplicemente un tuttofare, s’è rafforzato sempre più fino a trasformarsi in un’ossessione.
“La vecchia vita da combattente e da distruttore, in cui ero io il protagonista, ha continuato a farsi spazio nei miei pensieri. Dopo dieci lunghi anni passati solamente con te e con Bee ho iniziato a sentirmi inutile, emarginato ed ignorato. Un antico ed oscuro desiderio di violenza m’ha involontariamente investito.
“La mia natura è malvagia quanto quella del mio creatore. Non son riuscito a trattenere la mia indole, sebbene lo volessi con tutto il cuore.
“Quel Goku… come ha potuto ignorarmi? Come ha potuto considerare quel bambino più capace di me? E Vegeta, tramite quali assurdi motivi ha cercato di giustificare l’addestramento di un terrestre a difesa del pianeta! E quali giustificazioni ha apportato solo col fine di non allenarmi, incentrato egoisticamente ed unicamente sul proprio corpo!
“Quei due saiyan hanno liberato il mio desiderio d’attenzione, rimasto sopito per tutti questi anni. Hanno risvegliato la mia ira, la mia indole distruttiva, il mio odio. Se solo m’avessero preso in giusta considerazione, tutto ciò non sarebbe mai accaduto.
“Satan… sono arrivato ad ucciderti a causa loro. Non avevo motivo di dubitare di te. Sei il mio migliore amico, e lo rimarrai per sempre.
“Vendicherò la tua morte, stanne certo. Quei saiyan non la passeranno liscia!”
Majin Bu proruppe in un angoscioso grido di dolore e rabbia. I gettiti di fumo provenienti dal suo corpo si fecero ancora più intensi di prima, ed il fischio ancor più acuto.
Bee fuggì a gambe levate in un’altra stanza.
Majin Bu liberò lentamente la propria ira, e sentì le proprie forze venir meno. Finché, esausto, si accasciò al suolo, ansimante.
Tutt’a un tratto, preoccupato, alzò lo sguardo.
Il fumo s’era raggruppato sul soffitto in una sorta di piccola e densa nube nera. Questa si muoveva e contorceva continuamente, quasi fosse un essere vivente.
“…Non di nuovo!”
In pochi istanti, la nube assunse le sembianze di uno strano individuo grigio. Indossava degli abiti identici a quelli di Majin Bu, ma era estremamente più magro di quest’ultimo.
Egli lo conosceva bene. Quello era Evil Bu. «Ciao! Ci rivediamo, grassone!»
Majin Bu cadde in preda alla più profonda delle angosce.
“No, questo non doveva accadere!
“Sono arrivato ad incolpare i saiyan per la mia inettitudine, come sono sciocco! I miei pensieri più malvagi probabilmente si son trasferiti nel mio alter ego, quindi ora avrà intenzione di uccidere Goku e Vegeta!
“L’unico da incolpare per la morte di Satan… sono io. L’ho ucciso con le mie mani. Ho ancora il pugno macchiato del suo sangue… il sangue del mio migliore amico”.
Iniziò a piangere, ormai privato di ogni speranza.
Evil Bu era troppo forte. Non gli restava che arrendersi.
La creatura grigia atterrò, fissando il grassone con un ghigno sul volto.
«Questa volta non correrò il rischio di assorbirti di nuovo. La tua ingenuità non può far altro che male, quindi mi limiterò a disintegrarti».
L’ultima cosa che Majin Bu vide fu il braccio disteso di Evil Bu, la sua mano spalancata di fronte al volto.
Sorrise. “Mi dispiace molto, Satan. Spero di incontrarti, nell’aldilà”.
Un lampo di luce, poi tutto si fece nero.
Il nulla.
***
-
***
«Forza, figliolo, puoi fare di meglio!»
«*anf anf* Sto già dando il massimo, papà!»
Vegeta e Trunks stavano allenandosi in una prateria lontano da casa lottando senza esclusione di colpi. Il ragazzo non aveva alcuna voglia di combattere, ma da quando la camera gravitazionale fu danneggiata da Majin Bu Vegeta non aveva alternative, così si serviva del figlio in attesa del completamento delle riparazioni.
Trunks cercò di bloccare i pugni del padre, ma uno fu troppo rapido e lo colpì in pieno viso.
Cadde a terra, solcando il terreno per qualche metro prima di fermarsi.
Tentò di rialzarsi, tastandosi il viso. «Dannazione, papà! Lo sai che sono fuori allenamento, non posso sopportare colpi del genere!»
Vegeta sbuffò. «Non fare la femminuccia, Trunks! Forza, combatti!»
Il giovane sputò a terra, indispettito. «Io me ne torno a casa. Sono stanco, e non capisco nemmeno perché ti ostini a fare tutto questo. Cavatela da solo».
«Tu… che cosa?»
Trunks volò via a tutta velocità, senza fornire ulteriori spiegazioni.
Vegeta era stupito. “Non pensavo mi avrebbe disobbedito così spudoratamente. Tsk, è un illuso se pensa che mi dimenticherò di questo torto. Una bella punizione non gliela toglie nessuno”.
Il saiyan si sedette per terra, pensieroso. «Ed ora come mi alleno?»
«Puoi sempre sfidare me, principe dei saiyan».
Vegeta si alzò di scatto e si voltò in direzione della voce.
Ciò che vide fu sconcertante. «Tu…!»
Di fronte a lui c’era Evil Bu.
Il mostro sorrise. «Sì, sono proprio io.
«Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ti sei ritrovato a combattere una minaccia? Non sai più neanche come si percepisce l’aura di un nemico in avvicinamento?»
Vegeta non riusciva a credere ai propri occhi. “Ma come diavolo è potuto accadere? Perché lui è qui? Questo Bu è quello uscito dal corpo di…»
Un atroce sospetto lo folgorò. «Dov’è finito il grassone? Che ne hai fatto?»
Evil Bu scoppiò in una sonora risata. «L’ho fatto fuori, è ovvio. Sai già che dopo la separazione mi porto via quasi tutta la forza del Majin originario, quindi è stato molto semplice eliminarlo.
«Proprio come sarà semplice eliminare te».
Vegeta fu colpito da quelle parole.
Ricordava ancora molto bene come fu surclassato da Majin Bu, e come fu costretto a dare la vita per tentare di ucciderlo. Ma nemmeno quello sforzo tanto estremo riuscì ad abbatterlo definitivamente.
Il saiyan si infuriò. «Son passati lunghi anni da quel momento! Ora sono molto più forte di prima!»
«Ne sei sicuro?»
Vegeta zittì. Non sapeva come controbattere.
Evil Bu ne approfittò per proseguire.
«Il potenziamento derivante dal controllo di Babidy diede i suoi frutti. Riuscisti a raggiungere il livello di Son Goku in un batter d’occhio. Ma quella forza non fu comunque sufficiente a sconfiggermi.
«E adesso credi davvero di esser riuscito a superare il livello di quel Bu utilizzando solamente la camera gravitazionale? Ormai sei giunto al limite delle tue capacità da tempo, mio caro. Senza contare il fatto che in questo lungo periodo di pace sicuramente le tue sessioni d’allenamento sono diventate molto più brevi.
«Mi sbaglio, forse?»
Vegeta restò a bocca spalancata, incredulo. «M-ma tu hai solamente parte del potere di Majin Bu, e sicuramente ora la mia forza supera di gran lunga la tua!»
Un ghigno si stampò sul volto di Evil Bu. «Beh, verifichiamo subito».
Vegeta iniziò a provare timore. Si trasformò in super saiyan. «Maledizione!»
Evil Bu si lanciò alla carica.
Con un calcio spedì l’avversario in volo a molti metri di distanza. Poi, senza dare il tempo a Vegeta di riprendersi, gli fu addosso ed un pugno bastò per scaraventare il saiyan di nuovo verso terra.
Vegeta precipitò al suolo creando una grande voragine all’impatto.
Non riusciva più a rialzarsi. Era già sfinito.
Evil Bu atterrò al suo fianco. Piegò le ginocchia, finché il suo volto non incontrò gli occhi del saiyan disteso a terra.
«Sei patetico. Sai solo darti arie, ma è quando entri in azione che dimostri davvero di che pasta sei fatto.
«Per dieci, lunghissimi anni, io, il grande Majin Bu, l’essere destinato sin dalla nascita a dominare l’intera galassia con la paura ed il terrore, sono stato ignorato da una patetica combriccola di idioti. Satan non ha fatto altro che sfruttarmi come un qualsiasi schiavo, e sia Goku che voialtri avete affidato il vostro futuro ad un piccolo, insulso terrestre chiamato Ub invece di ricorrere alla mia infinita potenza. Beh, ora ne ho abbastanza.
«Uhm… vediamo se riesci ad ignorare anche questo».
Evil Bu prese tra le mani la testa di Vegeta.
Inerme, il saiyan non poté evitare che il suo cranio andasse in frantumi, schiacciato dalla morsa della creatura.
Il Majin lasciò andare il corpo. «Bu due, Vegeta zero».
-
ENDING
«Bene, per oggi può bastare».
Ub si asciugò la fronte col braccio, affaticato dall’estenuante allenamento impartitogli da Goku.
Erano giorni ormai che il ragazzino assecondava le richieste del saiyan senza ancora comprenderne bene le ragioni. Goku gli aveva spiegato quanto fosse importante per la Terra un paladino forte e di buon animo, ma Ub credeva ancora di non essere all’altezza di un tale fardello.
“Devono aver sbagliato persona. Ma finché quest’uomo gentile mi aiuta negli allenamenti quotidiani non avrò di che lamentarmi; ho bisogno di più potere possibile se voglio difendere il mio villaggio” pensava.
Goku sorrise. «Sei un vero portento! Quanti anni hai detto di avere?»
Ub arrossì. «Dieci…»
«Wow! Alla tua età ero ben poca cosa rispetto a te, e mi ero già allenato per anni! Sei un talento nato, non a caso possiedi lo stesso spirito di Kid Bu».
Il bambino aggrottò la fronte. «E chi sarebbe questo… Bu?»
Il saiyan aprì la bocca per rispondere, ma subito si bloccò.
Aveva avvertito qualcosa.
All’improvviso, un’ondata di strano gel rosa apparve alle spalle di Goku e lo ricoprì completamente, oscurandolo alla vista di Ub.
Il ragazzino si preoccupò per il maestro. «Signor Goku!»
Poco distante, a qualche passo da Ub, un essere grigio con degli strani pantaloni eccessivamente larghi atterrò poggiando lentamente i piedi al suolo. La massa gelatinosa che aveva avvolto Goku volò in direzione dell’individuo fondendosi con esso.
Il maestro era sparito nel corpo di quell’essere.
Ub gridò. «Goku!»
Gli abiti della creatura iniziarono a mutare, e diventarono identici a quelli indossati dal saiyan appena assorbito. Le sue mani furono dotate di cinque dita, ed un naso gli crebbe dove prima non c’era altro che uno spazio vuoto tra gli occhi e la bocca.
Il mostro osservò il suo nuovo corpo, ridendo.
«Goku è davvero un portento! Se mi fossi scontrato con lui, probabilmente non sarei riuscito a farla franca. Quanta potenza!
«E ora come dovrei esser chiamato? Evil Bu non mi pare appropriato. Uhm… magari Saiyan Bu?»
Ub, ancora incredulo per ciò che si stava verificando davanti ai suoi occhi, ricordò le parole che poco prima aveva scambiato con Goku. “Quindi sarebbe questo il Bu di cui il maestro parlava?”
Evil Bu stava ancora ridacchiando, quando improvvisamente assunse un’espressione seria.
Fissò Ub dritto negli occhi.
Il ragazzino si sentì raggelare il sangue.
La creatura grigia iniziò a parlare: «E così tu sei il famigerato Ub, il nostro salvatore, non è vero? Mi aspettavo qualcosina di più dalla reincarnazione di Kid Bu. Tu sei un normalissimo terrestre, Goku deve aver preso un enorme granchio».
Ub non riusciva a reagire. Quell’essere aveva annientato il suo maestro in un batter d’occhio, come avrebbe potuto lui anche solo sperare di sopravvivere?
Evil Bu continuò. «Ma forse sono io a sbagliarmi. Forse tu sei davvero l’essere più forte dell’universo, ed io dovrei inchinarmi al tuo cospetto. In tal caso, non ti dispiacerà una piccola zuffa tra amici, non è vero?
«Non fare sul serio con me, non voglio morire».
La creatura esplose in una risata.
Poi, si lanciò all’attacco.
***
«Pensi che dovremmo ricorrere nuovamente alle sfere di Neo Namek?»
«Sì, è necessario. Dovremo resuscitare Vegeta ed estrarre Goku dal corpo di Bu. La loro esperienza non potrebbe rivelarsi più preziosa di ora. Inoltre non possiamo ignorare il fatto che Bu potrebbe…»
«Sst, s’è svegliato!»
Ub aprì gli occhi. Era intontito, ma stava bene.
Si rialzò senza sforzo. Tutte le ferite che aveva subito sembravano scomparse.
Incuriosito e sorpreso, si guardò intorno.
Si trovava in un’immensa prateria punteggiata qua e là da alture rocciose. L’atmosfera era estremamente tranquilla e silenziosa, e tutto trasmetteva all’osservatore una piacevole sensazione di serenità.
Ad un certo punto, il suo sguardo cadde su due strani individui.
Uno era alto e snello, l’altro anziano e con la schiena curva. Entrambi possedevano due orecchie a punta e dei vestiti inusuali. Non sembravano umani.
Ub si mise in guardia, sospettoso. «Chi siete voi due?»
L’individuo anziano sorrise. «Io sono il Sommo Kaiohshin, e questo che vedi alla mia destra è invece Kibitoshin, nato dall’unione del Kaioshin dell’Est e Kibith, suo fedele assistente».
Ub strabuzzò gli occhi. «La… unione!?»
Il vecchio sospirò. «È una storia lunga. Lasciamo stare.
«Sappi che ora ti trovi in un luogo sacro, normalmente precluso agli esseri umani come te così come a qualsiasi altro abitante della galassia che non faccia parte della famiglia Kaiohshin. Ti trovi qui ora perché non sei un comune terrestre, ed il tuo compito in questo mondo non è ancora stato terminato».
Ub era scettico, e non credeva ad una sola parola di ciò che gli era stato detto.
Si tastò il corpo, in cerca delle ferite ricevute poco prima.
Sparite, senza lasciare traccia. «Ehm, voi… dove mi avete trovato? Sono certo di non aver perso i sensi in questo posto, quindi dovete avermici portato. E come mi avete curato così in fretta?».
Ora fu Kibitoshin a parlare. «Uno dei miei poteri consiste nel guarire i danni del corpo, e rendere le carni nuovamente integre. Ti ho guarito appena mi son teletrasportato qui con te, ma sei rimasto incosciente ed abbiamo aspettato che ti svegliassi. Probabilmente eri ferito troppo gravemente per poterti subito rimettere in piedi, eri in fin di vita dopotutto».
Ub guardò i suoi interlocutori.
Poi, proruppe in una sonora risata.
Si tenne la pancia con le mani, e lacrime d’ilarità gli scesero dagli occhi. «Potere di guarigione… teletrasporto… luogo sacro…»
Il Sommo Kaioshin si spazientì. «Senti, piccolo insolente, se noi due non t’avessimo trovato quando Bu ti lasciò quasi senza vita nei pressi del tuo villaggio, ora non potresti più parlare tra i vivi. Chiaro? Quindi abbi un po’ di rispetto!»
Ub tornò immediatamente serio.
Ricordava di esser stato picchiato da quella creatura grigia, e di essersi sentito morire. Tutto il corpo gli faceva male e non riusciva a muovere un solo muscolo, finchè tutto si oscurò. Pensava fosse la fine.
Invece eccolo lì, a chiacchierare con due tizi dalla pelle viola sotto un cielo dotato di innumerevoli lune.
Dopotutto, forse non stavano mentendo.
Ub chinò il capo. «Chiedo scusa, ho esagerato. Vi ringrazio per avermi salvato ed avermi portato qui.
«Ma… perché l’avete fatto?»
L’anziano Kaioshin sorrise. «Goku aveva ragione.
«Il tuo immenso potenziale ed il tuo buon cuore fan di te il miglior candidato per il ruolo di paladino terrestre. Anzi, che dico, paladino galattico!
«Da oggi, vivrai sotto la nostra tutela ed imparerai a combattere come un vero guerriero. Sarai addestrato da Kibitoshin nelle arti marziali e, una volta ottenuta una forza sufficiente, verrai mandato a sconfiggere Majin Bu, tornato nuovamente a terrorizzare i terrestri».
Ub si intimorì.
Era solo un bambino, non voleva tali responsabilità. «Non credo che ne sarò capace…»
Kibitoshin si avvicinò.
Appoggiò una mano sulla spalla del bambino. Poi, guardandolo negli occhi, disse: «Questa sarà la tua seconda occasione, Kid Bu. Non deluderci».
the end
----------------------------------------------------------------------------------------------------
-
Domani dovrei chiudere anche io.
Tanto il termine è sempre mezzanotte.
Al massimo accelero un po'.
-
Sono in vacanza e il mio tempo di scrittura è scandito dalla mia batteria del portatile perchè la zona wi-fi del campeggio non dispone di prese elettriche.
Molto probabilmente potrebbe servirmi una piccola proroga se non dovessi consegnare oggi l'elaborato.
-
Nella prossima manche potrei avere dei problemi a postare la shot, dato che domani parto per dieci giorni di mare. Mi porto comunque dietro il portatile ed una chiavetta internet, ma le occasioni che avrò per controllare il topic saranno ben poche.
Cercherò comunque di controllare almeno una volta al giorno per leggere la traccia e provare a scrivere la shot nei tempi morti della giornata, ma come potete ben capire non posso garantire nulla.
Spero di farcela. Magari, ma forse chiedo troppo, si potrebbe allungare un pochino il periodo concesso ad una decina di giorni invece di sette. Ovviamente ciò potrebbe creare qualche problema agli altri utenti, e se così fosse (ripeto: ovviamente) non considerate nemmeno la mia richiesta.
EDIT: anche perchè, se allungaste il periodo a dieci giorni, non potrei comunque garantirvi che farei in tempo. Potremmo farlo SOLO se per nessuno comportasse neanche il minimo problema. ;)