Journey, lo dice la parola stessa, è un viaggio in un mondo di fantasia, un mondo desertico in cui vaga un protagonista alquanto singolare: una figura vagamente umanoide composta esclusivamente da strati di abiti e tessuti, che nessuna altra iterazione sembra avere col mondo circostante salvo quella di poter emettere delle urla inumane (capaci però di alterare alcuni elementi circostanti). Come in Flow e Flower, il set di comandi sarà estremamente stringato: lo stick per muovere, il movimento del controller per variare l'inquadratura, un tasto per il salto e uno per l'urlo, che poi è il comando d'iterazione, utile per spostare stracci e pezze e creare o bloccare passaggi. Stop.
Un ambiente vastissimo, ma fortunatamente con dei punti di riferimento... Quell'oggetto sotto le strisce di tessuto sarà un altro giocatore?
Dov'è il paragone? Sospeso nel nulla, con nessuno con cui interagire, lontano miglia e miglia dalle proprie sicurezze e dei propri problemi, che a distanza diventano incredibilmente piccoli, nessuno può rimanere insensibile al fascino dell'infinito e alla propria piccolezza. Così è Journey, il cui mondo sabbioso e il luminoso vulcano all'orizzonte costituiscono solo la prima delle ambientazioni da visitare, ma di cui sono promesse case, ambienti chiusi, grotte sotterranee e altro ancora. Così, tra salti, capriole, scivolate sulla sabbia mai immobile e “svolazzamenti” in stile panno sospinto dal vento, il protagonista esplora il mondo misterioso in cerca di... questo non lo sappiamo ancora.
Quello che sappiamo è che, incredibilmente, in una simile esperienza personale e introspettiva c'è posto per una sorta di MultiPlayer. Scordatevi però di mettervi d'accordo con un vostro amico, o di intessere nuove amicizie, o di organizzare dei co-op a squadre: in Journey anche il Multy sarà un'esperienza atipica. Giocando online, infatti, il sistema farà occasionalmente e casualmente incontrare tra loro i giocatori solo a due a due, senza che essi possano in alcun modo comunicare tra loro (a meno di non essere già in contatto mediante altri sistemi, ovviamente). I giocatori potranno bellamente ignorarsi e continuare la loro esperienza, oppure cercare di interpretarsi a vicenda per affrontare delle sessioni insieme, scoprendo così altri nuovi segreti del gioco.
L'unico elemento di Journey che, una volta dichiarato, ha fatto storcere un po' il naso è la componente di longevità: pare infatti che l'esperienza, dall'inizio alla fine, non durerà più di tre ore, a meno di non soffermarsi maggiormente in certe parti alla caccia di tutti i segreti (e i trofei). Dopodiché? Sarà possibile rigiocarlo, avrà un senso farlo? La risposta, un po' sarcastica, un po' sibillina, ce la da lo stesso Jenova Chen: “Perché dovreste voler rigiocare Journey?”. Dopotutto, Eraclito ci insegna che non ci si può immergere due volte nello stesso fiume...
Il massimo della civiltà che incontreremo sembrerebbe essere costituita da queste costruzioni: cantiere o rudere?
Journey promette, come Flow e Flowers, di costituire un'esperienza di gioco decisamente alternativa. Certo, volendolo ridurre il concept all'osso, risulta essere una sorta di platform 3D, ma è l'atmosfera desertica, il tentativo di ricostruire una totale solitudine esteriore e interiore, con solo occasionali contatti con altri viaggiatori solitari, a costituire il vero motore emotivo del titolo. Attendiamo con curiosità il prodotto finito...